SENTENZA N. 58
ANNO 1965
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente
Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO
Prof. ANTONINO PAPALDO
Prof. NICOLA JAEGER
Prof. GIOVANNI CASSANDRO
Prof. BIAGIO PETROCELLI
Dott. ANTONIO MANCA
Prof. ALDO SANDULLI
Prof. GIUSEPPE BRANCA
Prof. MICHELE FRAGALI
Prof. COSTANTINO MORTATI
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI
Dott. GIUSEPPE VERZÌ
Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI
Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del
R.D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, e successive
modificazioni, e dell'art. 36 della legge 7 gennaio
1929, n. 4, promosso con ordinanza emessa il 1 luglio
1963 dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento
penale a carico di Talamonti Luigi, iscritta al n. 164
del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 269 del 31
ottobre 1964.
Visto l'atto di intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
udita nell'udienza pubblica del 12 maggio 1965 la
relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato
Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso del dibattimento dinanzi al
Tribunale di Ascoli Piceno celebratosi il 1 luglio
1963 nel processo a carico di Talamonti Luigi,
imputato del reato di cui agli artt. 1, 2 e 19 del D.
L. 21 febbraio 1938, n. 246, per avere detenuto un
apparecchio radioricevente senza pagare il relativo
canone di abbonamento, il P. M. eccepì la
illegittimità costituzionale degli artt. 1 e segg.
del citato D. L. per contrasto con gli artt. 3 e 43
della Costituzione, e degli artt. 1 e segg. del D. L.
25 marzo 1923, n. 796, in relazione all'art. 36 della
legge 7 gennaio 1929, n. 4, sulla repressione delle
violazioni delle leggi fiscali, per contrasto con
l'art. 102 della Costituzione.
Il Tribunale, con ordinanza emessa all'udienza
recante il solo dispositivo, faceva espresso
riferimento alle questioni sollevate dal P. M. in
relazione, esclusivamente, agli artt. 43 e 102 della
Costituzione, ed ordinava la trasmissione degli atti a
questa Corte. La motivazione dell'ordinanza veniva poi
depositata nella cancelleria del Tribunale il 26
ottobre successivo. Si legge nella detta motivazione
che, pur dovendosi ammettere, in base alla
giurisprudenza della Corte costituzionale, essere
conforme all'art. 43 della Costituzione la
"socializzazione" del servizio radio-
televisivo, la natura fiscale del canone a carico
degli utenti trarrebbe la sua giustificazione solo
dalla pubblica gestione del servizio. Contrasterebbe
perciò col detto precetto costituzionale la
concessione del servizio ad una società privata,
quale é pacifico sia la R. A. I., onde sarebbe
incostituzionale "tutta la disciplina giuridica
eretta sul presupposto di quella concessione",
come testualmente si esprime l'ordinanza. Infatti -
osserva ancora il Tribunale - l'art. 43 della
Costituzione conterrebbe una elencazione tassativa
delle forme di gestione delle imprese riferentisi a
pubblici servizi, e porrebbe un sistema inteso
"ad evitare la privatizzazione di servizi
pubblici", il che si desumerebbe anche in base ai
lavori preparatori, dai quali risulterebbe che un
emendamento tendente ad eliminare dai possibili
destinatari della titolarità dei servizi pubblici
nazionalizzati "le comunità di lavoratori o di
utenti" venne respinto appunto in considerazione
dei caratteri di tali unioni, "similari" a
quelli degli Enti pubblici.
Rileva poi l'ordinanza che la giurisdizione penale
dell'Intendente di finanza stabilita dall'art. 36
della legge 7 gennaio 1929, n. 4, sarebbe in contrasto
con il divieto di istituire giudici speciali, sancito
dall'art. 102 della Costituzione, e urterebbe altresì
contro il principio della separazione dei poteri, ed
instaurerebbe una disciplina di carattere eccezionale,
con evidente e grave pregiudizio per l'ordinamento
dello Stato e per la tutela degli elementari diritti
del cittadino.
