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Schema di parere sul "Decreto Romani" 

SCHEMA DI PARERE PROPOSTO DAI SENATORI Marco FILIPPI, DONAGGIO, FISTAROL, MAGISTRELLI, MORRI, PAPANIA, SIRCANA, VIMERCATI, VITA, ZANDA, BIANCHI SULL’ATTO DEL GOVERNO N. 169

Legislatura 16º - 8ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 159 del 04/02/2010

La 8a Commissione del Senato, in sede di esame dello schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2007/65/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l’esercizio delle attività televisive,

premesso che:

- lo schema di decreto legislativo in oggetto appare censurabile sotto un duplice rilevante profilo: per eccesso di potere nell'esercizio della delega rilasciata dal Parlamento e per violazione dell'ordinamento comunitario soprastante;

- quanto al primo aspetto, occorre preliminarmente ricordare che, in deroga al principio generale ex articolo 70 della Costituzione, che riserva al Parlamento la funzione legislativa, l'articolo 76 della Costituzione stabilisce che "l'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti". Nel caso dello schema di decreto legislativo in esame, la definizione dell'oggetto è chiaramente individuata, nella legge delega (articolo 26, legge 7 luglio 2009, n. 88) "nella predisposizione del decreto legislativo per l'attuazione della direttiva 2007/65/CE". Dunque, il decreto legislativo, per non deviare dal percorso disegnato nella Costituzione e per restare nell'alveo delle indicazioni fornite nella legge delega, avrebbe dovuto introdurre nel decreto legislativo 31 luglio 2005, Testo Unico radiotelevisione le sole modifiche resesi necessarie all'esito dell'entrata in vigore della nuova direttiva, ed al solo scopo del suo corretto recepimento nell'ordinamento interno. Tale limite appare, invece, sistematicamente violato;

- le modifiche introdotte al testo unico della radiotelevisione infatti, contrariamente a quanto indicato nella legge delega, che richiedeva le sole modifiche "opportune" al recepimento della direttiva, riguardano settori che nulla o poco hanno a che fare con l'oggetto della legge delega (è il caso, ad esempio, dei temi relativi alla disciplina dell'internet, alla nuova disciplina del prodotto europeo e dei produttori indipendenti, alla materia del diritto d'autore), ovvero, addirittura in contrasto con l'ordinamento comunitario (come ad esempio la nuova definizione di programma/palinsesto o l'abrogazione della disciplina in materia di diritti residuali);

- strettamente intrecciato al tema dell'eccesso di potere nell'esercizio della delega è quello relativo ai profili di violazione del diritto comunitario. A questo riguardo sarebbe sufficiente, per giustificare un passo indietro da parte del Governo riguardo a molti contenuti dello schema di decreto legislativo, prestare la dovuta attenzione alle osservazioni puntualmente formulate dal Presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nel corso delle audizioni informali tenutesi nei giorni scorsi presso le Commissioni parlamentari di Camera e Senato. In particolare, nell'audizione di martedì 26 gennaio presso l'8a Commissione del Senato, il Presidente dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazione ha così esordito: "la Direttiva afferma il principio che gli Stati membri dovrebbero affidare compiti di regolazione e autorizzazione a Autorità indipendenti. L'indipendenza dell'Autorità a cui vengono affidati i compiti di regolazione si pone infatti come un caposaldo della tutela del pluralismo e della concorrenza nell'ordinamento interno degli Stati membri. Ebbene, dirò subito che lo schema di recepimento oggi all'esame del Parlamento non appare corrispondere adeguatamente a queste indicazioni comunitarie". Non in linea con il pertinente quadro giuridico comunitario a giudizio dell'Autorità di regolamentazione del settore, sono, tra gli altri, il conferimento di poteri autorizzatori all'Esecutivo; la scelta effettuata a favore della sola autoregolamentazione nella disciplina del product placement ed in tema di classificazione dei contenuti ad accesso condizionato nell'ambito della disciplina posta a tutela dei minori; l'omesso conferimento di poteri regolamentari all'Autorità per quanto riguarda la disciplina di dettaglio delle nuove disposizioni in materia di pubblicità; la definizione di autopromozione; l'attribuzione di competenze regolamentari all'Esecutivo in materia di tutela del prodotto europeo; l'eliminazione della disciplina legislativa in materia di diritti residuali.

