REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 3846/05
Reg.Dec.
N. 10395 Reg.Ric.
ANNO 2004
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 10395/2004 proposto dal
CENTRO EUROPA 7 S.R.L. rappresentata e difesa dall’Avv.
Alessandro Pace, dall’Avv. Giuseppe Oneglia e dall’Avv.
Ottavio Grandinetti con domicilio eletto in Roma
piazza delle Muse n. 8 presso Associazione
Professionale Studio Legale Pace;
contro
il MINISTERO DELLE COMUNICAZIONI e l’AUTORITA' PER
LE GARANZIE NELLE COMUNICAZIONI, in persona dei legali
rappresentanti pro-tempore, rappresentati e difesi
dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio
in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
la DIREZIONE GENERALE AUTORIZZAZIONI E CONCESSIONI
MINISTERO DELLE COMUNICAZIONI, in persona del legale
rappresentante pro-tempore, non costituito;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
Lazio - Roma Sezione II n.9315/2004;
Visto il
ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto
di costituzione in giudizio delle Amministrazioni
appellate;
Viste le
memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;
Visti gli
atti tutti della causa;
Alla
pubblica udienza del 19 aprile 2005 relatore il
Consigliere Giancarlo Montedoro;
Uditi gli
Avv.ti Pace, Grandinetti e l’Avv. dello Stato
Polizzi;
Ritenuto e considerato
in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. La società
ricorrente ha partecipato alla gara, indetta in
attuazione della l. n. 249 del 1997, ai fini del
rilascio delle concessioni per la radiodiffusione
televisiva, su frequenze terrestri in ambito
nazionale, ed, essendosi classificata con l’emittente
“Europa 7” al settimo posto della relativa
graduatoria, ha ottenuto il rilascio di una delle
suddette concessioni (D.M. 28 luglio 1999), nella
quale, pur prevedendosi che in forza del suddetto
provvedimento l’istante aveva titolo ad installare
ed esercitare una rete d’impianti di radiodiffusione
televisiva, si rinviava, per l’assegnazione delle
specifiche frequenze, all’adozione, successiva, del
relativo piano.
2. Non avendo le
competenti amministrazioni proceduto all’assunzione
di alcun provvedimento di assegnazione delle
frequenze, la società ricorrente, sul presupposto che
in forza del rilascio della citata concessione aveva
conseguito il diritto soggettivo all’attribuzione
delle frequenze necessarie per svolgere l’attività
di radiodiffusione televisiva, ha proposto il ricorso
di primo grado con cui ha chiesto:
a) il riconoscimento del
proprio diritto ad ottenere l’attribuzione delle
frequenze de quibus e la conseguente condanna,
ai sensi degli artt. 33 e 35 del d.lgs. n. 80 del
1998, così come modificato dall’art. 7 della l. n.
205 del 2000, a provvedere all’assegnazione delle
stesse;
b) la condanna delle
amministrazioni convenute, ciascuna per la parte di
sua responsabilità, ai danni subiti, come
quantificati in sede di memoria conclusionale, in
relazione alla mancata tempestiva copertura di almeno
l’ottanta per cento del territorio nazionale e di
tutti i capoluoghi di provincia.
3. Si sono costituiti il
Ministero delle Telecomunicazioni e l’Agenzia per le
Garanzie nelle comunicazioni, i quali, dopo aver
illustrato l’evoluzione della normativa
disciplinante la materia oggetto della presunta
controversia, hanno contestato con dovizia di
argomentazioni la fondatezza delle prospettazioni del
ricorso, chiedendone il rigetto.
4. Il Tar ha ritenuto,
con la sentenza impugnata, che il punto centrale della
controversia fosse la natura della situazione
soggettiva maturata a favore di Centro Europa in forza
del menzionato atto concessorio.
Al riguardo – ha
notato il Tar – l’interessata ha affermato,
richiamando alcuni articoli (2 e 5) del regolamento
dell’AGCOM in materia di rilascio delle concessioni
per la radiodiffusione televisiva, che il relativo
oggetto “consisteva indiscutibilmente nell’attribuzione
delle radiofrequenze, utilizzando le quali i
richiedenti possono operare mediante impianti di
trasmissione”.
5. Il Tar ha
sottolineato che, se l’oggetto della concessione de
qua, consiste nell’attribuzione di determinate
frequenze, allora la mancata assegnazione delle stesse
costituisce un vizio del provvedimento ampliativo, che
non può non comportarne l’illegittimità per
violazione delle citate disposizioni regolamentari,
tesi peraltro sostenuta dalla società istante in
precedenti ricorsi, per cui, conseguentemente, sarebbe
contraddittorio collegare la nascita di un diritto
soggettivo ad ottenere le frequenze ad un
provvedimento che risulterebbe in palese contrasto con
la disciplina in materia.
6. Il Collegio
giudicante in primo grado ha ritenuto di accedere ad
una diversa ricostruzione della vicenda, tenendo conto
che la concreta individuazione delle frequenze (le
quali, giova ripeterlo, costituiscono elemento
essenziale di una concessione per la radiodiffusione
televisiva, tanto che in loro assenza il provvedimento
risulta incapace di produrre i propri effetti tipici)
è stata posticipata e subordinata alla successiva
adozione dei necessari provvedimenti delle
amministrazioni competenti.
7. In sostanza, in
ordine alla natura dei provvedimenti d’assegnazione
delle suddette frequenze, il Tribunale, concordando
con la difesa erariale ed i rilievi da essa svolti in
sede di discussione orale in primo grado, ha osservato
che tali provvedimenti hanno natura autoritativa, in
linea con quanto affermato dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 102/1990, secondo cui l’oggetto
della concessione per la radiodiffusione televisiva
consiste nell’attribuzione del potere d’installare
ed esercitare una rete d’impianti che impegnano
determinate porzioni di etere (frequenze
radioelettriche) il cui governo tecnico spetta allo
Stato, per il tramite delle amministrazioni a ciò
competenti.
8. Deve essere
sottolineato che i ripetuti provvedimenti – continua
il Tar – in relazione alla natura tecnica delle
relative valutazioni e degli interessi pubblici e
privati coinvolti, non possono non essere
caratterizzati da ampia discrezionalità.
9. In tale contesto,
quindi, la situazione soggettiva derivante in capo
alla società ricorrente dal rilascio della
concessione, non ha – secondo il Tar – la natura
di diritto soggettivo alla assegnazione di determinate
frequenze, bensì è un interesse qualificato a che le
amministrazioni adottino, anche debitamente diffidate
sulla base della procedura di silenzio-rifiuto, alla
luce della normativa vigente all’atto della
assunzione della relativa determinazione, gli atti
necessari al fine di consentire che la concessione a
suo tempo rilasciata possa produrre i suoi effetti
tipici.
10. Una simile
interpretazione non deve essere intesa – secondo il
Tar – nel senso che le amministrazioni resistenti
siano in ogni caso vincolate, in questa successiva
fase, ad adottare provvedimenti positivi d’assegnazione
delle frequenze, atteso che circostanze fattuali e
normative, successive al rilascio della concessione,
da evidenziare con chiarezza nelle suddette
determinazioni, ben potrebbero precludere una simile
eventualità.
11. Pertanto il Tar
conclude nel senso che la pretesa avanzata in ricorso
al riconoscimento di un diritto all’assegnazione
delle frequenze e la domanda di condanna, ex artt. 33
e 35 del d. lgs. n. 80/1998, così modificato dall’art.
7 l. n. 205/2000, a provvedere all’assegnazione
delle stesse, sia inammissibile.
12. Il Collegio di primo
grado poi, in relazione alla seconda delle domande
avanzate dalla società ricorrente, tesa ad ottenere
la condanna delle amministrazioni resistenti al
risarcimento dei danni subiti per la mancata
tempestiva assegnazione delle frequenze in adempimento
di quanto disposto dalla concessione rilasciata nel
1999 osserva che la pretesa in questione si fonda sul
presupposto, non condiviso alla luce delle
argomentazioni spiegate in punto d’inammissibilità
della prima domanda, che l’istante avesse acquisito,
in forza del provvedimento ampliativo rilasciatole nel
1999, un diritto soggettivo al conseguimento delle
necessarie frequenze, per cui il comportamento assunto
dalle amministrazioni a riguardo si sarebbe,
conseguentemente, configurato come una sorta d’inadempimento
agli obblighi nascenti dalla concessione.
13. Poiché la
situazione soggettiva dell’interessata viene dal Tar,
per quanto illustrato, ritenuta posizione d’interesse
legittimo pretensivo a che le competenti
amministrazioni integrino il contenuto del
provvedimento, fermo il potere delle stesse di
adottare eventualmente determinazioni negative sulla
base di circostanze fattuali e di diritto
sopravvenute, la domanda della società ricorrente è
stata rigettata.
14. Avverso la sentenza
di primo grado propone appello Centro Europa 7 s.r.l.
ricordando che, a seguito della gara indetta dal
Ministero delle Comunicazioni in attuazione della
legge 31 luglio 1997 n. 249 (c.d. legge Maccanico), ai
fini del rilascio delle concessioni per la
radiodiffusione su frequenze terrestri in ambito
nazionale, essendosi classificata al settimo posto
della relativa graduatoria, aveva ottenuto il rilascio
di una delle suddette concessioni.
15. Più precisamente la
società puntualizzava che il 28 luglio 1999 il
Ministro delle Comunicazioni aveva sottoscritto la
citata concessione; che il 22 settembre 1999 la
concessione di Europa 7 era stata registrata presso la
Corte dei Conti; che il successivo 28 ottobre 1999 il
titolo concessorio (di cui al d.m. 28 luglio 1999) era
stato materialmente rilasciato alla ricorrente.
16. L’art. 1 della
menzionata concessione dispone che:
“Alla società Centro
Europa 7 a r.l. con sede in Roma, con denominazione
Europa 7, sono concessi l’installazione e l’esercizio
di una rete d’impianti di radiodiffusione televisiva
a copertura nazionale tra quelle individuate nelle
deliberazioni dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni concernenti “Piano nazionale d’assegnazione
delle frequenze per la radiodiffusione televisiva”
citate nelle premesse. La rete d’impianti di
radiodiffusione è costituita da impianti ubicati nei
siti individuati dal Piano nazionale d’assegnazione
delle frequenze, utilizzante un raggruppamento di tre
canali di cui uno del gruppo A, uno del gruppo B ed
uno del gruppo C, tra i 17 canali generici allocati in
ciascun sito, con i quali la concessionaria deve
assicurare la copertura di almeno l’ottanta per
cento del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi
di provincia …” (art. 1 co. 1).
17. “L’adeguamento
degli impianti alle prescrizioni del piano d’assegnazione
dovrà avvenire, secondo il programma d’adeguamento
stabilito dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni d’intesa con il Ministero delle
comunicazioni, entro il termine di 24 mesi decorrenti
dalla data di comunicazione del presente
provvedimento. Il suddetto termine potrà essere
prorogato di dodici mesi ove sussistano impedimenti di
carattere oggettivo che dovranno essere valutati dal
Ministero delle comunicazioni, d’intesa con l’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni” (co.2).
18. Preso atto che la
concessione non conteneva l’assegnazione di
specifiche frequenze (bensì la generica indicazione
di un gruppo di canali) la ricorrente diffidava
stragiudizialmente il Ministero ad integrare il titolo
concessorio.
19. La Direzione
Generale Concessioni ed autorizzazioni del Ministero
riscontrava la diffida della ricorrente osservando –
per quel che qui interessa – quanto segue:
“questo Ministero ha
rilasciato la concessione a codesta Società, così
come alle altre società destinatarie di provvedimento
concessorio, secondo le prescrizioni tecniche sopra
riportate, ed ha stabilito che l’adeguamento degli
impianti al piano dovrà avvenire secondo un programma
concertato con l’Autorità, entro il termine di 24
mesi dalla notifica della concessione.
20. Per quanto riguarda
la seconda delle contestazioni mosse, riguardante la
motivazione per la quale codesta Società, pur avendo
ricevuta la concessione, non è stata posta in
condizione di dare inizio all’attività, si osserva
che l’articolo 16, comma 2 del regolamento per il
rilascio delle concessioni di cui alla delibera dell’Autorità
n. 78/98, stabilisce che coloro che ottengono la
concessione, nelle more della completa attuazione del
piano, possano proseguire nell’esercizio dell’attività
radiotelevisiva con gli impianti censiti ai sensi dell’art.
32 della legge n. 223/1990 legittimamente ed
effettivamente eserciti alla data di presentazione
della domanda.
21. Si tratta di una
facoltà che il regolamento attribuisce ai richiedenti
che, al momento della presentazione della domanda,
erano già titolari di una concessione per la
radiodiffusione televisiva o comunque effettuavano
tale attività sulla base di un legittimo titolo.
