REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente
Prof. Gaspare AMBROSINI
Dott. Mario COSATTI
Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI
Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO
Prof. Antonino PAPALDO
Prof. Nicola JAEGER
Prof. Giovanni CASSANDRO
Prof. Biagio PETROCELLI
Dott. Antonio MANCA
Prof. Aldo SANDULLI
Prof. Giuseppe BRANCA
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHLARELLI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del
disegno di legge riapprovato dal Consiglio provinciale
di Bolzano, in sede di rinvio, nella seduta del 6
ottobre 1960 recante "norme sulla parità dei
gruppi linguistici nelle radiotrasmissioni",
promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei
Ministri, notificato il 27 ottobre 1960, depositato
nella cancelleria della Corte costituzionale il 3
novembre 1960 ed iscritto al n. 21 del Registro
ricorsi 1960.
Vista la costituzione in giudizio del Presidente
della Giunta provinciale di Bolzano;
udita nell'udienza pubblica del 7 giugno 1961 la
relazione del Giudice Costantino Mortati;
uditi il sostituto avvocato generale dello Stato
Giuseppe Guglielmi, per il ricorrente, e l'avv.
Giuseppe Guarino, per il Presidente della Giunta
provinciale di Bolzano.
Ritenuto in fatto
Con ricorso notificato il 27 ottobre 1960 al
Presidente della Regione Trentino - Alto Adige e al
Presidente della Giunta provinciale di Bolzano il
Presidente del Consiglio dei Ministri ha chiesto che
questa Corte disponga l'annullamento, previa
dichiarazione di illegittimità costituzionale, del
disegno di legge (riapprovato dal Consiglio
provinciale di Bolzano, in sede di rinvio, nella
seduta del 6 ottobre 1960) recante "norme sulla
parità dei gruppi linguistici nelle
radiotrasmissioni" e rivolto, secondo si legge
nel suo primo articolo, a salvaguardare, ai sensi
dell'accordo di Parigi del 5 settembre 1946 tra
l'Italia e l'Austria, il carattere etnico e lo
sviluppo culturale del gruppo di lingua tedesca ed a
garantire la effettiva parità tra i gruppi
linguistici tedesco, italiano e ladino nel campo delle
comunicazioni radio e televisive, effettuate nel
territorio della Provincia di Bolzano, in
considerazione della situazione di monopolio della R.
A. I. Siffatto scopo il disegno di legge vuole
conseguire disponendo, anzitutto, che spetta alla
Giunta provinciale, con l'ausilio di appositi organi
tecnici, approvare l'orario ed i programmi delle
comunicazioni radio e televisive delle stazioni locali
e vigilare sulla loro attuazione (art. 2), che,
inoltre, alla direzione ed esecuzione di tali
programmi in lingua tedesca, italiana e ladina debba
essere assunto o incaricato un congruo numero di
personale appartenente al rispettivo gruppo
linguistico (art. 3), con l'obbligo per la R.A.I. di
prendere accordi con i predetti organi tecnici (artt.
3 e 4); stabilendo, infine, sanzioni amministrative a
carico della R.A.I.in caso di inosservanza delle
suddette norme ed altresì di quelle del regolamento
che sarà emanato in base ad esse (art. 5), e
richiamando per ogni altra disciplina il D.L.C.P.S. 3
aprile 1947, n. 428 (art. 6).
A motivo del ricorso si deduce: 1) che il disegno
di legge impugnato, in quanto pretende di dare
esecuzione all'accordo 5 settembre 1946, viola gli
artt. 95 e 4 Statuto Trentino-Alto Adige, in relazione
ai principi fondamentali della Costituzione, che
riservano allo Stato la stipulazione, la ratifica e
l'esecuzione dei trattati e degli accordi
internazionali, escludendo ogni competenza della
Provincia in ordine all'esecuzione stessa; 2) che,
mancando del pari la competenza della Provincia nella
materia dell'uso delle lingue tedesca e latina nella
vita pubblica e nei pubblici servizi, la disciplina
che si vuole effettuare dell'uso medesimo nelle
radiotrasmissioni viola le norme di cui al titolo X
dello Statuto speciale, in relazione anche alle norme
del titolo XIV del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, dei
DD.LL. 22 dicembre 1945, n. 825, e 27 ottobre 1945, n.
775, nonché del DD.LL.C.P.S. 8 novembre 1946, n. 528,
e 16 marzo 1947, n. 555; 3) che la Provincia é,
altresì, priva di competenza per ciò che riguarda le
teleradiocomunicazioni, é non può in nessun modo
interferire nei pubblici servizi, la cui gestione é
affidata al Ministero delle poste e delle
telecomunicazioni. Dal che si argomenta che il disegno
di legge incorre nella violazione degli artt. 4, n.
14, e 5, n. 6, Statuto Trentino - Alto Adige, in
relazione agli artt. 30 e 31 D.P.R. 30 giugno 1951, n.
