REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 2622/08
Reg.Dec.
N. 10395 Reg.Ric.
ANNO 2004
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da Centro Europa 7
s.r.l., in persona del legale rappresentante pro
tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandro
Pace, dall’Avv. Giuseppe Oneglia e dall’Avv.
Ottavio Grandinetti con domicilio eletto in Roma
piazza delle Muse n. 8 presso Associazione
Professionale Studio Legale Pace;
contro
Ministero delle comunicazioni e Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro-tempore,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale
dello Stato con domicilio in Roma, via dei Portoghesi
n. 12;
Direzione Generale Autorizzazioni e Concessioni del
Ministero delle Comunicazioni, non costituitasi in
giudizio;
con l’intervento di
Mediaset s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e
difeso dagli avv.ti Luigi Medugno e Giuseppe Rossi, ed
elettivamente domiciliato presso il primo, in Roma,
via Panama, n. 58;
Prima Tv s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e
difeso dagli avv.ti Filippo Satta, Stefania Bariatti e
Luca Perfetti, ed elettivamente domiciliato presso il
primo, in Roma, via Pier Luigi da Palestrina, n. 47;
Federazione Radio Televisioni, in persona del legale
rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio,
rappresentato e difeso dall’Avv.to Claudio Chiola,
ed elettivamente domiciliato presso lo stesso, in
Roma, via della Camilluccia, n. 785;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
del Lazio, Sezione II, n. 9315/04 pubblicata il 16
settembre 2004;
Visto il ricorso con i
relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio delle amministrazioni
appellate e gli atti di intervento di Mediaset s.p.a.,
di Prima Tv s.p.a. e della Federazione Radio
Televisioni;
Viste le memorie
prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Vista la sentenza della
Corte di Giustizia, sezione IV, 31 gennaio 2008,
C-380/05;
Visti gli atti tutti
della causa;
Alla pubblica udienza
del 6 maggio 2008 relatore il Consigliere Roberto
Chieppa.
Uditi l'Avv. Pace, l’Avv.
Grandinetti, l’Avv. Medugno, l’Avv. Satta, l’Avv.
Perfetti, l’Avv. Bariatti, l’Avv, Chiola e l'Avv.
dello Stato Di Carlo;
Ritenuto e considerato
in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T
O E D I R I T T O
1. Centro Europa 7
s.r.l. ha partecipato alla gara, indetta in attuazione
della legge n. 249 del 1997, ai fini del rilascio
delle concessioni per la radiodiffusione televisiva su
frequenze terrestri in ambito nazionale ed, essendosi
classificata con l’emittente “Europa 7” al
settimo posto della relativa graduatoria, ha ottenuto
il rilascio di una delle suddette concessioni (d.m. 28
luglio 1999), nella quale, pur prevedendosi che in
forza del suddetto provvedimento l’istante aveva
titolo ad installare ed esercitare una rete d’impianti
di radiodiffusione televisiva, non erano assegnate
specifiche frequenze in attesa del programma di
adeguamento degli impianti al Piano nazionale di
assegnazione delle frequenze.
Non avendo le competenti
amministrazioni proceduto all’assunzione di alcun
provvedimento di assegnazione delle frequenze, con
ricorso al Tar del Lazio notificato il 27 novembre
2003 Centro Europa 7 ha chiesto:
a) la condanna, anche ai
sensi degli artt. 33 e 35 del d.lgs. n. 80 del 1998,
così come modificato dall’art. 7 della l. n. 205
del 2000, delle amministrazioni resistenti ad
assegnare alla ricorrente una rete di impianti di
radiodiffusione costituita da impianti ubicati nei
siti individuati dal Piano nazionale delle frequenze,
o, in subordine, la condanna delle stesse
amministrazioni all’assegnazione alla ricorrente di
canali comunque idonei a farle raggiungere la
copertura di almeno l’80 % del territorio nazionale
e di tutti i capoluoghi di provincia;
b) la condanna delle
amministrazioni resistenti, ciascuna per la parte di
sua responsabilità, al risarcimento dei danni
ingiusti subiti e subendi dalla ricorrente per la
mancata, tempestiva, assegnazione di una rete o di
canali (frequenze) comunque idonei a garantire la
suddetta copertura.
Con sentenza n.
9315/2004 il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile
la domanda di condanna all’assegnazione delle
frequenze, ritenendo che i provvedimenti richiesti
postulano che la situazione soggettiva dedotta in
giudizio abbia natura di diritto soggettivo, mentre in
realtà la posizione della ricorrente deve essere
qualificata di interesse legittimo; ha anche aggiunto
che se l’oggetto della concessione consiste nell’attribuzione
di determinate frequenze, allora la mancata
assegnazione delle stesse costituisce un vizio del
provvedimento ampliativo, che non può non comportarne
l’illegittimità per violazione della normativa
vigente, per cui, conseguentemente, risulta
contraddittorio collegare la nascita di un diritto
soggettivo ad ottenere le frequenze sulla base di un
provvedimento che risulterebbe in palese contrasto con
la disciplina in materia.
