Domani, 4 aprile, entra in vigore la nuova legge
sull'editoria, pubblicata con il n. 62 sulla Gazzetta ufficiale del 21 marzo
scorso. Pessima la carta, vergognosa la qualità della stampa, assurde le
disposizioni, ma... è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato, secondo la formula di rito che chiude
l'articolato.
Dunque da domani ogni sito italiano destinato alla "diffusione di
informazioni presso il pubblico" sarà considerato "prodotto
editoriale" e sarà soggetto alle disposizioni sulla stampa contenute
nella vetusta legge 8 febbraio 1948, n. 47.
Con una serie di articoli Come mettersi in regola con le
norme sulla stampa esamineremo in dettaglio gli aspetti legali delle nuove
disposizioni e cercheremo di indicare qualche soluzione. Qui è opportuno vedere
il significato generale delle nuove disposizioni, che rischiano di far succedere
un "quarantotto" nell'internet italiana.
"Un quarantotto" è un'espressione proverbiale per descrivere una
situazione di caos, in ricordo delle rivoluzioni che sconvolsero gli stati
europei nel lontanissimo 1848. Ma qui la frase assume anche un doppio o triplo
senso, perché la nuova legge richiama espressamente quella del 2
febbraio 1948, n. 47, intitolata "Disposizioni sulla stampa". Ma -
tenetevi forte - l'estensione all'informazione telematica di questa vecchia
legge comporta, in determinati casi, anche l'applicazione del Regio D. L. 31
maggio 1946 "Norme sul sequestro dei giornali e delle altre
pubblicazioni". Il quale, all'articolo 1 parla "dei giornali o di
qualsiasi altra pubblicazione o stampato, contemplati nell'Editto sulla stampa
26 marzo 1848, n. 695": si tratta dello storico editto del Re del
Piemonte, Carlo Alberto, che introduceva per la prima volta una assai limitata
libertà di espressione...
Gira e rigira, si torna sempre a qualche quarantotto... E alla incapacità
del nostro legislatore di immaginare leggi nuove per situazioni nuove. Quella
che chiamiamo "società dell'informazione" è un contesto che non ha
precedenti. Non si era mai verificato che l'informazione costituisse un bene
economico di primaria importanza e che le condizioni sociali e le libertà
politiche di masse di individui potessero essere misurate a seconda delle
possibilità di accedere all'informazione, sia nel senso di ricevere
informazioni, sia di diffonderle, cioè di esprimere le proprie idee.
Questo assetto socio economico, in perenne divenire, ha iniziato a svilupparsi
pochi anni fa. E' anche possibile indicare una anno preciso: il 1994, con la
diffusione dell'interfaccia grafica per il Word Wide Web e con il
"manifesto" di Clinton e Gore sulle "autostrade
dell'informazione".
Ma in tutto questo il legislatore italiano che cosa fa? Mettendo mano
all'ennesima "leggina" sulla distribuzione di soldi pubblici
all'editoria, si rende conto che deve in qualche modo estendere i contributi a
una parte dell'informazione telematica. Allora scrive una confusa definizione di
"prodotto editoriale", nella quale comprende l'informazione on line, e
stabilisce che tutti i prodotti editoriali sono soggetti alla legge del 1948.
Con risultati che potrebbero essere devastanti per tutta la nuova informazione e
porre l'Italia in una situazione di grave svantaggio nei confronti dei suoi
concorrenti di tutto il mondo, con l'eccezione di qualche stato poco
democratico, come la Cina.
Qualcuno dirà - come al solito - che esageriamo. Allora si consideri questo
fatto: da domani, chi pubblicherà qualsiasi tipo di informazioni senza aver
adempiuto gli obblighi prescritti dall'art. 2
o dall'art. 5 della legge del '48,
commetterà un reato. Un delitto, previsto e punito dall'art.
16 della stessa legge: "Chiunque intraprenda la pubblicazione di un
giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione
prescritta dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la
multa fino a lire 500.000. La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno
stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell'editore né quello
dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al
vero" (quest'ultima disposizione si riferisce all'articolo 2).
Per chi fa informazione telematica non è semplice adempiere questi obblighi.
Tanto per incominciare, nel mondo on line non esiste la figura dello
"stampatore". Il server web dal quale l'informazione viene diffusa
può, se mai, essere equiparato al "distributore" (ma con la
conseguente imputazione, in caso di "stampa clandestina" del reato -
depenalizzato - previsto dall'art. 663-bis
del codice penale). Nell'innovativa e coraggiosa ordinanza
di registrazione di questa testata, il Tribunale di Roma ricorse alla
finzione giuridica di considerare la sede del fornitore di hosting come
"luogo di pubblicazione", ma chiunque conosca per sommi capi il
funzionamento della Rete si rende conto che la soluzione non regge. Infatti un
cambio di server si può fare da un momento all'altro, senza nessun effetto
pratico sulla diffusione delle informazioni. Ma, nel combinato disposto della
vecchia e della nuova legge, la mancata comunicazione al tribunale del
trasferimento del server può dare luogo a una sanzione amministrativa. E
anche le indicazioni non rispondenti al vero possono costituire un reato, come
vedremo in un prossimo articolo.
Si pone quindi il problema di identificare il luogo di pubblicazione del
notiziario telematico. Problema di non semplice soluzione e gravido di
conseguenze: per esempio, posto che la registrazione ai sensi dell'art. 5 della
legge sulla stampa deve essere chiesta al tribunale nella cui circoscrizione
avviene la pubblicazione, come si fa a chiedere la registrazione di una testata
italiana diffusa da un server situato all'estero?
Come spiega Andrea Monti nel già citato articolo E' il
"prodotto" che fa la differenza, la collocazione del server
all'estero non fa venir meno la giurisdizione italiana per un pubblicazione che
sia evidentemente destinata al pubblico italiano. Allora per "luogo di
pubblicazione" si dovrebbe intendere quello dove si trova la redazione...
che però a sua volta potrebbe essere "virtuale". La soluzione, nella
legge, non c'è, per il semplice motivo che ai tempi in cui fu emanata la legge
stessa non si poteva neanche lontanamente pensare all'informazione on line.
La conclusione è che le nuove disposizioni non solo confuse, ma anche
confusionarie. Occorre una regolamentazione organica dell'informazione, che
tenga conto del fatto che nella società di oggi chiunque può essere
"fornitore di informazioni". E' venuto il momento di applicare
compiutamente non solo il dettato dell'articolo 21 della nostra Costituzione, ma
soprattutto quello dell'art. 19 della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo:
Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione,
incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di
cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza
riguardo a frontiere.
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