considerato che:

- particolare attenzione, in seno alla valutazione più complessiva dei profili di contrasto dello schema di decreto legislativo con l'ordinamento comunitario, merita la sistematica sottrazione di poteri regolamentari e autorizzatori compiuta nei riguardi dell'Autorità di settore. Quanto al profilo regolamentare, come abbiamo visto, si tratta di una circostanza che coinvolge tutti i più rilevanti campi di intervento dell'Autorità (tutela dei minori, pubblicità, tutela del prodotto europeo). Quanto al tema delle autorizzazioni, non si può, ancora una volta, che convenire con le osservazioni formulate dal Presidente dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazione il quale, muovendo dalla premessa dell'esistenza di un quadro normativo comune per tutti i servizi di media audiovisivi, su qualunque piattaforma trasmissiva diffusi, interroga il legislatore sulla opportunità di avere anche nell'ordinamento interno una disciplina omogenea. "Trattandosi di attività tecnica di rilevante impatto sul pluralismo e che non presuppone alcun margine di discrezionalità amministrativa — osserva il Presidente Agcom — sottopongo alla vostra attenzione se non sia più appropriato, ed in linea con l'acquis comunitario, che tutti i titoli abilitativi a diffondere contenuti radiotelevisivi sulle diverse piattaforme vengano rilasciati dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni";

osservato che:

- nel dettaglio delle disposizioni contenute nello schema di decreto legislativo, si riassumono i punti principali di contrasto con i principi della legge delega e con l'ordinamento comunitario sovrastante:

- in tema di nuova definizione di "programma", articolo 4, comma 1, lettera e) dello schema di decreto legislativo in oggetto, e la definizione introdotta ex novo di "palinsesto " (articolo 4, comma 1, lettera g), con la esplicitata equivalenza tra "programmi televisivi" e "palinsesti televisivi" (articolo 4, comma 1, lettera h), non trovano fondamento alcuno nella nuova direttiva, e ciononostante innovano profondamente la disciplina interna previgente. In particolare, con la esclusione dalla definizione di "programma", dei programmi che consistono nella "trasmissione differita dello stesso palinsesto" e dei programmi lineari a pagamento, si determina un chiaro contrasto con la direttiva UE e con la giurisprudenza comunitaria (sentenza Mediakabel, causa C-89/04 2 giugno 2005) dal momento che si determina, su tali tipologie di programmi, un effetto di disapplicazione dell'intero corpus di regole comunitarie previsto nel settore televisivo (tutela dei minori, pubblicità, tutela del prodotto europeo, rettifica, ecc.). Peraltro, l'esclusione dalla nozione di programma di questa tipologia di contenuti ha conseguenze profonde sui criteri di calcolo ai fini del tetto al numero massimo di programmi irradiabili da parte di ciascun operatore (articolo 43, comma 8 del Testo unico della radiotelevisione), con evidenti effetti di allentamento dei vincoli pro-pluralismo e pro-concorrenziali stabiliti dal legislatore nel 2004 e con immediate conseguenze di disarticolazione dell'istruttoria (in corso) avviata da Agcom ai fini della verifica dei limiti al numero massimo di programmi ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo 31 luglio, 2005, testo unico radiotelevisione. Si tratta di circostanze chiaramente messe in luce dalla stessa Autorità di settore nel corso della richiamata audizione del suo Presidente.