574; violazione tanto più grave in quanto, in
contrasto con il chiaro disposto dell'art. 31 cit., si
viene ad interferire nella concessione in atto alla
R.A.I. - T.V. per l'esercizio, in regime di monopolio,
dei servizi radiotelevisivi; 4) che la materia
disciplinata dalla Provincia non potrebbe rientrare in
quelle ad essa attribuite dai nn. 4 e 5 dell'art. 11,
non avendo la radiodiffusione nulla in comune con
"gli usi e costumi locali", né con le
"istituzioni culturali" (peraltro
espressamente limitate alle biblioteche, accademie,
istituti e musei), né con le "manifestazioni
artistiche locali". Queste materie non
comprendono le radiotelecomunicazioni, che, come mezzo
strumentale, sono attribuite all'esclusiva competenza:
degli organi centrali dello Stato; 5) che, in ogni
caso, il disegno esorbita dai limiti indicati
nell'art. 4 St. anche perché non rispetta gli
interessi nazionali. Il servizio delle
radiodiffusioni, infatti, non può perdere il suo
carattere nazionale, specie in relazione alla
limitatezza delle frequenze ed agli impegni
internazionali assunti nel campo delle
telecomunicazioni. L'approvazione, da parte della
Giunta provinciale, degli orari e dei programmi
radiotelevisivi interferirebbe certamente
nell'attuazione dei programmi di carattere nazionale,
privando i radioascoltatori residenti in quel
territorio della possibilità di ascoltarli; 6) che,
infine, pure se si volesse ammettere in ipotesi una
competenza provinciale, il disegno di legge sarebbe
sempre illegittimo, perché stabilisce competenze
provinciali per funzioni che gli artt. 2 e 8 del
D.L.C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428, attribuiscono allo
Stato, senza che vi sia stato il previo trasferimento
alla Provincia le competenze stesse con apposite norme
di attuazione.
Il deposito del ricorso nella cancelleria della
Corte costituzionale é stato effettuato il 3 novembre
1960 e di esso si é data notizia nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 284 del 19 novembre
1960, nonché nel Bollettino Ufficiale della Regione
Trentino - Alto Adige n. 51 del 15 novembre 1960.
La Provincia di Bolzano - in persona del suo
Presidente, Alois Pupp, rappresentato e difeso
dall'avvocato Giuseppe Guarino e presso di lui
elettivamente domiciliato in Roma, via Giulia n. 4,
come da mandato speciale n. 34025 del 15 novembre 1960
per notar Francesco Longi - si é costituita in
giudizio, depositando le proprie deduzioni in
cancelleria il 21 novembre 1960.
Osserva la difesa della Provincia, in ordine al
primo motivo del ricorso, che gli accordi di Parigi
sono stati menzionati solo allo scopo di chiarire lo
spirito informatore del disegno e la sua conformità
agli impegni internazionali, sicché la loro menzione
non può dar luogo ad illegittimità costituzionale, e
che in ogni caso il giudizio deve rivolgersi al
contenuto obbiettivo del provvedimento non già alla
motivazione ad esso estranea.
Sul secondo motivo, se ne fa rilevare la
inammissibilità, non essendo state specificate le
norme di cui si assume la violazione e non essendo
state indicate le ragioni per le quali questa
sussisterebbe. Peraltro, il richiamo al titolo X dello
Statuto, come alle norme di attuazione contenute nel
titolo XIV del D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574, non é
pertinente perché la legge impugnata non si riferisce
ai rapporti tra i cittadini di lingua tedesca e la
R.A.I. (che rimangono assoggettati alle norme comuni)
ma esclusivamente al contenuto delle
radiotrasmissioni. In ogni caso quel richiamo
dimostrerebbe il contrario di quanto pretende lo
Stato. Infatti, dall'art. 71 del D.P.R. n. 574 si
desume una esplicita giustificazione della legge
impugnata per l'obbligo che impone all'uso della
lingua tedesca nei rapporti orali con i cittadini
italiani di lingua tedesca, e che importa di
conseguenza anche l'altro obbligo dell'utilizzazione
di questa lingua nelle radiotrasmissioni dedicate ai
cittadini medesimi, risolvendosi queste precisamente
in una relazione svolta oralmente. Nell'ipotesi, poi,
di una diversa interpretazione del titolo XIV del
D.P.R. n. 574 del 1951, che conduca a ritenere la
illegittimità costituzionale della legge impugnata,
la difesa della Provincia solleva, in via
pregiudiziale, la questione di legittimità
costituzionale delle norme contenute in detto titolo
XIV, per violazione degli artt. 1, 2, 82, 84 Statuto
T-A.A. e 6 della Costituzione.
Sul terzo motivo si deduce come sia da escludere la
pretesa interferenza nella materia delle
comunicazioni, perché la legge impugnata non riguarda
la disciplina tecnica della radiotelevisione, bensì
il contenuto dei programmi e le modalità di accesso a
detto mezzo, ciò che appartiene non già alla materia
delle comunicazioni, bensì a quella della libera
manifestazione del pensiero, come si evincerebbe anche
dalla sentenza di questa Corte n. 59 del 1960. Che se
poi si intendesse attribuire agli artt. 30 e 31 del
decreto 30 giugno 1951, n. 574, il significato di
riserva allo Stato anche della disciplina della
libertà di manifestazione del pensiero e di
formazione culturale attraverso la radiotelevisione,
queste norme sarebbero costituzionalmente illegittime
per violazione dello Statuto del Trentino - Alto
Adige, e, pertanto, se ed in quanto da esse lo Stato
pretenda far derivare l'illegittimità della legge
impugnata, viene proposta in via incidentale la
questione della loro illegittimità costituzionale.
