Adunanza della Sezione Seconda 13 marzo 2002-05-09
N. Sezione 448/2001
Oggetto: Ministero dell’Istruzione Ricerca e Università
– Art. 1, comma 18, legge 14 gennaio 1999, n. 4 e successive modificazioni e
integrazioni. Richiesta parere facoltativo al Consiglio di Stato sulla
possibilità di includere la professione di giornalista nella disciplina
regolamentare
Vista la relazione senza data pervenuta il 4 aprile 2001, con
cui il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica
chiede il parere facoltativo del Consiglio di Stato in ordine al quesito in
oggetto;
Visti i propri pareri interlocutori del 9 maggio e 14 novembre
2001;
Esaminati gli atti e udito il relatore – estensore, consigliere
Armando Pozzi;
PREMESSO.
Riferisce l’Amministrazione che con nota del 26 febbraio 2001
il Presidente dell’Ordine dei giornalisti della regione Lombardia ha espresso
l’avviso che la predetta professione debba essere considerata tra quelle
ricompresse nella disciplina dell’art. 1, comma 18, della legge 14 gennaio 1999,
come modificato dall’art. 6, comma 4, della legge 18 ottobre 1999, n. 370.
Tale normativa dispone che con uno o più regolamenti, adottati
ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta
del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, di
concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia, sentiti gli organi direttivi
degli ordini professionali – con esclusivo riferimento alle attività
professionali per il cui esercizio la normativa vigente prevede in atto l’onere
del superamento di un esame di Stato – sia modificata e integrata la disciplina
del relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini e collegi, nonché dei
requisiti per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove.
La norma dispone che gli atti di normazione secondaria dovranno
essere coerenti con i sottoindicati criteri direttivi:
a) determinazione nell’ambito consentito di attività
professionale ai titolari di diploma universitario e ai possessori di titoli
istituiti in applicazione dell’art. 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n.
127, e successive modificazioni;
b) eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi, ordini
e collegi in relazione agli ambiti di cui alla lettera a), indicando i necessari
raccordi con la più generale organizzazione dei predetti albi, ordini o
collegi;
c) coerenza dei requisiti di ammissione e delle prove degli
esami di Stato con quanto disposto ai sensi della lettera a).
Per quanto concerne l’esame di Stato per l’abilitazione
all’esercizio della predetta professione i riferimenti normativi vigenti
richiamati dall’amministrazione sono:
- l’art. 33, comma 5, della Costituzione;
- l’art. 2229 c.c. ;
- la legge 3 febbraio 1963, n. 69, che detta norme
sull’ordinamento della professione giornalistica e, in particolare, l’art.
32;
- il D.P.R 4 febbraio 1965, n. 115, che prevede all’art. 44
la disciplina delle prove.
Queste ultime, aventi per oggetto l’accertamento dell’idoneità
professionale dei praticanti giornalisti, sono del tutto assimilabili alle prove
attitudinali prescritte dal decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115, con il
quale in attuazione alla direttiva n. 89/48 CEE, sono state disposte norme per
il riconoscimento dei titoli accademico-professionali conseguiti in ambito
europeo ai fini dell’esercizio in Italia delle corrispondenti professioni.
Riferisce ancora l’Amministrazione, che con parere del prof. Scoca, trasmesso al Consiglio Nazionale dell’Ordine, si esprime l’avviso che
dalle riferite norme sulla "prova di idoneità professionale", prescritta ai fini
dell’iscrizione all’albo dei giornalisti, risultino certamente i caratteri
essenziali dell’esame di Stato.
L’Ordine evidenzia altresì che, poiché i provvedimenti
attuativi della riforma dell’autonomia didattica di cui all’art. 17, comma 95,
della legge n. 127 del 1997 e successive modificazioni prevedono una classe di
laurea specialistica per la professione giornalistica (allegato 13/S al D.M. 28
novembre 2000, classe delle lauree specialistiche in editoria, comunicazione
multimediale e giornalismo), l’inclusione della stessa nelle emanande norme
regolamentari sarebbe coerente con i richiamati criteri direttivi della legge e
quindi dovuta.
L’Amministrazione espone, ancora, le argomentazioni contrarie
all’avviso dell’Ordine dei giornalisti, così sintetizzate;
- non necessariamente una prova idoneativa concretizza un esame
di Stato;
- necessità di non porre barriere all’accesso alle professioni
in ambito comunitario ed interno, che siano giustificate da ragioni di tutela
della pubblica fede, pur avendo presente che, per quanto riguarda la disciplina
della predetta professione in ambito europeo, non risulta intervenuta alcuna
direttiva in materia;
- criteri di composizione della commissione giudicatrice
(prevalenza di rappresentanti dell’Ordine);
- mancanza di un titolo di studio necessario per l’esercizio
della professione giornalistica.