- in materia di tutela del prodotto audiovisivo europeo e dei produttori indipendenti, le disposizioni contenute nell'articolo 16 dello schema di decreto legislativo, e l'abrogazione che ne consegue degli articoli 6 e 44 del vigente testo unico radiotelevisione, sono altrettanto censurabili sia sotto il profilo dell'eccesso di delega che sotto il profilo del contrasto col diritto comunitario. In particolare, come ancora una volta sottolineato dalla stessa Autorità di settore, il recepimento della direttiva non giustifica in alcun modo lo spostamento in capo al Ministero delle competenze regolamentari in tema di investimenti in opere europee, per quanto concerne i servizi lineari. E' necessario che tali competenze restino attribuite ad Agcom. Al tempo stesso, per dirla ancora una volta con le parole del Presidente dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazione, "non trovano giustificazione né la riduzione della quota di investimenti in produzioni indipendenti stabilita in capo a RAI, né la sostanziale penalizzazione del cinema italiano, per il quale non è più prevista una sottoquota di garanzia". Infine, anche la soppressione della disciplina in materia di diritti residuali contraddice lo spirito e la lettera della direttiva, all'interno della quale la definizione di produttori indipendenti presuppone pacificamente l'esistenza della tutela dei diritti derivati, e a tal fine suggerisce una più precisa individuazione dei relativi beneficiari, laddove lo schema di decreto legislativo, al contrario, abolisce l'intera disciplina in materia, "pur in mancanza — riportiamo di nuovo dall'audizione Agcom — di elementi innovativi da parte della direttiva che possano giustificare un intervento di tal tipo";

- sui temi legati alla disciplina del web, diversamente da quanto previsto nella Direttiva, l'articolo 4, comma 1, lettera a) dello schema di decreto legislativo in oggetto include nella definizione di servizio media audiovisivo "i servizi, anche veicolati mediante siti Internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale [...]". Tale previsione comporta l'estensione degli obblighi contenuti nello schema di recepimento anche a tutti i servizi che forniscono immagine tramite Internet. Ancora una volta vogliamo richiamare le parole del Presidente dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazione: "c'è il rischio di una estensione degli obblighi contenuti nello schema di decreto a tutti i servizi che forniscono immagini tramite internet, con conseguente impatto sui mercati emergenti quali la IPTV e la web TV. Cosa che risulterebbe anche in potenziale contrasto con la nuova disciplina comunitaria sulle comunicazioni elettroniche che richiede l'adozione di un approccio estremamente cauto nei confronti dei mercati emergenti, prediligendo una assenza di regolamentazione piuttosto che l'imposizione di obblighi che ne pregiudichino lo sviluppo, i quali, tra l'altro, non possono essere imposti se non a seguito di un'approfondita analisi, svolta dall'Autorità, sulle caratteristiche dei mercati" . Desta preoccupazioni ancora maggiori l'articolo 17, comma 1, lettera cc) dello schema di decreto che - modificando l'articolo 21 del vigente testo unico radiotelevisione — stabilisce che "l'autorizzazione alla prestazione di servizi media audiovisivi o radiofonici via cavo , ivi inclusa la diffusione continua in diretta o live streaming e su internet o web casting, è rilasciata dal Ministero sulla base della disciplina stabilita con regolamento dall'Autorità". Come apoditticamente sottolineato in audizione dall'Autorità, una disposizione siffatta "pone il nostro paese in una situazione unica nel mondo occidentale". E perché non sussistano equivoci sull'opinione dell'Autorità di settore, il suo Presidente ha aggiunto al riguardo che "solo i paesi a regime autoritario hanno attuato interventi limitativi sulla rete";

- per quanto concerne gli affollamenti pubblicitari, l'attuale testo dell'articolo 38 del testo unico radiotelevisione, in materia di affollamenti pubblicitari orari in capo alle tv nazionali, non distingue tra emittenti free e emittenti pay. La nuova direttiva non fornisce al riguardo alcuna indicazione. Lo schema di decreto interviene in materia lasciando inalterati i limiti stabiliti per la televisione in chiaro e prevedendo invece tetti più restrittivi (attraverso un meccanismo a decalage progressivo nell'arco di un triennio) per la pubblicità sulle emittenti a pagamento. Ora, è ben vero (come ricorda anche il Presidente i dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazione in audizione) che l'articolo 3, paragrafo 1 della direttiva prevede la nota clausola di restrittività, attribuendo al Paese membro facoltà di imporre norme più rigorose e particolareggiate. Tuttavia, è altresì evidente, che tale facoltà deve essere esercitata in conformità ai principi comunitari generali. Al riguardo si rammenta che il considerando articolo 6 della stessa direttiva, richiede che "per assicurare la trasparenza e la prevedibilità sui mercati dei servizi di media audiovisivi e abbassare le barriere d'accesso, dovrebbero essere rispettati i principi fondamentali del mercato interno, come la libera concorrenza e la parità di trattamento, tenendo conto dell'importanza di avere condizioni di concorrenza omogenee e di un autentico mercato europeo dei servizi di media audiovisivi". Tali indicazioni non possono non trovare in concreto applicazione sia con riferimento al confronto competitivo tra i diversi mercati nazionali, sia in particolare con riferimento a ciascun mercato interno. Al contrario, la misura proposta, nel distinguere il trattamento riservato agli operatori pay rispetto agli operatori free, è suscettibile di indebolire la posizione di mercato dei pochi e deboli produttori indipendenti operanti su piattaforme televisive a pagamento, oltre che di rafforzare la posizione dominante dell'operatore incumbent sul mercato pubblicitario televisivo nazionale, con un conseguente chiaro pregiudizio dei principi del mercato interno, come la liberta di concorrenza e la parità di trattamento;