Il giudice di primo
grado ha poi respinto la domanda di risarcimento per
equivalente, evidenziando che la formulazione della
stessa (inadempimento agli obblighi nascenti dalla
concessione) si pone in contrasto con la situazione
soggettiva della ricorrente di interesse legittimo
pretensivo a che le competenti amministrazioni
integrino il contenuto del citato provvedimento, fermo
e impregiudicato il potere delle stesse di adottare
eventualmente determinazioni negative sulla base di
circostanze fattuali e di diritto sopravvenute.
Centro Europa 7 ha
impugnato tale decisione, deducendo:
a) l’erroneità della
qualificazione della situazione giuridica soggettiva
vantata da Europa 7, in quanto il privato, dopo il
rilascio della concessione, vanta un diritto
soggettivo perfetto a seguito dell’adozione o
stipula dell’atto (concessione) che disciplina i
diritti delle parti pubbliche e private; di talché è
ben possibile che la parte non inadempiente richieda
al giudice amministrativo la condanna della altra
parte all’adempimento delle obbligazioni oggetto
della concessione, anche in forza della giurisdizione
esclusiva che in materia compete al giudice
amministrativo;
b) il decreto di
concessione non è illegittimo per non aver attribuito
le frequenze, ma ha solo rinviato tale assegnazione ad
atti successivi, poi mai emanati;
c) il Ministero avrebbe
dovuto adempiere alle obbligazioni nascenti dalla
concessione;
d) le amministrazioni
sono anche tenute al risarcimento dei danni, da
quantificare in modo diverso a seconda che si proceda
all’assegnazione delle frequenze o che tale
assegnazione non avvenga, dovendo nel primo caso il
risarcimento essere limitato al lucro cessante
relativo agli anni in cui la ricorrente non ha potuto
operare e nel secondo caso all’itero valore dell’azienda,
corrispondente a circa 3,5 miliardi di euro.
Il Ministero delle
comunicazioni e l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni si sono costituite in giudizio,
chiedendo la reiezione del ricorso.
Con decisione n. 3846/05
questa Sezione ha in primo luogo ritenuto che la
controversia appartiene alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, anche dopo la sentenza
della Corte Cost. n. 204 del 2004, trattandosi di una
controversia su una concessione, rilasciata in materia
di telecomunicazioni (art. 5 l. n. 1034/1971 e 33 co.
1 d.lgs n. 80/1998 come sostituito dall’art. 7 l. n.
205/2000 e “riscritto” da Corte Cost. n.
204/2004).
Tenuto conto che la
controversia ha ad oggetto una domanda risarcitoria,
sia in forma specifica che per equivalente, la Sezione
ha poi rilevato che sono state evocate solo le
Amministrazioni, e non i titolari delle “reti
eccedenti” che, indubitabilmente, sarebbero incisi
da una statuizione di condanna in forma specifica,
ritenendo così di doversi limitare a conoscere dell’unica
domanda procedibile ossia la domanda di risarcimento
per equivalente (riservando al prosieguo ogni
ulteriore provvedimento in merito alla azione di
reintegra in forma specifica).
Quanto alla domanda di
risarcimento danni per equivalente, premesso che la
mancata assegnazione delle frequenze è stata
determinata da fattori essenzialmente normativi, la
Sezione ha formulato, ai sensi dell’art. 234 del
Trattato, le seguenti questioni pregiudiziali alla
Corte di Giustizia, sospendendo il giudizio e
disponendo la trasmissione degli atti alla Corte:
1) se l’art. 10 CEDU,
come richiamato dall’art. 6 del Trattato sull’Unione
garantisca il pluralismo informativo esterno nel
settore radiotelevisivo, con ciò obbligando gli Stati
membri a garantire un pluralismo effettivo ed una
concorrenza effettiva, nel settore, basata su un
sistema antitrust che, in relazione allo sviluppo
tecnologico garantisca accesso alle reti e pluralità
degli operatori, senza possibilità di ritenere
legittimi assetti duopolistici del mercato;
2) se le disposizioni
del Trattato CE che garantiscono la libertà di
prestazioni di servizi e la concorrenza, nell’interpretazione
datane dalla Commissione con la comunicazione
interpretativa del 29 aprile 2000 sulle concessioni
nel diritto comunitario, esigono principi di
affidamento delle concessioni capaci di assicurare un
trattamento non discriminatorio, paritario, nonché
trasparenza, proporzionalità e rispetto dei diritti
dei singoli e se, con tali disposizioni e principi del
Trattato contrastino le disposizioni del diritto
italiano di cui all’art. 3, co. 7 l. n. 249/1997, di
cui all’art. 1 del d.l. 24.12.2003 n. 352 conv. in
l. n. 112/2004 (legge Gasparri) in quanto hanno
consentito a soggetti esercenti reti radiotelevisive
“eccedenti” i limiti antitrust, di continuare
ininterrottamente ad esercitare la loro attività
escludendo operatori come la società appellante che,
pur in possesso della relativa concessione, assegnata
a seguito di regolare procedura competitiva, non hanno
potuto svolgere l’attività concessionata per
mancata assegnazione di frequenze (dovuta alla loro
insufficienza o scarsità, determinata dalla anzidetta
prosecuzione dell’esercizio da parte dei titolari
delle c.d. reti eccedenti);
3) se, a decorrere dal
25 luglio 2003, l’art. 17 della direttiva 2002/20/CE
(direttiva autorizzazioni) imponesse l’efficacia
diretta di tale direttiva nell’ordinamento interno
ed imponesse l’obbligo, allo Stato membro che avesse
rilasciato concessioni per l’attività di radio
diffusione televisiva (comprensive del diritto d’installare
reti o di fornire servizi di comunicazione elettronica
o diritto all’uso di frequenze), di allinearle alla
disciplina comunitaria e se tale obbligo dovesse
comportare la necessità di effettivamente assegnare
le frequenze necessarie per svolgere l’attività;
4) se l’art. 9 della
direttiva 2002/21/CE direttiva quadro e l’art. 5
della direttiva autorizzazioni prevedendo procedure
pubbliche, trasparenti e non discriminatorie (art. 5)
svolte in base a criteri obiettivi, trasparenti, non
discriminatori e proporzionali (art. 9) siano in
contrasto con un regime di generale assentimento,
previsto dal diritto nazionale (art. 23 co. 5 l.