Ciò premesso, dovendo il Ministero provvedere alla
predisposizione del riferito regolamento delegato, si pone la questione se le
norme della legge n. 69 del 1963 e del D.P.R. n. 115 del 1965 sulle prove di
idoneità professionale e sulle prove d’esame abbiano o meno i caratteri
dell’esame di Stato ai fini dell’abilitazione all’esercizio della professione di
giornalista e se, conseguentemente, la predetta professione possa o meno essere
inclusa nella nuova normativa.
Viene posto, altresì, il quesito se, nell’ambito del nuovo
regolamento, possano essere introdotte le opportune integrazioni e modificazioni
alle richiamate norme sulla professione giornalistica, auspicate dall’Ordine
medesimo, al fine di pervenire ad una disciplina omogenea in materia.
Con parere interlocutorio del 9 maggio 2001 la Sezione chiedeva
di acquisire il parere del Ministero di Grazia e Giustizia, competente in
materia di Ordini professionali, nonché i verbali della Commissione
ministeriale, c.d. "Commissione Rossi", limitatamente alle riunioni in cui si
era dibattuto il problema della (non) riforma dell’Ordine dei giornalisti.
A tale richiesta istruttoria ha dato riscontro
l’amministrazione con nota de 6 agosto 2001, pervenuta il 4 settembre 2001,
nella quale si comunicava che i lavori della Commissione Rossi non sono stati
verbalizzati, ma trasfusi in una relazione finale, unita alla stessa nota,
mentre il Ministero di Grazia e Giustizia non avrebbe dato riscontro alla
richiesta.Con parere del 14 novembre 2001 la sezione, rilevando che l’Ordine dei
giornalisti aveva fatto pervenire irritualmente, in quanto direttamente a questo
Consiglio, proprie osservazioni datate 27 settembre e 15 ottobre 2001, e che
ulteriore nota in data 8 novembre 2001, pervenuta il 13 novembre 2001 era stata
fatta pervenire altrettanto irritualmente dal Consiglio nazionale dell’Ordine
dei giornalisti, alla quale venivano allegati un nuovo parere dell’avv. prof.
Scoca ed un fax dell’O. dei Giornalisti; rilevandosi, ancora che si trattava di
quesito facoltativo richiesto dall’amministrazione statale e non era stato
acquisito il parere del Ministero di Grazia e Giustizia, la sezione si vedeva
costretta a disporre un nuovo adempimento istruttorio, dovendosi acquisire le
motivate osservazioni del Ministero sulle note dell’Ordine dei giornalisti,
nonché il già richiesto parere del Ministero di Grazia e Giustizia, a tali
adempimenti hanno dato riscontro i due Ministeri, della Giustizia e
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, trasmettendo il parere del
Ministero della Giustizia – Ufficio legislativo, del 6 settembre 2001.
Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha fatto
pervenire, altresì, il secondo parere del prof. Scoca in data 30 ottobre
2001.
In tale situazione, la sezione può pertanto procedere
all’espressione del parere facoltativo.
CONSIDERATO:
Con il quesito principale sottoposto all’esame di questo
Consiglio il MURST chiede di sapere se possa essere ridisciplinata la materia
della professione giornalistica in base alla delega contenuta nella recente
legge n. 4/1999.
Al riguardo appare necessario procedere ad una ricostruzione
del complessivo quadro normativo entro cui si colloca il quesito stesso.
La L. 14 gennaio 1999, n. 4, contenente disposizioni
riguardanti principalmente il settore universitario e della ricerca scientifica,
stabilisce, all’art.1, comma 18 (modificato dall’art.6, L. 19 ottobre 1999, n.
370), che con uno o più regolamenti adottati, a norma dell’articolo 17, comma 2,
della legge 23 agosto 1988, n. 400 (regolamenti di delegificazione), su proposta
del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, di
concerto con il Ministro di grazia e giustizia, sentiti gli organi direttivi
degli ordini professionali, con esclusivo riferimento alle attività
professionali per il cui esercizio la normativa vigente già prevede l’obbligo di
superamento di un esame di Stato, è modificata e integrata la disciplina del
relativo ordinamento, dei connessi albi, ordini o collegi, nonché dei requisiti
per l’ammissione all’esame di Stato e delle relative prove, in conformità ai
seguenti criteri direttivi:
a) determinazione dell’ambito consentito di attività
professionale ai titolari di diploma universitario e ai possessori dei titoli
istituiti in applicazione dell’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio
1997, n. 127, e successive modificazioni (che ha demandato ai singoli atenei la
disciplina dell’ordinamento degli studi dei corsi universitari);
b) eventuale istituzione di apposite sezioni degli albi, ordini
o collegi in relazione agli ambiti di cui alla lettera a), indicando i necessari
raccordi con la più generale organizzazione dei predetti albi, ordini o
collegi;
c) coerenza dei requisiti di ammissione e delle prove degli
esami di Stato con quanto disposto ai sensi della lettera a).