- anche con riferimento al delicato tema della tutela della fascia più debole degli utenti, ovvero i minori, lo schema di decreto legislativo presenta incongruenze e carenze che evidenziano una scarsa attenzione dei diritti e degli interessi dei minori e delle famiglie. In particolare si evidenzia il non casuale ricorso a differenti termini per indicare i destinatari di misure di salvaguardia previste dagli articoli 9, 11 e 15, laddove nel primo, relativamente alla trasmissione di programmi di particolare contenuto, si fa riferimento alla categoria dei "minori", mentre nel secondo, riguardante la possibilità di inserire prodotti nel corso di programmi televisivi (cosiddetto "product placement"), ci si limita a prevederne l'esclusione solo nei confronti dei "bambini". A parte l'indeterminatezza della distinzione sottesa all'utilizzo dei due termini di "minori" e bambini", appare evidente la volontà di consentire l'estensione della diffusione di messaggi pubblicitari ad una più ampia platea di utenti, ricomprendendovi anche gli adolescenti, che rappresentano senz'altro un potenziale target redditizio dal punto di vista della comunicazione commerciale;

- la necessità di dotare i giovani di strumenti critici di approccio e conoscenza della funzione, dell'uso e del senso dei mezzi di comunicazione di massa, con particolare riguardo al mezzo televisivo, è questione che ancora una volta non trova riscontro nel provvedimento in oggetto né, tanto meno, nel complesso della politica formativa proposta dall'attuale Governo;

in conclusione, considerato che:

- quanto alla disciplina dell'internet, si propone, in sintonia con l'approccio suggerito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, lo stralcio dell'intera materia, al fine di maturare "un'autonoma riflessione legislativa a tutto campo" (Presidente dell'Autorità per le Garanzie nella Comunicazione) idonea ad assicurare il coordinamento con le diverse direttive che disciplinano la materia, a cominciare dalla direttiva sul commercio elettronico. Un analogo approccio si propone con riferimento all'articolo 6 dello schema di decreto in tema di diritto d'autore. Qui, l'approccio proposto dal Governo si basa ancora sulla legge n. 633 del 1941, di difficile applicazione nel contesto di evoluzione tecnologica che caratterizza il mercato dei contenuti digitali. Ciò che oggi si richiede, è invece un modus operandi che contemperi il diritto degli autori ad essere tutelati col diritto degli utenti all'accesso alla rete ed ai contenuti digitali. Al riguardo, appare opportuno avviare un dialogo con tutti i soggetti interessati, ma soprattutto, come suggerito dall'Agcom, promuovere un approccio transnazionale alla disciplina del web.

- quanto alla tutela del prodotto audiovisivo europeo e dei produttori indipendenti, si propone, in analogia a quanto richiesto compattamente dal mondo autoriale e delle produzioni, ed a quanto sostenuto dallo stesso Ministro per i beni e le attività culturali, di lasciare immutato l'attuale assetto legislativo, conferendo semmai delega all'Autorità di settore, sulla base di ulteriori principi e criteri direttivi, a disciplinare ulteriormente la materia con propri regolamenti;

- anche in tema di affollamenti pubblicitari e di definizione di programma televisivo si chiede di lasciare immutato il vigente ordinamento;

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