Con riferimento al quarto motivo si fa, poi,
osservare come la legge in esame trova fondamento
nelle competenze legislative attribuite alla Provincia
dai nn. 2, 4 e 5 dell'art. 11 dello Statuto. Dovendosi
muovere dal principio che l'interpretazione delle
norme statutarie sia da effettuare con riferimento
alle esigenze cui esse sono rivolte, in aderenza al
criterio dello sviluppo delle autonomie locali
consacrato nell'art. 5 Cost., e vien meglio
riaffermato, per le Regioni a Statuto speciale, dal
disposto dell'art. 116 Cost., e tenuto conto che, per
quanto concerne la Provincia di Bolzano, l'esigenza
fondamentale voluta tutelare dallo Statuto, in
applicazione degli accordi di Parigi, é costituita
dalla salvaguardia del carattere etnico e dello
sviluppo culturale ed economico del gruppo di lingua
tedesca, si deve giungere alla conclusione che le tre
competenze in materia di usi e costumi locali, di
istituzioni culturali di carattere provinciale, di
istruzione e di manifestazioni artistiche locali,
considerate dal predetto articolo, e da ritenere fra
loro strettamente connesse, indirizzate come sono a
tutelare nel loro complesso le esigenze dei gruppi
etnici locali, risultano validamente esplicate dalla
legge impugnata in un campo come quello delle
trasmissioni radiotelevisive, le quali più
efficacemente interferiscono sul carattere e sulla
cultura, in senso lato, di un gruppo etnico.
Si fa, inoltre, osservare come le dette tre
competenze sono tali da giustificare la legge, anche
ove si voglia considerare ognuna di esse separatamente
dalle altre. Infatti, é pacifico che gli spettacoli
radiotelevisivi costituiscono "manifestazioni
artistiche", e poiché la legge si riferisce solo
a quelle fra esse localizzate nel territorio della
Provincia (come risulta in modo certo dal fatto che
essa riguarda le sole stazioni locali) non appare
dubbia la sua conformità alle norme statutarie.
Ugualmente non é contestabile che la radiotelevisione
dia luogo ad una istituzione culturale, ai sensi
dell'art. 11, n. 4. Ed infine non può disconoscersi
alla medesima il carattere di mezzo di istruzione.
Si aggiunge, poi, che la legge impugnata é
giustificata anche in base all'art. 21 della
Costituzione. La tutela che essa vuole effettuare, in
condizione di parità, delle esigenze culturali ed
etniche dei vari gruppi linguistici coesistenti nella
Provincia é, infatti, espressione del diritto alla
libera manifestazione del pensiero con ogni mezzo di
diffusione, e, quindi, pure attraverso la radio e la
televisione.
Infine, quanto al rilievo dello Stato che, anche
ammessa la competenza della Provincia, essa non
potrebbe essere esercitata finché non siano state
emanate le norme di attuazione necessarie per il
trasferimento agli organi provinciali delle funzioni
in materia esercitate attualmente da organi statali
secondo dispone il D.L.C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428,
la difesa della Provincia, dopo avere osservato che le
norme di attuazione vincolano l'esercizio dei poteri
amministrativi e non anche di quelli legislativi,
solleva in via incidentale la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1 e 8 di quel
decreto, nonché degli artt. 1 e 168 del Codice
postale, per il caso che si volesse far derivare da
queste norme la illegittimità della legge in esame.
In proposito, essa afferma che per la radio non
sussistono le ragioni che hanno indotto questa Corte a
dichiarare costituzionale il monopolio della
televisione; e ciò perché per la medesima si deve
tener conto, oltre che del costo relativamente basso
dei programmi, della possibilità di assegnazione di
un maggior numero di frequenze, e, nell'ambito della
stessa frequenza, della compresenza di numerose
stazioni locali di media e piccola potenza, senza
pericoli di interferenze fra loro, o con altre
stazioni. Sicché, nell'impossibilità di invocare
l'art. 43 Cost. a sostegno del monopolio, quest'ultimo
risulta in contrasto con l'art. 21.
L'incostituzionalità del decreto legislativo del
1947 é poi sostenuta con riguardo e al citato art. 21
Cost. e agli artt. 1, 2, 82, 84 Statuto Trentino -
Alto Adige, perché esso non disciplina l'uguale
accesso ai mezzi radiotelevisivi di tutti i cittadini
e in particolare degli esponenti, nella Provincia di
Bolzano, dei vari gruppi etnici.
Con memoria depositata il 17 maggio, l'Avvocatura
dello Stato prende preliminarmente in considerazione
le questioni sollevate in via incidentale dalla difesa
regionale perché siano dichiarate illegittime sia le
norme contenute nel tit. XIV e negli artt. 30 e 31
D.P.R. 30 giugno 1951, n. 574 (per contrasto con gli
artt. 1, 2, 82, 84 St. e 6 Cost.); e sia ancora degli
artt. 1 e 168 Codice postale, nonché del D.L.C.P.S. 3
aprile 1947, n. 428 (per violazione degli artt. 6 e 21
Cost., 1, 2, 82, 84 dello Statuto).
In ordine a tali eccezioni l'Avvocatura osserva
come esse siano inammissibili sotto molteplici
profili. E ciò, anzitutto, in considerazione del
difetto di ogni interesse da parte della Provincia a
far valere le eccezioni stesse. Infatti, la legge
impugnata lungi dal contrastare, presuppone il
mantenimento del monopolio radiotelevisivo e tende
solo a sostituire la Provincia allo Stato
nell'esercizio del medesimo, sicché l'eliminazione
del monopolio in parola, quando ne fosse dichiarata
l'incostituzionalità, farebbe cadere la legge stessa.
