In questa foto l'ampio spazio luminoso del cielo ha ingannato il sistema esposimetrico: l'immagine è venuta sottesposta, troppo scura.
In genere le fotocamere digitali "capiscono" il tipo ripresa e si regolano di conseguenza, con risultati accettabili. Ma è sempre bene controllare: fidarsi è bene, dice il proverbio, non fidarsi è meglio.

 

 

 

 

 

L'insostenibile stupidità delle fotocamere "intelligenti"

Lezioni di fotografia  N. 12  – 7 settembre 2020 Precedente  Successiva
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Con le fotocamere digitali il risultato è quasi sempre garantito. La messa a fuoco è giusta, l'esposizione è almeno accettabile. Ma l'impasto generale dell'immagine lascia perplesso l'osservatore più attento. C'è qualcosa che non va. I colori, i toni sembrano diversi dal vero.
E' il risultato delle impostazioni predefinite (di default) degli apparecchi, che non sono pensate per ottenere immagini fedeli, per quanto possibile, alla realtà fotografata. Le fotografie devono essere sempre "spettacolari". La pubblicità promette sistematicamente immagini "mozzafiato" (da guardare in apnea?).
Dunque la prima cosa che deve fare l'aspirante "bravo fotografo" è liberarsi di tutte le impostazioni suggerite dai sempre più complicati menù e impostare la fotocamera per la risposta più lineare possibile. Ogni marca ha le sue denominazioni: per Canon si chiamano Picture Style per Nikon Picture Control, Pentax presenta in partenza la selezione automatica del tipo di scena, seguono "brillante" e (finalmente!) "naturale". Poi ci sono vari "modi scena" e tutto può essere personalizzato e memorizzato.

Un buon fotografo elabora da solo il proprio stile, usa la propria intelligenza e non quella della macchina. Quindi il consiglio è di fare piazza pulita di tutte le impostazioni più o meno "spettacolari" e tenere come predefinita quella che in genere viene indicata come "naturale".
Il buon fotografo sceglie la messa a fuoco e l'esposizione. Per la messa fuoco, di solito è predefinita una modalità che affida alla solita intelligenza dell'apparecchio la misurazione su diverse aree dell'inquadratura. In genere funziona, ma a volte il fotografo cerca di staccare i piani con sfocature calibrate. In questo caso è utile impostare la lettura della distanza al centro dell'immagine, unita a un diaframma aperto per ridurre la profondità di campo.

Poi entra in gioco la scelta della modalità di esposizione, automatica o no. Invece di quella "programmata" (dai risultati spesso imprevedibili), è bene scegliere la priorità dei diaframmi (indicata con una [A], da Aperture) per avere il controllo della profondità di campo. Invece si può scegliere la priorità dei tempi (indicata come [S], da Shutter, otturatore), utile quando si vogliono congelare azioni rapide, tipicamente nelle riprese di sport o, al contrario, ottenere deliberatamente una foto "mossa", come nel secondo esempio qui sotto.
Un altro controllo importante è quello che aumenta o diminuisce l'esposizione misurata dal sistema esposimetrico. Indispensabile quando ci sono luci "strane" come nelle foto notturne o con soggetti molto chiari o molto scuri.

Il resto è nella post-produzione, che può correggere o modificare in larga misura i risultati della ripresa. Per questo è essenziale che la fotocamera possa registrare in modalità RAW ("grezza"), che offre ampie possibilità di elaborazione anche con i software forniti insieme agli apparecchi.

Questi sono i due comandi della fotocamera essenziali per il fotografo che vuole avere il controllo preciso dei risultati.
Il selettore del modo di scatto seleziona  l'impostazione programmata [P]... dagli ingegneri che hanno progettato la fotocamera.  Le impostazioni [A] e [S] sono quelle che servono a controllare l'immagine. Con [A] si dà la priorità al diaframma (Aperture) e si definisce la profondità di campo; con [S] si controlla il movimento con il tempo dell'otturatore (Shutter).
Strana luce di un'alba di fine estate, mentre arriva un temporale. L'ineffabile intelligenza digitale ha prodotto una foto banale (sopra). Per ricostruire i colori reali ho dovuto sottoesporre di -2 EV (sotto) e poi correggere la temperatura di colore in post-produzione.
L'effetto finale (a sinistra) riproduce correttamente la scena che ho visto.
Passa il Giro d'Italia. Quante foto scontate, ovvie (come quella qui sotto) delegate all'intelligenza della macchina. L'intelligenza del fotografo può fare di più:  priorità ai tempi, abbassare gli ISO, qualche scatto di prova... e poi la foto giusta, che racconta l'impegno dei corridori con un'immagine non convenzionale.

