Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Sesta, sentenza n. 2624/2008
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello proposto da
R.T.I. s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi
Medugno e Aldo Bonomo, ed elettivamente domiciliato
presso il primo, in Roma, via Panama, n. 12;
contro
Centro Europa 7 s.r.l., in persona
del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in
giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv.
Alessandro Pace e dall’Avv. Ottavio Grandinetti con
domicilio eletto in Roma piazza delle Muse n. 8 presso
Associazione Professionale Studio Legale Pace;
e nei confronti
Ministero delle comunicazioni, in
persona del Ministro pro tempore, costituitosi in
giudizio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato ed elettivamente domiciliato
presso la stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, n.
9325/04 pubblicata il 16 settembre 2004;
Visto il ricorso con i relativi
allegati;
Visto l'atto di costituzione in
giudizio di Centro Europa 7 s.r.l. e del Ministero
delle comunicazioni;
Viste le memorie prodotte dalle
parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 6 maggio
2008 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.
Uditi l'Avv. Medugno, l’Avv.
Pace, l’Avv. Grandinetti e l'Avv. dello Stato Di
Carlo;
Ritenuto e considerato in fatto e
in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
1. Centro Europa 7 s.r.l. ha
partecipato alla gara, indetta in attuazione della
legge n. 249 del 1997 [1], ai fini del rilascio delle
concessioni per la radiodiffusione televisiva su
frequenze terrestri in ambito nazionale ed, essendosi
classificata con l’emittente "Europa 7" al
settimo posto della relativa graduatoria, ha ottenuto
il rilascio di una delle suddette concessioni (d.m. 28
luglio 1999), nella quale, pur prevedendosi che in
forza del suddetto provvedimento l’istante aveva
titolo ad installare ed esercitare una rete d’impianti
di radiodiffusione televisiva, non erano assegnate
specifiche frequenze in attesa del programma di
adeguamento degli impianti al Piano nazionale di
assegnazione delle frequenze.
Non avendo le competenti
amministrazioni proceduto all’assunzione di alcun
provvedimento di assegnazione delle frequenze, Centro
Europa 7 notificava al Ministero delle comunicazioni
atto di diffida e messa in mora sollecitando l’adozione
da parte del resistente Ministero degli atti necessari
al fine di individuare gli impianti da utilizzare per
l’attività di radiodiffusione televisiva nonché le
relative frequenze di funzionamento.
Il Ministero rispondeva con la nota
del 22 dicembre 1999, facendo presente che la mancata
assegnazione delle frequenze era dipesa dalla
circostanza che non era stato definito il programma di
adeguamento al piano nazionale delle frequenze e che
sarebbe stata cura del Ministero attivarsi affinché
nel più breve tempo possibile si potesse pervenire,
di concerto con l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, alla definizione del programma di
adeguamento al piano che, una volta attuato, avrebbe
consentito a tutte le concessionarie di esercire la
propria rete.
Centro Europa 7 impugnava tale nota
davanti al Tar del Lazio, che, con la sentenza n.
9325/04, accoglieva il ricorso.
Il giudice di primo grado riteneva
che, sulla base del provvedimento concessorio, l’amministrazione
era tenuta o ad adottare i provvedimenti necessari al
fine di consentire al suddetto provvedimento di
produrre i propri effetti tipici ovvero, a negare l’assegnazione
delle frequenze, procedendo, pertanto, ad una
sostanziale revoca della concessione la quale in
assenza delle frequenze risultava essere totalmente
inefficace, sulla base di una specifica e dettagliata
illustrazione dei presupposti di fatto e di diritto
che rendevano impossibile tale operazione.
Secondo il Tar, con l’impugnata
nota del 22 dicembre 1999, il Ministero, dopo aver
richiamato il disposto della concessione a suo tempo
rilasciata e le ragioni che hanno precluso l’individuazione
in tale sede delle frequenze da assegnare, avrebbe
illegittimamente fatto rinvio ad un generico impegno
del Ministero di attivarsi al fine di procedere, di
concerto con l’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni, alla definizione del programma di
adeguamento, ponendosi in tal modo in palese contrasto
con l’obbligo assunto dalle competenti
amministrazioni nel provvedimento concessorio e per di
più senza indicare alcuna ragione in base alla quale
non era stato possibile procedere alla definizione del
programma di adeguamento.