Si aggiunge che, per quanto riguarda il monopolio
televisivo, la Corte con la sentenza n. 59 del 1960 ne
ha ammesso la costituzionalità, e su questo punto
nessun rilievo muove la difesa della Provincia. E
poiché il disegno di legge impugnato pretende di
disciplinare anche l'esercizio di tale mezzo di
diffusione, l'eventuale dichiarazione di
incostituzionalità del monopolio radiofonico non
varrebbe ad evitare a carico del disegno medesimo la
censura di invadenza nella sfera di competenza
riservata allo Stato.
Le eccezioni si palesano, poi, irrilevanti quando
si tenga presente che presupposto per l'incidente di
costituzionalità di una norma di legge, nel corso di
un giudizio avanti alla Corte relativo alla
legittimità costituzionale di altra norma di legge
ordinaria, é che la prima concorra (insieme ad una
norma costituzionale) a formare la premessa maggiore
del sillogismo in cui si concreta il giudizio di
costituzionalità: il che può avvenire quando essa ne
completi il dettato, o ponga in essere uno dei
principi dell'ordinamento nazionale limitativi della
potestà legislativa regionale o provinciale. Tale
ipotesi non si verifica né nei confronti delle norme
del Codice postale e del D.L. 428 del 1947, né in
quelli delle norme di attuazione di cui al D.P.R. 30
giugno 1951, n. 574, perché il giudizio sulla
competenza della Provincia é da effettuare
esclusivamente sulla base degli artt. 11 e 12 dello
Statuto, i quali elencano in modo tassativo i casi di
competenza legislativa della Provincia.
Subordinatamente, l'Avvocatura dello Stato fa
valere l'infondatezza nel merito della questione di
costituzionalità. Infatti, gli artt. 30 e 31 delle
norme di attuazione non contengono alcuna
discriminazione in relazione al gruppo linguistico di
appartenenza, né per quanto attiene alle
trasmissioni, né per ciò che riguarda il personale
della R.A.I. - TV, e neppure riguardano l'uso della
lingua tedesca e ladina nella vita pubblica, sicché
non possono dar vita ad alcun contrasto con l'art. 2
St., rivolto a garantire la parità di diritto dei
cittadini dei vari gruppi linguistici, e neppure con
gli artt. 82 e 84 St. relativi all'uso della lingua da
parte delle minoranze etniche nella vita pubblica e
nei rapporti con organi ed uffici della Provincia.
D'altra parte, la statualità del servizio
televisivo esige che ogni settore della sua
organizzazione, ivi compreso il contenuto dei
programmi, competa di diritto e di fatto allo Stato.
Lo Stato ha validamente dato il servizio in
concessione, e la Provincia non ha potere
d'interferirvi, ancorché avesse competenza in
materia.
Passando nel merito del ricorso l'Avvocatura
richiama la sentenza di questa Corte n. 1 del 1961,
che ha riaffermato il principio, risultante dal titolo
X dello Statuto, della esclusività della competenza
statale in ordine all'uso della lingua, quale che sia
la materia con riferimento alla quale l'uso stesso
debba essere regolato. Dalla stessa sentenza, poi,
trae argomento per respingere la tesi dell'ente
secondo cui l'indicazione delle materie contenuta
nelle norme statutarie dovrebbe essere interpretata
secondo un criterio strumentale, così da comprendere
ogni competenza finalisticamente indirizzata
all'esercizio delle medesime, e sostiene che, invece,
l'indicazione risultante dai nn. 2, 4 e 5 dell'art.
11, é così netta e ben delineata da precludere ogni
estensione ai programmi radiotelevisivi, e soprattutto
alla lingua da usare nella loro emissione. In
particolare, osserva che l'istruzione, di cui al n. 2,
é quella che si impartisce nelle scuole; che i
programmi televisivi non s'identificano con le
manifestazioni artistiche, tanto meno locali, come
sono quelle alle quali ha riguardo il n. 5; e, infine,
che la R.A.I. - TV non può definirsi un istituto
culturale a carattere locale, del tipo considerato al
n. 4.
Dopo aver riaffermato quanto già dedotto in ordine
alla mancanza delle norme di attuazione e alla lesione
dell'interesse nazionale, conclude chiedendo
l'annullamento del disegno di legge impugnato.
Anche la difesa della Provincia ha in data 25
maggio depositato una memoria illustrativa. Essa fa
precedere all'esame dei singoli motivi di ricorso
delle considerazioni di carattere generale. Dopo aver
premesso che la Costituzione, lungi dal contrapporre
l'unità all'autonomia, ha considerato quest'ultima
come una forma di estrinsecazione della prima, mette
in rilievo come nei confronti del Trentino - Alto
Adige l'autonomia debba avvalersi di una doppia
tutela, corrispondente alle due specie della medesima,
quali sono considerate dalla Costituzione; quella
propria degli enti locali e l'altra riguardante le
formazioni sociali, rappresentate nella specie dai
gruppi etnici che ivi coesistono, ed aggiunge che tale
tutela deve estrinsecarsi nel creare le condizioni
obiettive le quali consentano ad enti e formazioni il
godimento effettivo dell'autonomia medesima.
