Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
Home Curriculum Blog Mappa del sito E-mail Storico

 

Internet e stampa

I veri rischi della legge 62/01

di Guido Scorza* – 10.05.01

La recente entrata in vigore della legge 7 marzo 2001, n. 62 Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n. 416 ha sollevato un vespaio di polemiche e reazioni indignate.
In realtà, a ben vedere, la legge è solo un ennesimo intervento - approssimativo e pasticciato come i precedenti - del legislatore nella disciplina giuridica di Internet, intervento che, tuttavia, è stato immediatamente bollato come un intollerabile attentato alla libertà di informazione.

Si è così voluto leggere, dietro alle brutte, insignificanti ed ambigue disposizioni della legge 62/2001. più di quello che, probabilmente, il legislatore, se avesse saputo scrivere e, soprattutto, se avesse conosciuto la Rete, avrebbe voluto dire e si è scritto che la nuova legge sull'editoria violerebbe la disciplina dell'Unione europea e che essa tenderebbe a limitare e comprimere la libertà di informare e comunicare di quanti - persone fisiche o giuridiche - hanno deciso di approfittare delle risorse della Rete per far conoscere le proprie idee, i propri pensieri o, semplicemente, le proprie impressioni.

Tale reazione - che, forse, mai prima d’ora si era registrata attorno ad un problema giuridico della Rete - ha comprensibilmente messo in moto un meccanismo che neppure l'ambiguità delle disposizioni della nuova legge era riuscita ad azionare: dalla sera alla mattina tutti i titolari di un sito internet si sono ritrovati ad interrogarsi sul da farsi ed a chiedersi ed a chiedere in giro - spesso purtroppo senza trovare risposte pacate, serene e razionali - se la propria attività fosse stata "dichiarata" fuori legge per edictum principis.
In un momento in cui, sebbene il nostro vocabolario si stia progressivamente arricchendo di "neologismi informatici", il nostro Paese sta, solo timidamente scoprendo la Rete, il clima di incertezza ed ambiguità che si è così creato attorno alla legge 62/2001 rischia di avere un effetto disincentivante sull’uso delle tecnologie telematiche ben maggiore di quello prodotto dalla semplice entrata in vigore della nuova legge che, pure, è innegabilmente scritta in modo impreciso, disorganico e distratto senza alcuna visione d'insieme della legislazione sull'editoria ma, soprattutto, del vastissimo mondo dell'informazione in Rete.

Nel porre mano alla legge il legislatore si è mosso come un architetto che avesse preteso di progettare il famoso ponte sullo stretto senza preoccuparsi di scendere a dare un'occhiata a Messina e dintorni, di verificare la forza delle correnti e la profondità del tratto di mare che separa la Sicilia dallo stivale.
In maniera, se possibile, ancor più superficiale il legislatore della L. 62/2001 si è dimenticato di fare anche solo un giro in Rete: se lo avesse fatto si sarebbe reso conto che Internet è essenzialmente un nuovo dirompente mezzo di comunicazione e che, quindi, tutto ciò che vi circola è informazione.
Pertanto se si vuole imporre degli obblighi o riconoscere dei privilegi ad alcuni soggetti della Rete non ci si può limitare a scrivere - come, purtroppo, si è fatto nella nuova legge sull'editoria - :"chi fa informazione alzi la mano" perché il risultato non può che essere lo stesso che otterrebbe chi entrasse in un ufficio di collocamento e chiedesse: "chi vuole un lavoro alzi la mano". In entrambi i casi tutti i presenti alzerebbero la mano ed alla fine nessuno capirebbe più nulla.

Nonostante tale convinzione non riesco a condividere l'allarmismo che nelle ultime settimane ha attraversato la Rete e che, a mio avviso, rischia di far peggio di quanto non avrebbe fatto la legge, da sola, abbandonata al suo destino nel mare magnum dell'ordinamento.
A leggere alcuni commenti - mi riferisco, tra gli altri, a quello di Stefano Valentino pubblicato su questa stessa rivista (vedi La legge sull’editoria viola le norme europee) - viene il sospetto che il punto di partenza sia un generico rifiuto di accettare anche l'unico principio corretto contenuto nella L. 62/2001 ossia che l'editoria e l'informazione telematiche debbano essere assoggettate alla medesima disciplina dettata per le corrispondenti attività del mondo reale, ovviamente, adottando le opportune accortezze attuative rese necessarie dalle peculiarità del mezzo.