112/2004), che, consentendo la prosecuzione delle “c.d.
reti eccedenti” non selezionate a mezzo gare finisce
per ledere i diritti di cui godono altre imprese in
forza della normativa comunitaria (art. 17 co. 2
direttiva 7.3.2002 n. 2002/20/CE c.d. direttive
autorizzazioni), le quali, pur vincitrici di procedure
competitive si vedono preclusa la possibilità di
operare;
5) se l’art. 9 della
direttiva 2002/21/CE (direttiva quadro), l’art. 5,
par. 2, co. 2 e 7 par. 3, direttiva 2002/20/CE
(autorizzazioni) e 4 della direttiva 2002/77/CE
imponessero agli Stati membri di far cessare,
quantomeno a decorrere dal 25 luglio 2003 (v. art. 17
direttiva autorizzazioni) una situazione di
occupazione di fatto delle frequenze (esercizio d’impianti
senza concessioni o autorizzazioni rilasciate a
seguito di comparazione degli aspiranti) con
riferimento all’attività di radiodiffusione
televisiva, quale quella svolta, così non consentendo
uno svolgimento di tale attività al di fuori di
qualsiasi corretta pianificazione dell’etere ed al
di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo
oltre che in contraddizione con le stesse concessioni
assegnate dallo Stato membro all’esito di una
procedura pubblica;
6) se la deroga prevista
dell’art. 5, par. 2, co. 2 direttiva 2002/20/CE
(direttiva autorizzazioni) e dell’art. 4 direttiva
2002/77/CE fosse e sia invocabile dallo Stato membro
solo a tutela del pluralismo informativo e per
garantire la tutela della diversità culturale o
linguistica e non a favore degli esercenti di reti
eccedenti i limiti antitrust già previsto dalla
normativa nazionale;
7) se, per avvalersi
della deroga di cui all’art. 5 direttiva 2002/20/CE
lo Stato membro debba indicare quali sono gli
obiettivi effettivamente perseguiti con la normativa
derogatoria nazionale;
8) se, tale deroga possa
applicarsi al di fuori del caso dalla concessionaria
del servizio pubblico radiotelevisivo (RAI in Italia)
anche a favore di operatori privati non vincitori di
procedure competitive ed a danno di imprese che
abbiano invece regolarmente visto assentita una
concessione a seguito di gara;
9) se, ancora, il quadro
di regole derivanti dal diritto comunitario dei
Trattati e derivato, improntato a garantire una
concorrenza effettiva (workable competition)
anche nel settore del mercato radiotelevisivo, non
avrebbe dovuto imporre al legislatore nazionale di
evitare la sovrapposizione della proroga del vecchio
regime transitorio analogico collegata all’avvio del
c.d. digitale terrestre, poiché solo nel caso del
c.d. switch-off delle trasmissioni analogiche
(con il conseguente passaggio generalizzato al
digitale) sarebbe possibile riallocare frequenze
liberate per vari usi, mentre, nel caso del mero avvio
del processo di transizione al digitale terrestre, si
rischia di ulteriormente aggravare la scarsità delle
frequenze disponibili, dovuta alla trasmissione
analogica e digitale in parallelo (simulcast);
10) se, in ultimo, la
tutela del pluralismo delle fonti d’informazione e
della concorrenza nel settore radiotelevisivo
garantita dal diritto europeo sia assicurata da una
disciplina nazionale – come la l. n. 112/2004 –
che prevede un nuovo limite del 20 per cento delle
risorse, collegato ad un nuovo paniere (il c.d. SIC:
art. 2 lett. 9; art. 15 l. n. 112/2004) molto ampio
che include anche attività che non hanno impatto sul
pluralismo delle fonti d’informazioni, mentre il “mercato
rilevante” nel diritto antitrust è costruito
normalmente differenziando i mercati, nel settore
radiotelevisivo, perfino distinguendo fra pay-tv e
televisioni non a pagamento che opera via etere (si
vedano inter alios i casi della Commissione NO.
COMP/JV. 37-BSKYB/Kirch Pay TV Regulation (EEC) NO.
4064/89 Merger Procedure 21/03/2000 e NO. COMP/M.2876-NEWSCORP-TELEPIU’
Regulation (EEC) NO. 4064/89 Merger Procedure
2/4/2003).
Con sentenza della
sezione IV, 31 gennaio 2008, C-380/05, la Corte di
Giustizia ha risposto alla seconda, alla quarta e alla
quinta questione, ritenendo l’irricevibilità, l’irrilevanza
o l’assorbimento delle altre, dichiarando che “l’art.
