Premessa
Dalla
nascita della Repubblica ad oggi il giornalismo italiano ha
vissuto uno sviluppo fiorente nel segno del pluralismo, della
vivacità e di una crescita qualitativa che lo colloca
tra le migliori esperienze europee.
L'Ordine dei Giornalisti è stato, anche con i suoi
limiti, un presidio di questo sviluppo, sforzandosi di accompagnare
l'evoluzione del giornalismo italiano con una crescente consapevolezza
delle responsabilità e dei doveri deontologici degli
operatori dell'informazione.
Un bilancio dei quaranta anni passati conferma che l'Ordine
dei giornalisti è uno strumento non solo utile ma essenziale
per dare certezza statuale all'indipendenza del giornalista.
Certamente la legge professionale necessita di una sostanziale
riforma per adeguarla alle trasformazioni della società
italiana e alla mutata realtà della stampa ma, con
mezzi sia pure imperfetti, l'Ordine ha svolto una importante
funzione di promozione di una cultura dell'informazione e
di tutela dei soggetti sociali più deboli dalla spettacolarizzazione
delle loro sofferenze. Di questo impegno sono testimonianza:
la creazione e lo sviluppo delle scuole di formazione al giornalismo
che hanno aperto la strada alla liberalizzazione dell'accesso
alla professione; le nuove rigorose e trasparenti regole dell'esame
di idoneità professionale; la lotta al lavoro nero
e allo sfruttamento dei giovani che intraprendono la carriera;
la tutela e la promozione di regole deontologiche più
severe sia riguardo alla tutela dei minori e dei soggetti
deboli sia riguardo al rapporto tra informazione e messaggio
pubblicitario.
Nel quadro europeo questa istituzione ordinistica viene osservata
con attenzione: si stanno moltiplicando, specie nei paesi
latini, i tentativi di seguirne l'esempio. Lo stesso Parlamento
Europeo nella risoluzione del 16 settembre 1993, espressamente
parla di codici deontologici da affidare alle associazioni
professionali e di tessere professionali da rilasciare solo
dal versante professionale. In una società come quella
italiana, contrassegnata tuttora da forti disomogeneità
(ideologiche, culturali, economiche, etc.) il riconoscimento
del giornalismo come attività professionale può
e deve rappresentare, in linea di principio, una garanzia
per la pubblica opinione, che qualifica i giornalisti e li
responsabilizza nei confronti dell'informazione intesa come
indispensabile servizio per la collettività.
La relativa disciplina non impedisce, ripetiamo, la generale
libertà di manifestazione del pensiero, ma identifica
nel suo ambito un'area professionale dell'informazione che
serve a bilanciare, al suo interno, la logica economica degli
interessi che presiedono alla sua organizzazione imprenditoriale.
Costituzione e professione
a
Corte Costituzionale, con ripetute sentenze degli anni scorsi,
ha ribadito la legittimità dell'Ordine dei giornalisti
affermando che la legge del 1963 disciplina l'esercizio dell'attività
professionale giornalistica e non l'uso del giornale come
mezzo di libera manifestazione del pensiero. La legge, dunque,
non limita il diritto che l'art.21 riconosce a tutti di enunciare
le proprie opinioni attraverso un giornale. Tale diritto sarebbe
sicuramente violato se solo gli iscritti all'albo fossero
"autorizzati" a scrivere sui giornali, ma è
del tutto escluso (e sarebbe ridicolo solo pensarlo) che una
siffatta conseguenza possa derivare dalla legge.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto, anzi, l'opportunità
che i giornalisti vengano associati in un organismo che, oltre
a controllarne la preparazione e la correttezza, contribuisca
a garantire il rispetto della loro attività e quindi
della loro libertà.