22. La circostanza che
codesta Società non possa ancora dare inizio all’attività
per la quale ha ottenuto la concessione dipende,
pertanto, dal fatto che non si è ancora pervenuti
alla fase d’attuazione del piano e che codesta
Società, non esercendo all’atto della domanda una
rete di diffusione televisiva, non può usufruire
della facoltà di cui all’art. 16, comma 2 del
regolamento n. 78/98. Sarà comunque cura di questo
Ministero attivarsi affinché nel più breve tempo
possibile si possa pervenire, di concerto con l’Autorità,
alla definizione del programma d’adeguamento al
piano che, una volta attuato, consentirà a tutte le
concessionarie di esercire la propria rete secondo le
prescrizioni tecniche derivanti dal piano nazionale d’assegnazione
delle frequenze televisive”.
23. A questo punto
Europa 7 impugnava immediatamente innanzi al Tar Lazio
la nota del Ministero. Tale ricorso è stato discusso
innanzi alla stessa Sezione del menzionato Tar (stesso
Presidente, stesso relatore e stesso terzo componente
del Collegio) lo stesso giorno (14 luglio 2004) in cui
è stato discusso il ricorso n. 12589/03 respinto con
la sentenza impugnata con l’appello in esame.
24. Ebbene con la
sentenza n. 9325/04 in pari data rispetto alla
sentenza qui impugnata, il Tar ha accolto il citato
ricorso di Europa 7, sulla base della seguente
motivazione:
“Al riguardo il
Collegio osserva che, giusta quanto disposto dal
provvedimento concessorio, l’amministrazione era
tenuta ad adottare i provvedimenti necessari al fine
di consentire al suddetto provvedimento di produrre i
propri effetti tipici ovvero, a negare l’assegnazione
delle frequenze, procedendo, pertanto, ad una
sostanziale revoca della concessione la quale, in
assenza delle frequenze, risultava essere totalmente
inefficace, sulla base di una specifica e dettagliata
illustrazione dei presupposti di fatto e di diritto
che rendevano impossibile tale operazione.
La contestata
determinazione, invece, dopo avere richiamato il
disposto della concessione a suo tempo rilasciata e le
ragioni che hanno precluso l’individuazione in tale
sede delle frequenze da assegnare fa un rinvio ad un
generico impegno del Ministero di attivarsi al fine di
procedere, di concerto con l’AGCOM, alla definizione
del programma di adeguamento, e, pertanto, per tale
aspetto, risulta in palese contrasto con l’obbligo
assunto delle competenti amministrazioni nel
provvedimento concessorio, tenuto conto, altresì, che
non è stata indicata alcuna ragione in base alla
quale non era stato possibile procedere,
successivamente al rilascio di quest’ultimo, alla
definizione del programma di adeguamento.
In tale contesto,
quindi, deve essere sottolineato che con l’adeguata
determinazione l’amministrazione non ha poi in alcun
modo ottemperato all’obbligo, facente capo alla
stessa, di pronunciarsi sulla diffida notificata nel
1999 e, conseguentemente, la doglianza in trattazione
è suscettibile di favorevole esame con accoglimento
del proposto gravame e con assorbimento delle altre
doglianze dedotte”.
25. In definitiva lo
stesso Tar del Lazio ha riconosciuto – rileva la
società appellante – che anche prima del decorso
dei 24 mesi di cui all’art. 1 comma 2 della
concessione rilasciata ad Europa 7 sul Ministero
incombesse l’obbligo d’assegnare le frequenze, in
quanto obbligo assunto dalle competenti
amministrazioni nel provvedimento concessorio e che
tale obbligo non sia stato adempiuto.
26. Nella sentenza qui
impugnata il Tar afferma che la situazione giuridica
soggettiva derivante dal rilascio della concessione
“non ha natura di diritto soggettivo all’assegnazione
di determinate frequenze, bensì è d’interesse
qualificato a che le competenti amministrazioni
adottino, anche debitamente diffidate sulla base della
procedura del silenzio-rifiuto, alla luce della
normativa vigente all’atto dell’assunzione della
relativa determinazione, gli atti necessari al fine di
consentire alla concessione a suo tempo rilasciata di
produrre i suoi effetti tipici”.
27. Per l’avvenuto
decorso di 24 mesi previsti dalla concessione, e degli
ulteriori 12 mesi, senza il rilascio delle frequenze
oggetto della concessione Europa 7 ha convenuto in
giudizio le Amministrazioni appellate, proponendo le
domande risarcitorie già richiamate.
28. Europa 7 assume (e
documenta mediante produzione di atti) di avere subito
ingenti danni a causa del ritardato adempimento della
concessione rilasciatale ed assume di essere destinata
a subirne altri qualora l’inadempimento divenisse
definitivo.
29. Le amministrazioni
resistenti – secondo Europa 7 – si sarebbero
limitate a ricostruire lo sviluppo della legislazione
radiotelevisiva in materia, soffermandosi, in
particolare, sugli interventi normativi successivi al
rilascio della concessione per cui è causa.
30. Europa 7 da una
parte ha sostenuto l’inconferenza della normativa
successiva al rilascio della concessione, dall’altra
ne ha dedotto l’illegittimità costituzionale e
comunitaria.
31. Il Tar del Lazio da
una parte ha ritenuto l’inammissibilità della
domanda diretta alla condanna della p.a. all’assegnazione
delle frequenze, per il fatto che la società,
nonostante il rilascio della concessione, sarebbe
titolare solo di un interesse legittimo pretensivo,
mentre l’amministrazione avrebbe un potere
autoritativo, connotato da ampia discrezionalità, di
assegnazione delle frequenze; dall’altra ha ritenuto
infondata la domanda di risarcimento danni per
equivalente, poiché dalla concessione, per come
rilasciata, non sarebbe derivato un diritto soggettivo
al conseguimento delle necessarie frequenze.
32. L’appello è
articolato sui seguenti motivi in diritto:
32.1.) Perdurante
giurisdizione del giudice amministrativo anche dopo la
sentenza Corte Cost. n. 204 del 2004.
32.1.1. Ritiene la
società appellante che, sulla controversia, non abbia
alcuna incidenza, in punto di giurisdizione, l’intervento
manipolativo con cui la Corte Costituzionale è di
recente intervenuta sulla formulazione dell’art. 33,
comma 1 d. lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art.
7 lett. a) della l. n. 205/2000.
32.1.2. Infatti, anche a
seguito della sentenza n. 204 del 2004 sarebbero
devoluti al giudice amministrativo le controversie in
materie di servizi pubblici e relative alle
telecomunicazioni e ai servizi di cui alla l. 14
novembre 1995 n. 481”.
3.2.1.3. La controversia
in esame – secondo la società appellante –
sarebbe una lite sulla natura e sugli effetti di un
atto concessorio, devoluta, secondo la giurisprudenza
amministrativa e della Corte regolatrice, sin dalla
vigenza dell’art. 5 l. n. 1034/71, alla
giurisdizione esclusiva della p.a.
32.2. Erronea
qualificazione della situazione giuridica soggettiva
vantata da Europa 7.
3.2.2.1. L’appellante
sostiene che, per principio pacifico della dottrina e
della giurisprudenza, nella fase antecedente la
stipula di una concessione (di beni o di servizi) la
situazione giuridica soggettiva vantata dal privato è
effettivamente di interesse legittimo pretensivo;
mentre lo stesso privato, dopo la concessione, vanta
invece un diritto soggettivo perfetto a seguito dell’adozione
o stipula dell’atto (concessione) che disciplina i
diritti delle parti pubbliche e private (ex multis, da
ultimo, Cons. Stato V, 15 marzo 2004 n. 1280), di
talché è ben possibile che la parte non inadempiente
richieda al giudice amministrativo la condanna della
parte inadempiente all’adempimento delle
obbligazioni dedotte in concessione, anche in forza
della giurisdizione esclusiva che in materia compete
al giudice amministrativo.
32.2.2. Dopo il rilascio
della concessione, avvenuto in data 28 luglio 1999, la
situazione giuridica soggettiva di Europa 7 ha
acquisito indiscutibilmente la consistenza del diritto
soggettivo; con tale atto infatti sono stati
disciplinati gli obblighi ed i diritti delle parti.
32.2.3. Secondo l’appellante
l’attività discrezionale della p.a. si
esplicherebbe, in campo radiotelevisivo, a monte del
rilascio della concessione (con i provvedimenti di
pianificazione, nel momento in cui si decide la
procedura d’aggiudicazione delle concessioni, nel
momento in cui si decidono i criteri di rilascio delle
concessioni) mentre “a valle” di queste scelte
discrezionali (dopo il rilascio delle concessioni)
sarebbe da escludere qualsiasi possibilità per la
p.a. di non onorare gli impegni assunti con il
concessionario.
32.2.4. D’altro canto,
ragionando diversamente, la discrezionalità invocata
dalla p.a. si trasformerebbe in arbitrio, quanto meno
sotto due distinti profili – nota l’appellante –
del sistema di tutela: infatti sul versante della
tutela dei pubblici interessi l’Amministrazione dopo
aver scelto (discrezionalmente) come soddisfare alcuni
pubblici interessi potrebbe decidere ad libitum
di non soddisfarli più; mentre, all’opposto, sul
versante della tutela dei privati affidatari del bene
o del servizio, poiché il legittimo affidamento
riposto dal privato in ordine all’adempimento della
p.a. agli obblighi assunti in sede di concessione non
può essere impunemente deluso se non a pena di
mettere in crisi lo stesso istituto della concessione.
32.2.5. Il Ministero ha
rilasciato la concessione dopo aver richiamato il
Regolamento per il rilascio delle concessioni di cui
alla delibera AGCOM n. 78/98/CONS. ed il relativo
disciplinare (d.m. 8 marzo 1999) e vista la
graduatoria degli aspiranti concessionari stilata da
apposita Commissione; nonché considerato che Europa 7
è stata collocata in posizione utile per il rilascio
della concessione richiesta e che la stessa era in
possesso dei requisiti richiesti dal regolamento
citato.
32.2.6. Dopo queste
valutazioni discrezionali alla p.a. non ne residuavano
altre se non a pena di trasformare la discrezionalità
in arbitrio, secondo l’appellante.
32.2.7.L’assegnazione
delle frequenze, tra i 17 canali allocati in ciascun
sito, previsti nel piano d’assegnazione già
approvato, non sarebbe – secondo l’appellante –
attività discrezionale ma attività vincolata, in
quanto riconducibile nell’ambito della disciplina
dei diritti e degli obblighi nascenti dalla
concessione.
32.2.8 Anche il
Ministero delle comunicazioni – secondo la
ricorrente – sarebbe stato di ciò consapevole,
quando, nella nota 22 dicembre 1999 inviata ad Europa
7, si era impegnato “ad attivarsi affinché nel più
breve (tempo) possibile” si potesse pervenire “di
concerto con l’Autorità, alla definizione del
programma di adeguamento al piano d’assegnazione
delle frequenze”.
32.2.9 In sostanza la
stessa p.a. non avrebbe mai messo in dubbio l’obbligatorietà
dell’assegnazione né la certezza, nell’an, dell’obbligo
assunto, trincerandosi piuttosto dietro quel termine
(entro il termine di 24 mesi dalla notifica della
concessione) contenuto nell’art. 1, co. 2, della
concessione: un termine, che, peraltro, non rendeva
incerto, neppure nel quando, l’obbligo
assunto, atteso che l’adempimento non avrebbe potuto
comunque tardare oltre il termine pattuito (dies
interpellat pro homine).
32.2.10 Il Tar ha quindi
opposto ad Europa 7 una discrezionalità che non era
stata opposta neppure dalle amministrazioni, quando ha
ritenuto che la “concreta individuazione delle
frequenze … è stata posticipata e subordinata alla
successiva adozione dei necessari provvedimenti da
parte della p.a.; con ciò consentendo la posposizione
dell’obbligo nascente della concessione, nel mentre,
con la sentenza coeva sul silenzio-rifiuto (sent. n.
9325/2004) aveva ritenuto il generico impegno assunto
nella nota ministeriale del 22 dicembre 1999 in “palese
contrasto” con “l’obbligo assunto dalle
competenti amministrazioni nel provvedimento
concessorio”.
32.2.11 Secondo il Tar
poi – nota l’appellante – la mancata indicazione
delle frequenze nell’atto concessorio costituirebbe
“un vizio del provvedimento ampliativo che non
potrebbe non comportarne l’illegittimità per
violazione delle disposizioni regolamentari (tesi
peraltro sostenuta dall’attuale istante in
precedenti ricorsi) per cui, conseguentemente,
risulterebbe contraddittorio collegare la nascita di
un diritto soggettivo ad un provvedimento che
risulterebbe in palese contrasto con la disciplina in
materia.
32.2.12 L’appellante
sostiene che la concessione non sia illegittima ab
origine, avendo solo posticipato l’obbligo di
assegnazione delle frequenze, prevedendolo in
concessione, con piena vincolatività.