R.T.I. s.p.a. proponeva ricorso in
appello avverso tale decisione.
Centro Europa 7 si costituiva in
giudizio, eccependo l’inammissibilità dell’appello
e chiedendone comunque la reiezione.
Il Ministero delle comunicazioni,
pur non avendo proposto ricorso in appello avverso la
sentenza del Tar del Lazio, si costituiva in giudizio,
chiedendo l’accoglimento del ricorso proposto da
R.T.I..
Le parti hanno prodotto diversi
documenti ed hanno ampiamente illustrato le proprie
posizioni con le ultime memorie.
All’odierna udienza la causa è
stata chiamata unitamente ad altri ricorsi attinenti
la posizione di Centro Europa 7 e, dopo ampia
discussione, è stata trattenuta in decisione; questo
Collegio ha dato avviso alle parti che, pur non
procedendosi alla riunione dei ricorsi, sarebbero
stati valutati complessivamente tutti gli elementi
contenuti nei singoli fascicoli.
2. Preliminarmente deve essere
esaminata l’eccezione sollevata da Centro Europa 7,
secondo cui l’appello deve essere dichiarato
inammissibile per carenza della legittimazione ad
impugnare in capo a R.T.I. s.p.a., avendo quest’ultima
sostenuto che non vi sarebbe alcun rapporto tra l’occupazione
delle frequenze da parte di Retequattro e la mancata
assegnazione delle frequenze ad Europa 7.
L’eccezione è priva di
fondamento.
Sotto un primo profilo formale, si
rileva che ad R.T.I. s.p.a. era stato notificato il
ricorso di primo grado, con cui peraltro si sosteneva
che l’assegnazione delle frequenze ad Europa 7
sarebbe risultata possibile se non si fosse consentito
a Retequattro di continuare a trasmettere; che R.T.I.
era quindi parte del giudizio di primo grado e, come
tale, legittimata a contestare le statuizioni ad essa
sfavorevoli.
Sotto l’aspetto sostanziale, si
ricorda che, secondo la giurisprudenza, nel processo
amministrativo, la legittimazione all'appello va
individuata in base al criterio della soccombenza,
ossia in capo alle parti che subiscono un effetto
giuridico sfavorevole dalla sentenza di primo grado.
Pertanto, nel caso di una pronuncia d'accoglimento del
ricorso di primo grado e di annullamento dell'atto
impugnato, detta legittimazione spetta non solo alla
amministrazione emanante, ma anche a chi è portatore
di una posizione sostanziale differenziata, diretta a
sostenere l'atto annullato, anche in assenza dei
presupposti per qualificare tale parte come
controinteressato (Cons. Stato, V, n. 1764/2000; n.
456/1997; IV, n. 1826/2004).
Nel caso di specie, ai fini della
legittimazione al ricorso in appello, è sufficiente
rilevare che l’annullamento dell’atto, con cui il
Ministero non ha dato positivo riscontro alla diffida
dei Centro Europa 7, costituisce decisione
potenzialmente idonea a provocare – in sede di
definizione del programma di adeguamento al piano
delle frequenze – una risistemazione delle frequenze
delle emittenti televisivi nazionali, incidendo in
modo rilevante sul mercato televisivo, in cui opera
R.T.I. che fa valere il suo interesse al mantenimento
degli attuali assetti.
Non si tratta di un interesse di
mero fatto al quieta non movere, in relazione al quale
è stata esclusa in data odierna da questo Collegio la
legittimazione di R.T.I. ad appellare altra sentenza
del Tar riguardante sempre il settore televisivo (R.G.
n. 2862/07), ma si è in presenza di una autonoma
posizione sostanziale, che può essere pregiudicata
dall’attuazione del Piano nazionale delle frequenze
e da quella risistemazione delle frequenze, postulata
da Europa 7 e idonea a coinvolgere la posizione di
R.T.I. di materiale utilizzatrice della frequenze,
anche con riferimento alla c.d. rete
"eccedente" (Retequattro).
Da ciò deriva la legittimazione di
R.T.I. a contrastare la risistemazione delle frequenze
domandata dall’originaria ricorrente in quanto
potenzialmente suscettibile di produrre effetti
negativi nella sua sfera giuridica.