Questo compito, diverso dalla tutela strettamente sindacale,
può essere assolto compiutamente solo da un Ordine
e cioè da un ente pubblico che, pur avendo struttura
democratica, sia dotato però di quei poteri di autorità
propri della pubblica amministrazione dovendo vigilare nei
confronti di tutti e nell'interesse della collettività
sullo svolgimento dell'attività giornalistica. Tale
vigilanza si traduce anzitutto e soprattutto nel principio
che il giornalista non deve abdicare mai alla libertà
di informazione e di critica e non deve mai cedere a sollecitazioni
che potrebbero compromettere questa libertà, anche
se provenissero dal datore di lavoro. Questo, tra i tanti
principi enunciati dalla Corte Costituzionale, appare fondamentale
come parametro della correttezza e della deontologia professinale
Lo sviluppo dei mass media in una molteplicità di dimensioni
che il legislatore del 1963 non poteva prevedere - carta stampata,
sistema radiotelevisivo, informazione on line - esige una
riforma sostanziale dell'Ordine per renderlo adeguato alla
nuova realtà. E' necessario, tuttavia, ribadire in
premessa una distinzione fondamentale per evitare che in alcuni
settori dell'opinione pubblica si continui a fare confusione.
Ed è la distinzione netta tra quella che è la
libertà di manifestare e diffondere la propria opinione
e quella che è invece la professionalità dell'operatore
dell'informazione.
La
libertà di opinione è garantita dalla Costituzione
(ed è oggi rafforzata praticamente da uno strumento
universale come Internet) e si sostanzia nel fatto che a qualunque
soggetto è data libertà di intervenire su uno
dei tanti mezzi di comunicazione di massa.
L'attività professionale è altra cosa: riguarda
la sfera della preparazione e della competenza e, nel caso
del lavoro professionale del giornalista, ha anche una rilevanza
pubblica per quanto concerne la correttezza e la completezza
dell'informazione in un rapporto di fiducia con il pubblico.
L'Ordine dei giornalisti
Il
giornalismo esige una preparazione specifica, diritti specifici,
responsabilità specifiche. Da questa premessa emerge
con chiarezza quanto il Consiglio Nazionale ribadì
nel 1997 riguardo al ruolo dell'Ordine dei Giornalisti.
"L'Ordine è costituito per la tutela del diritto
costituzionale della libertà di informazione; l'osservanza
delle norme di deontologia necessarie per la trasparenza,
la correttezza e la completezza dell'informazione, bene primario
di ogni società democratica; la qualificazione e formazione
permanente di tutti gli operatori dell'informazione".
Fondato sugli articoli 2 e 18 della Costituzione, l'Ordine
dei giornalisti è l'organo di tutela, di autogoverno
e autodisciplina dei giornalisti nell'interesse del cittadino
ad una libera informazione. La qualificazione e la necessità
di requisiti specifici per gli operatori dell'informazione,
che hanno scelto di svolgere la professione giornalistica,
sono garanzia di rafforzamento della libertà di stampa
e di rispetto del codice deontologico e non sono in contrasto
con il dettato costituzionale sulla libera espressione del
proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo
di diffusione.
L'Ordine dei giornalisti si articola a livello nazionale,
regionale o interregionale. L'Ordine nazionale e gli Ordini
regionali o interregionali sono persone giuridiche a base
associativa, retti rispettivamente da un Consiglio nazionale
e da Consigli regionali o interregionali e regolati da uno
statuto che ne disciplina la composizione, gli organi e lo
svolgimento dei lavori.
Cinque
punti riassumono le funzioni essenziali dell'Ordine rinnovato:
1. La preparazione degli operatori dell'informazione
2. La disciplina della deontologia professionale
3. La garanzia del diritto dei cittadini ad una informazione
corretta, rispettosa delle persone e che non diffonda dati
di fatto falsi, pur nella più ampia libertà
di opinione e di interpretazione;
4. La formazione permanente;
5. La tutela degli interessi e dei diritti professionali dei
giornalisti, caratteristica di ogni Ordine professionale.
Questi cinque punti costituiscono i principi-cardine del progetto
di riforma. E nell'unitarietà del disegno il Consiglio
nazionale dell'Ordine è convinto che si possa procedere
pragmaticamente - in raccordo con il lavoro del Parlamento
- anche per innovazioni su singoli punti, tenuto conto che
la struttura base dell'Ordine stesso sarà definita
insieme alla riforma di tutti gli ordinamenti professionali.
I. Accesso alla professione
Punto
fondamentale di una riforma proiettata verso il futuro e tale
da valorizzare in primo luogo le potenzialità delle
nuove generazioni è la riforma dell'accesso. E' venuto
il momento di una coraggiosa liberalizzazione, che apra la
strada della professione a chiunque acquisisca la preparazione
necessaria e dimostri con un esame di Stato - com'è
stato in passato e come deve continuare ad essere - la capacità
di svolgere l'attività giornalistica in senso professionale.