Passando alla confutazione dei motivi di
impugnativa la difesa della Provincia contesta che la
legge che ne é oggetto abbia disciplinato l'uso della
lingua, essendosi, invece, proposto solo di realizzare
una connessione fra il servizio radiotelevisivo ed i
gruppi di lingua tedesca e ladina, allo scopo di
assicurare la parità effettiva del suo godimento da
parte di quanti entrano a comporli.
Quanto, poi, alla censura di invasione della
competenza statale, fa osservare come si renda
necessario distinguere il monopolio del mezzo
radiotelevisivo, considerato sotto l'aspetto tecnico,
da quello della sua utilizzazione: il primo ha la sua
ragion d'essere proprio in quanto assicuri a tutti la
concreta utilizzabilità dello strumento diffusivo,
secondo é stato affermato da una recente pronuncia
della Corte costituzionale della Repubblica federale
tedesca. Si mette, poi, in rilievo come la sentenza di
questa Corte n. 59 del 1960 ha statuito l'obbligo per
lo Stato di assicurare a tutti la possibilità di
usare del servizio radio per la manifestazione del
pensiero e la conseguente esigenza di leggi dirette a
disciplinare tale uso: leggi che si dovrebbero
ritenere possibili sia allo Stato che alle Regioni o
Province.
Dalla stessa sentenza n. 59 la difesa trae, poi,
argomento di conferma della tesi da essa sostenuta,
secondo cui la radiotelevisione é un'istituzione
culturale, manifestandosi pel suo tramite la cultura
di un corpo sociale nella sua unità. Tale principio
non può non farsi valere anche nei confronti di
qualsiasi collettività minore, com'é per esempio il
gruppo etnico. Se il gruppo di lingua tedesca ha
diritto alla salvaguardia del proprio sviluppo
culturale secondo le caratteristiche etniche, e se la
televisione é strumento idoneo a tale sviluppo, deve
concludersi che la disciplina del suo uso rientra
nella fattispecie prevista nel n. 4 dell'art. 11 dello
Statuto, che, appunto, ha riguardo alle istituzioni
culturali aventi carattere provinciale: senza che a
ciò possa fare ostacolo l'enumerazione delle
istituzioni culturali contenuta nel citato art. 11, n.
4, perché la medesima non riveste carattere
tassativo. Inoltre, la competenza della Provincia può
dedursi anche dal n. 5 dello stesso articolo, dato che
le trasmissioni radio sono adoperate, almeno in parte,
ma in larga misura, per divulgare manifestazioni
artistiche. Né potrebbe sostenersi che le
riproduzioni sono diverse dalle manifestazioni cui si
riferisce l'art. 11 poiché il termine
"manifestare" é adoperato da questo nel
senso di rendere pubblico, indipendentemente dal modo
in cui ciò avvenga.
Non varrebbe, poi, obiettare che il servizio di
radiodiffusione ha sempre carattere nazionale, poiché
lo stesso ente radiofonico distingue le sue
trasmissioni secondo che abbiano carattere nazionale o
locale: e quelle cui si riferisce la legge impugnata
assumono quest'ultimo carattere, essendo limitate alla
popolazione della Provincia e diffuse da stazioni
colà poste, senza alcuna interferenza sui programmi
nazionali.
Passando, infine, ad illustrare alcune delle
questioni di legittimità costituzionale sollevate in
via incidentale (omettendo di considerare quelle che
nelle deduzioni erano state rivolte contro le norme di
attuazione approvate con il decreto n. 574 del 1951),
la difesa contesta, anzitutto, l'obiezione avversaria
circa il difetto di interesse a sollevarle da parte
della Provincia, desunta dal fatto che la legge
impugnata dà per ammesso il monopolio statale, ed a
tal'uopo fa considerare che l'interesse della
Provincia sta nel negare l'allegato carattere di
servizio pubblico nazionale dell'attività
radiotelevisiva, mentre le é indifferente la
questione della proprietà degli impianti o la natura
del monopolio esercitato dalla R. A. I, monopolio che,
poi, non verrebbe meno di fatto anche nel caso di
accoglimento dell'eccezione.
Quanto alla prima eccezione, rivolta contro l'art.
1 D.L.C.P.S. n. 428 del 1947, osserva come, ove si
ammetta che esso sancisca l'esistenza di un solo
concessionario per quanto riguarda la parte culturale
delle trasmissioni, non potrebbe desumere la sua
giustificazione dall'art. 43, ed, invece, verrebbe a
porsi in contrasto con l'art. 21 della Costituzione.
La seconda questione, riferentesi all'art. 8 del
predetto decreto, é subordinata alla precedente,
poiché, quando fosse ritenuta regolare l'unicità
della concessione, verrebbe in rilievo la
incostituzionalità della sottoposizione dei programmi
all'autorizzazione di un organo centrale, com'é il
Ministro delle poste, per la lesione che da ciò
deriva alle autonomie locali.
Infine, l'eccezione rivolta contro gli artt. 1 e
168 del Codice postale poggia sulla considerazione che
la pronuncia della Corte circa la costituzionalità
del monopolio televisivo non tocca la questione che
qui si solleva relativa a quello della radio, data la
diversità del mezzo tecnico. Dal che deriva che la
legge impugnata potrebbe essere riconosciuta
parzialmente legittima, per lo meno per la parte
riferentesi alla radio.