La norma primaria prevede, dunque, un processo di riordino
delle singole professioni che siano organizzate, in base alla normativa vigente
in ordinamenti settoriali, caratterizzati dai requisiti concorrenti dell’esame
di stato e dall’istituzione di albi, ordini e collegi professionali alla cui
iscrizione il superamento dell’esame è strumentale.
Occorre aggiungere che la finalità della norma è quella di
adeguare i contenuti dell’attività professionale e del relativo esame di Stato
all’evoluzione normativa dell’ordinamento degli studi universitari, avviata
dall’art.17, comma 95, dalla legge n. 127/1997, al quale, appunto, la legge n.
4/1999 ha apportato modificazioni.
Il motivo per cui l’amministrazione – ed in particolare la
speciale commissione nominata dal Ministero della Giustizia per l’applicazione
della predetta normativa – sembrerebbe orientata nel senso di escludere dal
processo di riforma normativa delle professioni quella di giornalista,
consisterebbe nel fatto che per l’accesso all’esercizio professionale
dell’attività giornalistica l’attuale ordinamento non prevede in "esame di
Stato".
In effetti, l’art. 32 (rubricato "Prova di idoneità
professionale") della L.3 febbraio 1963, n. 69, che ha disciplinato, dopo un
lungo e contrastato dibattito parlamentare, l’ordinamento della professione di
giornalista, dispone che l’accertamento dell’idoneità professionale, di cui al
precedente art.29, necessario per l’iscrizione all’albo istituito dall’art. 26
della stessa legge, consiste in una prova scritta e orale di tecnica e pratica
del giornalismo, integrata dalla conoscenza delle norme giuridiche che hanno
attinenza con la materia del giornalismo.
La dizione della normativa relativa alla professione di
giornalista si discosta dunque, all’evidenza, da quella di "esame di stato"
usata dalla riportata legge n. 4/1999, la quale, a sua volta, ripete la formula
generale di principio di cui all’art. 33, comma 5, della Costituzione ("E’
prescritto un esame di Stato….per l’abilitazione all’esercizio
professionale").
Si tratta dunque di stabilire se tale difformità terminologica
sia influente al fine della soluzione del quesito proposto. Questa Sezione
ritiene di no.
La giurisprudenza costituzionale ha avuto più volte occasione
di precisare che la norma dell’art.33 Cost. reca in sé un principio di
professionalità specifica. Essa, cioè, richiede che l’esercizio di attività
professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente
approfondite ed ad un correlato sistema di controlli preventivi e successivi di
tali conoscenze, per tutelare l’affidamento della collettività in ordine alle
capacità di professionisti le cui prestazioni incidono in modo particolare su
valori fondamentali della persona: salute, sicurezza, diritti di difesa, etc. (C.Cost., 23 dicembre 1993, n. 456; 26 gennaio 1990, n. 29).
L’esame di Stato costituisce la forma principale ed iniziale di
siffatti controlli e per questo esso assume tale denominazione, che vale ad
evidenziare l’intervento dello Stato nel congegnare e disciplinare, sotto vari
profili (composizione delle commissioni giudicatrici, contenuto delle prove
d’esame, etc.) i meccanismi di verifica della professionalità, che debbono
consistere in una "prova tecnica circondata da particolari garanzie" di
imparzialità, serietà e professionalità specifica (C.Cost., 2 maggio 1985, n.
127).
Nella ricorrenza dei predetti presupposti e requisiti, il nomen
juris del procedimento di verifica della capacità ed idoneità tecnica di chi
aspiri a svolgere una determinata professione ritenuta di interesse generale è
irrilevante. Ed infatti, la ricordata giurisprudenza costituzionale ha ribadito
più volte che lo strumento di controllo che vale ad assicurare l’indispensabile
vaglio di specifica idoneità tecnica all’esercizio della professione è dato "da
esame di Stato o equipollente di esso" (C.Cost. n. 127/1985, cit.; 28 maggio
1987, n. 202, sub punto 3 motivazione; 21 gennaio 1999, n. 5, sub punto 3 della
motivazione).
Il concetto di equipollenza, che si trova ripetuto più volte
nel linguaggio della Corte, deve correlarsi con l’altro insegnamento dello
stesso Giudice delle leggi, secondo cui il legislatore gode di ampi margini di
discrezionalità nel determinare le professioni intellettuali per le quali si
ritenga necessaria l’istituzione di speciali ordinamenti professionali
caratterizzati dall’istituzione di un albo e da un preventivo accertamento
costitutivo della relativa idoneità [C. Cost., 10 febbraio 1997, n. 38, relativa
al referendum abrogativo dell’Ordine dei giornalisti; cfr. anche sentenze
nn.