Il Consiglio nazionale dell'Ordine, sin dal 1997, si è
espresso all'unanimità per un rinnovamento dell'accesso
tramite la formazione universitaria.
Questa è la via maestra, perché garantisce il
libero accesso a chiunque ne abbia la capacità, superando
la strettoia ormai intollerabile di un accesso limitato soltanto
a coloro che riescano ad ottenere un contratto di praticantato
presso un'azienda editoriale. E' la via più democratica
che coniuga merito e preparazione specifica, seguita da tutti
gli ordinamenti professionali e che corrisponde allo sviluppo
culturale della società. E' evidente, infatti, che
la soglia qualificante richiesta in passato, rappresentata
nel dopoguerra dal diploma di scuola media superiore - con
il suo esame di maturità, garante di una formazione
culturale alta - è diventata, con la naturale evoluzione
del sistema di istruzione, il livello della laurea universitaria.
Si tratta qui di prendere atto della generale crescita del
livello culturale del paese.
L'idea
romantica e approssimativa di un giornalismo nutrito solamente
di genialità innata non era valida ieri quando l'accesso
all'esame di Stato era vincolato a regole e condizioni culturali
precise e sarebbe ancora più antistorica oggi a fronte
di un sistema informativo assai complesso e che richiede competenze
e conoscenze più sofisticate. Le giovani generazioni
stesse se ne rendono lucidamente conto, affluendo ai corsi
universitari di giornalismo o di Scienze della comunicazione.
D'altronde i dati medesimi della Fieg certificano che il 70
per cento degli assunti negli ultimi quattro anni sono in
possesso del titolo di laurea e la cifra appare ancora più
consistente se si considera quanti giovani laureati - senza
aver ottenuto ancora il contratto di assunzione - si impegnano
già in un modo o nell'altro nel lavoro giornalistico.
In questo senso la riforma dell'accesso per via universitaria
è destinata ad accompagnare da un lato e a stimolare
dall'altro una naturale evoluzione all'adeguamento del solido
livello culturale, che ha generalmente caratterizzato la professione
giornalistica in Italia.
In
termini concreti questo significa individuare un itinerario
di accesso che inglobi il praticantato tradizionale sostanziandosi
in un itinerario formativo quinquennale nel quale l'apprendimento
delle conoscenze essenziali per operare nel campo dell'informazione
sia unito ad un tirocinio multimediale pratico.
L'itinerario
quinquennale si declinerà in due fasi:
a)
fase primaria di base, corrispondente alla laurea breve (triennale)
propedeutica alla
b) fase di specializzazione al termine della quale si accede
all'esame di Stato.
Questa seconda fase, destinata ad assicurare quella preparazione
di specializzazione concreta che il praticantato per unanime
opinione non garantisce più da moltissimo tempo, non
potrà avere una durata inferiore al biennio e, nell'ambito
della riforma universitaria, potrà essere realizzata
in forme diverse: 1) laurea specialistica, 2) master, 3) scuole
di giornalismo inserite in una struttura universitaria.
In ogni caso la fase della specializzazione, proprio perché
assorbe il praticantato tradizionale non potrà essere
affidata ad una impostazione meramente accademica, ma le sue
finalità dovranno essere compiutamente realizzate attraverso
lo strumento necessario della convenzione fra Università
e Ordine dei giornalisti, riservandosi l'Ordine di determinare
gli indirizzi e le condizioni di tirocinio (anche attraverso
controlli e verifiche successive) per una formazione che garantisca
l'accesso all'esame di Stato.
In questo senso la convenzione è uno strumento di grande
rilievo. L'Ordine dei Giornalisti, in collaborazione con le
Università, dovrà indicare con chiarezza il
percorso per acquisire le competenze necessarie per diventare
giornalisti, garantendo una formazione multimediale comprensiva
di un tirocinio pratico. La firma della convenzione tra Ordine
e Università non potrà essere considerata esaustiva.
Sarà necessaria una verifica puntuale in itinere. L'Ordine
dovrà attrezzarsi per avanzare proposte e suggerimenti
laddove l'attuazione pratica si discostasse dagli indirizzi
elaborati, giungendo se necessario alla sospensione della
convenzione qualora determinate realtà universitarie
non seguissero le norme fondamentali concordate per l'acquisizione
della professionalità giornalistica.