Conclude facendo presente la possibilità che la
decisione del ricorso possa effettuarsi anche senza
addentrarsi nell'esame delle questioni sollevate, dato
che nessuna norma esiste né nel Codice postale, né
nel decreto del 1947, e neppure in quello del 1952 di
approvazione della convenzione con la R.A.I., che
imponga a questa di elaborare programmi solo in modo
unitario ed in sede nazionale, ed esclude
l'assoggettamento della programmazione ad una
disciplina locale; e che d'altra parte gli interventi
degli organi centrali sono previsti limitatamente
all'approvazione del piano e delle direttive di
massima, lasciando al concessionario una larga
discrezionalità. Ed é nella sfera di tale
discrezionalità che intende operare la legge
provinciale, disponendo l'intervento della Giunta
nell'approvazione degli orari e dei programmi delle
stazioni locali e ponendo così rimedio allo stato di
cose attuale, caratterizzato dall'affidare a dirigenti
del gruppo etnico italiano la programmazione e la
redazione delle trasmissioni in lingua tedesca.
Conclude chiedendo la reiezione del ricorso
prodotto dallo Stato.
Nella discussione orale i rappresentanti delle
parti hanno ribadito, illustrandole, le rispettive
tesi.
Considerato in diritto
1. - La pretesa fatta valere dalla Provincia di
Bolzano con la legge impugnata, di provvedere alla
predisposizione dei programmi per le trasmissioni
radio e televisive delle stazioni locali, nonché alla
loro approvazione ed alla vigilanza sull'esecuzione,
viene sostanzialmente fondata sull'art. 11, nn. 2, 4 e
5, dello Statuto regionale, nella considerazione che
la radiotelevisione, in quanto utilizzabile, secondo
il diverso contenuto delle trasmissioni, quale mezzo
di istruzione, oppure di manifestazioni artistiche o
culturali, deve essere considerata vera e propria
"istituzione di cultura", e, pertanto, la
disciplina del suo uso, se localizzata nel territorio
provinciale, é da ritenere compresa in quella delle
materie che l'articolo predetto affida alla potestà
normativa della Provincia.
Tale tesi non può essere accolta essendo chiaro
che la competenza provinciale in dette materie
(analoghe a quelle previste da altri Statuti speciali,
secondo risulta dall'art. 14, lett. z, Statuto
siciliano, dagli artt. 3, lett. q, e 4, lett. m,
Statuto sardo, art. 2, lett. r e s, Statuto Valle
d'Aosta), sia che si consideri con riferimento a
ciascuna di esse o al loro insieme, debba rimanere
limi tata alla creazione o al potenziamento di
istituti scolastici o culturali o artistici i quali
appartengano alla disponibilità dell'ente che intende
disciplinarli, senza potersi mai esercitare nei
confronti di mezzi che sono propri di un soggetto
diverso.
Così essendo, non interessa accertare se
l'elencazione delle istituzioni culturali di cui al n.
4 del cit. art. 11 rivesta carattere tassativo o sia
suscettibile di estensione. Poiché, anche ad
ammettere quest'ultima ipotesi, l'ampliamento delle
fattispecie ivi considerate si renderebbe possibile
solo con riferimento ad altre ad esse analoghe, mentre
analogia non può esservi con istituti sottratti del
tutto al potere della Provincia.
2. - La difesa dell'Ente sostiene che le norme
statutarie richiamate sono da interpretare
teleologicamente, con riferimento cioè alla funzione
propria delle competenze in materia, che, secondo
risulta dall'art. 1 della legge impugnata, dovrebbe
essere quella della salvaguardia del carattere etnico
e dello sviluppo culturale del gruppo di lingua
tedesca, nonché della garanzia dell'effettiva parità
dei tre nuclei linguistici risiedenti nella zona.
In contrario, é da osservare in primo luogo che,
come la Corte ha avuto occasione di affermare più
volte, le competenze normative attribuite alle Regioni
o Province autonome sono da contenere entro i limiti
risultanti dalla specificazione delle singole materie
elencate negli Statuti, secondo il contenuto delle
medesime da determinare in base a criteri obiettivi, e
non se ne può consentire l'estensione a rapporti non
rientranti nelle medesime, in base alla mera
considerazione dei fini che ne hanno inspirato il
conferimento.
Ancor più rilevante, per escludere la fondatezza
della tesi della difesa, é il rilievo
dell'esclusività della competenza statale
nell'adozione delle misure, dirette ad assicurare le
esigenze collegate alla varietà dei gruppi etnici in
quella parte del territorio statale, che non possano
ricondursi a quelle espressamente attribuite alla
Provincia (e tali non sono, come risulta dall'esame
compiuto dell'art. 11, le funzioni che la legge in
esame ha voluto esercitare).
Che il Costituente abbia inteso affidare solo allo
Stato la disciplina dell'uso della lingua tedesca, e
ciò allo scopo di meglio effettuare il coordinamento
fra l'esigenza della protezione delle caratteristiche
etniche e dello sviluppo culturale di quel gruppo
alloglotta e l'altra della parità del trattamento con
gli altri gruppi, si desume chiaramente dall'art. 84,
che ha fatto rinvio alle disposizioni dello Statuto ed
a quelle delle leggi speciali della Repubblica per la
regolamentazione del detto uso "nella vita
pubblica".