174/1980 e 26/1990]. Conseguentemente, la discrezionalità legislativa può anche
investire aspetti formali e sostanziali delle prove tese a quell’accertamento,
nei limiti, naturalmente, del rispetto delle finalità e conseguenti modalità
delle prove stesse. Al riguardo si è ritenuto conforme al precetto
costituzionale dell’art. 33, comma 5, un meccanismo valutativo che, seppur non
formalmente congegnato come "esame di stato", soddisfi comunque "l’esigenza di
un serio ed oggettivo accertamento dell’attitudine e capacità professionale
richieste" dal richiamato precetto costituzionale [C. Cost., 23 dicembre 1993,
n. 456, relativa agli assistenti medici assegnati ai laboratori di analisi, per
i quali è stato ritenuto corretto esercizio della discrezionalità legislativa
l’art. 17 del DPR n. 761/1979, che assicura(va) un adeguato procedimento di
verifica delle capacità "di laboratorio" dei suddetti medici].
Con specifico riferimento, poi, alla professione giornalistica
la Corte ebbe a chiarire, in occasione del referendum abrogativo del 1997, che
l’Ordine professionale dei giornalisti ha il compito di salvaguardare erga omnes
e nell’interesse della collettività la dignità professionale e la libertà di
informazione e di critica dei propri iscritti; il predetto Ordine non si pone
pertanto in contrasto con i principi di libera manifestazione del pensiero,
chiunque potendo scrivere per e su pubblicazioni di natura giornalistica, senza
avere il titolo di giornalista [C. Cost., 10 febbraio 1997, n. 38]. Con ciò la
Corte ha ribadito la distinzione tra giornalista munito di una specifica e
verificata capacità di informazione e coloro che sono legittimati a scrivere
sugli organi di informazione senza avere quella specifica capacità debitamente
verificata e dichiarata.
Sempre a proposito della professione giornalistica, la stessa
Corte ebbe a chiarire che l’Ordine professionale dei giornalisti è (al pari
degli altri ordini e Collegi professionali), ente pubblico non economico che
emette provvedimenti costitutivi del particolare status professionale di
giornalista, al fine di perseguire fini di interesse generale, che superano di
gran lunga la tutela sindacale dei diritti della categoria nel rapporto di
lavoro subordinato con l’impresa giornalistica [C. Cost., 8 febbraio 1991, n.
71; che richiamò la precedente sentenza n. 11 del 1968].
Facendo applicazione di tali concetti all’attività
giornalistica, non appare contestabile che essa rientri nel novero delle
professioni per il cui esercizio occorra il superamento di una selezione
equipollente (per dirla con la Corte) ad un esame di stato.
Non è dubitabile che l’attività giornalistica costituisca
"esercizio professionale" come previsto dall’art. 33, comma 5, Cost. Essa,
infatti, anche se svolta nella forma di lavoro dipendente, rientra nella
previsione delle "professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è
necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi", di cui all’art. 2229 cod.
civ. Tale professione è infatti subordinata all’iscrizione nell’albo dei
giornalisti istituito, come detto, dalla legge n. 69/1963.
Condizione per l’iscrizione in tale albo è il superamento di
una "prova di idoneità professionale" caratterizzata da quei requisiti di
serietà e oggettività, di cui è riferimento nelle pronunce della Corte sopra
ricordate; art.32 L. n. 69 ed art. 44 del regolamento attuativo emanato con DPR
4 febbraio 1965, n. 115.
L’istituzione dell’Ordine e del relativo albo per l’esercizio
della professione giornalistica è, poi, correlata al valore costituzionale del
diritto all’informazione libera, di cui all’art. 21, comma 2, Cost. e trova
dunque una specifica e rafforzata ragione nell’interesse generale di
"salvaguardare la dignità professionale e la libertà di informazione e di
critica degli iscritti" [C. Cost., n. 38/1997, cit; 8 febbraio 1991, n. 71].
La natura professionale dell’attività giornalistica trova,
d’altronde, conforto dal combinato dispositivo dall’art. 1, comma 3 e dell’art.
2, del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 115 (Attuazione della direttiva n. 89/48/CEE
relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione che
sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni) e nel
decreto MURST del 28 novembre 2000.
La prima fonte ha fissato il principio per cui l’esercizio
delle professioni presuppone il superamento di un ciclo di studi postsecondari
di una durata minima di tre anni o di durata equivalente a tempo parziale, in
una università o in un istituto di istruzione superiore o in altro istituto
dello stesso livello di formazione.
La seconda, emanata in attuazione dell’art. 4, comma 2, del
D.M. n. 509 del 3 novembre 1999 sull’autonomia didattica degli atenei, nel
determinare le classi delle lauree specialistiche (il diploma di laurea di una
volta) ha individuato all’allegato 13 la classe 13/S, intitolata "editoria,
comunicazione multimediale e giornalismo", indicandone le relative materie
d’esame ("attività formative").
L’attività giornalistica si configura, dunque, vieppiù oggi
come professione in relazione all’aumentato bagaglio culturale specifico per il
suo espletamento: bagaglio in relazione al quale appare obsoleto – e dunque
suscettibile di revisione normativa secondo l’intento legislativo della legge n.