Nel contesto della riforma dell'accesso, l'esame di Stato
certifica l'idoneità professionale del giornalista
ed è agganciato alla conclusione degli studi universitari.
Commissioni miste di docenti, giornalisti e magistrati sanciranno
la certificazione dell'idoneità professionale. E in
tal modo si arriverà anche al superamento dell'attuale,
macchinoso sistema di esami .
Dopo il parere del Consiglio di Stato (n.448/2001, 13 Marzo
2002) con il quale si riconosce il carattere di "esame
di Stato" all'esame professionale dell'Ordine, è
auspicabile che la riforma dell'accesso sia rapidamente realizzata
attraverso un regolamento ministeriale così come già
avvenuto per gli altri Ordini professionali.
Puntare sull'accesso universitario, come via maestra alla
professione, significa rovesciare coraggiosamente l'assetto
attuale, liberalizzandolo pienamente: diventa giornalista
chi ha la preparazione necessaria e ne acquisisce il titolo
e non chi è così fortunato da strappare il contratto
di praticantato ad una delle aziende esistenti. Allo stesso
tempo questa riforma dell'accesso è tale da garantire
alle giovani generazioni la possibilità di affacciarsi
sul mercato a testa alta, con la pari dignità che deriva
dall'acquisizione di una identità e di una qualificazione
professionale precise, senza l'umiliante condizione di disparità
fra chi esercita a tempo pieno la professione con un contratto
a tempo indeterminato (ed è considerato di serie A)
e chi la esercita egualmente a tempo pieno ma, senza quel
tipo di contratto, è costretto ad aggirarsi in un limbo
di serie B.
E'
una vera rivoluzione copernicana.
SARA' GIORNALISTA CHI NE HA LA PREPARAZIONE
ESERCITERA' CHI AVRA' LA CAPACITA' DI OPERARE SUL MERCATO
Alla domanda, avanzata da qualche parte, se la specializzazione
universitaria non costituisca un vincolo in contrasto con
l'art.21 della Costituzione e con la libertà d'impresa,
si può rispondere serenamente che tali preoccupazioni
sono infondate.
E' già stato chiarito che la libertà di esprimere
il proprio pensiero con ogni mezzo, garantita dall'art.21
della Costituzione, non confligge minimamente con i requisiti
necessari per esercitare l'"attività professionale"
del giornalista, sanciti dalla legge del 1963 e confermati
dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale (A partire
dalla sentenza fondamentale del 21 marzo 1968).
Sono tre requisiti essenziali accettati da sempre:
- un livello culturale di base, rappresentato dal diploma
di scuola media superiore o altrimenti accertato da un esame
obbligatorio di cultura generale;
- un tirocinio necessario, rappresentato dal praticantato;
- un titolo di idoneità professionale acquisito tramite
l'esame di Stato.
Le imprese editoriali non hanno mai pensato di contestare
tali requisiti, anche nella consapevolezza che essi erano
soprattutto funzionali a garantire la qualità del personale
giornalistico e quindi la diffusione del prodotto-informazione.
La riforma dell'accesso tramite la formazione universitaria
costituisce dunque, nello spirito di una decisa liberalizzazione,
una razionalizzazione del complesso di conoscenze e di requisiti
necessari, ieri come oggi, per l'attività professionale.
La possibilità, prevista dai recenti contratti, di
inserire pubblicisti nell'attività redazionale con
un contratto di lavoro ex art.1 dimostra semmai che per questo
tipo di giornalisti la definizione di "pubblicisti"
va stretta, perché non corrisponde al loro reale impegno
di giornalisti professionisti a tempo pieno. E anche di questo
la riforma dell'Ordine intende farsi carico.
Norme transitorie
E' indubbio che durante il periodo di andata a regime della
riforma dell'accesso si pongono due problemi che vanno affrontati
con pragmatismo, flessibilità e attenzione sia alla
situazione esistenziale delle generazioni giovani e dell'età
di mezzo, sia alle condizioni concrete in cui operano le aziende
nelle varie realtà locali
Appare opportuno assicurare due obiettivi:
1) La possibilità che le aziende vogliano procedere
ad assunzioni dirette anche nel corso dell'iter formativo.