3. Ai fini dell’esame del merito
del ricorso, è opportuna una ricostruzione della
vicenda oggetto del giudizio.
Come evidenziato dalla Corte
Costituzionale (sent. n. 466/2002), "la
formazione dell'esistente sistema televisivo italiano
privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica
trae origine da situazioni di mera occupazione di
fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza
rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori
di ogni logica di incremento del pluralismo nella
distribuzione delle frequenze e di pianificazione
effettiva dell'etere". Detta occupazione di fatto
è stata, peraltro, in varie occasioni per lunghi
periodi temporali, legittimata ex post e sanata dal
legislatore (decreto legge 6 dicembre 1984, n. 807,
convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio
1985, n.10, prorogato con decreto-legge 1° giugno
1985, n. 223, convertito nella legge 2 agosto 1985, n.
397; art. 32, comma 1, legge 6 agosto 1990, n. 223,
con termini prorogati dal decreto-legge 19 ottobre
1992, n.407, convertito, con modificazioni, nella
legge 17 dicembre 1992, n. 482, dal decreto-legge 27
agosto 1993 n. 323 convertito, con modificazioni,
nella legge 27 ottobre 1993, n. 422; dal decreto-legge
23 ottobre 1996, n. 545 convertito, con modificazioni,
nella legge 23 dicembre 1996, n. 650).
Su tale assetto ha poi inciso la
sentenza n. 420 del 1994 con cui la Corte
Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l'art.
15, comma 4 l. 6 agosto 1990 n. 223 (c.d. legge Mammì),
nella parte in cui consente ad uno stesso soggetto di
esser titolare di tre delle nove concessioni per reti
televisive su scala nazionale assentibili ai privati,
ritenendo infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1 comma 1 e 3 d.l. 27 agosto
1993 n. 323, che consentiva provvisoriamente la
prosecuzione dell'esercizio degli impianti
preesistenti fino all’agosto del 1996 (termine poi
prorogato).
La nuova disciplina del sistema
radiotelevisivo è stata dettata dalla legge 31 luglio
1997 n. 249 (c.d. legge Meccanico), con cui è stato
vietato ad uno stesso soggetto di essere titolare di
concessioni o autorizzazioni che consentano di
irradiare più del 20 per cento delle reti televisive
analogiche in ambito nazionale su frequenze terrestri
sulla base del piano delle frequenze.
Con la stessa legge è stata
introdotta una ulteriore disciplina transitoria delle
reti televisive nazionali eccedenti i predetti limiti
concentrativi, stabilendo che dette reti potevano
continuare a trasmettere in via transitoria, dopo il
30 aprile 1998, nel rispetto degli obblighi previsti
per le emittenti concessionarie, a condizione che le
trasmissioni fossero effettuate simultaneamente su
satellite o cavo (art. 3, comma 6) ed affidando
all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la
fissazione del termine entro il quale, in relazione
all'effettivo e congruo sviluppo dell'utenza dei
programmi via cavo o via satellite le predette reti
eccedenti avrebbero dovuto trasmettere programmi
esclusivamente su satellite o cavo, abbandonando le
frequenze terrestri (art. 3, comma 7).
In attuazione della legge n.
249/1997 sono stati adottati il Piano nazionale delle
frequenze approvato con delibera n. 68/98
dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e
il regolamento n. 78/98 della stessa Autorità
relativo ai requisiti ed alle modalità per il
rilascio delle concessioni televisive su frequenze
terrestri in tecnica analogica.
Il Piano ha individuato 11 reti
televisive a copertura nazionale da assegnare alle
emittenti nazionali. Su tale numero era calcolato il
20 per cento - limite antitrust - pari a due reti.
Delle 11 reti tre erano assegnate per legge al
servizio pubblico radiotelevisivo ed otto reti a
copertura nazionale erano assentibili ad emittenti
privati a mezzo di gara.
All’esito della gara, in data 28
luglio 1999, sulla base della graduatoria approvata
dalla Commissione, furono rilasciate le seguenti
concessioni nazionali: Canale 5, Italia 1, Tele+Bianco,
Tmc, Tmc2, Europa 7, Elefante Telemarket.