Formula questa comprensiva di tutte le
manifestazioni le quali implichino contatti con uffici
pubblici o con enti dipendenti o collegati con lo
Stato, come sono quelli relativi alla R.A.I., ente
concessionario di un servizio statale.
Nessun dubbio può, poi, sorgere circa il tipo
delle "leggi speciali" richiamate dal detto
articolo, poiché, come la Corte ha già avuto
occasione di affermare nella sentenza n. 32 del 1960,
la parola "Repubblica" é adoperata negli
Statuti regionali in un significato diverso da quello
che di solito ricorre nel testo della Costituzione, e
cioè per indicare l'organizzazione centrale dello
Stato.
Deduzioni in contrario non possono trarsi dall'art.
85 St. o dall'art. 71 del D.P.R. 30 giugno 1951, n.
574, poiché questi, nello svolgere, per determinati
effetti, il principio sancito nell'art. 84,
stabiliscono, fra l'altro, che gli organi ed uffici
della pubblica Amministrazione usano nei rapporti
orali con cittadini del gruppo tedesco la lingua
parlata da costoro. E’ chiaro, infatti, come del
resto la stessa difesa della Provincia riconosce, che
le trasmissioni radiotelevisive, anche se si svolgono
oralmente, non rientrano nell'ipotesi prevista dagli
articoli citati in quanto non realizzano rapporti con
singoli rivolgendosi, invece, unilateralmente, senza
dar luogo ad alcuno scambio di comunicazione, ad una
collettività indeterminata, qual é quella formata da
tutti coloro che ne effettuano l'ascolto. In ogni
caso, anche ad interpretare diversamente le
disposizioni richiamate, mai potrebbe dedursi dalle
medesime che rapporti del genere siano regolabili
dalla legge regionale. Né può ritenersi influente
l'affermazione della difesa della Provincia secondo
cui la legge impugnata non ha inteso disciplinare
l'uso della lingua, bensì solo "effettuare una
connessione della radio con i gruppi etnici onde
assicurarne la parità" poiché, a parte la
considerazione che l'allegata connessione si risolve
proprio nella disciplina di un particolare modo di uso
della lingua, la garanzia della parità sfugge, come
si é detto, alla competenza dell'ente.
3. - Non diversa é la conclusione alla quale si
deve giungere quando si risalga (come fa la difesa) ai
principi costituzionali dell'autonomia (art. 5) e
della protezione delle minoranze (art. 6) poiché tali
principi sono da assumere quali criteri direttivi per
il legislatore, ma non possono giustificare alcuno
spostamento dell'ordine delle competenze.
Tanto meno, poi, un effetto di tal genere potrebbe
farsi discendere dall'accordo di Parigi, essendo
incontrovertibile il principio che affida allo Stato,
e solo ad esso, l'esecuzione all'interno degli
obblighi assunti in rapporti internazionali con altri
Stati. Principio in nessun modo derogato dallo
Statuto, poiché il rispetto degli obblighi
internazionali sancito nell'art. 4 é posto a limite
solo dell'autonomia della Regione e della Provincia e,
quindi, può essere fatto valere per invalidare le
norme emesse da queste in violazione del medesimo, ma
non può mai invocarsi per legittimare l'assunzione,
da parte dei predetti enti, di competenze non previste
dalla legge costituzionale. La Corte ha avuto altre
volte occasione (sent. n. 32 del 1960 e n. 1 del 1961)
di affermare che all'accordo di Parigi possa esser
fatto riferimento solo, quando occorra, quale sussidio
interpretativo delle norme statutarie dettate,
appunto, allo scopo di dargli esecuzione, mentre é da
queste ultime solamente, oltre che da quelle della
Costituzione, che sono da trarre i criteri per la
risoluzione delle questioni relative all'ordine delle
competenze.
4. - La difesa della Provincia, ha invocato anche,
a sostegno della legge in esame, il principio della
libertà di manifestazione del pensiero con ogni
mezzo, qual é garantito a tutti dall'art. 21,
sostenendo che la legge predetta deve considerarsi
esplicazione del diritto della Provincia alla
divulgazione del proprio pensiero, per la tutela delle
specifiche esigenze locali.
Riguardo alla questione così sollevata, occorre
ricordare che la Corte, con sentenza n. 59 del 1960,
ha ritenuto che l'art. 21 non risulta violato per
effetto della riserva a favore dello Stato, stabilita
per i servizi radiotelevisivi dalle leggi vigenti e
dalla conseguente possibilità di farne oggetto di
concessione in esclusiva, e ciò nella considerazione
che il diritto di cui all'art. 21, non implica sempre
e necessariamente la pretesa alla disponibilità del
mezzo di diffusione del pensiero, e che anzi,
allorché (come si verifica per gli impianti relativi
ai detti servizi) la naturale limitatezza del mezzo
stesso consenta solo a pochi tale disponibilità,
l'accordare allo Stato la esclusività del medesimo,
lungi dal contrastare alle esigenze che l'art. 21 ha
voluto tutelare, ne rende più agevole la
soddisfazione, dato che lo Stato, per la posizione in
cui istituzionalmente si trova, può meglio che ogni
altro soggetto assicurare l'accesso di tutti gli
interessati, in condizione di obiettività e di
imparzialità, al detto mezzo di comunicazione. Alla
stregua di tale pronuncia la sola pretesa da
riconoscere alla Provincia é quella di richiedere al
concessionario delle trasmissioni radiotelevisive di
essere ammessa ad avvalersi della stazione locale, o
anche, eventualmente, delle altre, per trasmissioni da
essa proposte, pur se in lingua tedesca, naturalmente
nei limiti e modi già messi in rilievo dalla citata
sentenza, quali sono richiesti dalle esigenze tecniche
e di funzionalità, nonché da quelle del
coordinamento dei programmi.