In tal caso si potrà studiare, d'intesa fra Ordine,
Fnsi e Fieg un nuovo tipo di contratto formazione-lavoro,
che rivedendo struttura e durata del praticantato tradizionale
assicuri una reale alternanza fra periodi di tirocinio in
azienda e periodi di studio in strutture universitarie o scuole
di giornalismo sotto la supervisione dell'Ordine. Requisito
base, in tal caso, sarà la laurea breve e al termine
del nuovo tipo di contratto formazione-lavoro il "praticante"
potrà accedere all'esame di Stato.
2) La realtà della professione nella situazione attuale
mostra che esiste un numero piuttosto ampio di giornalisti
che con contratti di vario tipo (collaborazioni, free-lance,
contratti di collaborazione continuativa e coordinata ecc.)
e spesso in una pluralità di rapporti con diverse aziende
editoriali, esercitano di fatto da anni e a tempo pieno l'attività
professionale giornalistica. Per costoro, che si sono affermati
sul mercato a prezzo di dure fatiche e che impropriamente
sarebbero elencati fra i pubblicisti, è impensabile
tornare indietro nel tempo per ripercorrere un iter universitario
completo, tanto più che nella grande maggioranza dei
casi godono spesso di una istruzione universitaria.
A quanti, in tali condizioni, esercitano la professione a
tempo pieno e in modo continuativo da almeno cinque anni e
sono in grado di certificarlo (con la presentazione di un
congruo numero di pezzi firmati, la dichiarazione del direttore
responsabile o la certificazione del rapporto contrattuale
esistente, la documentazione degli avvenuti pagamenti) verrà
garantito l'accesso all'esame di Stato tramite un corso di
aggiornamento di 300 ore in strutture universitarie o scuole
di giornalismo sotto la supervisione dell'Ordine.
Tale corso riassume evidentemente, e in maniera straordinaria,
sia la funzione del praticantato tradizionale sia l'esigenza
della formazione soprattutto in campo deontologico.
Entrambi gli obiettivi, descritti nei punti 1 e 2, potranno
essere realizzati attraverso norme transitorie, che abbraccino
un periodo di sette anni.
II Il pubblicismo
La
saggezza del legislatore del 1963 ha tenuto conto della particolare
specificità del lavoro giornalistico e della molteplicità
di interessi dei mass media, delineando un sistema di grande
flessibilità e realismo nel quale è previsto
che accanto a coloro, che esercitano in modo esclusivo e continuativo
la professione di giornalista, siano previsti parallelamente
coloro che portano il contributo di saperi, specialismi, commenti
ed opinioni e che svolgono attività giornalistica non
occasionale e retribuita pur se esercitano altre professioni
o impieghi.
Tale specificità, che differenzia l'Ordine dei giornalisti
da altri ordinamenti professionali, è giusto che sia
mantenuta perché più aderente alla realtà.
In questo senso continuerà a permanere la bipartizione
tradizionale fra professionisti e pubblicisti con questa precisa
terminologia e con gli attuali diritti. Resteranno anche le
attuali modalità di accesso ed è evidente che
ai pubblicisti verranno garantite le attribuzioni esistenti.
Ma la riforma dovrà necessariamente assicurare l'accesso
all'esame di Stato a quanti, pur avendo tuttora la qualifica
di "pubblicista", svolgono in realtà in maniera
esclusiva l'attività giornalistica.
Tutta la riforma dell'Ordine, essendo ispirata alle esigenze
delle nuove generazioni, è destinata peraltro a porre
in maniera radicalmente diversa dal passato la questione del
ruolo e della funzione dei pubblicisti.
Anzitutto perché la riforma dell'accesso garantirà
a tante giovani leve (oggi costrette a chiedere la tessere
di pubblicista perché ancora non assunti con art.1
da un'azienda) l'acquisizione immediata del titolo di giornalista,
ottenuto al termine dell'iter formativo universitario. Una
grande fonte di ingiustizie e di frustrazioni sarà
così eliminata alla radice e dunque saranno automaticamente
giornalisti professionisti tutti coloro che operativamente
- con qualsiasi contratto, con collaborazioni continuate e
coordinate o con il lavori di freelance, insomma con il loro
impegno permanente e prevalente - lavoreranno e si guadagneranno
da vivere facendo il giornalista, organicamente inseriti nel
sistema dei mass media.
