(Presentata l'11 agosto 2006 da Daniele Capezzone e
Michele De Lucia, in una conferenza stampa presso la
sala stampa della Camera dei Deputati)
Onorevoli colleghi ! – “Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo
di diffusione”, dispone l’articolo 21 della
Costituzione. Ma una costituzione materiale si è
imposta, anno dopo anno, al di là e contro la Carta
Fondamentale, insinuandosi nella legislazione
ordinaria fino a rendere lettera morta i principi –
complementari e irrinunciabili perché un ordinamento
possa dirsi democratico – della libertà di
informare e del “conoscere per deliberare”. Al
punto che il Rapporto 2005 sulla liberà di stampa
compilato da “Reporters sans frontières” pone l’Italia
al quarantaduesimo posto, superata da Costarica, Mali,
Giamaica, Bosnia, Tobago, Capo Verde e Namibia.
Già nel 1945, dalle colonne di Risorgimento liberale,
Luigi Einaudi aveva levato la sua voce contro l’istituzione
di un Ordine dei giornalisti: “L’albo obbligatorio
è immorale, perché tende a porre un limite a quel
che limiti non ha e non deve avere, alla libera
espressione del pensiero. Ammettere il principio dell’albo
obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori
istituti delle caste e delle corporazioni chiuse,
prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei
giovani, dei ribelli, dei non-conformisti”. Una
previsione, quella del primo Presidente della
Repubblica, che trova drammatico riscontro nella
realtà odierna.
La legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, che
qui si intende abrogare, ha garantito, contro la
Costituzione, non la libertà di stampa di tutti i
cittadini, ma la libertà della stampa, intesa come
corporazione giornalistica. Caduto il regime fascista,
la sostanza strutturale è rimasta immutata: la
corporazione ha preso il nome di Ordine. Laddove,
secondo il dettato costituzionale, avrebbe dovuto
essere consentito a tutti i cittadini l’esercizio
della libertà di stampa, la legge n. 69 del 1963 ha
stabilito che “nessuno può assumere il titolo né
esercitare la professione di giornalista, se non é
iscritto nell’albo professionale”.
Come può essere considerato, se non effetto di una
bardatura corporativa a difesa di privilegi di casta,
il vero e proprio percorso di guerra che chi intenda
intraprendere la professione di giornalista deve
affrontare prima di arrivare all’esame? Una
professione, a tutti gli effetti, non libera, nel
momento in cui essere riconosciuto praticante (e avere
quindi titolo di ammissione all’esame) è spesso
frutto di un negoziato politico: lottizzazione
partitocratica, familismo, clientela, sono la regola.
Proprio come sono la regola – e gli scandali che
periodicamente si ripetono non mancano di
rammentarcelo – le raccomandazioni al momento del
cosiddetto concorso di esame.
Nemmeno la nascita, negli ultimi anni, di numerose
scuole di giornalismo, la cui frequentazione biennale
è sostitutiva del periodo di praticantato presso un
editore, è valsa a migliorare la situazione: spesso
le stesse si trasformano in una sorta di diplomificio,
dove acquistare l’iscrizione all’Ordine dei
giornalisti professionisti.
Con la soppressione dell’Ordine prevista dalla
proposta di legge che qui si illusra, viene a cadere
un’anomalia italiana all’interno dell’Unione
europea e si restituisce piena dignità professionale
a chi svolge effettivamente la professione di
giornalista. L’articolo 2 istituisce infatti la “carta
di identità professionale del giornalista” valida
fino al momento in cui l’attività giornalistica
cessa, abolendo da una parte la qualifica (altrove
sconosciuta) di “pubblicista”, e dall’altra lo
status sociale vitalizio, indipendente dall’esercizio
della professione, di “giornalista professionista”.
Cessa così la commistione fra giornalisti e lobbisti,
vale a dire funzionari redattori di uffici stampa o
pubbliche relazioni: identificazione pericolosa per
chi svolge un’attività di giornalista legata a
valori costituzionalmente protetti; ma, d’altra
parte, implicitamente offensiva per chi si vede
costretto a mascherare la propria attività di
informatore di parte, che è pienamente legittima all’interno
di meccanismi di mercato chiari e rigorosi.
In questa proposta non viene previsto un periodo di
praticantato, visto che l’apprendistato
professionale è stato di fatto cancellato nella vita
delle redazioni proprio dalla legge attualmente in
vigore e sostituito da lavoro nero, sottopagato e
privo di diritti.
L’istituzione della “carta di identità del
giornalista” non prevede, infine, alcuna assurda
discriminazione fra redattori di quotidiani da una
parte e redattori di emittenti radiofoniche o
televisive di agenzie e periodici specializzati dall’altra,
indipendentemente dal fatto che i suddetti mezzi di
comunicazione abbiano diffusione per via tradizionale
o telematica, salvaguardando in tal modo le forme più
moderne di accesso alla professione.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1
1. Sono abrogati la legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento
della professione di giornalista ed il relativo
regolamento di attuazione, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 4 febbraio 1969, n. 115.
Art. 2
1. È istituita la carta d’identità professionale
del giornalista della quale i titolari si possono
avvalere per beneficiare delle disposizioni adottate
in favore dei rappresentanti della stampa dalle
autorità amministrative e per qualsiasi altra
facilitazione prevista per chi svolga attività di
giornalista professionista.
Art. 3
1. Per ottenere la carta di identità professionale di
cui all’articolo 2 è necessario essere giornalista
professionista, intendendosi con tale espressione l’avere
per occupazione principale, regolare e retribuita, l’esercizio
della professione di giornalista in una pubblicazione
quotidiana o periodica, in una emittente radiofonica o
televisiva o in una agenzia di stampa, anche quando le
stesse abbiano diffusione prevalentemente o
esclusivamente telematica.
2. Sono inoltre considerati giornalisti professionisti
e possono richiedere la carta d’identità
professionale:
a) i giornalisti liberi che, senza essere al servizio
di una data pubblicazione, emittente o agenzia,
esercitino il giornalismo come occupazione principale
e regolare, ricavandone le principali risorse
necessarie alla loro esistenza;
b) i fotoreporter, cineoperatori e reporter-cameramen,
che operino come giornalisti professionisti secondo i
criteri di cui alla lettera a) del presente comma e di
cui al comma 1;
c) i giornalisti italiani residenti all’estero
corrispondenti regolari di pubblicazioni, emittenti o
agenzie italiane;
d) i giornalisti stranieri o apolidi domiciliati in
Italia che abbiano una occupazione giornalistica
regolare.
Art. 4
1. La carta d’identità professionale è rilasciata
dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a
chi possa documentare di essere da almeno un anno
nelle condizioni previste all’articolo 3.
2. Presso l’Autorità è istituito il registro dei
giornalisti, per il deposito della comunicazione
necessaria all’ottenimento della carta d’identità
professionale, che viene consegnata entro un mese
dalla data di presentazione della richiesta. Qualora
la documentazione sia insufficiente, l’Autorità,
con decisione motivata, respinge la richiesta. La
richiesta può essere rinnovata dopo tre mesi da ogni
risposta negativa.
Art. 5
1. La carta di identità professionale è rinnovata
ogni tre anni e resta valida fino a quando non cessano
le forme di rapporto professionale previste dall’articolo
3. Il titolare decade in tal caso da ogni beneficio ed
è tenuto a darne comunicazione all’Autorità entro
sei mesi dalla cessazione del rapporto professionale.
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