4/1999 – il contenuto delle prove d’idoneità come oggi configurato dall’art. 2
della L. n. 69/1963 e dall’art. 44 del DPR n. 115/1965. Infatti, mutati i
requisiti culturali per l’esercizio di una professione, l’accertamento
dell’idoneità professionale non può prescindere da essi, tenuto conto che "il
titolo di studio precede la maturazione professionale" [C. Cost., 27 luglio
1995, n. 412, a proposito della professione di psicologico].
In tale mutato contesto dell’ordinamento universitario la
riforma dell’esame per giornalista appare oltretutto quantomeno opportuna, in
quanto risponderebbe alla finalità di adeguamento perseguite dalla legge n.
4/1999, di cui si è fatto cenno all’inizio.
D’altra parte, nella giurisprudenza costituzionale non si è mai
dubitato che anche quello di giornalista, al pari di altre professioni (come ad
es. gli avvocati, gli ingegneri, i geometri, etc.) costituisce un ordinamento
speciale, con le conseguenti caratteristiche comuni, tra cui quella dell’accesso
mediante selezione rigorosa ed oggettiva [C. Cost., 14 dicembre 1995, n. 505,
relativa al procedimento penale dei giornalisti).
In tale quadro argomentativo, perde di significato l’obiezione
principale intorno alla quale l’Ufficio legislativo del Ministero della
Giustizia costituisce il proprio orientamento negativo alla riforma della
professione giornalistica: l’argomento, cioè, che per l’esercizio di questa
professione la normativa vigente non prevede il possesso di un titolo di studio,
quale requisito necessario per la partecipazione alla "prova di idoneità
professionale".
Al riguardo, vale ricordare che in base all’art. 33 della legge
n. 69/1963 per l’iscrizione nel registro dei praticanti della professione
giornalistica – iscrizione necessaria al fine di maturare il periodo di 18 mesi
di pratica per sostenere la prova d’idoneità – è necessario altresì avere
superato un esame di cultura generale, diretto ad accertare l’attitudine
all’esercizio delle professione. Non sono tenuti a sostenere la prova di esame
di cultura generale i praticanti in possesso di titolo di studio non inferiore
alla licenza di scuola media superiore. A sua volta, l’art. 37 del regolamento
n. 115/1965, modificato dall’art. 8, D.P.R. 3 maggio 1972, n. 212, nel
disciplinare l’esame di cultura generale, dispone che le prove dell’esame per la
iscrizione nel registro dei praticanti, sono scritte ed orali. La prova scritta
consiste nello svolgimento di un argomento di interesse attuale scelto dal
candidato tra quelli indicati, in numero di quattro, dalla Commissione
esaminatrice su materie diverse, al fine di verificare se l’aspirante possieda
la formazione culturale generale indispensabile per chi intende avviarsi
all’esercizio dell’attività giornalistica. Per l’espletamento della prova
scritta sono assegnate al candidato tre ore. La prova orale consiste, a sua
volta, in una conversazione su argomenti di cultura generale che presentino
carattere di attualità, con particolare conoscenza dei seguenti argomenti e
materie: a) principi di diritto costituzionale; b)nozioni di storia del
ventesimo secolo; c) problemi ed orientamenti della politica italiana del
dopoguerra; d) elementi di geopolitica; e) il sindacalismo ieri e oggi; f)
orientamenti della letteratura e dell’arte contemporanee; g) storia del
giornalismo ed ordinamento della professione; h) fonti di informazione italiane
e straniere (agenzie di stampa, giornali, etc.) e principali mezzi bibliografici
di consultazione e ricerca; i) i più importanti avvenimenti che hanno fornito
materia ai giornali negli ultimi 12 mesi.
Anche se la normativa primaria e secondaria allo stato non
richiedono, pertanto, formalmente uno specifico e tipico titolo di studio come
per le altre professioni protette, come requisito essenziale per la
partecipazione alla prova di idoneità, tuttavia essa non è svincolata
dall’accertamento preventivo del possesso di un grado di cultura di livello
quantomeno preuniversitario, dimostrato o attraverso il possesso del titolo di
studio di scuola media superiore, ovvero da un esame di cultura, articolato,
oggettivamente e soggettivamente, sulla falsariga di un esame di maturità.
Quindi, la prova di idoneità professionale è preceduta dal
possesso di un grado elevato di cultura generale e specifica (cfr., ad es., la
"geopolitica") funzionale all’esercizio della professione giornalistica, per la
quale il legislatore non ha ritenuto tuttavia di fissare il possesso di un
titolo di studio tipico e predeterminato per una serie di motivi storici,
ordinamentali, di mercato del lavoro, di realtà imprenditoriali: basti pensare,
al riguardo, che alla professione giornalistica si sono avviati numerosi
professionisti in età giovanissima, anteriore a quella necessaria per la
conclusione dei cicli universitari; inoltre, la capacità di raccogliere notizie
e diffonderle al pubblico in modo oggettivo, chiaro ed esauriente si è maturata,
nell’esperienza e nella storia del giornalismo, a prescindere dal possesso di
una specifica formazione scolastica od universitaria, che peraltro sino a tempi
recentissimi è mancata, come detto sopra.