Così rientrerà nel professionismo tout court
quella massa di pubblicisti, quei pubblicisti-professionisti,
per i quali non ha senso uno stato differenziato.
Invece, tornerà ad essere valorizzata la concezione
originaria di un pubblicismo, caratterizzato dall'impegno
di collaboratori che da un lato sono portatori di un sapere
specialistico oppure commentatori opinionisti e dall'altro
fanno giornalismo nei mass media, svolgendo contemporaneamente
la propria attività in altri settori professionali.
III. Deontologia
Il
tema della responsabilità etica e deontologica è
andato costantemente crescendo all'interno della categoria
giornalistica. E' generalmente acquisito che il dovere di
informare deve accompagnarsi al rispetto della persona.
La Carta di Treviso e il Codice di autoregolamentazione per
la privacy sono state tappe importanti di questo processo
di consapevolezza, ma è diffusa la sensazione che si
debba avanzare ulteriormente su questa strada, specialmente
nell'attenzione ai minori e ai soggetti deboli, forse anche
con la creazione di un istituto composto da membri giornalisti
e non giornalisti quale un Osservatorio media-etica per monitorare
nel suo complesso il fenomeno dell'informazione.
In ogni caso la riforma dell'Ordine dovrà prevedere
che l'autocontrollo e la salvaguardia della deontologia siano
realizzati con strumenti efficienti, liberando il Consiglio
Nazionale dal peso del continuo, pletorico esame di ogni ricorso.
La soluzione individuata è di attribuire ad un organo
specializzato del Consiglio Nazionale - una "Sezione
disciplinare e per la trattazione dei ricorsi" piuttosto
ampia (20-30 componenti), rappresentativa del complesso del
Consiglio Nazionale ed eletta dal medesimo con voto limitato,
regolamentato dal futuro statuto - la trattazione dei procedimenti
con poteri deliberanti. Nel caso di procedimenti disciplinari
le decisioni della Sezione dovranno essere prese a maggioranza
di tre quinti dei componenti, fermo restando che in assenza
di tale quorum il ricorso è trasmesso per la decisione
al plenum del Consiglio Nazionale. In ogni caso i provvedimenti
di sospensione o radiazione saranno comunque sottoposti alla
decisione del plenum del Consiglio Nazionale.
Per migliorare e accelerare i provvedimenti disciplinari in
sede regionale, sarebbero opportuni i seguenti interventi
modificativi:
a) il rafforzamento del requisito della terzietà del
giudice disciplinare distinguendolo in qualche maniera dal
Consiglio dell'Ordine;
b) necessità di una distinzione tra ruolo inquirente
e ruolo giudicante con posizione del collegio giudicante ridotto
ad un numero più esiguo di membri rispetto al Consiglio;
c) previsione di termini per il compimento dell'indagine preliminare
e per la celebrazione del giudizio una volta aperto il procedimento
disciplinare;
d) ridiscussione dell'intero sistema disciplinare almeno per
quanto concerne il procedimento davanti i Consigli dell'Ordine
in una logica di generale ammodernamento rispetto l'assetto
tracciato dal legislatore nel 1963.
Occorrerebbe, infine, introdurre una norma generale che preveda
che se l'incolpazione si riferisce a fatti di lieve entità,
la decisione di procedere al giudizio disciplinare può
essere subordinata al rifiuto di accettazione, da parte dell'incolpato,
di un avvertimento scritto, con cui il Consiglio gli contesta
la violazione commessa e lo richiama al rispetto dei suoi
doveri.
Appare opportuno, infine, la possibilità di limitare
i ricorsi alla magistratura ordinaria soltanto alla Corte
di Cassazione come avviene per gli altri Ordini professionali.
IV. Giurì per la correttezza dell'informazione
La
questione delle garanzie per il cittadino-lettore emerge fra
gli aspetti più qualificanti di un Ordine dei giornalisti
rinnovato. Proprio perché l'esistenza dell'Ordine è
orientata a garantire attivamente la professionalità
del lavoro giornalistico e i connessi diritti del giornalista
bisogna riservare in una società avanzata eguale attenzione
al rispetto dei diritti del cittadino.
