I messaggi lasciati su un forum di discussione (ma
anche newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing
list, chat, messaggi istantanei, e così via) sono
equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere
lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o
aperto al pubblico, o privato) e, così come
quest'ultimi, anche i primi sono mezzi di
comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di
comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in
quanto tali) nel concetto di stampa (neppure nel
significato più largo ricavabile dall'art. 1 l. n.
62/2001, che ha esteso l'applicabilità delle
disposizioni di cui all'art. 2 l. n. 47/1948), sia
pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano
le limitazioni in tema di sequestro previste dall'art.
21, comma 3, Cost.(da penale.it)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi
Sigg.:
1. Dott. Claudio Vitalone
Presidente
2. Dott. Amedeo Franco (est.)
Consigliere
3. Dott. Silvio Amoresano
Consigliere
4. Dott.ssa Guicla Immacolata Mulliri
Consigliere
5. Avv. Santi Gazzara
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da Aduc - Associazione per i
diritti degli utenti e consumatori, in persona del
legale rappresentante V.D.;
avverso l'ordinanza emessa il 30 giugno 2008 dal
tribunale del riesame di Catania;
udita nella udienza in camera di consiglio dell'11
dicembre 2008 la relazione fatta dal Consigliere
Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. Guglielmo Passacantando,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Svolgimento del
processo
Con ordinanza 25
ottobre 2007 il giudice per le indagini preliminari
del tribunale di Catania respinse la richiesta dell'Aduc
di revoca del sequestro preventivo di alcune pagine
web di sua proprietà disposto il 20.11.2007 in
relazione al reato di cui all'art. 403 cod. pen.
Il tribunale del riesame di Catania, con l'ordinanza
in epigrafe, in parziale accoglimento dell'appello
dell'Aduc, revocò il sequestro previa rimozione sul
sito internet dell'Aduc delle espressioni e dei
messaggi oggetto dei reati contestati, inibendone
l'ulteriore diffusione.
L'Aduc propone ricorso per cassazione deducendo:
1) inosservanza dell'art. 21, comma 6, Cost. e
illegittimità del sequestro preventivo poiché non
attiene a reati contro il buon costume. Osserva che
l'art. 21, comma 6, Cost. consente la limitazione
dell'esercizio della libertà di manifestazione del
pensiero nei soli casi di manifestazioni contrarie al
buon costume.
2) inosservanza dell'art. 21, comma 6, Cost. e
illegittimità del sequestro preventivo perché
l'offesa ad una confessione religiosa non è contraria
al buon costume.
3) erronea applicazione dell'art. 403 cod. pen. per
erronea individuazione del bene giuridico protetto
dalla norma. Osserva che, secondo una interpretazione
costituzionalmente orientata, non c'è offesa se non
vengono individuati i singoli individui, soggetti
passivi della norma e portatori del bene giuridico da
essa tutelato.
4) erronea applicazione dell'art. 21, comma 3, Cost.
ed erronea individuazione dell'ambito applicativo del
divieto di sequestro ivi previsto. Erronea
interpretazione restrittiva del concetto di stampa che
esclude l'informazione non ufficiale.
Motivi della decisione
Il primo motivo è
inammissibile perché consiste in una censura nuova
non dedotta con l'appello, e che non può quindi
essere proposta per la prima volta in questa sede di
legittimità. Il motivo è comunque manifestamente
infondato perché l'art. 21, comma 6, Cost. vieta
direttamente «le pubblicazioni a stampa, gli
spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie
al buon costume», disponendo altresì che «la legge
stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a
reprimere le violazioni», ma non ha inteso dire che
un comportamento, costituente manifestazione del
pensiero, possa essere dalla legge vietato e previsto
come reato esclusivamente quando sia contrario al buon
costume, e non anche quando sia lesivo di altri beni
ritenuti meritevoli di tutela, sebbene non lesivo del
buon costume. Se così non fosse, del resto, dovrebbe
ritenersi che i reati dì ingiuria e diffamazione non
sarebbero legittimi quando colpiscano comportamenti
lesivi solo dell'onore e della reputazione delle
persone, e non anche del buon costume.