L'ordinanza, nella sola motivazione, fu notificata
al Presidente del Consiglio dei Ministri il 29 ottobre
1963, comunicata ai Presidenti dei due rami del
Parlamento, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del
16 novembre 1963, n. 299.
2. - Si costituì dinanzi a questa Corte il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che
depositò le proprie deduzioni il 30 novembre 1963.
L'Avvocatura, dopo avere ricordato che già il
Tribunale di Ascoli Piceno, con ordinanza del 10
ottobre 1962, aveva sollevato altre questioni di
legittimità costituzionale nello stesso procedimento
a carico del Talamonti, risolte negativamente dalla
Corte costituzionale con la sentenza n. 81 del 1963,
osservò che l'oggetto della prima delle nuove
questioni non era sufficientemente identificato
nell'atto di rinvio notificato al Presidente del
Consiglio, che non indicava le norme la cui
legittimità costituzionale era contestata, e,
inoltre, il detto atto risultava privo del
dispositivo.
In particolare, circa la identificazione
dell'oggetto di questa prima questione, l'Avvocatura
osservava che, dovendosi senz'altro escludere la
convenzione 26 gennaio 1962 per il suo carattere
evidentemente amministrativo, presupposto della
disciplina giuridica delle radiotelecomunicazioni
potrebbe pensarsi essere l'art. 168, n. 5, del Codice
postale, sul quale peraltro già si era pronunciata la
Corte costituzionale con la sentenza n. 59 del 1960,
escludendone la illegittimità.
Proseguendo nelle proprie deduzioni, l'Avvocatura
osservava che, comunque, l'art. 43 della Costituzione
riguarda soltanto la possibilità di attribuzione allo
Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori o
di utenti della "titolarità" delle imprese
relative ai servizi pubblici essenziali, ma non si
estende alla gestione, in concreto, delle imprese
stesse, e non esclude, quindi, la possibilità di
darle in concessione a privati; il che, del resto,
sarebbe uno dei modi normali di esercizio dei servizi
pubblici.
La natura fiscale dell'obbligazione relativa alla
tassa di abbonamento si giustificherebbe poi anche in
regime di concessione, come conseguenza della natura
giuspubblicistica del rapporto tra la R.A.I. ed i
radioutenti, così come del resto espressamente ebbe a
riconoscere la Corte costituzionale con la citata
sentenza n. 81 del 1963.
3. - Quanto alla seconda questione, osservava
l'Avvocatura che la giurisdizione penale attribuita
all'Intendente di finanza ai sensi degli artt. 21, 36
e segg. della legge n. 4 del 1929 era preesistente
all'entrata in vigore della Costituzione. In base alla
giurisprudenza della Corte costituzionale sarebbe
indubitabile che il termine quinquennale fissato dalla
VI disposizione transitoria della Carta
costituzionale, per la revisione delle giurisdizioni
speciali, non ha carattere perentorio e, di
conseguenza, non può ritenersi incostituzionale la
sopravvivenza delle giurisdizioni speciali, anche se
non sottoposte a revisione nel suddetto termine. Tali
principi sarebbero ovviamente applicabili anche alla
giurisdizione speciale in esame.
Pertanto l'Avvocatura concludeva chiedendo che la
Corte dichiarasse infondate le questioni sollevate con
l'ordinanza di rinvio, sempre che avesse ritenuto
ammissibile, per la forma, la proposizione del
proposto giudizio incidentale.
4. - Con memoria depositata il 30 aprile 1964
l'Avvocatura riproponeva le tesi già prospettate
nelle deduzioni, ponendo particolarmente in luce,
quanto alla denunciata violazione dell'art. 43 della
Costituzione, che la ragione per cui il Costituente ha
previsto la possibilità di attribuire allo Stato la
titolarità esclusiva delle imprese contemplate nella
citata norma é quella di assicurare il
soddisfacimento degli interessi generali che si
riconnettono alla gestione stessa. Non vi é dubbio -
sosteneva nella memoria l'Avvocatura - che tale scopo
può essere raggiunto tanto attraverso la gestione
diretta, che attraverso l'esercizio in concessione,
che si effettua necessariamente sotto l'alta direzione
e la vigilanza dello Stato. Pertanto la scelta fra i
due modi di gestione non potrebbe non essere affidata
alla discrezionalità degli organi dello Stato.