Alle emittenti Retequattro e
Tele+Nero, benché utilmente collocate nella
graduatoria, la concessione non fu rilasciata perché
eccedevano i limiti concentrativi, anche se furono
abilitate in via transitoria a proseguire l’attività
di radiodiffusione televisiva privata in ambito
nazionale a condizione che le trasmissioni fossero
effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e
via satellite o via cavo e che fossero irradiate
esclusivamente via satellite o via cavo a decorrere
dal termine fissato dall’Autorità per le garanzie
nelle comunicazioni ai sensi dell’art. 3, comma 7,
della legge n. 249/1997.
Europa 7, invece, pur avendo
ottenuto la concessione, era un nuovo entrante privo
di rete e non era, quindi, nella condizione di
esercire una rete all'atto di presentazione della
domanda di concessione, quanto meno fino all’assegnazione
delle frequenze da parte dell’amministrazione.
Anche nei decreti degli altri
concessionari nazionali non venivano indicate le
frequenze, ma veniva stabilito che, fino alla completa
assegnazione delle frequenze di funzionamento di
ciascun impianto (poi mai avvenuta), la concessionaria
poteva proseguire nell’esercizio dell’attività
radiotelevisiva con impianti e frequenze già in uso
ed oggetto del censimento di cui alla legge n. 223/90
[2].
Per completare il quadro del
settore televisivo nazionale anche con riferimento a
fatti sopravenuti rispetto al diniego impugnato in
primo grado, va menzionata la sentenza n. 466 del
2002, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato
incostituzionale l’art. 3, comma 7, della legge n.
249/97 nella parte in cui non prevede la fissazione di
un termine finale certo, e non prorogabile, che
comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il
quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti
i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3 devono
essere trasmessi esclusivamente via satellite o via
cavo.
Successivamente, prima della
scadenza del termine del 31 dicembre 2003, dopo il
rinvio alle Camere da parte del Presidente della
Repubblica del disegno di legge in materia di assetto
del sistema radiotelevisivo e della RAI s.p.a., che
era stato approvato dal Parlamento il 2 dicembre 2003,
con il D.L. 24 dicembre 2003, n. 352 veniva demandato
all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l’accertamento
dell’offerta dei programmi televisivi digitali
terrestri sulla base di predeterminati parametri e
veniva consentito, sempre in via transitoria, alle
c.d. emittenti eccedenti di proseguire l'esercizio
delle reti fino alla data di adozione delle
deliberazioni dell'Autorità, per le quali era fissato
il termine del 30 aprile 2004.
Il nuovo assetto del sistema
radiotelevisivo è stato poi definito dalla legge 3
maggio 2004 n. 112 (c.d. legge Gasparri), con cui sono
stati introdotti differenti criteri per stabilire i
limiti di concentrazione ed è stato prevista la
prosecuzione da parte delle attuali emittenti delle
trasmissioni anche analogiche fino all'attuazione del
piano nazionale di assegnazione delle frequenze
televisive in tecnica digitale.
Infine, con sentenza della sezione
IV, 31 gennaio 2008, C-380/05, la Corte di Giustizia,
in risposta ad un rinvio pregiudiziale disposto dalla
Sezione nell’ambito di altro giudizio promosso da
Centro Europa 7, ha dichiarato che "l’art. 49
CE e, a decorrere dal momento della loro
applicabilità, l’art. 9, n. 1, della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002,
2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune
per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica
(direttiva «quadro»), gli artt. 5, nn. 1 e 2,
secondo comma, e 7, n. 3, della direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 7 marzo 2002,
2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e
i servizi di comunicazione elettronica (direttiva
«autorizzazioni»), nonché l’art. 4 della
direttiva della Commissione 16 settembre 2002,
2002/77/CE, relativa alla concorrenza nei mercati
delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica,
devono essere interpretati nel senso che essi ostano,
in materia di trasmissione televisiva, ad una
normativa nazionale la cui applicazione conduca a che
un operatore titolare di una concessione si trovi nell’impossibilità
di trasmettere in mancanza di frequenze di
trasmissione assegnate sulla base di criteri
obiettivi, trasparenti, non discriminatori e
proporzionati".