32.2.13 Al più la
concessione avrebbe reso l’obbligo non eseguibile
per 24 mesi, avendo fissato il termine ultimo per l’adempimento
entro 24 mesi dalla notifica della concessione.
33. Con terzo motivo si
sostiene la fondatezza della domanda di Europa 7.
33.1 L’amministrazione
– secondo l’appellante – non potrebbe invocare
la clausola contenuta nell’art. 1 co. 2 della
concessione secondo la quale “l’adeguamento degli
impianti alle prescrizioni del piano d’assegnazione
dovrà avvenire, secondo il programma stabilito dall’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il
Ministero delle comunicazioni, entro il termine di 24
mesi decorrenti dalla data di comunicazione del
presente provvedimento. Il suddetto termine potrà
essere prorogato di dodici mesi ove sussistano
impedimenti di carattere oggettivo che dovranno essere
valutati dal Ministero delle comunicazioni, d’intesa
con l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni”.
33.2 Il termine di 24
mesi per l’adeguamento degli impianti alle
prescrizioni del Piano d’assegnazione (previsto nel
cit. co.2) costituisce – secondo l’appellante –
un termine posto nell’interesse del concessionario e
non dell’Amministrazione, con la conseguenza che la
disposizione andrebbe letta nel senso che “l’adeguamento
degli impianti alle prescrizioni del piano d’assegnazione,
da parte del concessionario, deve avvenire …”. L’ulteriore
proroga del termine per dodici mesi sarebbe poi
condizionata alla sola positiva valutazione del
ricorrere d’impedimenti oggettivi, valutazione da
svolgersi da parte del “Ministero delle
comunicazioni, d’intesa con l’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni”.
33.3 In ogni caso il
diritto sarebbe sorto entro 24 mesi e, quindi, a
partire dal 28 luglio 2001, oppure dal 22 settembre
2001 o a tutto concedere dal 28 ottobre 2001 (a
seconda che si voglia fissare, quale dies a quo
la data del rilascio, quella di registrazione, quella
di materiale consegna del titolo).
33.4 La proroga
ulteriore di dodici mesi (eventuale e collegata ad
impedimenti del concessionario) non è mai stata
chiesta, né tantomeno concessa.
33.5 In ogni caso, anche
a voler considerare ulteriori 12 mesi, al più tardi
il 28 ottobre 2002 sarebbe decorso anche questo ultimo
termine.
33.6 L’appello
quantifica poi i danni sia in termini di danno
emergente che di lucro cessante.
33.7 Il danno emergente
viene quantificato in 100.000.000,00 di euro, il lucro
cessante viene chiesto in via equitativa sulla base di
una perizia di Unipol.
33.8 Naturalmente,
rileva l’appellante, i dati peritali vanno
utilizzati in modo diverso a seconda che il Consiglio
di Stato ritenga di condannare le amministrazioni all’adempimento
(ossia all’assegnazione di una rete o, comunque, di
frequenze, per diffondere sull’80 per cento del
territorio nazionale ed in tutti i capoluoghi di
provincia), fermo restando il risarcimento dei danni
subiti e subendi fino all’effettivo adempimento
ovvero ritenga di poter condannare le Amministrazioni
al solo risarcimento per equivalente.
33.9 Nel primo caso
(condanna all’adempimento) il risarcimento dovuto ad
Europa 7, nell’atto di appello, è calcolato per gli
anni nei quali la società ricorrente non ha potuto
operare e si basa sugli utili attesi per gli anni
2000, 2001, 2002, 2003, 2004 pari ad euro
882.600.000,00.
33.10 Nel secondo caso
il risarcimento non potrebbe che avere ad oggetto l’intera
azienda, ritenuta di valore medio (sulla base di veri
criteri: fatturato; EBITDA; EBIT; utile netto)
superiore ai 3 miliardi di euro richiesti con il
ricorso.
33.11 In via gradata
Europa 7 rileva che, anche qualificando la posizione
giuridica quale interesse legittimo pretensivo,
comunque le domande risarcitorie, per reintegrazione
specifica e/o per equivalente, non avrebbero potuto
essere respinte sulla mera constatazione della natura
della situazione giuridica soggettiva dopo la sentenza
Cass. n. 500/99 e la l. n. 205/2000.
33.12 Il privato
chiedeva in via giudiziaria il bene della vita
negatogli ed il giudice amministrativo avrebbe dovuto
esaminare sia la domanda di reintegrazione in forma
specifica sia i danni da risarcimento per equivalente
relativi alla tardiva assegnazione della rete.
33.13 Ma, anche aderendo
all’indirizzo giurisprudenziale più restrittivo in
materia di condanna al risarcimento in forma
specifica, che non ammette un ordine all’amministrazione
d’adottare il provvedimento che avrebbe dovuto
emettere, l’appellante ritiene che il giudice
avrebbe dovuto esaminare la domanda di condanna all’assegnazione
di canali comunque idonei a farle raggiungere la
copertura di almeno l’80% del territorio nazionale e
di tutti i capoluoghi di provincia, come domanda di
una “prestazione” analoga ma non identica a quella
negata dalla p.a.
33.14 Conclusivamente,
mai i giudici avrebbero potuto omettere di
pronunciarsi quantomeno sulla domanda di risarcimento
per equivalente.
33.15 Avendo accolto il
ricorso per silenzio-rifiuto il Tar avrebbe dovuto
qualificare in termini di difetto di diligenza e di
buona fede il comportamento tenuto dalla p.a., nella
gestione dei rapporti con Europa 7, al fine di farne
discendere la responsabilità della p.a. per
violazione d’interesse legittimo pretensivo.
34. Ciò premesso, a
partire dal punto 6 dell’atto d’appello (pag. 20
del ricorso) Europa 7 affronta gli argomenti difensivi
proposti dalle Amministrazioni resistenti.
34.1 In particolare l’argomento
relativo al d.l. n. 5 del 2001 conv. in l. n. 66/2001
(di seguito legge n. 66/2001) relativo alle
trasmissioni digitali via etere terrestre.
34.2 Secondo le
Amministrazioni tale disciplina, successivamente
intervenuta, avrebbe inciso sulla possibilità di dare
adempimento alla concessione, poiché tale normativa
avrebbe consentito la prosecuzione dell’attività
trasmissiva delle c.d. “reti eccedenti” sulle
frequenze analogiche, e, conseguentemente, avrebbe
impedito l’assegnazione di frequenze ad Europa 7.
34.3 Senonché – a
giudizio dell’appellante – le Amministrazioni
resistenti non possono invocare per la prima volta in
sede giudiziaria la cit. l. n. 66/2001 né il
successivo d.l. 24 dicembre 2003 n. 352 conv. in l. 24
febbraio 2004 n. 43 (c.d. “decreto salva reti”),
né l’ancor più recente l. 3 maggio 2004 n. 112
(c.d. “Legge Gasparri”).
34.4 Si cita il
paragrafo 5 del considerato in diritto della sentenza
della Corte Cost. n. 466 del 2002 per dedurne che l’assetto
delle trasmissioni televisive, in ambito nazionale, su
frequenze terrestri, in tecnica analogica, non sarebbe
stato toccato dalla citata l. n. 66/2001.
34.5 Quest’ultima
legge, infatti, secondo il giudice delle leggi, “contiene
disposizioni riguardanti la televisione privata in
ambito locale (art. 1 comma 1); la radiodiffusione
sonora in tecnica digitale ed anche analogica (artt.
1, commi 2, 2 bis, 2 ter, e 2 quater); la riduzione d’inquinamenti
da emissioni di radiodiffusione sonora e televisiva
(art. 2 comma 1); le antenne per la telefonia mobile
(art. 2, comma 1-bis); la sperimentazione e le
agevolazioni per l’avvio dei mercati di programmi
televisivi digitali su frequenze terrestri (art. 2
bis, commi 1 e 2); l’indicazione dell’anno 2006
entro il quale “le trasmissioni televisive di
programmi e dei servizi multimediali su frequenze e
terrestri devono essere irradiati esclusivamente in
tecnica digitale (art. 2 bis comma 5); e altri punti d’interesse
scientifico e di propulsione di nuove tecnologie.
34.6 In sostanza la l.
n. 66/2001, per la Consulta, non “tocca” le
trasmissioni televisive nazionali, via etere terrestre
in tecnica analogica: cioè quelle per il cui
esercizio è stata rilasciata concessione ad Europa 7.
34.7 Ad opinare
diversamente dalla Consulta, secondo l’appellante,
si evidenzierebbe l’incostituzionalità degli artt.
1 e 2 bis della l. n. 66/2001:
a) perché il citato
art. 1 impedirebbe alle Amministrazioni competenti –
in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 Cost. – d’esercitare
le funzioni di governo tecnico dell’etere loro
affidate là dove esso consentisse alle reti
televisive (anche ove non abbiano ottenuto la
concessione) di proseguire nell’esercizio delle loro
trasmissioni sino all’attuazione del nuovo piano
digitale;
b) perché i citati artt.
1 e 2 bis – in contrasto con gli artt. 3, 21, 41,
97, 136 e 137 Cost. – perpetuerebbero, sino al 2007,
uno stato di fatto già accertato come
incostituzionale, senza prevedere alcuna efficace
misura a tutela del pluralismo informativo oltre che
della libertà d’iniziativa economica delle altre
emittenti;
c) perché gli stessi
artt. 1 e 2 bis consentirebbero, in contrasto con gli
artt. 3, 21, 41 e 97 Cost. di discriminare un
operatore televisivo in possesso di concessione
(Europa7) rispetto ad altri operatori (persino quelli
privi di concessione), compromettendo il pluralismo
informativo e le regole della concorrenza, ledendo il
principio d’affidamento dei destinatari delle
concessioni rilasciate nel luglio del 1999, nonché
incidendo sull’attività amministrativa di rilascio
ed adempimento delle concessioni.
34.8 Quanto si afferma
relativamente alla l. n. 66 del 2001 (irrilevanza ed,
in subordine, illegittimità costituzionale della
normativa) viene ripetuto dall’appellante rispetto
al d.l. c.d. “salva reti” ed alla Legge Gasparri,
nei cui confronti si pongono anche problemi di
illegittimità comunitaria.
35. Quanto al decreto
legge n. 352/2003 che, all’art. 1 co. 3 ha
esplicitamente e deliberatamente prorogato il termine
per la cessazione delle trasmissioni (via etere
terrestre) delle reti eccedenti, fissato dalla Corte
Costituzionale al 31 dicembre 2003 e ritenuto dalla
stessa un termine finale assolutamente certo
definitivo e non eludibile (Corte Cost. n. 466 del
2002), per di più prorogandolo fino alla data di
adozione di provvedimenti dell’AGCOM relativi:
1) all’esame della “complessiva
offerta dei programmi televisivi digitali terrestri”
allo scopo d’accertare contestualmente, anche
tenendo conto delle tendenze in atto nel mercato:
a) la quota di
popolazione coperta dalle nuove reti digitali
terrestri che non deve comunque essere inferiore al 50
per cento;
b) la presenza sul
mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili;
c) l’effettiva offerta
al pubblico su tali reti anche di programmi diversi da
quelli diffusi da reti analogiche;
2) all’invio di una
relazione al Governo ed alle competenti Commissioni
Parlamentari della Camera dei Deputati e del Senato
della Repubblica nella quale dà conto dell’accertamento
effettuato;
3) all’eventuale
adozione, nel caso in cui non si siano verificate le
condizioni predette, di provvedimenti necessari per
eliminare o impedire il formarsi delle posizioni
dominanti o comunque lesive del pluralismo
(provvedimenti di cui all’art. 2 co. 7 della l. n.
249/1997).
35.1 La giustificazione
della violazione del giudicato costituzionale di cui
alla sentenza Corte Cost. n. 466/2002 è agganciabile
all’inciso del paragrafo 11 della citata sentenza n.
466 secondo il quale “E’appena il caso di
precisare che la presente decisione, concernente le
trasmissioni radio-televisive in ambito nazionale su
frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il
diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo
sviluppo della tecnica di trasmissione digitale
terrestre, con conseguente aumento delle risorse
tecniche disponibili”.
35.2 I punti
qualificanti della decisione della Corte
Costituzionale secondo l’appellante sono:
1) l’intollerabilità
della protrazione del regime transitorio analogico
oltre il 31 dicembre 2003, termine ricavato dalla
valutazione di congruità tecnica dei tempi di
passaggio al regime definitivo da AGCOM con la
delibera n. 346 del 2001, con riferimento alle
operazioni di trasferimento delle reti analogiche
eccedenti, tanto in chiaro che in forma codificata;
2) la necessità della
conseguente cessazione di tale regime e della
possibilità per le c.d. emittenti eccedenti (non
titolari di concessione) di proseguire nelle
trasmissioni, entro il 31 dicembre 2003 con modalità
che avrebbero dovuto essere determinate nello stesso
termine;
3) la salvezza di un
diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo
sviluppo della tecnica di trasmissione digitale
terrestre, con conseguente aumento delle risorse
tecniche disponibili; su tali premesse, fissate dal
giudicato costituzionale, gli effetti che il decreto d’urgenza
avrebbe potuto produrre – secondo l’appellante –
avrebbero dovuto essere almeno due:
a) che alla data del 31
dicembre 2003 venissero “liberate” le frequenze
analogiche terrestri illegittimamente occupate dalle
reti eccedenti Retequattro e Prima TV;
b) che le relative
frequenze in analogico terrestre, una volta tornate
nella disponibilità del Ministero delle
Comunicazioni, venissero riassegnate, con procedura
obiettiva, trasparente, proporzionale e non
discriminatoria (come previsto dalle direttive CE) ai
titolari di concessione del tutto privi di radio
frequenze.
