REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici:
Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente
Prof. Michele FRAGALI
Prof. Costantino MORTATI
Prof. Giuseppe CHIARELLI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 47, terzo comma, della legge 3 febbraio
1963, n. 69, sull'ordinamento della professione di
giornalista, promosso con ordinanza emessa il 4
febbraio 1969 dal pretore di Catania nel procedimento
penale a carico di Mignemi Giuseppe, iscritta al n.
149 del registro ordinanze 1969 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 21
maggio 1969.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1970 il
Giudice relatore Francesco Paolo Bonifacio;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato
Vito Cavalli, per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Con provvedimento del 15 settembre 1967 il
Consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti di
Sicilia, accertato che il periodico politico "Il
nuovo partito popolare" era rimasto privo di vice
direttore responsabile, dispose la cancellazione
dall'elenco dei pubblicisti di Giuseppe Mignemi, già
iscrittovi a titolo provvisorio, nella sua qualità di
direttore, ai sensi dell'art. 47 della legge 3
febbraio 1963, n. 69. Di conseguenza il tribunale di
Catania, in applicazione dell'art. 5, n. 3, della
legge sulla stampa (8 febbraio 1948, n. 47), revocò
la registrazione del periodico.
In un procedimento penale a carico del Mignemi,
imputato del reato previsto dall'art. 16, comma primo,
di quest'ultima legge per aver continuato nella
pubblicazione del foglio, il pretore di Catania ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 21 della
Costituzione, una questione di legittimità
costituzionale dell'art. 47, comma terzo, della legge
n. 69 del 1963, in forza del quale l'iscrizione
provvisoria, nell'elenco dei pubblicisti, del
direttore di una pubblicazione periodica che sia
organo di partiti o movimenti politici viene
subordinata alla contemporanea nomina di un vice
direttore già iscritto nel predetto elenco.
L'ordinanza di rimessione - emessa il 4 febbraio
1969 - giustifica la rilevanza della questione con
l'osservazione che il suo accoglimento provocherebbe
l'illegittimità del provvedimento di revoca della
registrazione, la sua disapplicazione e la conseguente
assoluzione dell'imputato.
Quanto alla non manifesta infondatezza del dubbio
di costituzionalità, il giudice a quo, ricordati i
principi affermati da questa Corte nelle sentenze n.
11 e n. 98 del 1968, mette in evidenza il carattere
peculiare di uno stampato periodico "edito,
diretto e quasi integralmente redatto da una sola
persona, che, volendo divulgare con una certa
periodicità giudizi, opinioni ed intenzioni
politiche, si serve del giornale per richiamare
l'attenzione della collettività su essi".
Rilevato che questo tipo di stampato, nonostante le
sue particolari caratteristiche, é tuttavia
considerato "giornale" dalla legge e viene
assoggettato alla relativa disciplina, il pretore
osserva che la condizione posta dalla disposizione
impugnata viola il principio di eguaglianza, giacché
mette le persone meno abbienti in uno stato di
inferiorità tale da imporre perfino la rinuncia a dar
vita allo stampato, e viola altresì l'art. 21 della
Costituzione, perché di fatto, anche in
considerazione della difficoltà di trovare un
giornalista disposto a correre i rischi di una
campagna di critica, si traduce in un divieto: divieto
illegittimo quando, come nel caso degli stampati di
cui si tratta, mancano quelle giustificazioni che la
Corte ebbe a mettere in evidenza a proposito
dell'impresa giornalistica.
Il pretore si dà carico del pericolo che una nuova
formulazione dell'art. 47, quale risulterebbe a
seguito dell'accoglimento della questione, potrebbe
consentire una facile elusione della legge, ma osserva
che il legislatore potrebbe intervenire con adeguate
misure. Ad ogni modo a suo avviso é certo che nel
conflitto fra due interessi deve prevalere quello che
sta a base del diritto di ogni individuo di divulgare
il proprio pensiero a mezzo del giornale: nel
complesso della nostra legislazione l'interesse del
giornalista é sufficientemente protetto e la
disposizione impugnata si limita a consolidare la sua
protezione; ma di fronte a questa limitata finalità
non può non darsi prevalenza al bene tutelato dalla
norma costituzionale di raffronto.
Sulla base di tali considerazioni il giudice a quo
conclude che non manifestamente infondata é la
denunzia del citato art. 47 "in quanto questo
impone, anche se a fini di tutela costituzionale
dell'attività dei giornalisti professionisti, delle
limitazioni alla pubblicazione di una determinata
categoria di periodici".
2. - Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato -
costituitasi con atto 8 giugno 1969 in rappresentanza
dei Presidente del Consiglio del ministri - la
questione non é fondata: essa, in effetti, non
proporrebbe un tema nuovo rispetto a quelli esaminati
nelle precedenti decisioni in materia.
La difesa dello Stato si riporta ai principi
affermati da questa Corte nelle sentenze n. 11 e 98
del 1968 ed osserva che il cittadino il quale voglia
esprimere le sue idee a mezzo della stampa può
liberamente collaborare ad un periodico edito da altri
o pubblicare una monografia eventualmente da lui
stesso edita: ché se, invece, vorrà dar vita ad uno
stampato periodico, egli eserciterà tale diritto non
come un soggetto comune, sibbene come soggetto
professionalmente qualificato, e per questo caso
ricorrono tutte le ragioni che la Corte già ritenne
idonee a giustificare la necessità dell'ausilio di un
pubblicista. Richiamato, a proposito della pretesa
violazione dell'art. 21 della Costituzione, il
principio secondo il quale ogni diritto di libertà
non implica la garanzia di tutte le possibili forme
del suo esercizio ed é quindi compatibile con i
limiti che non si risolvano in una pratica sua
soppressione o grave compromissione, l'Avvocatura
esclude, altresì, che la disposizione denunziata
violi il principio di eguaglianza: la situazione di
chi vuole esprimere il proprio pensiero collaborando
ad un giornale esistente é obbiettivamente diversa
dalla situazione di chi vuol farsi editore di un
periodico; nel secondo caso gli sforzi finanziari sono
nella natura delle cose; l'imposizione dell'onere
dell'ausilio di un pubblicista é imprescindibile in
relazione all'attività di cui si tratta, in base ad
un apprezzamento discrezionale del legislatore che,
secondo la costante interpretazione dell'art. 3 della
Costituzione, deve essere riconosciuto pienamente
legittimo.
3. - Nell'udienza pubblica l'Avvocatura generale
dello Stato ha insistito nelle sue tesi e conclusioni.
Considerato in diritto
1. - Ai sensi del terzo comma dell'art. 47 della
legge 3 febbraio 1963, n. 69 - nel testo quale risulta
a seguito della dichiarazione di parziale
illegittimità costituzionale pronunciata da questa
Corte con sentenza n. 98 del 1968 -, la legittimità
dell'affidamento della direzione di un giornale che
sia organo di partiti o movimenti politici o di
movimenti sindacali a persona non iscritta nell'albo
dei giornalisti e l'iscrizione provvisoria del
direttore nell'albo stesso vengono subordinate alla
contemporanea nomina a vice direttore responsabile di
un giornalista iscritto nell'elenco dei professionisti
o dei pubblicisti.
Questa disposizione, come risulta dalla complessa
motivazione dell'ordinanza di rimessione, viene
denunziata dal pretore di Catania, in riferimento agli
artt. 3 e 21 della Costituzione, non nella sua
interezza, ma solo nella parte in cui essa si
riferisce ad "una determinata categoria di
periodici": più precisamente a quei periodici
che il pretore definisce "a carattere
ideologico" e che siano editi e diretti dalla
stessa persona. Proprio in relazione a siffatta
categoria verrebbero meno, ad avviso dei giudice a
quo, quelle ragioni di giustificazione della legge che
la Corte mise in luce nelle sentenze nn. 11 e 98 del
1968, sicché l'onere che la disposizione impugnata
impone a chi voglia dar vita ad un periodico del tipo
descritto si risolverebbe in una illegittima
menomazione dei diritto di manifestare il proprio
pensiero a mezzo della stampa (art. 21 Cost.) ed in
una violazione del principio di eguaglianza (art. 3
Cost.): di quest'ultimo, si precisa, sotto il profilo
della discriminazione, che a causa del peso economico
di quell'onere si determinerebbe fra i soggetti,
secondo che questi siano abbienti o non abbienti.
2. - Partendo dai principi enunciati dalla Corte
nelle due precedenti decisioni - e che non vengono
rimessi in discussione dall'attuale ordinanza, tutta
motivata sulla peculiarità del particolare tipo di
periodico in relazione al quale la questione viene
proposta e delimitata - si deve escludere che la
disposizione in esame comprometta la libertà
riconosciuta e garantita dall'art. 21 della
Costituzione.