4. Ricostruita la vicenda,
normativa ed amministrativa, oggetto del giudizio,
deve ora essere verificato se il diniego alla
richiesta di assegnazione delle frequenze opposto dal
Ministero con l’impugnato provvedimento del 22
dicembre 1999 sia legittimo o si ponga, come ritenuto
dal Tar, in contrasto con il contenuto stesso dell’atto
concessorio.
Viene in primo luogo in rilievo la
questione, controversa tra le parti, della natura del
provvedimento di concessione rilasciato ad Europa 7.
L’appellante R.T.I. deduce che i
motivi del ricorso di primo grado sono tutti
riconducibili a vizi dello stesso provvedimento di
concessione rilasciato in favore di Europa 7 e ormai
preclusi in assenza di una rituale impugnazione di
tale concessione.
Anche secondo l’Avvocatura dello
Stato, l’azione qui esperita da Europa 7 sarebbe
preclusa dall’omessa impugnazione del provvedimento
di concessione, rilasciato in suo favore: se l’oggetto
della concessione consiste nell’attribuzione di
determinate frequenze, allora la mancata assegnazione
delle stesse costituisce un vizio del provvedimento
ampliativo, che non può non comportarne l’illegittimità
per violazione della vigente disciplina e che doveva
essere contestato nel termine di decadenza.
Al riguardo, si osserva che con il
decreto del 28 luglio 1999 il Ministero ha concesso ad
Europa 7 l’installazione e l’esercizio di una rete
d’impianti di radiodiffusione televisiva a copertura
nazionale tra quelle individuate nelle deliberazioni
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni
concernenti "Piano nazionale d’assegnazione
delle frequenze per la radiodiffusione
televisiva" precisando che la rete d’impianti
di radiodiffusione è costituita da impianti ubicati
nei siti individuati dal Piano nazionale d’assegnazione
delle frequenze, utilizzante un raggruppamento di tre
canali di cui uno del gruppo A, uno del gruppo B ed
uno del gruppo C, tra i 17 canali generici allocati in
ciascun sito, con i quali la concessionaria deve
assicurare la copertura di almeno l’ottanta per
cento del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi
di provincia (art. 1, co. 1).
Tuttavia, con il decreto non sono
stati individuati, e quindi non sono stati assegnati,
né i siti degli impianti né le frequenze, ma è
stato previsto che "l’adeguamento degli
impianti alle prescrizioni del piano d’assegnazione
dovrà avvenire, secondo il programma d’adeguamento
stabilito dall’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni d’intesa con il Ministero delle
comunicazioni, entro il termine di 24 mesi decorrenti
dalla data di comunicazione del presente
provvedimento. Il suddetto termine potrà essere
prorogato di dodici mesi ove sussistano impedimenti di
carattere oggettivo che dovranno essere valutati dal
Ministero delle comunicazioni, d’intesa con l’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni" (art. 1, co.
2).
Nelle ulteriori parti del decreto l’atto
viene espressamente qualificato come concessione ed
Europa 7 individuata come concessionaria.
Non vi è, quindi, dubbio che il
rilascio della concessione era già avvenuto e non era
stato rinviato ad un momento successivo, come anche
sostenuto dall’Avvocatura.
Tuttavia, il rilascio della
concessione non è stato accompagnato dall’attribuzione
delle frequenze e lo stesso decreto rinviava tale
adempimento ad una ulteriore fase, dipendente da
successiva attività dell’amministrazione (programma
di adeguamento degli impianti alle prescrizioni del
piano nazionale d’assegnazione delle frequenze), cui
sarebbero seguiti adempimenti a carico della
concessionaria (adeguamento degli impianti da
effettuare entro il termine di 24 mesi).
Dovendosi escludere che la mancata
immediata attribuzione delle frequenze costituisca
motivo di nullità dell’atto, dalla mancata
impugnazione di tale atto non può derivare ad Europa
7 alcuna preclusione rispetto alla presente azione, in
quanto questa avrebbe al massimo potuto contestare,
attraverso il ricorso avverso la concessione in parte
qua, la mancata contestuale attribuzione delle
frequenze, ma ben poteva, come ha fatto, limitarsi ad
agire per l’esecuzione del decreto emesso in suo
favore attraverso la richiesta dei successivi
adempimenti che l’amministrazione doveva porre in
essere.