Appare urgente dare attuazione concreta al diritto del cittadino
di vedere ripristinata la verità dei fatti, qualora
fosse stata violata. In proposito parliamo non a caso di verità
dei fatti, dal momento che del giornalismo fa parte anche
la più ampia libertà di commento, interpretazione
ed elaborazione.
Al nuovo procedimento disciplinare, più snello e rapido
(indicato al secondo capitolo del presente documento di indirizzo),
dovrà affiancarsi un altro istituto: il "Giurì
per la correttezza dell'informazione", creato presso
il Consiglio nazionale dell'Ordine, che ne approva il regolamento.
Ad esso potranno rivolgersi tutti i soggetti che ritengano
di essere stati ingiustamente danneggiati da articoli o notizie
relativi a fatti falsi e diffusi da qualsiasi organo di informazione
- carta stampata, radio-televisione, on line - e per questo
chiedono una rettifica, nelle forme previste dalla legge,
come unico strumento idoneo a ristabilire presso il pubblico
la verità dei fatti con la conseguente tutela dell'immagine
e della dignità del ricorrente.
Lo strumento innovativo del Giurì è caratterizzato
dalla rapidità della soddisfazione. Il ricorso, che
deve essere accettato da entrambe le parti, va presentato
in forma scritta entro 15 giorni dalla pubblicazione della
notizia ed esclude di per sé ogni altra azione risarcitoria
da parte del ricorrente.
Il lodo arbitrale, che in caso di accoglimento del ricorso
contiene l'ingiunzione a pubblicare la rettifica, dovrà
essere emesso dal Giurì entro il termine di 15 giorni,
salvo casi di forza maggiore.
I componenti del Giurì eserciteranno le proprie funzioni
in totale autonomia, restando in carica per tre anni e potendo
essere rieletti soltanto una volta.
Secondo i principi dell'ordinamento giuridico generale le
decisioni contenute nel lodo arbitrale potranno essere appellate
davanti alla magistratura ordinaria, ai sensi degli articoli
827 e seguenti del Codice civile.
Il progetto del Giurì si fonda sulla convinzione che
un giornalismo capace di riconoscere rapidamente ed efficientemente
i propri errori e che sia pronto a correggerli sul proprio
organo di comunicazione, meriti poi di non essere ulteriormente
perseguitato con esose richieste di risarcimenti. E questo
anche nell'interesse delle imprese editoriali.
V. Formazione permanente
Il
tema della formazione permanente è diventato di grande
attualità a fronte delle continue innovazioni nel settore
dei mass media e di una fluidità del mercato, che non
poteva essere prevista dal legislatore del 1963.
Appare opportuno che l'offerta di una formazione permanente
sia, almeno per certi aspetti, assicurata e progettata in
collaborazione con la Fnsi, per quanto riguarda le condizioni
sindacali, e con la Fieg, che dovrebbe essere egualmente interessata
ad un continuo aggiornamento degli operatori dell'informazione.
Sin d'ora va stabilito che un Ordine dei Giornalisti rinnovato,
tenendo anche conto della dimensione europea in cui viviamo,
dovrà essere attrezzato per offrire continue possibilità
di arricchimento e di affinamento professionale sia alle nuove
generazioni sia a chi opera in quel "periodo di mezzo",
che risente delle rapide trasformazioni in atto.
VI. Tutela degli interessi morali e professionali
E'
questa un'attività che fa parte evidentemente dei compiti
fondamentali di qualsiasi Ordine. Tuttavia è forte
l'esigenza di rafforzare gli strumenti atti a potenziare la
libera informazione e soprattutto l'accesso alle fonti.
In particolar modo va rigidamente salvaguardato il diritto
al segreto professionale, superando contraddizioni e riserve
derivanti da interpretazioni restrittive del Codice di procedura
penale.
Inoltre va riconosciuta all'Ordine la facoltà di agire
o essere convenuto in giudizio o costituirsi parte civile
per la tutela dell'autonomia del giornalista e la difesa dei
suoi interessi morali, professionali e materiali.