Per le stesse ragioni è inammissibile, sia perché
nuovo sia perché manifestamente infondato, anche il
secondo motivo. Con l'atto di appello, invero, non era
stato dedotto che il sequestro in questione era
illegittimo perché le frasi contestate non erano
suscettibili di offendere il buon costume inteso come
pudore sessuale della collettività. Né tale
doglianza può essere proposta per la prima volta in
sede di legittimità solo perché l'ordinanza
impugnata ha osservato che alcune delle frasi
incriminate, oltre ad avere offeso la religione
cattolica mediante il vilipendio dei suoi fedeli e dei
suoi ministri, avevano travalicato i limiti del buon
costume alludendo espressamente a pratiche pedofile
dei sacerdoti per diffondere il «sacro seme del
cattolicesimo». In ogni caso il motivo è
manifestamente infondato perché l'art. 21, comma 6,
Cost. non limita la possibilità della legge di
prevedere, in caso di reato, il sequestro di cose che
rappresentino manifestazioni del pensiero soltanto
quando queste siano lesive del pudore sessuale.
Il terzo motivo è infondato perché esattamente il
tribunale del riesame ha ritenuto che per la
configurabilità del reato di cui all'art. 403 cod.
pen. non occorre che le espressioni di vilipendio
debbano essere rivolte a fedeli ben determinati, ben
potendo invece, come nella specie, essere
genericamente riferite alla indistinta generalità dei
fedeli. La norma invero protegge il sentimento
religioso di per sé, sanzionando le pubbliche offese
verso lo stesso attuate mediante vilipendio dei fedeli
di una confessione religiosa o dei suoi ministri.
Opportunamente, invero, l'ordinanza impugnata ha
ricordato la sent. n. 188 del 1975 della Corte
costituzionale, la quale affermò che «il sentimento
religioso, quale vive nell'intimo della coscienza
individuale e si estende anche a gruppi più o meno
numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della
professione di una fede comune, è da considerare tra
i beni costituzionalmente rilevanti, come risulta
coordinando gli arti 2, 8 e 19 Cost., ed è
indirettamente confermato anche dal primo comma
dell'art. 3 e dall'art. 20. Perciò il vilipendio di
una religione, tanto più se posto in essere
attraverso il vilipendio di coloro che la professano o
di un ministro del culto rispettivo, come nell'ipotesi
dell'art. 403 cod. pen., che qui interessa,
legittimamente può limitare l'ambito di operatività
dell'art. 21: sempre che, beninteso, la figura della
condotta vilipendiosa sia circoscritta entro i giusti
confini, segnati, per un verso, dallo stesso
significato etimologico della parola (che vuol dire
"tenere a vile", e quindi additare al
pubblico disprezzo o dileggio), e per altro verso,
dalla esigenza di rendere compatibile la tutela penale
accordata al bene protetto dalla norma in questione
con la più ampia libertà di manifestazione del
proprio pensiero in materia religiosa», e che «il
vilipendio, dunque, non si confonde né con la
discussione su temi religiosi, così a livello
scientifico come a livello divulgativo, né con la
critica e la confutazione pur se vivacemente polemica;
né con l'espressione di radicale dissenso da ogni
concezione richiamantesi a valori religiosi
trascendenti, in nome di ideologie immanentistiche o
positivistiche od altre che siano. Sono, invece,
vilipendio, e pertanto esclusi dalla garanzia
dell'art. 21 (e dell'art. 19), la contumelia, lo
scherno, l'offesa, per dir così, fine a sé stessa,
che costituisce ad un tempo ingiuria al credente (e
perciò lesione della sua personalità) e oltraggio ai
valori etici di cui si sostanzia ed alimenta il
fenomeno religioso, oggettivamente riguardato»,
D'altra parte, anche la recente sent. n. 168 del 2005
(che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'art. 403 cod. pen. nella parte in cui prevede,
per le offese alla religione cattolica mediante
vilipendio di chi la professa o di un ministro dei
culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a
due anni e da uno a tre anni, anziché la pena
diminuita stabilita dall'art. 406 dello stesso codice)
ha fatto espresso riferimento alle «esigenze
costituzionali di eguale protezione del sentimento
religioso che sottostanno alla equiparazione del
trattamento sanzionatorio per le offese recate sia
alla religione cattolica, sia alle altre confessioni
religiose», ribadendo che tutte le norme contemplate
dal capo dei delitti contro il sentimento religioso «si
riferiscono al medesimo bene giuridico del sentimento
religioso, che l'art. 403 cod. pen. tutela in caso di
offese recate alla religione cattolica mediante
vilipendio di chi la professa o di un ministro del
culto».