35.3 Solo con queste
premesse il passaggio graduale al digitale terrestre
ancorché in simulcast (e cioè mediante l’utilizzo,
da parte delle emittenti di frequenze anche con
tecnica analogica) non avrebbe dato luogo a rilievi
con quanto sottolineato da Corte Cost. n. 466/2002.
35.4 Ma il c.d. “salva
reti” (d.l. n. 352/2003 conv. in l. n. 43/2004) non
ha posto fine al regime “transitorio” analogico e
non ha sostituito quel regime con un nuovo assetto
comportante l’aumento delle frequenze disponibili.
35.5 Il c.d. “salva
reti” (e – secondo la tesi dell’appellante –
anche la legge Gasparri) ha piuttosto sovrapposto due
regimi transitori: quello analogico (già in atto da
tempo, dalla legge c.d. Maccanico, e che, secondo la
nota sentenza della Corte Costituzionale n. 466/2002
avrebbe dovuto cessare entro il 31 dicembre 2002) ed
il regime di transizione al digitale terrestre (c.d. switch-over).
35.6 La Commissione
Europea ha sottolineato che, mentre lo switch-off
delle trasmissioni analogiche (con conseguente
definitivo passaggio di tutte le trasmissioni in
tecnica esclusivamente digitale) consentirebbe di
liberare diverse centinaia di MHZ sulla banda di
frequenze VHF e UHF, MHZ che potrebbero essere
riallocati per vari usi, al contrario, la transizione
al digitale (switch-over) può effettivamente
aggravare la scarsità delle frequenze disponibili
dovuta alla trasmissione analogica e digitale in
parallelo (simulcast) (COM/2003) 541 del 17
settembre 2003 sulla transizione dalla trasmissione
radiotelevisiva analogica a quella digitale (dalla switch-over
digitale allo switch-off analogico).
35.7 In sostanza il c.d.
“salva reti” si è limitato a chiedere ad AGCOM di
accertare l’avvio della c.d. fase di switch-over
al digitale terrestre ed ha prorogato – ancor prima
dell’accertamento – il vecchio regime transitorio
analogico ritenuto incostituzionale da Corte Cost. n.
466/2002.
35.8 Inoltre il
contenuto degli accertamenti imposti dal d.l. “salva
reti” ad AGCOM non può incidere, secondo gli
appellanti, sull’inidoneità della proroga a
soddisfare le condizioni poste dalla Consulta.
35.9 In sostanza si
richiede ad AGCOM d’accertare se almeno il 50% della
popolazione italiana possa ricevere programmi
trasmessi con la nuova tecnica digitale, ove si doti
di appositi ricevitori digitali (c.d. decoders).
35.10 L’AGCOM deve
accertare l’avvenuto avvio della transizione al
digitale terrestre, atteso che lo switch-off
delle trasmissioni analogiche potrebbe aversi solo se
tutta la popolazione italiana fossa effettivamente
dotata di ricevitori digitali (Comm. Europea (2003)
541, par. 1.1).
35.10 L’AGCOM ha
concluso la sua indagine indicando in 200.000 famiglie
le unità dotate di decoders ed evidenziando che l’avvio
promettente della televisione digitale terrestre
necessita ancora azioni positive per tramutarsi in un
“reale cambiamento del grado di concorrenzialità
del mercato televisivo ed in un effettivo ampliamento
del pluralismo culturale, politico ed informativo”.
35.11 In un
provvedimento di repressione di alcune pubblicità
ingannevoli della televisione digitale terrestre l’AGCOM
ha ribadito che il servizio televisivo ad oggi offerto
in tecnica digitale terrestre è da considerarsi
meramente “sperimentale” sia quanto a copertura
territoriale, sia quanto a servizi interattivi offerti
(Provv. AGCOM 13678 del 14/10/2004).
35.12 Il d.l. salva reti
quindi avrebbe violato il giudicato costituzionale e
gli artt. 3, 21, 41 Cost. sui quali la Corte ha
fondato la sent. n. 466/2002; esso – secondo l’appellante
– contrasta anche con il diritto comunitario, al
pari della legge c.d. Gasparri, di cui pure si predica
l’illegittimità costituzionale.
36. La legge Gasparri
(l. n. 112/2004) introduce un sistema basato sui
seguenti punti:
a) una generalizzata
autorizzazione ex lege (il c.d. “generale
assentimento”) di cui all’art. 23 co. 1 e 5 l. n.
112/2004 che consente a tutte le emittenti, anche
quelle che non hanno ottenuto la concessione nel 1999
(come le “reti eccedenti”) di proseguire nelle
trasmissioni;
b) la possibilità, per
i gruppi televisivi che trasmettano programmi digitali
terrestri con copertura pari al 50% della popolazione,
di godere di un privilegiato metodo di calcolo del
superamento del limite percentuale antitrust al
possesso di reti e programmi nazionali, fissato per
tutti al 20%.
Tale limite percentuale
viene, infatti, applicato non con riferimento alle
sole reti analogiche (oppure ai soli programmi
digitali) come prevedeva la legge c.d. Maccanico,
bensì prendendo a base un insieme “promiscuo”,
composto tanto dalle reti operanti in tecnica
analogica, quanto dei programmi irradiati in tecnica
digitale, alla sola condizione che risultino
realizzate le condizioni di cui al d.l. “salva reti”
(v. art. 25 co. 8 cit. legge, ove si sottolinea che i
programmi possono “indifferentemente” essere
trasmessi in entrambe le tecniche);
c) l’abrogazione dei
precedenti limiti antitrust fissati dalla legge
Maccanico.
36.1 In sostanza,
secondo la ricorrente, la proroga del precedente
regime transitorio sarebbe abilmente “mascherata”
ma non per questo meno contraria ai principi
costituzionali.
36.2 Il meccanismo della
Legge Gasparri si basa su una duplice fictio iuris,
in forza della quale vengono illegittimamente
equiparate:
a) reti analogiche
effettivamente nazionali (come RA1 e Canale 5) e reti
analogiche pseudo–nazionali (come ad es. Rete Capri
e Rete A);
b) reti analogiche che
irradiano programmi fruibili dall’intera popolazione
nazionale e programmi irradiati da reti digitali
fruibili, come si è detto, al massimo dal 50% della
popolazione nazionale.
36.3 L’equiparazione
fra reti analogiche effettivamente nazionali e reti
analogiche pseudo-nazionali viene sospettata d’illegittimità
costituzionale per violazione dei principi già
affermati da Corte Cost. n. 420/1994, in relazione
agli artt. 41 Cost. (concorrenza) e 21 Cost.
(pluralismo), in quanto l’allargamento ed “annacquamento”
della base su cui calcolare il limite percentuale
antitrust del 20%, derivante dall’equiparazione di
emittenti nazionali (RAI 1 o Canale 5 con copertura
vicina al 100%) ad emittenti pseudo-nazionali (Rete A
e Rete Capri con copertura pari al 50% della
popolazione) finisce per avvantaggiare i “duopolisti”
(RAI e MEDIASET) presenti nel sistema italiano, a
dispetto della necessità di garantire un’identitità
sostanziale di copertura quale presupposto per l’individuazione
di un’emittente nazionale (par. 11 del considerato
in diritto).
36.4 Si rileva che la
legge Mammì (l. n. 223/90 art. 3 co. 11) richiedeva
che, per aversi un’emittente nazionale si dovesse
raggiungere il 60 % della copertura del territorio
nazionale, mentre la legge Maccanico (l.n. 249/1997
che, sul punto, deve attuazione alla sentenza n.
420/1994 della Corte Cost. prima citata) richiedeva l’80%
del territorio e tutti i capoluoghi di provincia.
36.5. Si denuncia,
quindi, che, con l’art. 25 co. 8 e con l’art. 2
co. 1, lett. i) ed l) si ritorna alla passata
situazione ritenuta costituzionalmente illegittima.
36.6 Riguardo all’equiparazione
fra programmi trasmessi con reti analogiche e
programmi digitali si evidenzia che la copertura del
50% della popolazione è del tutto teorica, visto che
soltanto 200.000 famiglie sarebbero dotate del decoder
(AGCOM Relazione citata al punto 35.10). E, pertanto,
si assume la violazione dei parametri costituzionali
su cui agli artt. 3 (ragionevolezza) 21 (pluralismo) e
41 (concorrenza).
37. Quanto poi alle
deduzioni specifiche che riguardano la normativa
comunitaria si assume che “il generale assentimento”
(introdotto con i commi 1 e 5 dell’art. 23 della
legge Gasparri), anche in combinato disposto con i
commi 8 e 11 dell’art. 25 della stessa legge (ma le
deduzioni vengono estese al salva reti), sia contrario
alla normativa comunitaria ed all’art. 117 co. 1
Cost.
37.1 A questo riguardo
si segnala che il contrasto del ddl AC n. 2175 B (poi
divenuto l’attuale l. n. 112/2004) era stato
evidenziato anche dalla AGCOM in data 8/1/2004.
37.2 Si chiede quindi la
disapplicazione, per contrasto con la normativa
comunitaria, della legge Gasparri, ciò in via
principale, nella parte in cui prevede una procedura
per l’assegnazione delle frequenze non rispondente
ai criteri delle direttive intervenute in materia.
In subordine, si chiede
la rimessione alla Corte Cost. per violazione dell’art.
117 co. 1 Cost.
37.3 Quanto al diritto
comunitario la società appellante richiama le quattro
direttive adottate dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione
Europea in data 7 marzo 2002.
37.4 Si tratta della
direttiva che istituisce un quadro normativo comune
per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica
(direttiva 2002/21/CE c.d. direttiva quadro); della
direttiva autorizzazioni 2002/20/CE relativa alle
autorizzazioni per le reti ed i servizi di
comunicazioni elettronica (c.d. direttive
autorizzazioni); della direttiva 2002/19/CE relativa
all’accesso alle reti di interconnessione alle reti
di comunicazione elettronica ed alle risorse
correlate, nonché all’interconnessione delle
medesime (c.d. direttiva accesso); ed, in ultimo,
della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio
universale ed ai diritti degli utenti in materia di
reti e di comunicazione elettronica (c.d. direttiva
servizio universale).
37.5 Queste quattro
direttive costituiscono – come è noto – il c.d.
nuovo quadro regolamentare delle comunicazioni
elettroniche ed hanno come tratto caratteristico l’aver
assoggettato ad una disciplina tendenzialmente
unitaria tutte le reti ed i servizi di comunicazione
elettronica, ivi compresi, per quanto qui interessa,
le reti ed i servizi utilizzati per la diffusione
vincolare dei programmi sonori e televisivi.
37.6 In particolare la
direttiva 2002/20/CE (direttiva autorizzazioni) impone
agli Stati membri di adottare regimi abilitativi
diversi a seconda che si tratti di consentire l’installazione
della rete o la fornitura di servizi o, invece, di
assegnare a singoli operatori l’uso di determinate
frequenze. Mentre la fornitura di una rete e/o di un
servizio tecnico radiotelevisivo deve essere
assoggettata ad un regime di semplice autorizzazione
generale (art. 3 co. 2 direttiva) l’uso delle
frequenze, invece, può essere oggetto di
provvedimenti individuali.
37.7 La disciplina del
sistema radiotelevisivo italiano si appalesa contraria
al diritto comunitario non soltanto perché non
distingue fra fornitura delle reti ed assegnazione
delle frequenze, ma soprattutto perché non assicura
che le frequenze siano assegnate secondo i criteri
comunitari generalmente applicabili alle concessioni,
ispirati a garantire la c.d. “concorrenza per il
mercato” (per concedere le frequenze occorre
adottare procedure pubbliche, trasparenti e non
discriminatorie e l’assegnazione deve avvenire in
base a criteri obiettivi, trasparenti, non
discriminatori e proporzionati; artt. 5 co. 2 e 7
direttiva, nonché art. 9 direttiva quadro).
37.8 La disciplina
contenuta nella legge Gasparri procrastina una
situazione di fatto non rispettosa dei criteri
europei, ben oltre il termine indicato dalle direttive
per l’obbligatoria attuazione della disciplina
comunitaria anche riguardo alle concessioni
preesistenti cioè oltre il 25 luglio 2003 (art. 17,
co. 1 direttiva 2002/20 CE).