Ove si opinasse diversamente - proseguiva
l'Avvocatura - si cadrebbe in una irrimediabile
contraddizione. Perché alla titolarità delle imprese
di preminente interesse nazionale, assicurata allo
Stato dall'art. 43 della Costituzione, inerisce la
più ampia libertà in ordine alla relativa gestione:
libertà, con la quale sarebbe ovviamente
incompatibile ogni imposizione tassativa di un
determinato tipo di gestione. Sarebbe pertanto
ingiustificabile il contrasto, che altrimenti verrebbe
a crearsi, fra il sistema secondo cui lo Stato può
affidare in concessione le imprese, in genere, delle
quali é titolare, e quello delineato nell'ordinanza
di rinvio, secondo cui questa potestà dovrebbe
negarsi per le sole imprese dell'art. 43 della
Costituzione.
L'Avvocatura segnalava infine, che la questione
sollevata apparirebbe irrilevante ai fini del giudizio
principale, in quanto l'obbligo della corresponsione
della "tassa" per la detenzione degli
apparecchi radioriceventi, cui é connessa una
sanzione penale, sussiste sia nel caso che il servizio
venga esercitato direttamente, sia nel caso che esso
venga affidato in concessione.
5. - Con ordinanza del 4 giugno 1964 la Corte
costituzionale rilevava quanto innanzi si é detto:
che cioé l'ordinanza di rinvio era stata pubblicata
mediante lettura in pubblica udienza, ma senza la
motivazione, redatta e depositata successivamente, e
che l'ordinanza stessa, anziché essere notificata
nella sua interezza, ai sensi e per gli effetti
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, lo era
stata soltanto nella parte motiva, omettendosene il
dispositivo. Osservava quindi la Corte che si imponeva
la rinnovazione della notifica in modo integrale, in
applicazione del richiamato art. 23 e dell'art. 2
delle Norme integrative, ed ordinava, a tal fine, la
restituzione degli atti al giudice a quo.
A tanto adempiuto con notifica del 4 agosto 1964,
pubblicata nuovamente l'ordinanza del Tribunale nel
suo testo integrale nella Gazzetta Ufficiale del 31
ottobre 1964, n. 269, gli atti della causa sono stati
nuovamente trasmessi alla Corte e l'Avvocatura dello
Stato, con breve memoria depositata nella cancelleria
il 21 agosto 1964, si é richiamata alle deduzioni
già svolte con i precedenti scritti difensivi,
insistendo nelle conclusioni già a suo tempo
formulate.
Considerato in diritto
1. - É da premettere che essendosi provveduto alla
notificazione e alla pubblicazione dell'ordinanza di
rinvio nella sua interezza, cioè nella motivazione e
nel dispositivo, la incertezza già lamentata
dall'Avvocatura dello Stato circa la identificazione
dell'oggetto del giudizio risulta eliminata.
Sostanzialmente, con la rinnovazione della notifica,
é stato portato a conoscenza del Presidente del
Consiglio dei Ministri l'esplicito riferimento
contenuto nell'ordinanza emessa dal Tribunale alle
questioni che erano state sollevate dal Pubblico
Ministero nel corso del giudizio. Giudicata infatti
non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 19 del D. L. 21 febbraio
1938, n. 246, in relazione all'art. 3 della
Costituzione, il Tribunale ritenne invece fondate le
altre questioni proposte dal P. M., e cioè quelle che
concernono le disposizioni dell'art. 1 e seguenti
dello stesso D. L. 21 febbraio 1938, non più in
riferimento all'art. 3, ma all'art. 43 della
Costituzione, e dell'art. 36 della legge 7 gennaio
1929, n. 4, in relazione agli artt. 1 e seguenti del
D. L. 25 marzo 1923, n. 796, e in riferimento all'art.
102 della Costituzione. Può così ammettersi che si
sia chiaramente raggiunta la identificazione
dell'oggetto del giudizio: precisamente, con la prima
questione si assume in contrasto con l'art. 43 della
Costituzione l'affidamento del servizio delle
radiotelevisioni ad una società privata - la R. A. I.