Del resto, non è ragionevole
ritenere che la mancata impugnazione di un
provvedimento favorevole possa comportare limitazioni
alla tutela della parte, che quel provvedimento
intende far valere.
Né l’impugnata nota, con cui si
rinvia l’attuazione dello stesso provvedimento
concessorio può ritenersi un atto meramente
confermativo della concessione e, quindi, non
autonomamente impugnabile, come sostenuto da R.T.I..
5. Con riferimento al contenuto
dell’impugnata nota del 22 dicembre 1999, si rileva
che il Ministero si è limitato a richiamare gli atti
già emanati, precisando che il mancato inizio dell’attività
da parte di Europa 7 è derivato dal fatto che l’emittente
non era già titolare di una rete in quanto nuovo
entrante e che non si era ancora pervenuti alla fase
di attuazione del piano.
Il Ministero ha, infine, ribadito
il proprio impegno ad attivarsi affinché nel più
breve tempo possibile fosse definito, di concerto con
l’Autorità di settore, il programma di adeguamento
al piano delle frequenze, che, una volta attuato,
avrebbe consentito a tutte le emittenti di esercire la
propria rete.
Come rilevato dal Tar, tale
risposta non può ritenersi soddisfacente.
Accertato che non si era in
presenza di una concessione nulla ma al più di un
atto a formazione progressiva, lo stesso contenuto
della concessione imponeva all’amministrazione di
svolgere ulteriore attività amministrativa per
soddisfare la pretesa di Europa 7.
Nell’atto di concessione non era
stabilito un termine per svolgere detta attività, ma
era previsto che l’adeguamento degli impianti alle
prescrizioni del piano d’assegnazione dovrà
avvenire entro il termine di 24 mesi decorrenti dalla
data di comunicazione del provvedimento stesso.
Si trattava di un termine rivolto
alla concessionaria Europa 7, cui compete l’adeguamento
degli impianti, ma subordinato ad un attività
amministrativa (programma d’adeguamento), rimessa al
Ministero ed all’Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni (la stessa Avvocatura riconosce che il
termine di 24 mesi riguardava il periodo concesso al
privato per la realizzazione della rete; v. pag. 12
memoria del 30.4.2008).
Tenuto conto che la concessionaria
doveva comunque poi provvedere ad adeguare gli
impianti nel termine di 24 mesi decorrenti dal luglio
del 1999, il programma di adeguamento avrebbe dovuto
essere sollecitamente approvato.
Il riferimento di R.T.I. all’impossibilità
di attribuire a Europa 7 "frequenze non
pianificate" conferma che l’amministrazione
doveva porre in essere ogni adempimento per completare
il processo di pianificazione, avviando il
procedimento per l’approvazione del programma di
adeguamento.
Ogni eventuale sopravvenienza di
fatto e di diritto, ostativa all’approvazione del
programma e alla conseguente attività di attribuzione
delle frequenze inerenti la concessione già
rilasciata poteva al più costituire motivo per
ulteriori provvedimenti dell’amministrazione, ma
ciò non è avvenuto.
Peraltro, con l’impugnata nota,
il Ministero non richiama alcun elemento ostativo all’attuazione
del piano delle frequenze e si limita ad affermare che
la pretesa azionata non può essere soddisfatta fino
all’approvazione del menzionato programma.
E’ evidente che rispetto ad una
precisa richiesta della concessionaria l’amministrazione
non si può limitare a non accoglierla perché mancano
alcuni adempimenti, che spetta alla stessa
amministrazione, benché unitamente all’Autorità di
settore, porre in essere.
Correttamente, il Tar ha affermato
che "l’amministrazione era tenuta o ad adottare
i provvedimenti necessari al fine di consentire al
suddetto provvedimento di produrre i propri effetti
tipici ovvero, a negare l’assegnazione delle
frequenze, procedendo, pertanto, ad una sostanziale
revoca della concessione la quale in assenza delle
frequenze risultava essere totalmente inefficace,
sulla base di una specifica e dettagliata
illustrazione dei presupposti di fatto e di diritto
che rendevano impossibile tale operazione".