37.9 E’ bensì vero
che la stessa disciplina comunitaria ammette deroghe
ma solo quando ciò sia necessario a tutela del
pluralismo informativo (o della diversità culturale o
linguistica).
37.10 La possibilità di
derogare alla disciplina comunitaria non sarebbe,
tuttavia, invocabile nella specie perché – come
sottolineato dal Presidente dell’AGCOM nella citata
audizione dell’8 gennaio 2004 – la situazione
attualmente vigente in Italia è gravemente lesiva del
pluralismo, il che era già stato sanzionato dalla
Corte Costituzionale con la sentenza n. 466 del 2002.
37.11 Per di più l’appellante
Europa 7 sostiene di avere uno specifico titolo per
dolersi dell’illegittimità comunitaria della
disciplina, poiché mediante la proroga introdotta con
la normativa interna si continua a vanificare il
diritto di Europa 7 che, pur avendo ottenuto la
concessione, non può operare perché, a seguire le
Amministrazioni appellate, le frequenze oggetto della
concessione rilasciata sono ancora occupate da
operatori privi di concessione (come quelli che
eserciscono le c.d. “reti eccedenti”).
37.12 La violazione dei
principi affermati in sede comunitaria impedisce che
si dia un esito non discriminatorio ad una procedura
concorsuale legittimamente svoltasi.
38. L’aspetto d’illegittimità
comunitaria ora denunciato, ha, secondo l’appellante,
anche rilevanza costituzionale, non soltanto ai sensi
dell’art. 117 co. 1 Cost. ma anche per contrasto con
gli artt. 3, 24, co. 2, 41 co. 1 e 2, 97 Cost..
38.1 Anche questi
profili d’illegittimità sarebbero stati
correttamente colti – nel corso di un’audizione
parlamentare - dall’AGCOM, là dove ha osservato
come la preclusione dell’ingresso nel mercato
televisivo a soggetti che – come Europa 7 – “nonostante
la titolarità di concessioni non hanno potuto avviare
l’effettivo esercizio della radiodiffusione …
costituisce anche una grave ferita all’effettività
ed alla pienezza del nostro sistema di tutela
giurisdizionale dei diritti (cfr. audizione AGCOM
citata).
38.2. Anche in
precedenza (il 19 dicembre 2002) l’AGCOM aveva posto
in evidenza, in una segnalazione al Parlamento, ai
sensi dell’art. 22 della legge n. 287/1990, che la
proroga del regime transitorio e l’autorizzazione
alle reti eccedenti a proseguire ulteriormente nella
attività, finisce con l’andare a scapito di quei
soggetti che, pur in possesso del titolo concessorio,
all’esito di una procedura selettiva concorsuale,
non sono stati tuttavia posti in grado d’esercitare
l’attività economica, non essendo stati immessi
nell’uso delle frequenze. Il perpetuarsi di tale
situazione rischia di compromettere la certezza del
sistema delle regole, che governa i meccanismi d
selezione competitiva e che guida le corrette
dinamiche di mercato, cristallizzando la struttura
duopolistica venutasi a creare in questi anni
(segnalazione AGCOM, AS 247, Boll. AGCM n. 49/2002).
38.3 In sostanza le
richiamate disposizioni di legge violano gli artt. 41
e 97 Cost. nella parte in cui non consentono ad Europa
7 di ottenere il bene della vita che lo Stato aveva
posto in gara, ricorrendo ad un sistema di evidenza
pubblica, che, in un ottica comunitaria, surroga le
tradizionali dinamiche concorrenziali, sostituendo
alla competizione nel mercato la competizione per il
mercato (proprio grazie al meccanismo della gara
pubblica).
38.4 Le rilevanti
disposizioni della legge Gasparri hanno, invece, ad
alterare sia il buon andamento del procedimento per il
rilascio delle concessioni, sia la relativa fase
attuativa, ledendo altresì l’affidamento
legittimamente riposto da Europa 7 nella doverosa,
piena attuazione dell’esito, ad essa favorevole, di
una procedura concorsuale legittimamente svoltasi (artt.
3, 41 e 97 Cost.).
38.5 Inoltre la pendenza
di questo (e degli altri giudizi instaurati da Europa
7 a seguito della procedura concorsuale) rende
evidente l’incidenza che tali disposizioni
esercitano sul diritto costituzionale alla tutela
giurisdizionale dei propri diritti (art. 24 Cost.),
essendo di tutta evidenza – e ben noto alla
giurisprudenza amministrativa – che costituisce
eccesso di potere (nella specie “legislativo”)
qualsiasi intervento esterno di un pubblico potere che
condizioni l’esito di un giudizio in corso.
39. Si conclude per la
condanna delle Amministrazioni resistenti al
risarcimento dei danni in forma specifica e per
equivalente o solo per equivalente, previa, se
necessario disapplicare dei d.l. “salva reti” e
della legge Gasparri, ovvero rimessione degli atti
alla Corte Costituzionale.
40. Con successiva
memoria sono state ulteriormente specificate le
censure d’illegittimità comunitaria e
costituzionale (memoria illustrativa del 7 aprile
2005).
41. Si sono costituite
le Amministrazioni resistenti, controdeducendo su
tutti i motivi e chiedendo il rigetto del ricorso.
DIRITTO
1. La controversia deve
essere rimessa alla Corte di Giustizia delle Comunità
Europee competente, ai sensi dell’art. 234 del
Trattato, a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull’interpretazione
del Trattato, e sulla validità ed interpretazione
degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità.
2. L’evoluzione del
sistema radiotelevisivo nel diritto italiano.
2.1 Giova premettere
alcuni cenni sull’evoluzione del sistema
radiotelevisivo italiano.
2.2. Fin dal 1923 i
servizi di radiodiffusione o, come si diceva allora,
di radiodiffusioni circolari erano riservati allo
Stato (R.D. 27 febbraio 1936 n. 645).
2.3 Dal 1924 entra in
scena, come concessionaria del servizio pubblico di
radiodiffusione l’URI, Unione Radiofonica Italiana,
e, dal 1927 l’EIAR, Ente Italiano per le audizioni
radiofoniche.
Nel 1954, con lo
sviluppo della televisione, nasce la RAI, Radio
Televisione Italiana (d.p.r. 26 gennaio 1952 n. 180),
concessionaria in esclusiva del servizio.
2.4 Il monopolio statale
vive indisturbato fino a quando, per la prima volta al
Ministero delle Poste e Telecomunicazioni viene
chiesto da una piccola società l’assenso per la
realizzazione di un servizio di radiodiffusione
privato, da realizzarsi in alcune regioni.
2.5 Il Ministero
risponde difendendo il monopolio statale, facendo
presente di aver concesso alla RAI l’esclusiva, e,
in sostanza, concludendo nel senso di non poter
prendere in esame altre concessioni.
2.6 Venne adito il
Consiglio di Stato che, allora, giudicava in unico
grado.
2.7 Con ordinanza del 15
luglio 1959 n. 504 il Consiglio di Stato rimette gli
atti alla Corte Costituzionale (denunciando in
particolare il sospetto d’incostituzionalità degli
artt. 1 e 163 del r.d. n. 645 del 1936) al fine di
stabilire se il monopolio della RAI fosse compatibile
con l’art. 21 della Cost. italiana che tutela la
libertà di manifestazione del pensiero.
2.8 La prima sentenza
della Corte Costituzionale in materia di monopolio
statale fu nel senso del riconoscimento della
legittimità del monopolio statale, facendo
riferimento all’art. 43 Cost. (che abilita lo Stato
a riservarsi alcune attività di “preminente
interesse generale”) (così Corte Cost. n. 59/1960).
2.9 La concessione in
esclusiva del servizio radiotelevisivo allo Stato che
può svolgerlo in condizioni di “imparzialità,
completezza e continuità su tutto il territorio
nazionale”, condizioni di obiettività ritenute più
favorevoli rispetto a quelle assicurabili dai privati,
è motivata dalla Corte Costituzionale con riferimento
alla: 1) limitatezza dei canali TV disponibili e 2)
con la considerazione che i costi ingenti dei mezzi
per le trasmissioni TV che renderebbero l’esercizio
di tale attività “privilegio di pochi”.
2.10 La sentenza in
dottrina venne valutata positivamente da chi rilevò
che la libertà di manifestazione del pensiero è
qualcosa di diverso dall’uso dei mezzi che non siano
nella disponibilità giuridica di chi voglia
esercitare tale libertà.
2.11 In senso critico si
rilevò che la Corte aveva, in sostanza, eluso il
quesito, chiedendosi se il monopolio fosse legittimo
ai sensi dell’art. 43 Cost. non aveva affrontato il
problema del suo contrasto con la libertà di
manifestazione del pensiero, risolventesi in libertà
dell’uso dei mezzi attraverso i quali il pensiero
può essere diffuso.
2.12 Il problema del
monopolio statale in materia radiotelevisiva si
ripropose negli anni settanta, quando, con l’arrivo
delle nuove tecnologie, l’estensione dei ripetitori
e la TV via cavo la Corte Costituzionale venne
chiamata nuovamente ad occuparsi della materia,
emettendo le sentenze del 9 e 10 luglio 1974 n. 225 e
n. 226.
2.13 Con la prima
pronuncia la Corte Costituzionale italiana ebbe a
dichiarare l’incostituzionalità della riserva
statale relativamente alla ripetizione in Italia di
programmi radiotelevisivi irradiati da emittenti
estere.
2.14 Con la seconda
pronuncia (Corte Cost. n. 226/74) proclamò l’incostituzionalità
della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo
in ambito locale, introducendo la possibilità di
aprire a privati in questo settore, ma, per le
trasmissioni in ambito nazionale, continuando a
mantenere la riserva in favore dello Stato.
2.15 Nell’ambito
nazionale tornava il riferimento alla “limitatezza”
dei canali disponibili, nonché la tesi secondo cui l’attività
di radiodiffusione circolare integra quella situazione
di monopolio od oligopolio che, ai sensi dell’art.
43 Cost., giustifica la riserva allo Stato dell’attività
medesima.
2.16 Tuttavia, con la
decisione n. 225/74, la Corte apre ai ripetitori di
programmi irradiati da emittenti estere perché non
operano su bande di frequenza assegnate all’Italia e
per evitare forme di “anarchia nazionale” delle
fonti d’informazione; mentre, con la sent. n. 226/74
la Corte detta i “comandamenti” ai quali il
legislatore ordinario deve ispirarsi legiferando in
materia di radiotelevisioni.
2.17 La Corte osserva
che va garantita l’indipendenza del gestore del
servizio pubblico dall’esecutivo; la “parlamentarizzazione”
dei poteri d’indirizzo e controllo sulla società
concessionaria, l’obbligo istituzionale d’obiettività
gravante sui giornalisti del servizio pubblico; l’obbligo
istituzionale di garantire il pluralismo informativo e
culturale; la limitazione delle entrate pubblicitarie
della RAI; la previsione di un sistema “d’accesso”
alla radiotelevisione pubblica in favore di gruppi
politici, religiosi, culturali e comunque socialmente
rilevanti; il riconoscimento del diritto di rettifica.
2.18 A seguito di tale
pronuncia viene approvata la legge 14 aprile 1975 n.
103 contente “nuove norme in materia di diffusione
radiofonica e televisiva” che “parlamentarizza”
il servizio TV e sottrae la RAI all’influenza del
governo, aprendola a quel pluralismo interno, che,
nelle sue degenerazioni spartitorie, ha dato luogo al
fenomeno della “lottizzazione” delle cariche dell’azienda
di Stato.
2.19 Con una successiva
sentenza, la sent. n. 202 del 1976 la Corte Cost. ebbe
poi a dichiarare l’incostituzionalità del monopolio
statale anche per le trasmissioni radiotelevisive
locali via etere, ciò sul presupposto “tecnico”
della esistenza, in ambito locale, di una
disponibilità “sufficiente” di frequenze tale da
consentire la libera iniziativa privata, senza
pericoli di monopoli e oligopoli.
2.20 Anche con la
sentenza n. 2002 del 1976 viene confermata la
legittimità del monopolio statale sulle trasmissioni
via etere in ambito nazionale, sul presupposto della
“limitatezza” dei canali disponibili, dei rischi
di “monopolio” od “oligopolio”, della
qualificazione dell’attività come servizio
pubblico. Viene dichiarata l’incostituzionalità
delle sanzioni penali previste per l’esercizio della
televisione in ambito locale senza concessione.
2.21 Tale
liberalizzazione, nell’assenza di una disciplina
legislativa sull’assegnazione delle frequenze e nell’errata
convinzione del diritto di tutti a trasmettere
liberamente via etere, creava una situazione definita
“far west” dell’etere dalla dottrina; una
situazione, in sostanza nella quale era difficile
definire quale fosse l’ambito locale delle
trasmissioni consentite e si ponevano in atto,
mediante le tecniche della c.d. “interconnessione
funzionale”, (consistente nella contemporanea messa
in onda di cassette preregistrate), vere e proprie
trasmissioni ultralocali, “mettendo in collegamento
o in rete” più operatori locali.
