Con la Gazzetta ufficiale del 30 giugno è arrivato il tanto atteso regolamento
dell'Autorità per le garanzie sul Registro degli operatori di comunicazione
(ROC), richiamato dalla della famigerata legge
62/01 sull'editoria.
Come tutti gli interessati sanno ormai a memoria, questa legge ha compreso
nell'unica definizione di "prodotto editoriale" le pubblicazioni
tradizionali e quelle digitali, sottoponendo queste ultime al vecchio regime
della stampa istituito con la legge n. 47 del 1948.
Quindi con l'obbligo, per le pubblicazioni non periodiche, di inserire alcune
indicazioni sulla "gerenza" e, per quelle periodiche,
l'adempimento molto più gravoso dell'iscrizione nel registro della stampa del
tribunale del luogo di pubblicazione.
E' il caso di ricordare che il mancato adempimento di questa formalità
comporta, almeno per le pubblicazioni tradizionali, il reato di "stampa
clandestina", mentre è dubbio se questa previsione possa applicarsi anche
ai periodici on line (vedi l'ordinanza del
tribunale di Latina del 7 giugno 2001). In ogni caso, la legge 62/01 ha
previsto una "semplificazione" all'art.
16, stabilendo che l'iscrizione nel ROC, per i soggetti che vi sono tenuti,
comporta l'esenzione dall'iscrizione nel registro del tribunale, ed è
"condizione per l'inizio delle pubblicazioni". Ma l'iscrizione nei
registri della stampa e l'iscrizione nel ROC (istituito dalla legge
249/97) non possono essere considerate equivalenti sotto diversi aspetti,
come si vede da questo semplice schema:
Legge 8 febbraio 1948, n. 47 |
Legge 31 luglio 1997 n. 249 |
Oggetto dell'iscrizione è
la pubblicazione, a cura del proprietario della testata e del direttore o vice
direttore responsabile (se lo stesso soggetto è proprietario di più testate,
deve registrarle una per una). |
Oggetto dell'iscrizione è
l'impresa o il soggetto che edita la pubblicazione, indifferentemente dal numero
di testate pubblicate. |
E' necessaria la figura del
direttore responsabile, che deve essere un giornalista iscritto all'albo
professionale, secondo le disposizioni della legge 69/63 |
Non è richiesto il direttore
responsabile. |
Il tribunale svolge un controllo
sulla regolarità dei documenti presentati e ordina l'iscrizione, con la
conseguente acquisizione di un particolare status giuridico del direttore
e della pubblicazione stessa nei confronti della legge penale. |
Non c'è un controllo sulla
regolarità dei documenti previsti dalla l. 47/48 e non si può costituire lo status
di "stampa" ai sensi di tutta la normativa che fa riferimento alla
stessa legge, in particolare per quanto riguarda gli aspetti penali. |
La mancata iscrizione configura
il reato di "stampa clandestina". |
In caso di mancata iscrizione,
l'Autorità procede d'ufficio (art. 20
del regolamento) e commina una semplice sanzione amministrativa, prevista dall'art.
1, comma 30 della legge 249/97. |
Non occorre essere grandi esperti di diritto per capire quale livello di
confusione abbia creato l'art. 16 della nuova legge sull'editoria: per i motivi
che abbiamo appena visto, l'iscrizione nel ROC non può essere sostitutiva di
quella nel registro della stampa. Nonostante l'art. 16, per la stampa periodica
restano obbligatorie ambedue le iscrizioni, perché la semplice annotazione nel
ROC non può determinare gli effetti giuridici dell'iscrizione presso il
tribunale.
Inoltre la previsione dell'iscrizione nel ROC come condizione per l'inizio delle
pubblicazioni aggrava tutte le disposizioni precedenti, perché la legge 416/81
(che istituiva il Registro nazionale della stampa, ora confluito nel ROC),
modificata appunto dalla 62/01, non conteneva una disposizione di questo segno,
né se ne parla nella 249/97.
Su questi problemi si era soffermato il presidente dell'AGCOM nella sua relazione
del 30 giugno 2000, citando espressamente quello che allora era il DDL
sull'editoria e in particolare l'aspetto della "semplificazione":
Queste disposizioni - si legge nella relazione - che in qualche
modo sembrano risolvere l’impasse in cui è ferma la richiamata questione
delle testate telematiche, potrebbero, tuttavia, porre altri dubbi
interpretativi se lette in uno con il dispositivo di cui all’articolo 14 dello
stesso disegno di legge, che si richiama a principi di semplificazione normativa
e amministrativa.