49 CE e, a decorrere dal momento della loro
applicabilità, l’art. 9, n. 1, della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002,
2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune
per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica
(direttiva «quadro»), gli artt. 5, nn. 1 e 2,
secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002,
2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e
i servizi di comunicazione elettronica (direttiva
«autorizzazioni»), nonché l’art. 4 della
direttiva della Commissione 16 settembre 2002,
2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati
delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica,
devono essere interpretati nel senso che essi ostano,
in materia di trasmissione televisiva, ad una
normativa nazionale la cui applicazione conduca a che
un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità
di trasmettere in mancanza di frequenze di
trasmissione assegnate sulla base di criteri
obiettivi, trasparenti, non discriminatori e
proporzionati”.
Dopo la pubblicazione
della sentenza della Corte di Giustizia, con atto
notificato il 18 febbraio 2008, Centro Europa 7 ha
riassunto il giudizio, insistendo per l’accoglimento
dell’appello.
Sono intervenuti in
giudizio Mediaset s.p.a., Prima Tv e la Federazione
Radio Televisioni, chiedendo la reiezione del ricorso.
Le parti hanno prodotto
diversi documenti ed hanno ampiamente illustrato le
proprie posizioni con le ultime memorie.
All’odierna udienza la
causa è stata chiamata unitamente ad altri ricorsi
attinenti la posizione di Centro Europa 7 e, dopo
ampia discussione, è stata trattenuta in decisione;
questo Collegio ha dato avviso alle parti che, pur non
procedendosi alla riunione dei ricorsi, sarebbero
stati valutati complessivamente tutti gli elementi
contenuti nei singoli fascicoli.
2. Con il presente
giudizio Centro Europa 7 ha introdotto due distinte
domande: una di condanna delle amministrazioni ad un facere,
indicato nell’assegnazione alla ricorrente di una
rete di impianti di radiodiffusione, o delle frequenze
idonee a garantire la copertura di almeno l’80 % del
territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di
provincia; la seconda di risarcimento del danno per
equivalente.
Innanzitutto, deve
essere precisato che sulla prima domanda non si è
formato alcun giudicato a seguito della precedente
decisione n. 3846/05, in quanto la Sezione si è
espressamente riservata al prosieguo del giudizio ogni
ulteriore provvedimento in merito alla azione di
reintegra in forma specifica.
Tuttavia, si deve
rilevare che tale domanda di condanna dell’amministrazione
ad un facere è inammissibile per le seguenti
ragioni.
La domanda è stata
qualificata dalla stessa ricorrente come di
reintegrazione in forma specifica ed è stata,
infatti, proposta, anche ai sensi dell’art. 35 del
D. Lgs. n. 80/1998.
Come è noto, l’art.
35, comma 1, del D. Lgs. n. 80/98 prevede che “Il
giudice amministrativo, nelle controversie devolute
alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica,
il risarcimento del danno ingiusto.”
Analoga disposizione è
stata inserita anche nell’art. 7, comma 3, legge n.
1034/1971, come sostituito dall'art. 35, comma 4, del
D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 alla luce delle modifiche
introdotte dall’art. 7 della legge n. 205/2000: “Il
tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della
sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni
relative all'eventuale risarcimento del danno, anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica, e
agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Dottrina e
giurisprudenza minoritarie hanno avanzato la tesi,
secondo cui il legislatore avrebbe introdotto nel
nostro ordinamento, con tale strumento, un'azione di
adempimento simile a quella prevista nell'ordinamento
tedesco, che consente di agire in giudizio per
ottenere la condanna dell'amministrazione
all'emanazione di un atto amministrativo.
Tale ricostruzione
presuppone un concetto di reintegrazione in forma
specifica del tutto diverso da quello affermatosi in
sede civilistica sulla base dell’art. 2058
c.c., dove il risarcimento in forma specifica consiste
nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti
dall’evento lesivo tramite la produzione di una
situazione materiale corrispondente a quella che si
sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto
illecito produttivo del danno.
Nell’ottica
civilistica la reintegrazione in forma specifica
rimane, quindi, un rimedio risarcitorio, (riparatorio
secondo alcuni), ossia una forma di reintegrazione
dell’interesse del danneggiato mediante una
prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto
del rapporto obbligatorio e non va confusa né con l’azione
di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del
debitore all’adempimento dell’obbligazione), né
con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma
specifica quale strumento per l’attuazione
coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione
diretta delle conseguenze pregiudizievoli.
La giurisprudenza
maggioritaria e, in particolare questa Sezione, si è
espressa in favore della tesi c.d. civilistica,
escludendo che con il menzionato istituto sia stata
introdotta nel processo amministrativo una azione di
adempimento (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n.
3338; sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1716; VI, 23 ottobre
2007 n. 5562).
Del resto, il
legislatore ha chiaramente inserito l’inciso “anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica” all’interno
della disposizione che prevede che il giudice
amministrativo dispone il risarcimento del danno
ingiusto, con la conseguenza che contrasta con il dato
letterale ogni interpretazione che pone l’istituto
al di fuori di una alternativa risarcitoria.