- invece della gestione del servizio in modo diretto
da parte dello Stato o di un ente pubblico; con la
seconda si assume la illegittimità della permanenza
della giurisdizione speciale dell'Intendenza di
finanza per quanto riguarda il pagamento del canone
per le radioaudizioni, in contrasto col divieto posto
per giurisdizioni speciali col citato art. 102.
2. - La denuncia di incertezza é stata peraltro
affacciata sotto diverso aspetto, rispetto alla prima
questione. L'Avvocatura rileva l'affermazione,
contenuta nell'ordinanza del Tribunale, circa la
incostituzionalità di "tutta la disciplina
giuridica eretta sul presupposto della concessione ad
una società privata del servizio della
radiotelevisione", ed afferma che si avrebbe
così una indeterminata indicazione dell'oggetto di
questa parte del giudizio, insufficiente rispetto a
quanto prescrive l'art. 23 della legge 11 marzo 1953,
n. 87. Non sembra però che l'indicazione generica
delle norme impugnate, col richiamo agli artt. 1 e
seguenti del D.L. 21 febbraio 1938, n. 246, e
successive modificazioni, sia tale da comportare
effettiva incertezza circa l'oggetto del giudizio. Se
é vero, infatti, che l'onere, di cui al menzionato
art. 23, di indicare le norme che si denunciano come
viziate, incombente alla parte che solleva l'eccezione
di incostituzionalità, trova la sua giustificazione
nell'esigenza di delimitare in maniera chiara e
precisa la materia del contendere, é altresì vero
che é da ritenersi sufficiente, a tal fine,
l'indicazione anche di un intero testo legislativo, se
la relativa censura di legittimità sia tale da
investire tutte le norme contenute nel provvedimento
denunziato (v. sentenze della Corte costituzionale n.
18 del 6 luglio 1956 e n. 53 del 5 giugno 1962). Nel
caso in esame, traendosi motivo dalla presunta
illegittimità della concessione alla R.A.I. del
servizio di radiodiffusione, e dal conseguente
contrasto con l'art. 43 della Costituzione di tutta la
legislazione "eretta sul presupposto di quella
concessione", la censura é stata sollevata
appunto contro gli artt. 1 e seguenti del citato D. L.
21 febbraio 1938, cioè contro l'intero testo
legislativo, in quanto concernente, in blocco, la
disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni. Ed
infatti il detto D. L. é costituito da una serie di
norme organiche, intimamente collegate, che pongono
una regolamentazione completa del settore, investendo
analiticamente tutte le situazioni relative,
dall'imposizione dell'obbligo di pagamento alla misura
del canone, dalle modalità del versamento alla
disciplina della cessazione dell'obbligo stesso, dalle
esenzioni alle sanzioni per le inadempienze. Lo
stretto nesso che unisce le disposizioni contenute nel
denunziato D. L. dà ragione del loro globale
deferimento alla Corte.
3. - L'Avvocatura dello Stato ha anche lamentato la
insufficienza del giudizio di rilevanza, rispetto,
ancora, alla prima questione, in quanto sostiene che
il Tribunale non ha, fra l'altro, notato che la
questione medesima non avrebbe ragion d'essere ai fini
del giudizio principale, giacché l'obbligo della
corresponsione della tassa per la detenzione degli
apparecchi, cui é connessa la sanzione penale,
sussiste sia nel caso che il servizio venga svolto per
concessione da una società, sia che venga esplicato
da uno dei soggetti indicati nell'art. 43 della
Costituzione.