2.22 Prima della legge 6
agosto 1990 n. 223 la c.d. Legge Mammì che ha
ridisegnato il sistema radiotelevisivo pubblico e
privato in Italia operavano, secondo fonti RAI, 4000
emittenti radiofoniche private, 515 emittenti TV
private indipendenti, 182 emittenti TV private
consorziate in circuiti, 12 networks televisivi
nazionali, tra reti RAI e quattro estere.
2.23 Sono gli anni del
“caos dell’etere”. Un tentativo d’interconnessione
“strutturale”, con ponti radio, conduce la Corte
Cost., con la sent. n. 148/1981 a ribadire la
legittimità del monopolio statale in ambito
nazionale, sempre per il timore dei rischi di
concentrazione.
2.24 La Corte tuttavia
sollecita il legislatore ad emanare una disciplina
antitrust.
2.25 Nell’ottobre del
1984 i i Pretori di alcune città (Torino, Roma,
Pescara) dispongono il sequestro penale di alcuni
impianti che operavano in interconnessione funzionale
assumendo la violazione della riserva statale.
Le emittenti interessate
decidono il black out totale delle
trasmissioni. Il legislatore interviene con il d.l. 20
ottobre 1984 n. 694 poi conv. in l. 4 febbraio 1985 n.
10, che riconosce l’esistenza di un sistema
televisivo “misto”, prevedendo un piano d’assegnazione
delle frequenze e consentendo, nelle more dell’approvazione
della legge generale sul sistema radiotelevisivo, di
proseguire l’esercizio in abito nazionale alle
emittenti che lo avevano iniziato in via di fatto,
ritenendo l’attività liberalizzata.
2.26 La situazione
determinata dalla l. n. 10 del 1985 andrà avanti fino
al 1990. In tale situazione “transitoria” la Corte
Costituzionale, investita nuovamente del problema,
salva, stante il carattere provvisorio della
disciplina, la l. n. 10/1985 da nuovi sospetti d’incostituzionalità,
dettando, tuttavia, un “decalogo” per il
pluralismo futuro (Corte Cost. n. 826/1988).
2.27 La Corte, in tale
importante sentenza, sostanzialmente torna sulla
necessità di una legge antitrust, già evocate nella
sentenza n. 148/1981, notando tuttavia che “l’evoluzione
della situazione di fatto ha dimostrato ampiamente che
il rischio d’oligopolio paventato dalla Corte si è
trasformato in realtà”, e che la futura legge “non
potrà non contenere limiti e cautele finalizzati ad
impedire la formazione di posizioni dominanti lesive
del pluralismo (art. 21 Cost.)”.
2.28 La Corte,
assolvendo la legge n. 10/1985 per la sua
provvisorietà nota: “se l’approvazione della
nuova legge dovesse tardare oltre ogni ragionevole
limite temporale, la disciplina impugnata … non
potrebbe più considerarsi provvisoria ed assumerebbe
carattere definitivo: sicché questa Corte, nuovamente
investita della questione, non potrebbe non effettuare
una diversa valutazione con le relative conseguenze”.
Di qui l’intervento del legislatore.
2.29 Il sistema “misto”
radiotelevisivo si realizza in Italia, con la l. n.
223 del 1990 (legge Mammì). Si tratta di una
normativa che si innesta tuttavia, su una situazione
di fatto preesistente connotata dalla presenza di
oligopoli privati e della concessoria pubblica della
radiotelevisione.
2.30 La legge Mammì
istituisce il Garante per la radiodiffusione e l’editoria,
che assume, nell’ambito del sistema radiotelevisivo,
una posizione centrale. La legge inoltre stabilisce
alcuni limiti antitrust prevedendo un divieto di
essere titolari di più di tre reti TV su scala
nazionale (art. 15).
2.31 Nel 1994, innanzi
al Tar del Lazio, viene sollevata la questione di
costituzionalità relativa all’art. 15 della legge
n. 223/1990, che la Corte Cost. decide con sent. n.
420/1994 dichiarando l’incostituzionalità della
legge Mammì nella parte in cui consente ad un solo
soggetto di possedere fino a tre reti televisive su un
totale di dodici pianificate. La Corte tuttavia lascia
in vita la disposizione transitoria del d.l. n. 323
del 1993 che consentiva alle emittenti fino ad allora
operanti di continuare per un triennio e cioè fino
all’agosto del 1996.
2.32 La Corte in
definitiva, nel dichiarare l’incostituzionalità
della normativa sul duopolio nota come l. Mammì non
ha voluto determinare un “vuoto” normativo per
consentire l’intervento “razionale” e “discrezionale”
del legislatore. Spetterà quindi al legislatore
emanare una nuova disciplina del settore “riducendo
il limite numerico delle reti concedibili ad uno
stesso soggetto ovvero ampliando, ove l’evoluzione
tecnologica lo renda possibile, il numero delle reti
complessivamente consentibili”. Spetterà al
legislatore, in sostanza, superare il duopolio
RAI-FININVEST, affermatosi nel corso del tempo per
effetto delle vicende fino ad ora ricordate.
2.33 Si arriva quindi
alla legge n. 249 del 1997 (legge c.d Maccanico) che
ha dettato la nuova disciplina del sistema
radiotelevisivo, in ossequio alla citata sentenza
della Corte Cost. n. 420/1994 prevedendo più
ristretti limiti concentrativi rispetto a quelli
previsti dall’art. 15 l. n. 223/1990.
2.34 La legge n.
249/1997 ha, infatti, vietato ad uno stesso soggetto
di essere titolare di concessioni che consentano di
irradiare più del 20 per cento delle reti televisive
in ambito nazionale su frequenze terrestri sulla base
del piano nazionale d’assegnazione delle frequenze
(art. 2 comma 6). Relativamente alle reti televisive
nazionali su frequenze terrestri che trasmettono in
forma codificata, la legge ha previsto che un soggetto
non possa ottenere più di una concessione televisiva
(art. 3, comma 11).
2.35 La legge – e
questo è punto decisivo – ha anche introdotto una
disciplina transitoria delle reti televisive nazionali
esistenti, eccedenti i predetti limiti concentrativi,
stabilendo che dette reti potevano continuare a
trasmettere in via transitoria, dopo il 30 aprile
1998, nel rispetto degli obblighi previsti per le
emittenti concessionarie, a condizione che le
trasmissioni fossero effettuate simultaneamente su
satellite o cavo (art. 3 comma 6).
2.36 La legge ha poi
affidato all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni (subentrata al vecchio Garante) la
fissazione del termine entro il quale, in relazione
all’effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei
programmi via cavo o via satellite le predette reti
eccedenti avrebbero dovuto trasmettere programmi
esclusivamente su satellite o cavo, abbandonando le
frequenze terrestri (art. 3 co. 7).
2.37 I principali
provvedimenti attuativi della l. n. 249/1997 sono il
Piano nazionale delle frequenze approvato con delibera
n. 68/98 dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e il regolamento n. 78/98 della stessa
Autorità relativo ai requisiti ed alle modalità per
il rilascio delle concessioni televisive su frequenze
terrestri in tecnica analogica.
2.38 La legge n. 249/97
prevedeva che il piano indicasse il numero massimo
delle reti televisive nazionali assentibili, tutte di
identica copertura, ciascuna rete dovendo coprire
almeno l’80% del territorio italiano e tutti i
capoluoghi di provincia.
2.39 Il Piano ha
individuato 11 reti televisive a copertura nazionale
da assegnare alle emittenti nazionali. Su tale numero
era calcolato il 20 per cento – limite antitrust –
pari a due reti. Delle 11 reti tre erano assegnate per
legge al servizio pubblico radiotelevisivo ed otto
reti private a copertura nazionale erano assentibili
ad emittenti privati a mezzo di gara.
2.40 Il regolamento n.
78/98 ha stabilito le modalità di rilascio delle
concessioni televisive private su frequenze terrestri
in tecnica analogica.
2.41 Tale regolamento
prevedeva, all’art. 9, che la fase di valutazione e
comparazione delle domande di concessione fosse
affidata ad un’apposita Commissione nominata dal
Ministro delle comunicazioni sulla base di un elenco
di esperti indicato dalla stessa Autorità. Le aree di
valutazione delle domande di concessione erano:
a) qualità dei
programmi;
b) piano d’impresa,
investimenti, sviluppo della rete;
c) occupazione;
d) esperienze maturate
nel settore radiotelevisivo ed in altri settori.
2.42 La
predeterminazione dei punteggi minimi e massimi
conseguibili nelle citate aree di valutazione, nonché
l’individuazione degli elementi relativi a ciascun’area,
veniva effettuata dal disciplinare di gara, previsto
dall’art. 1, co. 6 lett. c) n. 6) della l. n.
249/1997 ed approvato dal Ministro delle comunicazioni
con decreto 8/3/99 su proposta dell’Autorità.
2.43 Il disciplinare di
gara prevedeva che le concessioni fossero rilasciate
nel rispetto del numero di reti individuate dal Piano
nazionale d’assegnazione delle frequenze e nel
rispetto dei limiti anticoncentrativi stabiliti dalla
ripetuta legge n. 249/97.
2.44 In data 28 luglio
1999, sulla base della graduatoria approvata dalla
Commissione, furono rilasciate le seguenti concessioni
nazionali: Canale 5, ITALIA 1, TELE+BIANCO, TMC, TMC2,
EUROPA 7, ELEFANTE TELEMARKET.
2.45 Alle emittenti
RETEQUATTRO e TELE+NERO la concessione non fu
rilasciata perché eccedevano i limiti concentrativi.
Peraltro esse hanno continuato ad esercire le reti
terrestri in via transitoria, ciò autorizzando la
legge.
2.46 In sostanza le
emittenti non hanno maturato, non avendo ottenuto la
concessione, il diritto d’installare ed esercire
reti nazionali ma, ciononostante continuano a farlo,
essendo state censite ai sensi dell’art. 32 della l.
n. 223/1990.
2.47 Emittenti come
Europa 7, invece, pur avendo ottenuto la concessione,
non essendo nella condizione di esercire una rete all’atto
di presentazione della domanda di connessione, ma
essendo nuovi entranti, che non possiedono una rete d’impianti
in esercizio, attendevano l’assegnazione delle
frequenze.
2.48 La concessione
rilasciata ad Europa 7 individua le caratteristiche
tecniche di irradiazione ma non assegna frequenze.
2.49 I canali, secondo l’Autorità,
sarebbero stati determinati successivamente, al
momento dell’attuazione del piano delle frequenze
(così memoria dell’Avvocatura pag. 9 e ss.). Il
piano tuttavia, secondo le Amministrazioni resistenti,
non si rivelava di facile attuazione per effetto di
alcune controversie giudiziarie sui dinieghi di
concessione (Rete Mia, Rete Capri, Rete A).
2.50 Su questo quadro si
inserivano la legge n. 66 del 2001 e la legge n. 112
del 2004 quest’ultima adottata a seguito della
sentenza della Corte Cost. n. 466/2002, che fissava al
31/12/2003 il termine improrogabile per il
trasferimento delle reti eccedenti dell’etere al
cavo o al satellite.
2.51 Tale normativa,
nota come Legge Gasparri, dal nome del Ministro
proponente, ha finito con il prolungare ancora una
volta, attraverso il meccanismo del generale
assentimento (art. 23 co. 1 e co. 5 l. 112/2004), la
possibilità per le emittenti esercenti reti “eccedenti”
i limiti anticoncentrativi di non liberare le
frequenze da riassegnare ai soggetti titolari di
concessioni vinte a seguito di gara.
La normativa europea
rilevante.
3. Va ora esaminata la
normativa europea di settore.
In primo luogo va
ricordato che il principio del pluralismo delle fonti
d’informazione è il cardine della politica europea
delle comunicazioni di massa e che si tratta di un
principio non certo estraneo al diritto comunitario:
infatti esso è contenuto nell’art. 10 della CEDU
secondo cui “1. Ogni persona ha diritto alla
libertà d’espressione. Tale diritto include la
libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di
comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna
da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo
alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce
che gli Stati sottopongano a un regime di
autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di
cinema o di televisione. 2. L’esercizio di queste
libertà, comportando doveri e responsabilità, può
essere subordinato a determinate formalità,
condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla
legge e costituenti misure necessarie in una società
democratica, per la sicurezza nazionale, l’integrità
territoriale o l’ordine pubblico, la prevenzione dei
disordini e dei reati, la protezione della salute e
della morale, la protezione della reputazione o dei
diritti altrui, o per impedire la divulgazione di
informazioni riservate o per garantire l’autorità e
l’imparzialità del potere giudiziario”.