Peraltro, quando il
legislatore ha voluto configurare la possibilità da
parte del giudice amministrativo di ordinare un facere
all’amministrazione, lo ha fatto espressamente
come nell’ipotesi di cui all’art. 25 della legge
n. 241/90 (“…il giudice amministrativo,
sussistendone i presupposti, ordina l'esibizione dei
documenti richiesti …”).
L’adozione da parte
dell’amministrazione di un determinato atto
amministrativo attiene più ai profili di adempimento
e di esecuzione che non a quelli risarcitori: in
presenza di un illegittimo diniego e di accertata
spettanza del provvedimento amministrativo richiesto,
il rilascio del provvedimento non costituisce una
misura risarcitoria, ma costituisce la doverosa
esecuzione di un obbligo che grava sull’amministrazione,
salvi gli eventuali danni causati al privato.
Riportare anche tale
fase nell’ambito della reintegrazione e quindi della
tutela risarcitoria significa estendere a tale fase
anche tutti i limiti di tale tutela, che sono più
rigorosi rispetto ai limiti previsti per l’esecuzione.
Infatti, mentre la reintegrazione in forma specifica
richiede una verifica in termini di onerosità ai
sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c., tale verifica
non è richiesta in relazione alle forme di esecuzione
in forma specifica della prestazione originariamente
dovuta, per le quali può rilevare la sola
sopravvenuta impossibilità.
Ricomprendere nell’ambito
della reintegrazione in forma specifica anche una
sorta di azione di adempimento comporta l’ingiustificata
subordinazione ai limiti dell’istituto di una fase
che si pone in un momento anteriore rispetto al
risarcimento.
Intesa in tal modo
(definito “civilistico”), la reintegrazione in
forma specifica trova applicazione nel diritto
amministrativo in caso di interessi di tipo oppositivo
(es. ripristino del bene illegittimamente sottratto al
privato e trasformato dalla P.a.; consegna di cosa
uguale a quella illegittimamente distrutta;
riparazione materiale dei danni cagionati ad es. in
caso di illegittima demolizione di un bene).
In presenza di interessi
pretensivi, invece, non è possibile pensare ad una
reintegrazione in forma specifica perché il silenzio,
il ritardo o l’illegittimo diniego incidono sempre
su una situazione che era e rimane insoddisfatta, per
cui non vi è nulla che possa essere reintegrato; in
relazione a tali interessi, la questione attiene al
diverso istituto della esecuzione in forma specifica
di una eventuale pronuncia di annullamento dell’atto
negativo.
Applicando detti
principi al caso di specie, si ricava l’inammissibilità
della domanda con cui la ricorrente ha chiesto la
condanna dell’amministrazione all’assegnazione
della rete o delle frequenze.
Il facere
richiesto consiste inevitabilmente nell’adozione di
provvedimenti amministrativi e ciò è condiviso dalla
stessa appellante, che, infatti, si è difesa dall’eccezione
di omessa evocazione in giudizio dei controinteressati,
sostenendo che questi avrebbero in seguito potuto
impugnare i provvedimenti necessariamente adottati
dalla p.a. in esecuzione della condanna richiesta. E’,
quindi, la stessa appellante che postula che la
soddisfazione della sua pretesa debba avvenire
mediante l’adozione di provvedimenti dell’amministrazione,
il cui rilascio costituisce l’oggetto dell’esperita
azione di condanna.
Una tale azione di
condanna – si ripete – non è prevista nel
processo amministrativo, dove, a fronte della mancata
attribuzione di un bene della vita da parte dell’amministrazione
(nel caso di specie, le frequenze), la corretta
modalità di agire a tutela della propria posizione è
quella di chiedere, ed in caso diffidare l’amministrazione
all’adozione degli atti necessari a far conseguire
il bene e poi agire contro l’eventuale inerzia o il
provvedimento negativo adottato.
Tali considerazioni sono
valide anche in relazione alla seconda prospettazione
della prima domanda proposta da Europa 7, avente ad
oggetto la condanna della p.a. ad assegnare se non
proprio la rete di cui all’art. 1 della concessione,
quanto meno canali idonei a raggiungere la copertura
richiesta.
Secondo Europa 7 si
tratterebbe di una prestazione analoga, sostitutiva di
quella originaria posta a carico dell’amministrazione
e che potrebbe formare oggetto di una domanda di
reintegrazione in forma specifica; al contrario, si
osserva che anche tale pretesa richiede l’adozione
di provvedimenti amministrativi, il cui rilascio non
può – per quanto già detto – costituire l’oggetto
di una azione di condanna, ma può essere ottenuto
contestando l’inerzia o il diniego opposto dall’amministrazione.
La necessità dell’adozione
di provvedimenti amministrativi, di natura
autoritativa, per soddisfare la pretesa del privato
conduce alla ulteriore considerazione, correttamente
sviluppata dal Tar, secondo cui la posizione della
ricorrente deve essere qualificata in termini di
interesse legittimo pretensivo, e non di diritto
soggettivo.
In materia di
telecomunicazioni, la posizione del privato diretta ad
ottenere l’attribuzione di frequenze si contrappone
al potere pubblicistico della p.a. di governo
dell'etere, rispetto al quale la suddetta posizione ha
natura, non di diritto soggettivo, ma di interesse
legittimo (v., anche se con riferimento a diversa
fattispecie, Cass. civ. , sez. un., 1 giugno 1993 n.