É vero che la Corte ha affermata l'esigenza di
leggi destinate a meglio disciplinare la possibilità
potenzialmente riconosciuta a tutti di essere ammessi
all'utilizzazione del servizio, ma le leggi in tal
senso non possono derivare che dallo Stato, non mai
dalle Regioni o da enti minori, proprio per la ragione
messa in rilievo che lo Stato é l'ente meglio idoneo
a disporre in materia con il necessario criterio di
imparzialità.
Ma comunque si pensi di ciò, in nessun caso la
legge impugnata sfuggirebbe alla censura di
incostituzionalità dato che, come si é visto, essa
si propone non già di provvedere all'equa
distribuzione dell'uso della stazione locale tra i
vari richiedenti, ma, invece, di effettuare
l'attribuzione in esclusiva della disponibilità della
stazione medesima alla Provincia, venendo così a
porsi in netta contraddizione con l'esigenza dedotta
dalla Corte dal disposto dell'art. 21.
Non é, poi, da indugiare sulle affermazioni della
difesa circa la diversità di trattamento che sarebbe
da fare alle trasmissioni radio rispetto a quelle
televisive, per effetto della larga disponibilità di
lunghezze d'onda, di cui le prime (a differenza della
limitatezza dei canali possibili per le altre)
potrebbero disporre, e della conseguente possibilità
di impianto di molteplici stazioni nella stessa
località senza pericolo che diano luogo ad
interferenze fra loro o con altre stazioni. Infatti,
la pretesa di cui alla legge impugnata si rivolge non
già all'istituzione di nuove stazioni
radiotrasmittenti, bensì solo all'uso di quella
locale appartenente allo Stato, senza disconoscere, ed
anzi ammettendo, la legittimità del monopolio degli
impianti tecnici da parte di questo, sicché diviene
irrilevante ogni distinzione circa il tipo di
trasmissione.
5. - Le considerazioni che precedono sono
sufficienti a fare argomentare l'irrilevanza
dell'altra eccezione di incostituzionalità sollevata
in via incidentale dalla difesa della Provincia
avverso il D.L.C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428, nonché
gli artt. 1 e 168 del Codice postale, approvato con
R.D. 27 febbraio 1936, n. 645. Infatti, tali eccezioni
sarebbero ammissibili solo nell'ipotesi che
l'eventuale dichiarazione di incostituzionalità delle
norme contro cui esse si rivolgono valesse a
legittimare il provvedimento impugnato. Ma é chiaro
che tale effetto non potrebbe mai discendere
dall'accoglimento della doglianza fatta valere avverso
le leggi predette, poiché se, come essa richiede,
dovesse ritenersi illegittima l'attribuzione allo
Stato dell'uso in esclusiva delle trasmissioni radio,
con più forte ragione un analogo giudizio dovrebbe
colpire la legge provinciale, la quale si propone di
sostituire a quello dello Stato un proprio regime di
gestione monopolistica.
Del tutto irrilevante é, poi, quanto la difesa
della Provincia afferma in ordine alla mancanza di
ogni norma di legge che imponga alla R.A.I. di
elaborare i programmi in modo unitario e solo in sede
nazionale; circostanza questa dalla quale si dovrebbe,
poi, dedurre la legittimità dell'assunzione da parte
della Giunta provinciale del compito della
approvazione dei programmi locali.
A parte l'inesattezza della premessa (poiché
risulta in modo tassativo dall'art. 1 D.P.R. 26
gennaio 1952, n. 180, di approvazione della
convenzione con la R.A.I., l'esclusività della
gestione del servizio concesso a detto ente, al quale
l'art. 10 impone di esaminare richieste relative a
manifestazioni teatrali solo nel caso che esse
provengano da Amministrazioni dello Stato), e pure
ammesso che le direttive di massima culturali per i
programmi affidate alle Commissioni di cui all'art. 8
del decreto del 1947, n. 428, lascino un potere
discrezionale alla R.A.I. di disporre in ordine allo
svolgimento delle direttive medesime, non potrebbe mai
da ciò discendere la facoltà della Provincia di
statuire, come ha fatto, la totale sostituzione di un
proprio potere dispositivo in luogo di quello
assegnato all'ente concessionario, ma, se mai, solo
quella già ricordata di richiedere la presa in
considerazione delle proposte di programmi da essa
predisposte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale del
disegno di legge della Provincia di Bolzano,
riapprovato il 6 ottobre 1960, concernente "norme
sulla parità dei gruppi linguistici nelle
radiotrasmissioni";
dichiara inammissibili le eccezioni di
incostituzionalità sollevate dalla Provincia avverso
gli artt. 30 e 31, nonché il tit. XIV del D.P.R. n.
574 del 1951, ed avverso il D.L.C.P.S. n. 428 del 1947
e gli artt. 1 e 168 R.D. n. 645 del 1936.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio
1961.
Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI
- Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI
AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni
CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo
SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI -
Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI
Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.
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