3.2 Tale articolo della
CEDU fa parte integrante dei principi generali del
diritto comunitario, essendo richiamato dall’art. 6
comma 2 del Trattato sull’Unione Europea, che
sancisce “l’Unione rispetta i diritti fondamentali
quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni
degli Stati membri”.
3.3 La Corte europea dei
diritti dell’uomo ha accolto un’interpretazione
dell’art. 10 CEDU tale da ricercare l’importanza
della libertà di ognuno di ricevere il più possibile
un’informazione pluralistica e non condizionata
dalla presenza di posizioni dominanti.
In particolare nella
sentenza Information-sverein Lentia c. Austria
del 24 novembre 1993 la Corte di Strasburgo ha
statuito che la tutela del diritto all’informazione
può essere garantita dagli Stati membri
esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si
basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è
“ultimate guarantor”. Il principio pluralistico
-poi- nelle tradizioni costituzionali degli Stati
membri (ivi compresa l’Italia) va distinto in “pluralismo
interno” e “pluralismo esterno” il primo inteso
quale complesso di obblighi volti a garantire l’accesso
alle reti, il secondo volto a garantire la presenza di
una pluralità di operatori sul mercato.
3.4 Il principio del
pluralismo assume – poi la Corte di Strasburgo –
un particolare significato in relazione all’attività
delle imprese radiotelevisive, considerata l’ampia
diffusione dei loro programmi (sentenze Jersild
del 23 settembre 1994 e Piermont del 27 aprile
1995).
3.5 Va citata altresì
la risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa sul pluralismo (n.1/99) che nel preambolo,
rileva che “l’esistenza di una molteplicità di
“Media-outlets” (fornitori di servizi di
comunicazione commerciale), autonomi ed indipendenti,
a livelli diversi, nazionale, regionale e locale
generalmente aumenta (enhances) il pluralismo e
la democrazia”. Su tale premessa si raccomanda agli
Stati membri di adottare misure per promuovere il
pluralismo nei media. In particolare, sotto la rubrica
“Regulation of ownership: broadcasting and the
press”, sottolinea la necessità che gli Stati
adottino una normativa finalizzata a prevenire o
reprimere concentrazioni che possano mettere a
repentaglio il pluralismo dell’informazione a
livello nazionale, regionale o locale.
3.6 La Risoluzione più
in dettaglio, chiede agli Stati di introdurre una
disciplina in termini di soglie finanziarie volta a
limitare l’influenza che un singolo operatore o un
gruppo può esercitare in uno o più mezzi di
comunicazione. Tali soglie, procede la Risoluzione,
possono riferirsi alla quota massima di audience
ovvero possono essere basate sulle risorse raccolte
dal singolo operatore nel mercato di riferimento. La
risoluzione non prende in considerazione il numero dei
canali controllati da un singolo soggetto, ciò
perché tale criterio potrebbe essere del tutto
insufficiente rispetto ad un effettivo ampliamento
delle risorse disponibili ottenuto grazie all’uso di
sistemi di diffusione di programmi alternativi all’etere
terrestre (quali il satellite, il cavo) o sistemi di
compressione digitale del segnale anche diffuso via
etere terrestre (digitale terrestre).
3.7 La Risoluzione non
è un testo normativo, ma può assumere, come in
effetti assume, rilevanza ai fini dell’interpretazione
dell’art. 10 CEDU.
3.8 Altra disposizione
rilevante è l’art. 11, co. 2 della Carta europea
dei diritti fondamentali secondo cui “La libertà
dei media ed il loro pluralismo sono rispettati”.
Tale testo può considerarsi avente valore ricognitivo
delle tradizioni costituzionali degli Stati membri e
la sua violazione è un illecito comunitario ai sensi
dell’art. 7 del Trattato sull’Unione Europea.
3.9 In questo senso si
è espresso il Parlamento Europeo nella risoluzione
del 15 gennaio 2003 “Rapporto sullo stato dei
diritti umani in Europa” nonché nella più recente
Risoluzione dell’aprile 2004 sui rischi di
violazione, nell’UE, e particolarmente in Italia,
della libertà di espressione e d’informazione (art.
11, co. 2 della Carta dei diritti fondamentali).
3.10 Naturalmente il
principio pluralistico deve essere “contestualizzato”
e “relativizzato” alla luce della realtà
tecnologiche e della consistenza dei mercati, dovendo
tuttavia risolversi nella garanzia del pluralismo
interno ed esterno.
A questo proposito va
rilevato che la tendenza della legislazione, nel
decennio scorso, era a dare rilevanza al solo numero
dei canali o alla quota di proprietà, mentre
attualmente rilevano parametri diversi, quali le
risorse controllate da un singolo soggetto, l’audience
ecc..
3.11 La Comunità ha sin
dai suoi primi interventi riservato sempre attenzione
al fenomeno delle trasmissioni radiotelevisive, prima
con la dir. 89/552/CE considerando le stesse un “servizio”
ai sensi del Trattato, del quale garantire la “libera
circolazione” e la “libertà di prestazione”;
poi occupandosi di tutelare la libera circolazione dei
“servizi criptati” (dir. 98/84/CE).
3.12 Alla luce della
considerazione dell’attività di trasmissione
radiotelevisiva come “servizio” non v’è dubbio
che gli Stati membri nel rilasciare le concessioni all’uso
dell’etere debbano rispettare puntualmente i
principi del Trattato come “riconosciute” nella
“comunicazione interpretativa” della Commissione
del 29 aprile 2000 assegnando le stesse secondo regole
che assicurino, parimenti, non discriminazione,
parità di trattamento, trasparenza, criteri certi,
obiettivi e predeterminati d’assegnazione,
adeguatezza e proporzionalità agli scopi conseguiti,
rispetto dei diritti dei singoli.
3.13 Tali criteri sono
stati in sostanza “ribaditi” dall’art. 9 co. 1
della direttiva del Parlamento Europeo che istituisce
un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di
comunicazione elettronica ove prevede che “Gli Stati
membri provvedono alla gestione efficiente delle
radiofrequenze per i servizi di comunicazione
elettronica ai sensi dell’art. 8. Essi garantiscono
che l’allocazione e l’assegnazione di tali
radiofrequenze da parte delle autorità nazionali di
regolamentazione siano fondate su criteri obiettivi,
trasparenti, non discriminatori e proporzionati.
3.14 Gli obiettivi
generali sono legati al raggruppamento di una
concorrenza effettiva e le autorità nazionali sono
tenute ad assicurare una regolamentazione
tecnologicamente neutrale (art. 8 direttiva 7.3.2002
n. 2002/21/CE c.d. direttiva quadro).
3.15 Quando gli Stati
membri limitano i diritti d’uso da concedere per le
frequenze radio solo in numero limitato, rispettano
sempre criteri di selezione obiettivi, trasparenti,
proporzionati e non discriminatori (art. 7 direttiva
7.3.2002 n. 2002/20/CE, c.d. direttiva
autorizzazioni).
3.16 In ultimo, anche se
ai sensi dell’art. 5 della direttiva 7.3.2002 n.
2002/20/CE sono “fatti salvi criteri e procedure
specifici adottati dagli Stati membri per concedere i
diritti d’uso delle frequenze radio ai fornitori di
servizi di contenuto radiofonico o televisivo” si
chiarisce che ciò deve avvenire “sempre” per il
conseguimento di “obiettivi d’interesse generale
conformemente alla normativa comunitaria” e che tali
diritti “sono concessi mediante procedure pubbliche,
trasparenti e non discriminatorie”.
3.17 L’adeguamento
alla direttiva autorizzazioni sarebbe dovuto avvenire
entro il 24 luglio 2003 (art. 17), la proroga di
autorizzazioni preesistenti può avvenire “a
condizione di non ledere i diritti di cui godono altre
imprese in forza della normativa comunitaria (art. 17
co. 2).
3.18 Quanto poi alla
Legge Gasparri va richiamata la recente analisi che di
essa è stata fornita dalla “European Commission
for Democracy through law” o “Venice
Commission”, con opinione del 13/6/2005 che si
è soffermata analiticamente sull’impianto della
legislazione ed in particolare sull’utilizzo del SIC
(sistema integrato di comunicazione) come criterio per
l’individuazione del mercato rilevante, quanto meno
allo stadio attuale dell’evoluzione tecnologica
(criterio che viene dalla Commissione ritenuto non
adeguato a creare condizioni di effettiva
concorrenzialità).
3.19 In tale documento
si ricorda che la Commissione europea in un numero
rilevante di casi antitrust che riguardavano il
settore dei “media” ha distinto fra mercati
differenti (Pay-TV e televisione via etere sono stati
considerati distintamente) e questo sulla base della
diversità delle aspettative reddituali e della
tipologia di servizi resi dagli operatori. Ciò si
ritiene contrastare con il “pluralismo esterno” in
quanto consente il perpetuarsi di una situazione
sostanziale duopolio (pagg. 22-23 dell’opinione
citata).
La rilevanza e la
serietà delle questioni pregiudiziali comunitarie
4. Ciò premesso,
analizzata l’evoluzione del diritto italiano e del
diritto comunitario in materia di sistema
radiotelevisivo, ci si deve brevemente soffermare
sulla rilevanza e sulla serietà delle questioni
pregiudiziali ipotizzabili nella presente controversia
sulla compatibilità della normativa italiana, sin
dalla l. n. 249/1997, con i principi sopra individuati
e le norme del diritto comunitario primario e
derivato.
4.1 In primo luogo il
Collegio ritiene che la controversia sia di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 204 del
2004, trattandosi di una controversia su una
concessione, rilasciata in materia di
telecomunicazioni (art. 5 l. n. 1034/1971 e 33 co. 1
d.lgs n. 80/1998 come sostituito dall’art. 7 l. n.
205/2000 e “riscritto” da Corte Cost. n.
204/2004).
4.2 Tale controversia
poi, riguardando una concessione già rilasciata, ha
ad oggetto nella prospettazione, una situazione
giuridica soggettiva correlata al potere
amministrativo (Corte Cost. n. 204/2004), avendo l’AGCOM
(come chiarito al punto 15 della narrativa in fatto)
rilasciato una concessione alla società appellante
per “l’installazione e l’esercizio di una rete d’impianti
di radiodiffusione televisiva a copertura nazionale”,
senza tuttavia assegnare specifiche frequenze,
nonostante la gara fosse svolta, come è ovvio, per
ottenere l’effettivo esercizio di impianti
radiotelevisivi su frequenze terrestri (ed è tale “anomala”
situazione che si chiede di valutare a fini
risarcitori). Tale controversia spetta alla
giurisdizione del giudice amministrativo in forza dei
disposti normativi prima citati.
4.3 La controversia ha
ad oggetto una domanda risarcitoria, sia in forma
specifica che per equivalente, ma il Collegio,
rilevato che la controversia pende in appello e che
sono state evocate solo le Amministrazioni, e non i
titolari delle “reti eccedenti” che,
indubitabilmente, sarebbero incisi da una statuizione
di condanna in forma specifica ritiene di doversi
limitare a conoscere dell’unica domanda allo stato
procedibile ossia la domanda di risarcimento per
equivalente (riservando al prosieguo ogni ulteriore
provvedimento in merito alla azione di reintegra in
forma specifica).
4.4 Quanto alla domanda
di risarcimento danni per equivalente, essa è stata
proposta nei termini già esposti nella narrativa in
fatto ai punti 33.6 e seguenti, a partire dall’anno
2000 e fino alla data odierna, con diversa
quantificazione a seconda che il Consiglio di Stato
ritenga accoglibile o meno (nel merito) la domanda di
reintegra in forma specifica (o di adempimento
mediante assegnazione delle frequenze).
4.5 La mancata
assegnazione delle frequenze al vincitore della gara
per il rilascio delle concessioni radiotelevisive ai
sensi della legge Maccanico è stata determinata da
fattori essenzialmente normativi, ripercorsi tutti
nella parte in diritto dell’ordinanza, dedicata all’evoluzione
del sistema radiotelevisivo nel diritto italiano
(parte in diritto, numeri 2 e ss.). In particolare si
deve considerare che l’art. 3 della l. n. 249/1997
consentiva agli “occupanti di fatto” delle
frequenze radio, legittimati ad operare in base alla
disciplina antecedente la legge Mammì (l. n. 223/90),
dichiarata incostituzionale con la sentenza Corte
Cost. n. 420/1994 (che tuttavia aveva lasciato in vita
la disciplina transitoria del d.l. n. 323 del 1993),
di continuare a trasmettere fino al rilascio delle
nuove concessioni ovvero alla reiezione della domanda
e comunque non oltre il 30 aprile 1998” termine
tuttavia derogabile dall’Autorità, in caso di
complessità del piano d’assegnazione delle
frequenze, senza superare il 30 aprile 1999 (art. 3
co. 2 l. n. 249/1997) termine poi ancora posticipato
di nove mesi dall’art. 1 l. 30 aprile 1998 n. 122.