6062).
Del resto, anche la
Corte Costituzionale ha affermato che a fronte di
poteri di assegnazione delle frequenze e di
disattivazione, la posizione soggettiva del privato
non può che essere di interesse legittimo al loro
corretto esercizio, e perciò essa è tutelabile, nel
vigente ordinamento, solo innanzi al giudice
amministrativo (Corte Cost., 2 marzo 1990 n. 102).
Tali considerazioni non
mutano in virtù del fatto che ad Europa 7 era già
stata rilasciata la concessione con d.m. 28 luglio
1999.
E’ discussa tra le
parti la natura di tale provvedimento di concessione;
secondo il Tar se l’oggetto della concessione
consiste nell’attribuzione di determinate frequenze,
allora la mancata assegnazione delle stesse
costituisce un vizio del provvedimento ampliativo, che
non può non comportarne l’illegittimità per
violazione della vigente disciplina.
L’Avvocatura dello
Stato ha, invece, sostenuto che si tratterebbe di un
atto di mera formalizzazione degli esiti di una
graduatoria di soggetti che avrebbero avuto titolo al
rilascio di una concessione con contestuale
assegnazione di frequenze e che, di conseguenza, il
potere autoritativo non era stato ancora consumato
potendo la fattispecie essere inquadrata nella
categoria degli atti a formazione progressiva. Viene,
inoltre, eccepita la decadenza derivante dalla mancata
impugnazione da parte di Europa 7 del provvedimento
concessorio rilasciato in suo favore senza l’attribuzione
delle frequenze.
Al riguardo, si osserva
che con il decreto del 28 luglio 1999 il Ministero ha
concesso ad Europa 7 l’installazione e l’esercizio
di una rete d’impianti di radiodiffusione televisiva
a copertura nazionale tra quelle individuate nelle
deliberazioni dell’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni concernenti “Piano nazionale d’assegnazione
delle frequenze per la radiodiffusione televisiva”
precisando che la rete d’impianti di radiodiffusione
è costituita da impianti ubicati nei siti individuati
dal Piano nazionale d’assegnazione delle frequenze,
utilizzante un raggruppamento di tre canali di cui uno
del gruppo A, uno del gruppo B ed uno del gruppo C,
tra i 17 canali generici allocati in ciascun sito, con
i quali la concessionaria deve assicurare la copertura
di almeno l’ottanta per cento del territorio
nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia (art.
1, co. 1).
Tuttavia, con il decreto
non sono stati individuati, e quindi non sono stati
assegnati, né i siti degli impianti né le frequenze,
ma è stato previsto che “l’adeguamento degli
impianti alle prescrizioni del piano d’assegnazione
dovrà avvenire, secondo il programma d’adeguamento
stabilito dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni d’intesa con il Ministero delle
comunicazioni, entro il termine di 24 mesi decorrenti
dalla data di comunicazione del presente
provvedimento. Il suddetto termine potrà essere
prorogato di dodici mesi ove sussistano impedimenti di
carattere oggettivo che dovranno essere valutati dal
Ministero delle comunicazioni, d’intesa con l’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni” (art. 1, co.
2).
Nelle ulteriori parti
del decreto l’atto viene espressamente qualificato
come concessione ed Europa 7 individuata come
concessionaria.
Non vi è, quindi,
dubbio che il rilascio della concessione era già
avvenuto e non era stato rinviato ad un momento
successivo, come sostenuto dall’Avvocatura.
Tuttavia, il rilascio
della concessione non è stato accompagnato dall’attribuzione
delle frequenze e lo stesso decreto rinviava tale
adempimento ad una ulteriore fase, dipendente da
successiva attività dell’amministrazione (programma
di adeguamento degli impianti alle prescrizioni del
piano nazionale d’assegnazione delle frequenze), cui
sarebbero seguiti adempimenti a carico della
concessionaria (adeguamento degli impianti da
effettuare entro il termine di 24 mesi).
Dovendosi escludere che
la mancata immediata attribuzione delle frequenze
costituisca motivo di nullità dell’atto, dalla
mancata impugnazione di tale atto non può derivare
alla ricorrente alcuna preclusione rispetto alla
presente azione, in quanto Europa 7 avrebbe al massimo
potuto contestare, attraverso il ricorso avverso la
concessione in parte qua, la mancata contestuale
attribuzione delle frequenze, ma ben poteva, come ha
fatto, limitarsi ad agire per l’esecuzione del
decreto emesso in suo favore attraverso la richiesta
dei successivi adempimenti che l’amministrazione
doveva porre in essere.
Del resto, non è
ragionevole ritenere che la mancata impugnazione di un
provvedimento favorevole possa comportare limitazioni
alla tutela della parte, che quel provvedimento
intende far valere.
L’inquadramento della
fattispecie nella categoria degli atti a formazione
progressiva rendeva necessario lo svolgimento di
ulteriore attività amministrativa per soddisfare la
pretesa dell’appellante e ciò conferma che la
posizione di quest’ultima deve essere qualificata di
interesse legittimo pretensivo allo svolgimento di
tale attività.