Grazie agli automatismi digitali, le fotografie riescono sempre. Non ci sono quasi mai "scatti falliti", inquadrature troppo scure o troppo chiare, sfuocate o così mosse da risultare illeggibili. Ma, molto spesso, sono immagini che non esprimono tutto il potenziale visivo del mezzo fotografico o videografico. 

31 luglio 2018, eclissi di Luna: davvero il cielo era così chiaro alle 21:05? No, naturalmente. La fotocamera è stata così intelligente da sovraesporre un'immagine che, a suo giudizio, sarebbe apparsa troppo scura. Nello scatto successivo, ho corretto l'esposizione di -2 EV e ho ottenuto una fotografia realistica.

Nell'esempio precedente abbiamo visto un caso-limite, la disattivazione parziale dell'automatismo, con uno scopo "creativo".
Invece nel caso della Luna la correzione dell'esposizione era necessaria per fare la foto "giusta", con la dimostrazione che il fotografo è più intelligente della macchina. Ogni volta che deleghiamo le nostre decisioni a un sistema "intelligente" rinunciamo a usare la nostra intelligenza di persone. In sostanza, ci comportiamo da stupidi.

Un risultato simile si poteva ottenere anche in post-produzione. In ogni caso è necessario poter escludere tutti gli automatismi, per partire dalla migliore immagine possibile.
Un fotografo che vuole controllare ogni aspetto dell'immagine finale deve avere un apparecchio che:
a) produca immagini in formato RAW, cioè "grezzo", sulle quali si possono compiere interventi essenziali, come la modifica della temperatura di colore;
b) la possibilità di regolare messa a fuoco, tempo e diaframma. Alla fine dei conti erano le sole regolazioni disponibili sulle fotocamere meccaniche di una volta.

Dintorni di Amatrice, rovine del terremoto del 2016. Le fotocamere digitali danno la possibilità di impostare diversi "stili" e sembra ovvio riprendere un paesaggio con lo "stile paesaggio" (nella foto qui a sinistra applicato in post-produzione, il risultato non cambia).
La foto è d'effetto, ma i colori sono irreali, come si nota dal verde troppo brillante del fogliame e dal contrasto elevato (naturalmente occorre un monitor ben tarato, come abbiamo visto nella lezione precedente).
Qui sotto, con l'impostazione "neutra" allo scatto, l'immagine ha colori meno "mozzafiato", ma più fedeli a quelli della scena ripresa.

 

Ecco tre versioni della stessa inquadratura, che mettono a confronto l'intelligenza della macchina con quella del fotografo. Qui a sinistra c'è lo scatto originale, con l'impostazione "neutra" che uso sempre (tanto la posso sempre cambiare in post-produzione). I colori sono quelli che ho "visto" al momento dello scatto.
Sotto a sinistra c'è la versione "standard", impostazione predefinita dell'apparecchio. Si nota il contrasto leggermente più alto, in particolare nei muri gialli illuminati direttamente dal Sole, mentre i toni più scuri, come il muro sul lato sinistro e quello in alto a destra, sono ancora più scuri. Le differenze sono piccole, ma l'impatto della foto cambia.

Un'immagine come questa può prestarsi a una deliberata accentuazione del colore. Eccola, sotto a destra, con l'impostazione "saturo" (leggermente accentuata in post-produzione). L'immagine non è realistica, ma molto efficace, per esempio per un opuscolo turistico – è uno scorcio del borgo di Boccadasse a Genova.

La differenza fra le tre versioni si vede bene nel rettangolo di cielo. Naturalmente adottare un particolare stile o modificare in qualsiasi modo i toni della fotografia è una scelta personale. L'importante è non affidarsi alla macchina, cioè ai gusti degli ingeneri che l'anno progettata, ma usare l'intelligenza umana al posto di quella digitale.

Contrasto estremo, una situazione difficile anche per il più intelligente degli esposimetri. Qui sono partito da una sottoesposizione di -1,7 EV, ma il braccio di Paolo Fresu restava troppo chiaro rispetto al viso e allo strumento (foto a sinistra).
Un semplice intervento in post-produzione ha messo tutto a posto, con la "limatura" delle alte luci e lo schiarimento delle ombre (foto a destra).

Mettere a fuoco la consolle in primo piano o il palco sullo sfondo? In situazioni come questa l'automatismo "multipunto" può andare nel pallone. Meglio misurare la distanza con l'impostazione "area singola" e ricomporre l'immagine con il pulsante di scatto premuto a mezza corsa. E sottoesporre di -1EV per evitare che il furbo esposimetro schiarisca una scena che è naturalmente scura.

Anche in questo caso non è l'intelligenza della macchina che "ha fatto la foto", ma quella del fotografo.

 

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