Senonché questa osservazione dell'Avvocatura circa
un tal difetto della rilevanza non sembra esatta,
giacché la questione sollevata, come si desume
dall'ordinanza del Tribunale, investe, formalmente,
appunto le norme che sorreggono, in concreto,
l'imputazione a carico del prevenuto. Sarà o meno
fondata la questione - e ciò dovrà risultare
dall'esame di merito della questione stessa -, ma
sembra non dubbio che, dal punto di vista del
Tribunale, secondo cioè i termini del ragionamento
che si deve porre a base dell'incidente di
costituzionalità giusta il disposto dell'art. 23
della legge n. 87 del 1953, frutto del riscontro fra
la norma costituzionale, di cui si lamenta la
violazione, e le norme impugnate, dovrebbe essere -
s'intende, in ipotesi - la immediata, concreta caduta
di tutte le disposizioni riguardanti la concessione, e
fra esse anche la norma penale, parte essenziale,
ritenuta indispensabile in tutto il sistema, e che é
quella che sta a base del processo contro il
prevenuto, col conseguente effetto quindi, del
proscioglimento del medesimo.
Le eccezioni pregiudiziali vanno pertanto respinte.
4. - Passando all'esame del merito della prima
questione, ritiene la Corte che non possa sostenersi
che contrasti col disposto dell'art. 43 della
Costituzione l'affidamento in concessione ad una
società privata del servizio delle radiotelevisioni.
La disposizione dell'art. 43 é, com'é noto,
espressione dell'evoluzione dei concetti informatori
in materia di intervento dello Stato e degli enti
pubblici, in genere, nel campo economico, e prevede la
sostituzione della pubblica gestione alla gestione
privata in quei settori che, come quelli attinenti ai
tipi di imprese contemplate nell'articolo stesso,
maggiormente sono suscettibili di assumere importanza
sotto il profilo del pubblico interesse. Lo scopo
essenziale della norma, attraverso la sottrazione al
privato del potere di disposizione relativo alle
suddette imprese, é la eliminazione della
eventualità che il privato, col peso della propria
impresa - e naturalmente si tratta di imprese della
massima dimensione -, possa direttamente e
profondamente influire su interi settori economici,
con le conseguenze di ordine politico e sociale che a
tale influenza sono connesse.
La facoltà concessa al legislatore di riservare
direttamente o trasferire allo Stato, agli enti
pubblici o alle collettività di utenti o lavoratori
le imprese nell'art. 43 indicate, rispecchia la
preoccupazione del Costituente di garantire uno
strumento idoneo a porre le attività economiche in
parola sotto il controllo dello Stato o di enti
pubblici allo scopo di evitare quegli inconvenienti e
di ottenere i risultati di carattere economico e
sociale che lo Stato democratico si prefigge.
Ma é evidente che l'esigenza cui fa riscontro la
norma costituzionale in esame potrà ritenersi
rispettata ogni volta che con apposite disposizioni,
il conseguimento di tali risultati venga assicurato.
La concessione amministrativa consente il
raggiungimento di fini di interesse generale collegati
all'esercizio dei servizi pubblici, attraverso
un'attività svolta da un privato e non direttamente
dallo Stato o dall'ente pubblico titolare del
servizio, in vista del fatto che la gestione in
concessione può presentarsi, in alcuni casi, più
favorevole, in quanto permette una maggiore snellezza
nell'espletamento del servizio, libera lo Stato o
l'ente pubblico dall'onere dell'esercizio, e ciò
specialmente quando trattisi di attività tecnicamente
complesse, che richiedano forti spese di impianto e
notevole impegno di gestione. Ond'é che la
concessione risponde, in tali casi, alla sostanziale
esigenza di potere ottenere servizi migliori e più
efficienti con minore impegno per l'ente concedente.
In definitiva, soddisfa ad una esigenza di utilità
economico-sociale che coincide con quella che informa
l'art. 43 della Costituzione.
D'altra parte é evidente, che, qualora il
Costituente, che ovviamente era a conoscenza del
tradizionale istituto della concessione, ne avesse
voluto escludere l'applicazione riguardo ai servizi
pubblicizzati a norma dell'art. 43, avrebbe espresso
tale volontà attraverso una norma specifica, mentre
il silenzio serbato al riguardo può bene essere
interpretato come ammissione della possibilità del
sistema anche ai fini specifici della attuazione del
precetto costituzionale.
Ma é da notare che, in questi casi, lo Stato o
l'ente pubblico non si limita ad affidare al privato
l'esercizio del servizio, ma si riserva poteri assai
ampi di direzione, di disciplina, di controllo, tutti
tendenti a garantire, a seconda del diverso tipo della
concessione, e quindi di diversa intensità, il
puntuale conseguimento dei fini di utilità generale.