La strada corretta per
far valere tale posizione non è, quindi, quella di
una (inammissibile) azione di condanna al rilascio
delle frequenze previo svolgimento di tale attività e
rilascio dei necessari provvedimenti, ma quella,
percorsa in altro ricorso, della richiesta all’amministrazione
di porre in essere ogni adempimento necessario all’attribuzione
delle frequenze e di reagire contro l’eventuale
inerzia o diniego espresso.
Centro Europa 7 nell’ambito
del giudizio di cui al n. 1298/05 (R.G. in appello) ha
in effetti agito avverso il diniego del 22 dicembre
1999 opposto dall’amministrazione rispetto alla sua
richiesta di indicazione degli impianti ed
attribuzione delle frequenze.
Tale azione si pone in
evidente rapporto di alternatività con la domanda di
condanna avanzata nel presente giudizio: nel ricorso
n. 1298/05 viene seguita la via (amministrativa) della
diffida dell’amministrazione a porre in essere le
attività (anche provvedimentali) necessarie per l’indicazione
degli impianti e l’assegnazione delle frequenze; nel
presente giudizio viene proposta una sostanziale
azione di adempimento in relazione alla medesima
pretesa.
Il rapporto di
alternatività tra le due azioni dimostra come non vi
sia alcuna contraddittorietà tra la sentenza del Tar
n. 9325/04 di accoglimento del ricorso di Europa 7 e
quella qui impugnata, con cui la domanda di condanna
della p.a. ad un facere è stata dichiarata
inammissibile.
Dalle precedenti
considerazioni circa la natura della pretesa azionata
ed il contenuto della concessione del luglio del 1999
deriva che la strada corretta è quella del ricorso n.
1298/05, e non la domanda di condanna della p.a. ad un
facere proposta nel presente giudizio.
L’inammissibilità di
tale domanda non ha alcun effetto sull’azione
alternativa proposta nell’altro giudizio e peraltro
accolta dal Tar con sentenza, confermata in data
odierna da questo medesimo Collegio.
Né ai fini della
presente declaratoria di inammissibilità assume
rilievo la sentenza della Corte di Giustizia del 31
gennaio 2008, resa in relazione ad una domanda di
pronuncia pregiudiziale proposta da questa Sezione nel
presente giudizio.
Sotto un primo profilo,
la questione pregiudiziale è stata, infatti,
espressamente posta con esclusivo riferimento alla
domanda di risarcimento per equivalente, che sarà di
seguito esaminata, avendo la Sezione ritenuto che
quest’ultima era la sola domanda conoscibile.
L’inammissibilità
dell’azione di condanna ad un facere è stata
ora confermata, seppur senza necessità di esaminare
le conseguenze della mancata evocazione in giudizio
dei titolari delle c.d. reti eccedenti e, in sede di
esame della domanda di risarcimento per equivalente,
è possibile dare piena attuazione ai principi
affermati dalla Corte di Giustizia.
Sotto altro aspetto, in
sede di esecuzione della pronuncia avente ad oggetto l’annullamento
del menzionato diniego del 22 dicembre 1999 l’amministrazione
dovrà dare attuazione ai principi affermati dalla
Corte di Giustizia, come meglio illustrato nella
decisione in data odierna di questo Collegio, avente
ad oggetto il ricorso n. 1298/05.
3. Si deve ora passare
ad esaminare la domanda di risarcimento per
equivalente, proposta da Centro Europa 7 con
riferimento ai danni ingiusti subiti e subendi per la
mancata, tempestiva, assegnazione di una rete o di
canali (frequenze) comunque idonei a garantire la
suddetta copertura.
La stessa Europa 7 ha
prospettato e quantificato in modo diverso la domanda
a seconda che si proceda all’assegnazione delle
frequenze o che tale assegnazione non avvenga, dovendo
nel primo caso il risarcimento essere limitato al
lucro cessante relativo agli anni in cui la ricorrente
non ha potuto operare e nel secondo caso all’itero
valore dell’azienda, ritenuto corrispondente a circa
3,5 miliardi di euro.
Con le ultime memorie
Centro Europa 7 ha confermato che il suo principale
interesse è quello all’ottenimento delle frequenze
e che la domanda di risarcimento per equivalente è
stata proposta in estremo subordine e prevedendo le
due alternative già indicate.
Il danno è stato
quantificato nella somma di euro 2.169.144.602 in
ipotesi di attribuzione, benché tardiva, delle
frequenze e nella maggiore somma di euro
3.500.000.000,00 in caso di accertata impossibilità
di assegnazione delle frequenze.
La stessa prospettazione
dell’appellante individua la questione dell’assegnazione
delle frequenze come prioritaria rispetto al
risarcimento per equivalente.
Al riguardo, è già
stato evidenziato come l’inammissibilità della
prima domanda proposta nel presente giudizio non
pregiudica la pretesa della ricorrente, sempre
tendente all’assegnazione delle frequenze, oggetto
del ricorso n. 1298/05.
Avendo questo Collegio
in data odierna confermato la decisione di
accoglimento del ricorso proposto da Centro Europa 7
avverso il diniego opposto dall’amministrazione alla
sua richiesta di attribuzione di impianti e frequenze,
è evidente che l’amministrazione dovrà ora dare
esecuzione a tale decisione e che solo all’esito di
tale fase potrà essere risolto il problema dell’assegnazione
delle frequenze.