Giova ricordare che nella sentenza n. 98 del 1968,
in sede di valutazione della legittimità dell'obbligo
di nominare il direttore ed il vice direttore
responsabile dei comuni quotidiani e periodici fra gli
iscritti nell'albo, la Corte affermò che la funzione
dell'Ordine, già nella precedente decisione n. 11
riconosciuta positivamente apprezzabile proprio sul
piano dell'art. 21 della Costituzione, sarebbe
frustrata ove i poteri direttivi di un giornale
potessero essere affidati ad un soggetto non iscritto
in uno degli elenchi dei pubblicisti o dei
professionisti. Ed é di particolare importanza che la
questione, allora concernente l'art. 46 della legge,
venne esaminata non solo con riferimento alla libertà
del giornalista, ma anche sotto il diverso profilo
della "libertà di chi voglia dar vita ad un
giornale".
Le stesse ragioni non possono non valere per l'art.
47 della legge - che stabilisce un regime di favore
per una particolare categoria di giornali - e, più
specificamente, per il caso ora prospettato dal
pretore di Catania.
Deve esser tenuto presente, anzitutto, che
l'obbligo della registrazione e la preventiva nomina
di un vice direttore responsabile riguardano
esclusivamente i giornali quotidiani o periodici (L. 8
febbraio 1948, n. 47), sicché la legge non pone
ostacolo alcuno a che il soggetto manifesti il proprio
pensiero con singoli stampati o con numeri unici. Ché
se, invece, l'interessato voglia dar vita ad un vero e
proprio periodico, non é dato di vedere perché
questo, a causa di particolari caratteristiche, possa
sottrarsi ad una disciplina che é stata riconosciuta
costituzionalmente valida per ogni tipo di giornale.
Essendo del tutto evidente che, ai fini che qui
interessano, nessun rilievo possono avere il
cosiddetto contenuto ideologico del periodico e la
finalità "di denuncia e di critica" che il
soggetto si propone di perseguire, tutto si riduce a
vedere se quando editore e direttore di uno dei
giornali considerati dall'art. 47 si identificano
nella stessa persona vengano a mancare quelle
giustificazioni costituzionali che la Corte individuò
nella precedente occasione. Ma a siffatto quesito deve
darsi risposta negativa sulla base della
considerazione che l'esigenza della vigilanza
dell'Ordine sussiste anche quando l'editore assuma la
direzione del giornale e, trattandosi di periodico di
partito o movimento politico o sindacale, acquisti
perciò titolo all'iscrizione provvisoria nell'albo:
essendo in questo caso la responsabilità sua limitata
agli obblighi imposti dalle leggi civili e penali
(art. 47, ultimo comma), occorre che egli sia
affiancato da un giornalista che, iscritto nell'elenco
dei professionisti o dei pubblicisti, risponda
disciplinarmente "per eventuali comportamenti
lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui
dipendono" (sent. n. 98 del 1968). Peraltro la
concentrazione nelle stesse mani del potere editoriale
e del potere di direzione non vale ad escludere,
certo, la necessità della vigilanza dell'Ordine, che
non é predisposta, come mostra di ritenere il giudice
a quo, a tutela della sola libertà dei singoli
giornalisti, ma é strumento, sia pur mediato, di
garanzia dell'interesse generale sottostante al
diritto riconosciuto dall'art. 21 della Costituzione.
3. - La questione é infondata anche in riferimento
all'art. 3 della Costituzione.
Conformemente ai principi desumibili dai precedenti
giurisprudenziali di questa Corte, le norme che per lo
svolgimento di determinate attività impongano oneri
(direttamente o, come nel caso in esame,
indirettamente) patrimoniali e che, nella loro
applicazione, inevitabilmente comportano un peso
maggiore o minore secondo le capacità economiche dei
singoli soggetti, sono costituzionalmente illegittime,
ove incidano sull'esercizio di diritti
costituzionalmente protetti, solo allorché esse non
siano rivolte alla tutela di interessi rilevanti sui
piano costituzionale (tale, ad es., era il caso della
c.d. cautio pro expensis, dichiarata illegittima con
sent. n. 67 del 1960). Ora, nella specie, le ragioni
che giustificano la disposizione in riferimento
all'art. 21 della Costituzione dimostrano che
l'obbligo di nominare un vice direttore responsabile
fra gli iscritti nell'albo - e la cui osservanza può,
certo, comportare un aggravio di spese - é strumento
di salvaguardia di un interesse generale a rilievo
costituzionale: di tal che la legge, imponendolo a
chiunque voglia dar vita ad un giornale, non può
essere considerata fonte di discriminazioni non
consentite dall'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge
3 febbraio 1963, n. 69, sull'"ordinamento della
professione di giornalista", sollevata
dall'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento
agli artt. 3 e 21 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio
1971.
Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino
MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ -
Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo
BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole
ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele
TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo
ROSSI
Depositata in cancelleria il 20 gennaio 1971.
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