Partendo da questo presupposto, infatti, il Valentino dopo aver scritto che nella nuova normativa sull’editoria il legislatore avrebbe inventato una nuova definizione di prodotto editoriale con una "formulazione prolissa che non è altro che un sinonimo di giornale" conclude che l’applicabilità anche al prodotto editoriale così definito delle disposizioni di cui all’art. 2 - ed in taluni casi all’art. 5 - della legge sulla stampa costituirebbe una "chiara messa al bando dei tanti notiziari web puri, anche detti web-zines...fino ad oggi non registrati".
Se non ci inganniamo ciò significa che, ad avviso dell’autore, a prescindere dall’evidente ambiguità che caratterizza la nuova legge sull’editoria, è la stessa idea di poter equiparare l’informazione telematica a quella tradizionale ad essere sbagliata.

Pur apparendo condivisibile il timore manifestato dal Valentino circa il rischio che un’eccessiva burocratizzazione dell’attività di informazione telematica potrebbe comportare la chiusura di "centinaia di piccoli siti più o meno d’informazione, che sopravvivono attualmente grazie a qualche milione di lire al mese di introiti pubblicitari" non altrettanto può dirsi per il fondamento giuridico di una simile conclusione.
In altre parole, non si capisce perché se Internet è davvero solo un mezzo – per quanto straordinario ed innovativo – di informazione e comunicazione determinate fattispecie dovrebbero essere disciplinate diversamente da come lo sono nel mondo tradizionale solo perché svolte on line.

Alla luce delle medesime considerazioni, a maggior ragione, non può essere condivisa l’affermazione secondo cui "l’estensione dell’obbligo di registrazione ai giornali on line" risulterebbe "inammissibile in virtù della normativa UE" e, in particolare, della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti del commercio elettronico che all’art. 4 vieterebbe "agli Stati membri di restringere l’accesso alla prestazione dei SSI, facendo salvi solo i regimi restrittivi più ampi che non colpiscono specificamente ed esclusivamente le attività svolte on line, ma si riferiscono ad attività preesistenti ad Internet".
Tale disposizione, infatti, tende evidentemente a scongiurare il rischio che alle attività svolte per via telematica sia riservato - negli ordinamenti dei Paesi membri - un trattamento deteriore e più gravoso - in termini burocratico-amministrativi - rispetto a quello riservato alle corrispondenti attività tradizionali.

Tuttavia se tale interpretazione - che appare, invero l'unica possibile – è corretta non si vede come le disposizioni contenute nella nuova legge sull'editoria che, in buona sostanza, mirano proprio a sancire la piena equiparazione dell'editoria telematica a quella tradizionale, possano essere considerate in contrasto con la direttiva 31/2001.
A ben vedere, infatti, è la stessa normativa UE a richiedere agli Stati membri di riservare ai servizi della società dell’informazione il medesimo trattamento giuridico delle equivalenti attività esercitate attraverso i canali tradizionali.

In altre parole a leggere – come peraltro fa lo stesso Valentino – dietro alla brutta definizione di prodotto editoriale contenuta nell’art.1 della legge 62/2001 un concetto assai prossimo a quello di "giornale tradizionale diffuso per via telematica" non può muoversi alcuna contestazione – almeno sotto il profilo della violazione della Direttiva UE – al nostro legislatore per aver esteso anche alle fattispecie telematiche gli obblighi sanciti nella legge 47/48.
Peraltro, proprio al riguardo, non va dimenticato che lo stesso legislatore comunitario al 9° considerando ha espressamente previsto che "la presente Direttiva non è volta ad incidere sui principi e sulle norme fondamentali nazionali in materia di libertà di espressione".

In una prospettiva de jure condendo potrà, quindi, semmai discutersi circa l’attualità o meno dei limiti e dei legacci imposti nel nostro Paese – attraverso ordini professionali e inefficaci sistemi di schedatura e registrazione – alla libertà di manifestazione del pensiero ma, allo stato, non può configurarsi alcuna violazione della normativa dettata dall’Unione europea.
Non è dunque sul principio astratto dell’equiparabilità dell’informazione on line a quella tradizionale che può muoversi un qualche rimprovero al legislatore perché, sotto tale profilo, l’iniziativa potrà forse essere giudicata politicamente non auspicabile ma giuridicamente risulta quantomeno fondata.

Il vero pasticcio della legge 62/2001 consiste, piuttosto, nell'aver lasciato aperto e, se possibile, reso più complicato uno dei più grandi problemi del diritto dell'informazione in Rete: la distinzione tra informazione professionale o professionistica e tutte le altre forme di comunicazione libera che affollano il WEB.
Al riguardo il legislatore ha scelto – più o meno consapevolmente – di tacere e così facendo ha ingenerato l'equivoco - invero poi ingigantito a dismisura da taluni commentatori, giornalisti e giornalai - secondo il quale in Internet non vi sarebbe più spazio per i due binari dell'informazione e della comunicazione (quello professionale e quello personale) che, da sempre, esistono nel mondo tradizionale.