Allo stato non è
possibile esaminare la domanda risarcitoria,
risultando prioritaria la verifica delle modalità di
esecuzione da parte dell’amministrazione della
decisione assunta da questa Sezione in data odierna in
relazione al ricorso n. 1298/05.
Al fine di decidere la
domanda risarcitoria, si deve acquisire dal competente
Ministero la seguente documentazione in sette copie:
a) una relazione
contenente l’indicazione dell’attività svolta in
esecuzione della decisione pronunciata in data odierna
da questa Sezione in relazione al ricorso n. 1298/05,
allegando copia di tutti i provvedimenti emessi e
degli atti del procedimento;
b) una relazione con
indicazioni delle ragioni per le quali non sono stati
fino ad oggi posti in essere atti di esecuzione della
sentenza del Tar del Lazio n. 9325/2004, non sospesa e
peraltro non impugnata dal Ministero, con indicazioni
degli elementi ritenuti ostativi all’esecuzione
della pronuncia dal 2004 ad oggi e con allegazione
delle istanze pervenute dalla ricorrente o da altri
soggetti all’amministrazione, aventi ad oggetto la
questione dell’assegnazione delle frequenze;
c) una relazione
contenente l’indicazione delle frequenze resesi
disponibili dal 2000 ad oggi e di quelle attualmente
disponibili anche in ordine alla copertura che
consentirebbero (o avrebbero consentito) e delle
modalità di assegnazione o acquisizione delle stesse
da parte degli operatori del settore, con
illustrazione delle ragioni per le quali non sono
state attribuite ad Europa 7 e dello stato della
procedura indetta nel 2007, anche con riferimento alla
possibilità, o meno, di partecipazione di Europa 7;
d) ulteriore relazione,
con allegazione di ogni provvedimento adottato e
indicazione dello stato del contenzioso pendente, in
relazione alla questione della scadenza della
concessione del 28 luglio 1999, rilasciata ad Europa 7
e delle istanze da questa presentate, allegando copia
dei relativi provvedimenti, fornendo informazioni
anche con riferimento a quanto avvenuto alla scadenza
dei provvedimenti concessori degli altri operatori
nazionali del settore;
e) ogni ulteriore
elemento o atto, anche sopravvenuto, utile ai fini del
decidere.
Deve essere richiesto
anche all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, che è parte del giudizio e nei cui
confronti anche è stata proposta la domanda
risarcitoria di produrre, sempre in sette copie, una
unica relazione, contenente le informazioni di cui ai
punti precedenti in possesso dell’Autorità o
dipendenti da sua attività, precisando le ragioni
della mancata adozione del programma di adeguamento al
piano nazionale delle frequenze, previsto nella
concessione rilasciata ad Europa 7.
Deve, infine, essere
richiesto a Centro Europa 7 di produrre, in sette
copie:
1) copia dei bilanci
della società e delle relative relazioni e note
aggiuntive dal 1999 ad oggi;
2) copia delle richieste
relative all’attribuzioni delle frequenze presentate
dal 2000 ad oggi e dell’attività posta in essere
per l’esecuzione della sentenza del Tar del Lazio n.
9325/2004;
3) una relazione
contenente le ragioni della mancata partecipazione
alla gara del 2007 per l’assegnazione delle
frequenze;
4) una relazione
contenente la descrizione dell’attività
imprenditoriale svolta dal 1999 ad oggi, degli
investimenti effettuati anno per anno e delle
modalità di utilizzo delle strutture della società;
5) copia di ogni atto
inerente la questione della scadenza della concessione
e le iniziative, anche giurisdizionali, in corso e del
loro stato.
Ogni decisione sulla
domanda di risarcimento per equivalente, sulle
eccezioni proposte dalle parti e sulle spese del
giudizio è riservata all’esito della disposta
istruttoria.
4. In conclusione, non
definitivamente pronunciando, deve essere respinto il
ricorso in appello limitatamente alla declaratoria di
inammissibilità, pronunciata dal Tar e qui confermata
seppur con diversa motivazione, della domanda di
condanna delle amministrazioni ad assegnare alla
ricorrente una rete di impianti o comunque frequenze
idonee a farle raggiungere la copertura di almeno l’80
% del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di
provincia.
In relazione alla
domanda di risarcimento per equivalente viene invece
disposta l’istruttoria di cui al punto precedente
con riserva di ogni decisione.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale, Sezione Sesta, non
definitivamente pronunciando, in parte respinge il
ricorso in appello con riferimento alla prima domanda
proposta da Centro Europa 7 e in relazione alla
domanda di risarcimento del danno per equivalente,
riservata ogni ulteriore decisione, ordina al
Ministero, all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e all’appellante di depositare, in
sette copie, presso la segreteria di questa Sezione,
entro il termine del 15 ottobre 2008, quanto indicato
in parte motiva.
Fissa la data del 16
dicembre 2008 per la successiva udienza di trattazione
del ricorso.
Ordina che la presente
decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il
6 maggio 2008 dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di
Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Paolo Buonvino Consigliere
Domenico Cafini Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere
Est.
Manfredo Atzeni Consigliere
Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere per il
Segretario
Roberto Chieppa
Maria Rita Oliva
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il...31/5/2008.
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
Maria Rita Oliva
N.R.G. 10395/2004
FF
|