Infatti, i soggetti tenuti all’iscrizione nel Registro degli operatori della
comunicazione ai sensi dell’articolo 1, comma 6, lett. a), n. 5, della legge
n. 249/97 si troverebbero ad essere esentati dall’obbligo di registrazione
presso le cancellerie dei tribunali, divenendo l’iscrizione stessa condizione
per l’inizio delle pubblicazioni.
La previsione va attentamente esaminata per le sue ricadute amministrative e per
i suoi profili applicativi. L’unificazione delle registrazioni, infatti, non
può prescindere da una valutazione dell’attuale diversità dei due registri.
Infatti il primo, istituito presso i tribunali, è articolato per testate e
risponde a finalità di individuazione delle responsabilità e di tutela del
singolo. Il secondo, previsto presso l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, è articolato per operatori, comprese quindi le imprese editrici,
e risponde a finalità di trasparenza e garanzia del pluralismo.
E’ chiaro che un approfondimento circa la ratio legis, rispetto a finalità e
modalità dei due tipi di registrazione sarebbe utile e opportuno, proprio in
vista dell’emanazione da parte dell’Autorità del regolamento sul registro
degli operatori di comunicazione.
Il legislatore non ha tenuto conto delle indicazioni del presidente Cheli ed
è andato avanti col testo che conosciamo. Ma ora sorge la curiosità di vedere
come il regolamento del ROC ha risolto - o tentato di risolvere - la questione.
Si deve riconoscere che l'Autorità ha compiuto uno sforzo non indifferente
per dare ordine alla confusa previsione legislativa dell'art.
1, comma 6, lettera a), n. 5 della legge 249/97, in cui l'editoria
elettronica e digitale era compresa tra imprese fornitrici di servizi telematici
e di telecomunicazioni, con un assurdo connubio fra infrastrutture e contenuti
(vedi Editoria elettronica, un pasticcio legislativo).
Il risultato è un capolavoro di ordinaria burocrazia, con una profusione di
moduli e di adempimenti, ma un dato è chiaro:
sono obbligati all'iscrizione nel ROC, oltre agli editori che erano già
obbligati all'iscrizione nel Registro nazionale della stampa "gli
altri soggetti editori che comunque pubblicano una o più testate giornalistiche
diffuse al pubblico con regolare periodicità per cui è previsto il
conseguimento di ricavi da attività editoriale" (art.
2, comma 1, lett. d).
Niente ricavi, niente iscrizione. E quindi nessun obbligo per l'informazione
non professionale o "spontanea", ma solo per quanto riguarda il
registro degli operatori di comunicazione.
Resta infatti l'art. 1, comma terzo, della legge 62, che richiama l'articolo 5
della legge sulla stampa: "Nessun giornale o periodico può essere
pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale,
nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi". Niente, nelle
leggi e nella giurisprudenza, autorizza a ritenere che questa disposizione si
riferisca solo alle testate "per cui è previsto il conseguimento di ricavi
dall'attività editoriale".
Ora la situazione è questa: i periodici on line sono soggetti comunque
all'obbligo di iscrizione nei registri dei tribunali (legge 47/48 estesa
dalla 62/1), e nel ROC (legge 249/97, applicata con la delibera n. 236/01/CONS
dell'Autorità per le garanzie delle comunicazioni) solo se prevedono di
conseguire ricavi. In caso contrario la disposizione dell'art. 16 della l. 62/01
è inapplicabile
Nessun problema per le testate che sono il frutto di un'attività editoriale
professionale o di impresa. Ma come la mettiamo per l'informazione non
professionale, che non può permettersi un direttore responsabile per
l'iscrizione nel registro del tribunale e che non può avere la previsione di
ricavi che è la condizione per l'iscrizione nel ROC?
In ultima analisi, con l'istituzione del ROC la situazione determinata dalla
legge 62/01 non cambia: con la diffusione dell'internet è disponibile un
nuovo mezzo di comunicazione, che una parte ormai rilevante dei cittadini
italiani può usare per diffondere le proprie idee, come garantisce l'articolo
21 della Costituzione. Ma una serie di disposizioni vecchie e nuove tende a
impedire il godimento di questo diritto.
Non c'è via di uscita. Dobbiamo aspettare un ripensamento del legislatore o
l'intervento di un giudice che rimetta la questione alla Corte costituzionale,
che non potrà non tener conto del mutato contesto in cui operano le norme sulla
stampa scritte nel secolo scorso.
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