In definitiva, la mancata individuazione di un tipico titolo di
studio per sostenere quella prova si spiega con la particolare natura
dell’attività giornalistica, che è la più liberale delle professioni,
consistente in un particolare prodotto della manifestazione del pensiero
attraverso la stampa periodica o i servizi radiofonici e televisivi, la cui
specificità sta nella particolare sintesi fra manifestazione del pensiero e la
funzione informativa [cfr., al riguardo, Cass., sez. lav., 25 maggio 1996, n.
4840; id., 20 febbraio 1995, n. 1827].
La professione giornalistica in quanto rivolta alla raccolta,
al commento, all’elaborazione di notizie al fine della loro diffusione, secondo
procedimenti acquisitivi e valutativi più svariati. Non è stata ritenuta
riportabile in alcun percorso formativo e scolastico fisso e predeterminato,
essendo molteplici le forme ed i percorsi culturali attraverso i quali si
prepara la capacità del giornalista, la quale, oltretutto, è di tipo e contenuti
non solo astratti, ma anche e essenzialmente pragmatici, come si desume dalla
disciplina sul praticantato. Inoltre, la mancanza, da parte del legislatore.
Dell’individuazione di un titolo scolastico predeterminato si spiega anche con
il valore costituzionale del diritto attivo all’informazione ed alla
manifestazione del proprio pensiero, nonché della libertà di stampa. La mancanza
di un titolo di studio tipicamente funzionale all’attività giornalistica si
spiega, inoltre, come già accennato, con il dato storico dell’inesistenza di
scuole pubbliche di giornalismo, le quali sono state da sempre surrogate in
parte da istituzioni e centri privati e in particolare dalla scuola di
giornalismo istituita con delibera del Consiglio dell’Ordine della Lombardia del
1974. Ma si tratta di una situazione destinata a mutare con la creazione di uno
specifico percorso accademico volto all’acquisizione di specifiche competenze in
materia giornalistica, proprio in relazione al quale si pone l’esigenza della
revisione dell’attuale disciplina degli esami di Stato per l’iscrizione
all’albo.
Superato il dato formale del titolo di studio, tutte le
argomentazioni svolte dall’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia
sono destinate a cadere, atteso che l’attività professionale di giornalista si
svolge sotto il controllo di un ente pubblico istituito nella forma del collegio
professionale operante al pari degli altri ordini e previo superamento di una
specifica prova, rigorosa e selettiva, volta all’accertamento dell’idoneità
specifica per il corretto svolgimento dell’attività professionale a garanzia del
diritto costituzionale ad un’adeguata e oggettiva informazione [cfr. C.
Cost.,
21 gennaio 1999, n. 5].
Circa i requisiti di rigore selettivo posseduti della prova di
idoneità giornalistica, non se ne può dubitare, tenuto conto di quanto disposto
dall’art. 44 del regolamento n. 115 del 1965, come da ultimo sostituito
dall’art. 1, D.P.R. 21 settembre 1993, n. 384.
La norma, infatti, nel dettare la disciplina della prova di
idoneità professionale, dispone che essa si articola, conformemente alla
previsione della legge, anzitutto in una prova scritta e consiste: a) nello
svolgimento di una prova di sintesi di un articolo o di altro testo scelto dal
candidato tra quelli forniti dalla commissione in un massimo di 30 righe
dattiloscritte (da 60 battute ciascuna); b) nello svolgimento di una prova di
attualità e di cultura politico-economico-sociale riguardanti l’esercizio della
professione mediante questionari articolati in domande cui il candidato è tenuto
a rispondere per iscritto; c) nella redazione di un articolo, contenuto in una
pagina e mezzo dattiloscritta di 45 righe da 60 battute ciascuna, su argomenti
di attualità scelti dal candidato tra quelli, in numero non inferiore a sei
(interni, esterni, economia-sindacato, cronaca, sport, cultura spettacolo)
proposti dalla commissione, anche sulla base dell’eventuale documentazione dalla
stessa fornita.
La prova orale, a sua volta, consiste in un colloquio diretto
ad accertare la conoscenza dei principi dell’etica professionale, delle norme
giuridiche attinenti al giornalismo e specificatamente delle tecniche e pratiche
inerenti all’esercizio della professione. In particolare essa si svolge sulle
seguenti materie: a) elementi di storia del giornalismo; b) elementi di
sociologia e di psicologia dell’opinione pubblica; c) tecnica e pratica del
giornalismo: elementi teorici fondamentali: esercitazione di pratica
giornalistica; d) norme giuridiche attinenti al giornalismo: elementi di diritto
pubblico; ordinamento giuridico della professione di giornalista e norme
contrattuali e previdenziali; norme amministrative e penali concernenti la
stampa; elementi di legislazione sul diritto di autore; e) etica professionale;
f) i media del sistema economico italiano.