E pur dovendosi riconoscere che il privato
concessionario innegabilmente persegue scopi suoi
propri di utilità, questi sono però sempre
coordinati e subordinati al conseguimento dei fini
pubblici, attraverso le norme che in concreto
disciplinano l'esercizio delle singole concessioni.
5. - Nel caso del servizio di radiodiffusione
bisogna riconoscere che attraverso un vasto piano, che
stabilisce una minuta disciplina per lo svolgimento in
concessione del servizio, é assicurato il
conseguimento di quella finalità di pubblico generale
interesse che lo Stato potrebbe prefiggersi di
raggiungere attraverso la gestione diretta o
l'affidamento del servizio ad un ente pubblico. La
maggioranza assoluta delle azioni della R.A.I. é
detenuta dall'I.R.I. e può essere trasferita solo
allo Stato italiano o ad altro ente pubblico nazionale
e previa autorizzazione del Ministro delle poste di
concerto col Ministro del tesoro (convenzione 26
gennaio 1952, art. 3); lo statuto dell'ente (sic)
concessionario e le sue variazioni devono essere
approvati dal Ministro delle poste e delle
telecomunicazioni, come pure la nomina del presidente
ed eventualmente del consigliere delegato (artt, 5, 6
del D.L.C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428); l'emanazione
delle direttive di massima, culturali, artistiche,
educative ecc. dei programmi di radiodiffusione e la
vigilanza sulla loro attuazione é affidata ad un
Comitato istituito presso il Ministero delle poste, e
composto di un presidente, nominato dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri di concerto coi Ministri
delle poste e della pubblica istruzione, e da membri
in rappresentanza del Ministero della pubblica
istruzione e della Società italiana autori, oltre che
da scrittori, musicisti ed autori drammatici designati
dall'Accademia dei Lincei, e dalle organizzazioni di
categoria (D.L.C.P.S. cit., art. 9); le tariffe da
praticarsi agli utenti e i diritti spettanti all'ente
sono determinati con decreto del Ministro delle poste
(convenzione cit., art. 8); la R. A. I. é tenuta a
predisporre trimestralmente il piano di massima dei
programmi da svolgersi nei tre mesi successivi, ed a
sottoporlo prima al parere del detto Comitato
istituito presso il Ministero delle poste e poi
all'approvazione del Ministro (art. 8 del D.L.C.P.S.
citato); del Consiglio di amministrazione dell'ente
fanno parte membri destinati dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri e dai Ministeri degli esteri,
dell'interno, del tesoro, delle finanze e delle poste
(convenzione cit., art. 5). Il compito di esercitare
l'alta vigilanza per assicurare l'indipendenza e
l'obbiettività delle radiodiffusioni é affidato ad
una Commissione di parlamentari composta di trenta
membri designati pariteticamente dai Presidenti delle
due Camere tra i rappresentanti di tutti i gruppi
parlamentari, le deliberazioni della Commissione
vengono eseguite attraverso le disposizioni all'uopo
impartite dalla Presidenza del Consiglio al Presidente
dell'Ente concessionario (D. L. C. P. S. cit., artt.
11, 12, 13). Alla R. A. I. é vietato di prendere
accordi con Stati, enti e cittadini esteri su
questioni interessanti il servizio delle
radiodiffusioni, senza la preventiva autorizzazione
del Ministero delle poste, sentiti i Ministeri
interessati; per gravi motivi di ordine pubblico il
Ministro dell'interno può modificare il piano di
massima dei programmi e degli orari, e per gli stessi
motivi, o per ragioni militari, o per grave necessità
pubblica, il Governo, inteso il Consiglio dei
Ministri, con decreto del Presidente della Repubblica
potrà sospendere o limitare l'esercizio o prendere
possesso degli impianti ed uffici, senza che la R. A.