4.6 La stessa legge
Maccanico, all’art. 3 co. 7, consentiva la
prosecuzione di tali trasmissioni di fatto
praticamente rimettendo all’Autorità la fissazione
di un termine finale, alla sola condizione che le
trasmissioni fossero effettuate contemporaneamente su
frequenze terrestri e via satellite o via cavo.
4.7 Tale situazione
veniva dichiarata incostituzionale dalla Corte Cost.
con la sentenza n. 466 del 2002 fissando la data,
improrogabile, del 31.12.2003 entro la quale i
programmi irradiati dalle reti eccedenti avrebbero
dovuto essere trasmessi solo via satellite o via cavo
(con liberazione delle frequenze da assegnare all’appellante).
4.8 Il termine posto
dalla Corte Cost. tuttavia non veniva rispettato, a
seguito dell’intervento del legislatore di cui all’art.
1 d.l. n. 352/2003 (conv. in l. n. 43/2004) che
prorogava l’esercizio dalle reti eccedenti fino allo
svolgimento di una indagine dell’AGCOM sullo
sviluppo delle reti digitali terrestri e poi per l’intervento
della Legge Gasparri (l. n. 112/2004) che, all’art.
23 co. 5, prevede la seguente disposizione “a
decorrere dalla data di entrata in vigore della
presente legge, la licenza di operatore di rete
televisiva è rilasciata, su domanda, ai soggetti che
esercitano legittimamente l’attività di diffusione
televisiva in virtù del titolo concessorio ovvero per
il generale assentimento di cui al comma 1, qualora
dimostrino di avere raggiunto una copertura non
inferiore al 50 per cento della popolazione o del
bacino locale”; disposizione per effetto della quale
si “consolida” il fenomeno di occupazione di fatto
più volte stigmatizzato dalla Corte Costituzionale
italiana.
4.9. Giova rilevare che
la domanda di risarcimento danni per equivalente, alla
luce del diritto interno, non sarebbe fondata,
quantomeno fino al 31.12.2003, avendo la Corte Cost.,
con la sentenza n. 466 del 2002, “legittimato”
fino a tale data il periodo transitorio previsto dalla
legge n. 249/1997 (legge Maccanico).
4.10 Per i danni subiti
in conseguenza della mancata attribuzione delle
frequenze, nel periodo dal 2000 al 31.12.2003,
residua, quindi, solo la possibilità di una verifica
della compatibilità comunitaria della disciplina di
cui alla l. n. 249/1997.
4.11 Giova puntualmente
richiamare il principio secondo cui una volta
pronunciatasi la Corte Costituzionale di uno Stato
membro, non deve ritenersi improprio che lo scrutinio
su di una legge possa essere effettuato anche dalla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, per
verificare eventuali contrasti con il diritto
comunitario.
4.12 Il diritto
comunitario ed il diritto nazionale, infatti, pur
convergendo l’operato delle Corti nella creazione di
un patrimonio costituzionale comune, proprio di un
ordinamento multi-livello, riposano su differenti
norme fondamentali. Tali norme formano distinti
sistemi giuridici, anche se integrati. Da ciò deriva
che l’accertamento di un eventuale contrasto “originario”
della legge Maccanico (l. n. 249/1997) con il diritto
comunitario non è precluso dal giudicato
costituzionale, né potrebbe mai esserlo, altro e
distinto essendo lo spazio d’apprezzamento del
giudice comunitario, che usa i parametri normativi
suoi propri, concorrenti con quelli delle costituzioni
interne, nel dar vita all’ordinamento giuridico
comune.
4.13 A sua volta il
diritto comunitario non è solo un diritto
sovranazionale che vincola solo gli Stati, a cui il
diritto interno si adegua ma è un diritto interno
comune, che si indirizza ai cittadini ed alle imprese,
ed opera, con la disapplicazione e/o previa uniforme
interpretazione garantita dalla Corte di Giustizia CE,
sostituendosi ai diritti nazionali. In ciò il diritto
comunitario trova la sua radice nelle tradizioni
costituzionali comuni (art. 6 Tr. Union), nel “patrimonio
costituzionale europeo”, per fondare autonome
situazioni giuridiche soggettive, di rilevanza
comunitaria, azionabili nei diversi fori.
4.14 Occorre, quindi,
anche in considerazione del fatto che lo stesso
appellante ha chiesto la disapplicazione della
disciplina nazionale che la lede, ed ha poi, con
memoria del 7 aprile 2005, formulato questioni
pregiudiziali, prioritariamente rispetto alle
questioni di costituzionalità (pur sollevate dall’appellante,
incidenti solo su una parte della domanda – i danni
lamentati successivamente al 31.12.2003, data fissata
da Corte Cost. n. 466/2002 per la cessazione del
periodo “transitorio” di continuazione dell’esercizio
delle reti eccedenti – e sulle quali il collegio si
riserva di ritornare nel prosieguo del giudizio)
formulare i seguenti quesiti pregiudiziali relative
alla dubbia interpretazione del diritto comunitario:
1) se l’art. 10 CEDU,
come richiamato dall’art. 6 del Trattato sull’Unione
garantisca il pluralismo informativo esterno nel
settore radiotelevisivo, con ciò obbligando gli Stati
membri a garantire un pluralismo effettivo ed una
concorrenza effettiva, nel settore, basata su un
sistema antitrust che, in relazione allo sviluppo
tecnologico garantisca accesso alle reti e pluralità
degli operatori, senza possibilità di ritenere
legittimi assetti duopolistici del mercato;
2) se le disposizioni
del Trattato CE che garantiscono la libertà di
prestazioni di servizi e la concorrenza, nell’interpretazione
datane dalla Commissione con la comunicazione
interpretativa del 29 aprile 2000 sulle concessioni
nel diritto comunitario, esigono principi di
affidamento delle concessioni capaci di assicurare un
trattamento non discriminatorio, paritario, nonché
trasparenza, proporzionalità e rispetto dei diritti
dei singoli e se, con tali disposizioni e principi del
Trattato contrastino le disposizioni del diritto
italiano di cui all’art. 3, co. 7 l. n. 249/1997, di
cui all’art. 1 del d.l. 24.12.2003 n. 352 conv. in
l. n. 112/2004 (legge Gasparri) in quanto hanno
consentito a soggetti esercenti reti radiotelevisive
“eccedenti” i limiti antitrust, di continuare
ininterrottamente ad esercitare la loro attività
escludendo operatori come la società appellante che,
pur in possesso della relativa concessione, assegnata
a seguito di regolare procedura competitiva, non hanno
potuto svolgere l’attività concessionata per
mancata assegnazione di frequenze (dovuta alla loro
insufficienza o scarsità, determinata dalla anzidetta
prosecuzione dell’esercizio da parte dei titolari
delle c.d. reti eccedenti);
3) se, a decorrere dal
25 luglio 2003, l’art. 17 della direttiva 2002/20/CE
(direttiva autorizzazioni) imponesse l’efficacia
diretta di tale direttiva nell’ordinamento interno
ed imponesse l’obbligo, allo Stato membro che avesse
rilasciato concessioni per l’attività di radio
diffusione televisiva (comprensive del diritto d’installare
reti o di fornire servizi di comunicazione elettronica
o diritto all’uso di frequenze), di allinearle alla
disciplina comunitaria e se tale obbligo dovesse
comportare la necessità di effettivamente assegnare
le frequenze necessarie per svolgere l’attività;
4) se l’art. 9 della
direttiva 2002/21/CE direttiva quadro e l’art. 5
della direttiva autorizzazioni prevedendo procedure
pubbliche, trasparenti e non discriminatorie (art. 5)
svolte in base a criteri obiettivi, trasparenti, non
discriminatori e proporzionali (art. 9) siano in
contrasto con un regime di generale assentimento,
previsto dal diritto nazionale (art. 23 co. 5 l.
112/2004), che, consentendo la prosecuzione delle “c.d.
reti eccedenti” non selezionate a mezzo gare finisce
per ledere i diritti di cui godono altre imprese in
forza della normativa comunitaria (art. 17 co. 2
direttiva 7.3.2002 n. 2002/20/CE c.d. direttive
autorizzazioni), le quali, pur vincitrici di procedure
competitive si vedono preclusa la possibilità di
operare;
5) se l’art. 9 della
direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro), l’art. 5,
par. 2, co. 2 e 7 par. 3, direttiva 2002/20/CE
(autorizzazioni) e 4 della direttiva 2002/77/CE
imponessero agli Stati membri di far cessare,
quantomeno a decorrere dal 25 luglio 2003 (v. art. 17
direttiva autorizzazioni) una situazione di
occupazione di fatto delle frequenze (esercizio d’impianti
senza concessioni o autorizzazioni rilasciate a
seguito di comparazione degli aspiranti) con
riferimento all’attività di radiodiffusione
televisiva, quale quella svolta, così non consentendo
uno svolgimento di tale attività al di fuori di
qualsiasi corretta pianificazione dell’etere ed al
di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo
oltre che in contraddizione con le stesse concessioni
assegnate dallo Stato membro all’esito di una
procedura pubblica;
6) se la deroga prevista
dell’art. 5, par. 2, co. 2 direttiva 2002/20/CE
(direttiva autorizzazioni) e dell’art. 4 direttiva
2002/77/CE fosse e sia invocabile dallo Stato membro
solo a tutela del pluralismo informativo e per
garantire la tutela della diversità culturale o
linguistica e non a favore degli esercenti di reti
eccedenti i limiti antitrust già previsto dalla
normativa nazionale;
7) se, per avvalersi
della deroga di cui all’art. 5 direttiva 2002/20/CE
lo Stato membro debba indicare quali sono gli
obiettivi effettivamente perseguiti con la normativa
derogatoria nazionale;
8) se, tale deroga possa
applicarsi al di fuori del caso dalla concessionaria
del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI in Italia)
anche a favore di operatori privati non vincitori di
procedure competitive ed a danno di imprese che
abbiano invece regolarmente visto assentita una
concessione a seguito di gara;
9) se, ancora, il quadro
di regole derivanti dal diritto comunitario dei
Trattati e derivato, improntato a garantire una
concorrenza effettiva (workable competition)
anche nel settore del mercato radiotelevisivo, non
avrebbe dovuto imporre al legislatore nazionale di
evitare la sovrapposizione della proroga del vecchio
regime transitorio analogo collegata all’avvio del
c.d. digitale terrestre, poiché solo nel caso del
c.d. switch-off delle trasmissioni analogiche
(con il conseguente passaggio generalizzato al
digitale) sarebbe possibile riallocare frequenze
liberate per vari usi, mentre, nel caso del mero avvio
del processo di transizione al digitale terrestre, si
rischia di ulteriormente aggravare la scarsità delle
frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione
analogica e digitale in parallelo (simulcast);
10) se, in ultimo, la
tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e
della concorrenza nel settore radiotelevisivo
garantita dal diritto europeo sia assicurata da una
disciplina nazionale – come la l. n. 112/2004 –
che prevede un nuovo limite del 20 per cento delle
risorse, collegato ad un nuovo paniere (il c.d. SIC:
art. 2 lett. 9; art. 15 l. n. 112/2004) molto ampio
che include anche attività che non hanno impatto sul
pluralismo delle fonti d’informazioni, mentre il “mercato
rilevante” nel diritto antitrust è costruito
normalmente differenziando i mercati, nel settore
radiotelevisivo, perfino distinguendo fra pay-tv e
televisioni non a pagamento che opera via etere (si
vedano inter alios i casi della Commissione NO.
COMP/JV. 37-BSKYB/Kirch Pay TV Regulation (EEC) NO.
4064/89 Merger Procedure 21/03/2000 e NO. COMP/M.2876-NEWSCORP-TELEPIU’
Regulation (EEC) NO. 4064/89 Merger Procedure
2/4/2003).
Da quanto esposto
consegue la sospensione del giudizio e la trasmissione
degli atti alla Corte di Giustizia delle
Comunità Europee ai sensi dell’art. 234 del
Trattato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale, Sezione Sesta, rimette alla
Corte di Giustizia delle Comunità Europee, in via
pregiudiziale, le questioni interpretative indicate al
punto 4.14 (da n. 1 a n. 10) della motivazione in
diritto della presente ordinanza e sospende il
giudizio in attesa della pronuncia della Corte.
Riserva ogni altra
pronuncia all’esito della definizione delle
questioni pregiudiziali.
Ordina che la presente
decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il
19 aprile 2005 dal Consiglio di Stato, in sede
giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio,
con l'intervento dei Signori:
Claudio VARRONE Presidente
Giuseppe ROMEO Consigliere
Giuseppe MINICONE Consigliere
Francesco D’OTTAVI Consigliere
Giancarlo MONTEDORO Consigliere Est.
Presidente
C. Varrone
Consigliere Segretario
G. Montedoro V.
Zoffoli
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