Norme transitorie
La
recente decisione del Consiglio di Stato di riconoscere all'esame
professionale dell'Ordine il carattere di "esame di Stato"
conferma la piena appartenenza dell'Ordine dei Giornalisti
al gruppo degli ordinamenti professionali, per i quali è
in discussione al Parlamento una legge quadro, destinata a
regolare i fondamenti della loro attività.
Al di là della legge-quadro si pone la necessità
di un testo normativo snello, che regolamenti le specificità
dell'Ordine attinenti alla professione giornalistica.
Tutto il resto, i dettagli del funzionamento dell'Ordine dei
Giornalisti, potranno trovare definizione in uno statuto interno.
Va tenuto presente, insomma, che si sta andando verso strumenti
normativi snelli, superando il vecchio approccio di una mega-legge
sull'Ordine in sostituzione di quella del 1963. In particolar
modo è possibile, auspicabile ed urgente - proprio
per sensi di responsabilità verso le nuove generazioni
che si affacciano al lavoro - realizzare la riforma dell'accesso
come prima tappa di una riforma generale dell'OrdineLa recente
decisione del Consiglio di Stato di riconoscere all'esame
professionale dell'Ordine il carattere di "esame di Stato"
conferma la piena appartenenza dell'Ordine dei Giornalisti
al gruppo degli ordinamenti professionali, per i quali è
in discussione al Parlamento una legge quadro, destinata a
regolare i fondamenti della loro attività.
Al di là della legge-quadro si pone la necessità
di un testo normativo snello, che regolamenti le specificità
dell'Ordine attinenti alla professione giornalistica.
Tutto il resto, i dettagli del funzionamento dell'Ordine dei
Giornalisti, potranno trovare definizione in uno statuto interno.
Va tenuto presente, insomma, che si sta andando verso strumenti
normativi snelli, superando il vecchio approccio di una mega-legge
sull'Ordine in sostituzione di quella del 1963. In particolar
modo è possibile, auspicabile ed urgente - proprio
per sensi di responsabilità verso le nuove generazioni
che si affacciano al lavoro - realizzare la riforma dell'accesso
come prima tappa di una riforma generale dell'Ordine.
Il giornalismo italiano chiede di svilupparsi in un quadro
di riferimento stabile e certo. Siamo convinti che sia interesse
del Parlamento, del Governo, degli Editori, di tutte le organizzazioni
di categoria, ma soprattutto della società civile nel
suo insieme garantire e potenziare la libera informazione
e l'indipendenza del giornalista, segno distintivo della cultura,
della democrazia, della civiltà di un Paese.
Marco Politi
Presidente
della Commissione Giuridica dell'Ordine de Giornalisti
(Considerazioni
finali: la Presidenza e l'Esecutivo hanno ritenuto opportuno,
sulla base del dibattito svoltosi nei mesi scorsi in Consiglio
Nazionale, di andare al confronto con le istituzioni e le
forze parlamentari sulla base di un "Documento di indirizzo"
che illustrasse i contenuti essenziali della riforma dell'Ordine
dei Giornalisti, senza entrare prematuramente nei dettagli
di un articolato.
Tra l'altro va tenuto presente che necessariamente la riforma
si realizzerà attraverso una molteplicità di
strumenti legislativi: legge-quadro degli ordinamenti
professionali,
testo specifico riguardante l'Ordine dei Giornalisti, statuto
dell'Ordine nel quale saranno regolati tutti gli aspetti del
funzionamento interno.
Insieme ai colleghi della Commissione Giuridica - Pierluigi
Boroni, Rino Felappi, Antonio Cembran, Ezio Berard, Maurizio
Bono, Francesco Naddeo e con il contributo di Vittorio Roidi
e Francesco De Vito - ci siamo dunque attenuti al compito
di presentare uno schema di documento il più possibile
snello e di essenziale comprensione per i nostri interlocutori
istituzionali.
Il documento è frutto di un dibattito sviluppatosi
in Consiglio Nazionale a partire dal 1997 e proseguito nelle
sessioni del Consiglio dall'ottobre 2001 in poi oltre che
nella Consulta dei Presidenti e nei convegni dell'Ordine o
di altre organizzazioni di categoria. Esso recepisce inoltre
i contributi delle altre Commissioni del Consiglio Nazionale
e le proposte pervenute direttamente alla Presidenza, all'Esecutivo,
alla Commissione Giuridica).
(4 luglio 2002)
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