I. abbia diritto a nessuna speciale indennità
(convenzione cit., art. 20). Infine, nei casi di
inadempienza dell'ente o di inosservanza delle
disposizioni vigenti, o di gravi irregolarità nel
servizio, é prevista l'applicazione di una ammenda da
parte del Ministero delle poste e, in caso di
recidiva, é prevista la revoca della concessione con
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro delle poste, sentito il parere della
Commissione parlamentare o del Comitato ministeriale,
a seconda che le inadempienze si riferiscano,
rispettivamente, al lato politico o a quello
culturale- artistico delle trasmissioni. Ciò a
prescindere dalle numerose altre restrizioni ed
obbligazioni di interesse tecnico ed organizzativo
pure imposte alla R. A. I. e dal generico potere di
vigilanza sull'andamento del servizio attribuito al
Governo dagli artt. 1 e seguenti del D. L. n. 428 del
1947, che contemplano il sistema dei vincoli e non ne
lasciano al di fuori alcun settore della vita e
dell'attività dell'ente concessionario, dalla
consistenza patrimoniale all'organizzazione
amministrativa e tecnica.
In relazione a questa vasta rete di interferenze e
di controlli, lo speciale rapporto di concessione
stabilito con la R. A. I., sia che lo si intenda come
un rapporto di sostituzione, in cui il privato é un
esercente dell'attività della quale titolare é lo
Stato, per conto del quale il privato agisce, sia che
lo si intenda come uno speciale rapporto organico, per
cui il privato si presenterebbe quale mezzo indiretto
attraverso cui lo Stato raggiunge i suoi fini, questo
speciale rapporto costituisce uno strumento valido per
la realizzazione dei fini cui istituzionalmente tende
il servizio di radiodiffusione nel regime di
pubblicità che gli deriva dalla riserva della
titolarità del servizio stesso allo Stato. Bisogna
pertanto riconoscere che, come già in diversa
occasione ebbe a rilevare questa Corte (sentenza 6
luglio 1960, n. 59, che tratta del monopolio statale
televisivo), esso é perfettamente inquadrabile nella
disciplina dell'art. 43 della Costituzione.
6. - Circa la seconda questione, riguardante la
legittimità costituzionale dell'art. 36 della legge 7
gennaio 1929, in relazione alle disposizioni del D. L.
21 febbraio 1938, per asserito contrasto con l'art.
102 della Costituzione, basta osservare che il suo
presupposto, cioè la automatica soppressione delle
giurisdizioni speciali alla scadenza del termine per
la revisione stabilita dalla VI disposizione
transitoria della Costituzione, é stato già più
volte esaminato dalla Corte che lo ha respinto.
La Corte ha affermato che il Costituente non ha
voluto senz'altro sopprimere le giurisdizioni speciali
preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione,
ma soltanto sottoporle a revisione ad opera del
Parlamento, e che il quinquennio, entro cui tale
revisione doveva essere effettuata, non é termine
perentorio; onde le giurisdizioni speciali
legittimamente continuano a svolgere le loro funzioni
fino a quando non si sarà proceduto alla loro
revisione (sentenze n. 41 del 1 marzo 1957, n. 41 del
10 giugno 1960 e n. 92 del 13 novembre 1962). Non
essendo d'altra parte dubbio che la cognizione delle
contravvenzioni attribuite all'Intendente di finanza
dagli artt. 21 e 36 della citata legge del 1929
concreti una giurisdizione speciale, non può
ritenersi non applicabile anche ad essa il principio
posto dalla Corte circa la sopravvivenza delle
giurisdizioni speciali, epperò la questione appare
manifestamente infondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinte le eccezioni pregiudiziali,
dichiara non fondate le questioni proposte con
l'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno del 1
luglio 1963 sulla legittimità costituzionale degli
artt. 1 e seguenti del D. L. 21febbraio 1938, n. 246,
in riferimento all'art. 43 della Costituzione, e
dell'art. 36 della legge 7 gennaio 1926, n. 4, in
relazione alle disposizioni dell'art. 1 e seguenti del
D. L. 25 marzo 1923, n. 796, in riferimento all'art.
102 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno
1965.
Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO -
Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO
- Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI -
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI
- Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni
Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO.
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 1965
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