La prova orale comprende anche la discussione di un argomento
di attualità, liberamente scelto dal candidato, nel settore della politica
interna, della politica estera, dell’economia, del costume, dell’arte, dello
spettacolo, dello sport, della moda o di qualsiasi altro campo specifico nel
quale egli abbia acquisito una particolare conoscenza professionale durante il
praticantato. Analoga scelta può essere compiuta dal candidato nella materia
delle norme giuridiche attinenti al giornalismo. L’argomento o gli argomenti
prescelti, compendiati in un breve sommario, debbono essere comunicati alla
commissione almeno tre giorni prima della prova, e da essi può prendere l’avvio
il colloquio allo scopo sia di mettere il candidato a suo completo agio sia di
valutarne le capacità di ricerca e di indagine, di attitudine alla inchiesta e
di acume critico, di discernimento e di sintesi. A conclusione della prova orale
il presidente comunica al candidato il giudizio della commissione sulla prova
scritta e, a richiesta del candidato, gli mostra l’elaborato sottolineandone in
breve i limiti e/o i pregi e/o fornendo eventuali chiarimenti.
Come si vede, la quantità, complessità e specificità delle
"materie" oggetto di prova selettiva evidenzia la difficoltà e serietà della
selezione, la quale, sia detto per inciso, presuppone un grado di preparazione,
cultura e capacità non inferiori a quelle di livello universitario e comunque
consiste in una serie di accertamenti teorico-pratici del tutto congeniali al
corretto svolgimento dell’attività giornalistica, come sopra definita e
finalizzati a quella verifica di idoneità tecnica, cui è preordinato l’esame di
Stato (C. Cost. n. 5/1999 relativa alla professione di praticante procuratore
legale).
D’altra parte, l’assimilazione della professione giornalistica
a quella delle altre professioni cui si accede mediante un esame di Stato si
evince da altri dati positivi.
Non va dimenticato, infatti, che in base all’art. 45 della
legge n.69, la professione di giornalista è caratterizzata dalle stesse garanzie
"passive" predisposte per le altre professioni "protette" dagli art.348
(esercizio abusivo di professione per la quale è richiesta speciale abilitazione
dello Stato) e 498 (usurpazione di titolo) c.p.
La particolare tutela penale di cui il legislatore ha voluto
circondare l’esercizio della professione giornalistica è l’ulteriore
dimostrazione della particolare importanza che essa assume nel nostro
ordinamento e costituisce ulteriore elemento interpretativo per qualificare le
prove di ammissione a quella professionale in termini di rigore e
qualificazione.
In tale contesto, appare improprio invocare un dato meramente
tecnologico ("prova" invece di "esame") per negare l’esigenza di una riforma
dell’ordinamento in questione, tenuto conto che la "prova di idoneità" alla
professione di giornalista è assistita da quelle garanzie di oggettività e
tecnicità più volte richiamate dalla giurisprudenza costituzionale sopra
ricordata.
Quanto alla commissione giudicatrice della prova in questione,
che secondo il Ministero della Giustizia mancherebbe dei requisiti della
terzietà ed imparzialità e quindi della statualità, è da considerare che essa,
secondo quanto stabilisce l’art. 32 della legge n. 69/1963, è composta da sette
membri, di cui cinque scelti tra i giornalisti professionisti con oltre dieci
anni di iscrizione all’albo e due magistrati ordinari nominati dal Presidente
della Corte d’Appello di Roma. In tal modo viene assicurata la tecnicità e
l’imparzialità dei membri della commissione – elementi essenziali per garantire
la finalità dell’esame di Stato – in misura anche superiore a quella degli altri
esami di Stato e degli ordinari concorsi d’accesso al pubblico impiego, attesa
la presenza di ben due magistrati tra i membri della commissione.
Il fatto, poi, che la nomina della maggioranza dei membri più
squisitamente "tecnici" (i cinque giornalisti) non avvenga con provvedimento di
un organo dello Stato-apparato, ma direttamente dal Consiglio Nazionale
dell’Ordine, non fa venir meno il carattere "statuale" della prova in questione,
tenuto conto che, secondo la costante giurisprudenza, gli Ordini professionali,
compreso quello dei giornalisti (C. Cost. n. 11/1968 n. 505/1995), sono enti
pubblici non economici, i quali, in considerazione della loro struttura, dai
poteri pubblicistici di cui sono investiti, degli interessi pubblici da essi
perseguiti, dei controlli ministeriali ai quali sono soggetti, appartengono al
novero delle pubbliche amministrazioni in senso oggettivo e soggettivo.
L’atto di nomina dei componenti della commissione giudicatrice
è, dunque, atto amministrativo e si colora, pertanto, nel connotato della
"pubblicità" o della "statualità, al pari di quello proveniente da un organo
ministeriale.