Del resto, anche qualora potesse accogliersi la tesi
del ricorrente secondo cui il bene tutelato dalla
norma non è il sentimento religioso ma la persona
(fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente ad
una determinata confessione religiosa, non si vedrebbe
perché questa tesi dovrebbe comportare che, per
aversi reato, il vilipendio dovrebbe rivolgersi verso
determinate persone e non verso il gruppo indistinto
dei fedeli di quella confessione religiosa nei cui
confronti viene pubblicamente portata l'offesa.
E' infine infondato anche il quarto motivo. Va
preliminarmente osservato che il tribunale del riesame
ha revocato il sequestro del forum esistente
nell'ambito del sito appartenente alla associazione
ricorrente, lasciandolo esclusivamente sui singoli
messaggi inviati da alcuni partecipanti al forum in
questione, contenenti le frasi oggetto dei reati
contestati.
Ciò posto, il Collegio ritiene che esattamente il
tribunale del riesame ha dichiarato che nel caso di
specie non trova applicazione l'art. 21, comma 3,
Cost., secondo cui «Si può procedere a sequestro
soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria
nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione
delle norme che la legge stessa prescriva per
l'indicazione dei responsabili», dato che la concreta
fattispecie in esame non rientra nella più specifica
disciplina della libertà di stampa, ma solo in quella
più generale di libertà di manifestazione del
proprio pensiero di cui all'art. 21, comma 1, Cost.
Gli interventi dei partecipanti al forum in questione,
invero, non possono essere fatti rientrare nell'ambito
della nozione di stampa, neppure nel significato più
esteso ricavabile dall'art. 1 della legge 7 marzo
2001, n. 62, che ha esteso l'applicabilità delle
disposizioni di cui all'articolo 2 della legge 8
febbraio 1948, n. 47 (legge sulla stampa) al «prodotto
editoriale», stabilendo che per tale, ai fini della
legge stessa, deve intendersi anche il «prodotto
realizzato... su supporto informatico, destinato alla
pubblicazione o, comunque, alla diffusione di
informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche
elettronico». Il semplice fatto che i messaggi e gli
interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da
coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì
che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo
di discussione, possa essere qualificato come un
prodotto editoriale, o come un giornale online, o come
una testata giornalistica informatica. Si tratta
quindi di una semplice area di discussione, dove
qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi
di esprimere il proprio pensiero, rendendolo
visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad
accedere al forum, ma non per questo il forum resta
sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è
soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un
direttore responsabile o di registrazione) o può
giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che
l'art. 21, comma 3, Cost. riserva soltanto alla
stampa, sia pure latamente intesa, ma non
genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è
possibile manifestare il proprio pensiero. D'altra
parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un
forum strutturalmente inserito in una testata
giornalistica diffusa per via telematica, di cui
costituisca un elemento e su cui il direttore
responsabile abbia la possibilità di esercitare il
controllo (così come su ogni altra rubrica della
testata).
Acutamente il difensore del ricorrente sostiene che la
norma costituzionale dovrebbe essere interpretata in
senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie
sopravvenute ed ai nuovi mezzi di espressione del
libero pensiero. Ma da questo assunto, non può farsi
derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del
proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup,
mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via)
possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere
inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell'art. 21,
comma 3, Cost., prescindendo dalle caratteristiche
specifiche di ciascuno di essi.
In realtà i messaggi lasciati su un forum di
discussione (che, a seconda dei casi, può essere
aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si
registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri
previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi
che potevano e possono essere lasciati in una bacheca
(sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o
privato) e, così come quest'ultimi, anche i primi
sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o
anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non
entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa,
sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si
applicano le limitazioni in tema di sequestro previste
dalla norma costituzionale.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Per questi motivi
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema
di Cassazione, l'11 dicembre 2008.
Depositata in cancelleria, il 10 marzo 2009.
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