In realtà che questa non sia stata la ratio ispiratrice del legislatore emerge - sebbene, certamente, non con grande chiarezza - da due distinti indici rivelatori:

a) non bisogna, in primo luogo, dimenticare che la legge 62/2001, proprio come la vecchia legge sull’editoria, è volta, in primo luogo, a stabilire tutta una serie di condizioni e requisiti ai quali le imprese editrici debbono rispondere per poter usufruire dei contributi all’editoria all’uopo stanziati dallo Stato.
Pensare, dunque, che con l’ambigua definizione di prodotto editoriale contenuta nell’art. 1 della nuova legge il legislatore abbia inteso abbattere ogni distinzione tra informazione professionale e non professionale, equivale ad ammettere che il Palazzo abbia deciso di riconoscere contributi e provvidenze a milioni e milioni di italiani, quanti sono i titolari di siti internet nel nostro Paese.
Che ciò non sia possibile e che, quindi, non sia stata questa l’intenzione del legislatore è conclusione che non richiede ulteriori spiegazioni.
Già sotto tale profilo, dunque, si deve ritenere che se il legislatore avesse conosciuto meglio la Rete avrebbe scritto più semplicemente: "sono ammesse alle speciali provvidenze sull’editoria anche tutte le imprese editrici che pubblicano on-line giornali, testate e periodici analoghi per contenuti, scopi e finalità a quelli tradizionali".

(b) la stessa conclusione appare inoltre legittimata dal tenore letterale del combinato disposto degli artt. 1 e 2 lett. a) della nuova legge attraverso il quale il legislatore ha dettato, rispettivamente – innovando, in realtà, assai poco rispetto al passato - le definizioni di prodotto editoriale e di impresa editrice.
Sebbene, come già si è detto, questa parte definitoria sia certamente quella meno ragionata e, conseguentemente, più ambigua, infatti, non può negarsi che la sensazione complessiva che si respira dalla lettura di dette disposizioni sia che il legislatore abbia avuto di mira esclusivamente, come beneficiarie delle provvidenze all’editoria e, quindi, come destinatarie del corrispondente regime speciale, solo le imprese editrici "professionali".

Tanto l’art. 1 – totalmente nuovo rispetto alla normativa previgente – che la lettera a) dell’art. 2 - solo lievemente ritoccato rispetto alla previsione di cui all’art. 1 della legge 416/1981 - infatti, aggiungono poco o nulla all’assetto complessivo della normativa vigente in materia, fatta salva, appunto, l’estensione dell’ambito di applicazione anche all’attività editoriale "tradizionale" svolta attraverso lo strumento telematico.
Solo la giurisprudenza e la dottrina potranno poi, in concreto, individuare - come d’altra parte avviene per centinaia e centinaia di altre leggi e leggine che affollano il nostro ordinamento - dei sicuri indici rivelatori dell’applicabilità della nuova legge a determinati prodotti o soggetti.

Per completezza di informazione va, infine, rilevato che nel progetto di legge C.6946 originariamente presentato al Parlamento era incluso anche un articolo 15 recante "Testo unico sull’editoria" che prevedeva che "il Governo" avrebbe provveduto " entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, al riordino delle disposizioni in materia di editoria, di provvidenze alla stampa ed alle emittenti radiofoniche e televisive locali e di iscrizione ai registri stampa presso i tribunali.
Se tale previsione non fosse stata poi inspiegabilmente stralciata nel corso dei lavori preparatori essa costituirebbe la miglior prova della circostanza che con la nuova legge il Palazzo non ha inteso mettere alcun cerotto alla libertà di informazione ma, più semplicemente, tentare un primo goffo e mal riuscito intervento in materia di disciplina dell’informazione in Rete.

Un giorno, forse, anche Re Tentenna, scoprirà la Rete ed imparerà a scrivere leggi migliori ma, nel frattempo, certamente i cittadini del ciberspazio sapranno difendere i propri diritti come da sempre sono abituati a fare nel mondo reale.
 

* Dottore di ricerca in diritto dell’informatica - Facoltà di giurisprudenza - Università di Bologna

 

Per intervenire su questo argomento scrivi a

Top - Indice della sezione - Home

© Manlio Cammarata 2009

Informazioni di legge