Nessuna delle due alternative è
stata seguita dall’amministrazione e l’impugnata
nota costituisce una sostanziale (ed illegittima)
determinazione dilatoria rispetto alla pretesa
azionata con la diffida, che poggia su presupposti
inidonei a giustificare l’inerzia della stessa
amministrazione nel porre in essere i richiamati
adempimenti.
L’Avvocatura dello Stato ha anche
sostenuto che vi erano fattori normativi ostativi al
riconoscimento del bene (frequenze) richiesto da
Centro Europa 7 e che vi erano i presupposti di fatto
e di diritto per revocare la concessione del luglio
del 1999.
L’argomento è privo di rilievo
per il semplice fatto che la concessione non è mai
stata revocata e che ciò non è avvenuto neanche in
esecuzione dell’impugnata (e non sospesa) sentenza
del Tar, che ha fatto riferimento alla possibilità di
una revoca della concessione.
6. Con riferimento alle preclusioni
all’approvazione del programma di adeguamento ed all’attribuzione
delle frequenze derivanti dallo ius superveniens ed
invocate sia dal Ministero che da R.T.I., si rileva
che anche questo elemento poteva (e può) costituire
oggetto di valutazione da parte del Ministero nell’esame
della diffida inoltrata da Centro Europa 7, ma che non
può essere valutato direttamente in questo giudizio,
il cui oggetto è l’impugnata nota ministeriale che
non fa riferimento ad alcuna preclusione normativa
ostativa al soddisfacimento della pretesa di Europa 7.
L’amministrazione, unitamente all’Autorità
per le garanzie nelle comunicazioni, dovrà ovviamente
tenere conto di tali sopravvenienze in sede di
esecuzione della presente decisione, ma dovrà anche
dare applicazione alla sentenza della Corte di
Giustizia del 31 gennaio 2008, C-380/05, con cui è
stata ritenuta contrastante con il diritto comunitario
una normativa nazionale la cui applicazione conduca a
che un operatore titolare di una concessione si trovi
nell’impossibilità di trasmettere in mancanza di
frequenze di trasmissione assegnate sulla base di
criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e
proporzionati.
7. Parimenti estranea all’oggetto
del presente giudizio è la questione della scadenza
del titolo concessorio rilasciato ad Europa 7 e del
suo mancato rinnovo.
Si tratta di un fatto,
temporalmente riferibile al 2005, in relazione al
quale pende altro contenzioso in primo grado e che è
controverso tra le parti, anche con riferimento alla
possibilità della decorrenza del termine di durata
della concessione prima del completamento della
"fattispecie progressiva" dell’atto.
Anche tale elemento potrà essere
valutato dall’amministrazione in sede di riesercizio
del potere, dovendosi comunque applicare alla
questione i principi affermati dalla Corte di
Giustizia ed essendo evidente che un diniego fondato
unicamente sulla scadenza della concessione
presupporrebbe il riconoscimento dell’assenza di
ragioni ostative all’accoglimento della richiesta di
Europa 7 fino a tale data, e, quindi, l’illegittimità
della precedente inerzia per il periodo antecedente al
2005.
8. In conclusione, il ricorso in
appello deve essere respinto e deve essere confermato
l’annullamento dell’impugnata nota del 22 dicembre
1999, benché sulla base di considerazioni anche
ulteriori rispetto a quelle del giudice di primo
grado.
Gli effetti conformativi della
presente decisione comportano che il Ministero dovrà
ora rideterminarsi sull’istanza di Centro Europa 7
sulla base dei principi qui affermati e con piena
applicazione della sentenza della Corte di Giustizia
del 31 gennaio 2008.
In considerazione della
complessità della vicenda, ricorrono giusti motivi
per compensare integralmente tra le parti le spese di
giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in
appello indicato in epigrafe.
Compensa tra le parti le spese del
giudizio.
Ordina che la presente decisione
sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 6 maggio
2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale -
Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con
l'intervento dei Signori:
Giovanni Ruoppolo Presidente
Paolo Buonvino Consigliere
Domenico Cafini Consigliere
Roberto Chieppa Consigliere Est.
Manfredo Atzeni Consigliere
Presidente
Giovanni Ruoppolo
Consigliere per il Segretario
Roberto Chieppa Maria Rita Oliva
Depositata in Segreteria il 31
marzo 2008
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