D’altra parte, la specialità del procedimento di nomina,
affidata direttamente all’Ordine, si spiega con l’esigenza di assicurare il
valore costituzionale, insito nel citato art. 21 della Cost., della libertà e
dignità (oltre che professionalità) del giornalista, che potrebbe risultare
compromesso (come peraltro evidenziato dai timori emersi dai lavori della legge
69/1963 sul punto) da una commissione nominata direttamente dal Potere
esecutivo, anziché dallo stesso organo rappresentativo dell’ordinamento autonomo
dei giornalisti.
Ove poi si volesse enfatizzare un dato testuale, non va
dimenticato che in base al vigente art. 33 della legge n. 69/1963 l’iscrizione
nell’elenco dei praticanti giornalisti presuppone il superamento di un "esame"
di cultura generale, e non di una "prova".
La natura pubblicistica dell’Ordine dei giornalisti vale poi a
smentire l’ulteriore argomentazione del Ministero di Giustizia, laddove si tende
a negare il carattere specialistico della professione giornalistica, ciò che
giustificherebbe la mancanza di un titolo di studio e, correlativamente, la
natura selettiva della prova d’idoneità. Oltre a quanto già detto circa il
contenuto prettamente specialistico e mirato delle materie oggetto di prove
d’idoneità, la creazione di un ente pubblico preposto istituzionalmente al
governo di una data professione sta a dimostrare, al contrario, la particolare
complessità della professione sul piano dei contenuti e, correlativamente, la
necessità di una valutazione preventiva e di un controllo continuo sulle
capacità di svolgere la professione stessa, a tutela degli iscritti e dei
cittadini destinatari di essa.
Al quesito posto dall’amministrazione deve dunque darsi la
seguente risposta:
non sussistono motivi ostativi alla riforma dell’ordinamento
professionale dei giornalisti, come prevista dall’art. 1, comma 18, della legge
n. 4 del 1999, citato all’inizio delle presenti considerazioni.
Quanto all’ulteriore e correlato quesito circa i contenuti del
futuro regolamento, esso non può che avere risposta generica, attesa la
discrezionalità che l’amministrazione ha nel predisporre il testo normativo. Sul
punto della mera legittimità la Sezione non può che richiamare i principi
generali innanzi esposti anche con riferimento alla richiamata giurisprudenza
costituzionale.
D’altra parte, il testo del futuro regolamento dovrà superare
il necessario vaglio della diversa Sezione consultiva di questo Consiglio, a ciò
istituzionalmente competente ai sensi dell’art. 17, comma 28, della legge n.
127/1997.
Piuttosto, è da sottolineare un dato che l’amministrazione non
ha in alcun modo considerato, trattandosi di evento sopravvenuto. Infatti,
successivamente alla richiesta di parere facoltativo è stata emanata la legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la quale ha apportato modifiche al titolo
V, parte seconda, della Costituzione.
Per quel che qui interessa, la legge citata ha modificato, tra
gli altri, l’art. 117 Cost., introducendo nuovi criteri di riparto di competenze
normative fra Stato e Regioni, secondo principi di tipicità e tassatività nei
confronti del primo e di residuità e sussidiarità in favore delle seconde.
Merita particolare attenzione il disposto del comma 5 dell’art. 117, secondo cui
la potestà regolamentare aspetta allo stato nelle materie di propria
legislazione esclusiva, mentre alle Regioni compete il potere regolamentare in
ogni altra materia, sia essa di legislazione regionale esclusiva o concorrente.
Poiché tra le materie di legislazione esclusiva statale la nuova versione
dell’art. 117 non elenca quella della formazione professionale e della
disciplina della relativa attività (la quale è contemplata nel comma 3 solo come
materia oggetto di legislazione concorrente), sembrerebbe che su tale materia
sia precluso ogni intervento regolamentare, quantomeno diretto, dello Stato.
L’amministrazione, quindi, nel dar corso alle iniziative
normative applicative della legge n. 4/1999 dovrà tener conto delle nuove e
complesse problematiche che la legge costituzionale n. 3/2001 ha aperto
nell’ambito del sistema delle fonti di produzione. In tale opera interpretativa
la stessa amministrazione dovrà tener conto anche degli orientamenti che
emergeranno in seno a questo Consiglio, ed in particolare nell’ambito della
Sezione consultiva per gli atti normativi e dell’Adunanza Generale
(quest’ultima, ad esempio, già si è pronunciata in merito ai criteri di riparto
di competenze regolamentari tra Stato e Regioni in materia di legislazione
esclusiva o concorrente regionale, per le quali si debba dare attuazione a
direttive comunitarie: cfr. parere n. 2/02 del 25 febbraio 2002).
PQM
Nelle esposte considerazioni viene reso il richiesto parere
IL PRESIDENTE DELLA SEZIONE
Salvatore Rosa
L’ESTENSORE
Armando Pozzi
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