REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale:
- degli artt. 1, 2 e 18 del r.d. 8 febbraio 1923,
n. 1067 (Norme per il servizio delle comunicazioni
senza filo); -
degli artt. 1, 166, 168, n. 5,178 (come sostituito
dall'art. 1, n. 2, della legge 14 marzo 1952, n. 196)
e 251 del r.d. 27 febbraio 1936, n. 645 (Approvazione
del codice postale e delle telecomunicazioni);
- del d.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180 (Approvazione
ed esecutorietà della Convenzione per la concessione
alla RAI del servizio di radioaudizioni e televisione
circolare e del servizio di telediffusione su filo);
- dell'art. 3 della legge 14 marzo 1952, n. 196
(Modificazioni degli articoli 178, 269 e 270 del
codice postale e delle telecomunicazioni, approvato
con regio decreto 27 febbraio 1936, n. 645);
- del d.P.R. 5 agosto 1966, n. 1214 (Nuove norme
sulle concessioni di impianto e di esercizio di
stazioni di radioamatori);
- degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156 (Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni);
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 15 maggio 1971 dal pretore
di Poggibonsi nel procedimento penale a carico di
Parronchi Sergio, iscritta al n. 273 del registro
ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 240 del 22 settembre 1971;
2) ordinanza emessa il 14 gennaio 1972 dal pretore
di omegna nel procedimento penale a carico di Porta
Giuseppe ed altro, iscritta al n. 40 del registro
ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 90 del 5 aprile 1972;
3) ordinanza emessa il 17 febbraio 1972 dal pretore
di Macerata nel procedimento penale a carico di
Meschini Italo, iscritta al n. 95 del registro
ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 11 O del 26 aprile 1972;
4) ordinanze emesse l'11 aprile 1972 dal pretore di
Sampierdarena nei procedimenti penali rispettivamente
a carico di Parodi Giancarlo ed altri e di Parodi
Giovanni ed altro, iscritte ai nn. 197 e 198 del
registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972;
5) ordinanze emesse il 18 aprile 1972 dal pretore
di Sestri Levante nei procedimenti penali
rispettivamente a carico di Marchetti Pier Giorgio e
di Di Gennaro Gian Luigi, iscritte ai nn. 212 e 213
del registro ordinanze 1972 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 12
luglio 1972;
6) ordinanze emesse il 18 e il 20 maggio 1972 dal
pretore di Bologna nei procedimenti penali
rispettivamente a carico di Riccò Vitaliano ed altro
e di Buscemi Ignazio, iscritte ai nn. 244 e 245 del
registro ordinanze 1972 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 226 del 30 agosto 1972;
7) ordinanza emessa il 6 giugno 1972 dal pretore di
Bologna nel procedimento penale a carico di Gelli
Giorgio, iscritta al n. 262 del registro ordinanze
1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 247 del 20 settembre 1972;
8) ordinanza emessa il 27 giugno 1972 dal pretore
di Fidenza nel procedimento penale a carico di
Colacicco Michele, iscritta al n. 312 del registro
ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972;
9) ordinanza emessa il 15 marzo 1972 dal pretore di
Milano nel procedimento penale a carico di Begozzi
Bruno ed altri, iscritta al n. 324 del registro
ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 296 del 15 novembre 1972;
10) ordinanza emessa il 9 dicembre 1972 dal pretore
di Assisi nel procedimento penale a carico di Di
Bernardino Vittorio, iscritta al n. 16 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973;
11) ordinanza emessa il 9 marzo 1973 dal pretore di
Terni nel procedimento penale a carico di Pierantoni
Pietro ed altro, iscritta al n. 170 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 169 del 4 luglio 1973;
12) ordinanza emessa il 5 febbraio 1973 dal pretore
di Genova nel procedimento penale a carico di Giacobbe
Emilio ed altro, iscritta al n. 228 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 198 del 1 agosto 1973;
13) ordinanza emessa il 21 màggio 1973 dal pretore
di Gavirate nel procedimento penale a carico di De
Zuanni Gianfrancesco ed altri, iscritta al n. 280 del
registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973;
14) ordinanza emessa il 12 ottobre 1972 dal pretore
di Torino nel procedimento penale a carico di Bedello
Donatella ed altri, iscritta al n. 287 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973;
15) ordinanza emessa il 22 marzo 1973 dal pretore
di Perosa Argentina nel procedimento penale a carico
di Ferraretto Franco, iscritta al n. 334 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 249 del 26 settembre 1973;
16) ordinanza emessa il 15 giugno 1973 dal pretore
di Verona nel procedimento penale a carico di Pinton
Giorgio ed altri, iscritta al n. 423 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 2 del 2 gennaio 1974.
Visti gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1974 il
Giudice relatore Giuseppe Verzì;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato
Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Le ordinanze indicate in epigrafe, emesse
tutte da pretori dal maggio 1971 al giugno 1973, hanno
riproposto, in riferimento all'art. 21 - e talune
anche agli artt. 41 e 43 della Carta - la questione di
legittimità costituzionale della riserva in esclusiva
allo Stato dei servizi di telecomunicazioni (artt. 1
r.d. 8 febbraio 1923, n. 1067; 1 r.d. 27 febbraio
1936, n. 645; 1 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156).
Quasi tutte le suddette ordinanze denunziano, poi,
per contrasto con i menzionati articoli della Carta,
anche gli artt. 2 e 18 del r.d. 8 febbraio 1923, n.
1067; 166, 168 n. 5, 178 (così come sostituito
dall'art. 1, n. 2, della legge 14 marzo 1952, n. 196)
e 251 del r.d. 27 febbraio 1936, n. 645; 183 e 195 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156; 3 della legge 14 marzo
1952, n. 196; il d.P.R. n. 1214 del 5 agosto 1966; il
d.P.R. n. 180 del 26 gennaio 1952.
I procedimenti penali nel corso dei quali le
cennate questioni di legittimità costituzionale sono
state sollevate riguardano, in prevalenza, la
detenzione non denunziata e l'uso privato di
apparecchi radio ricetrasmittenti, senza averne
ottenuto preventivamente la prescritta concessione. In
pochi casi (procedimenti pendenti presso i pretori di
Omegna, di Gavirate, di Perosa Argentina e di Verona),
trattasi di installazione abusiva di ripetitori, allo
scopo di poter ricevere i programmi televisivi
svizzeri o jugoslavi.
In tutti i giudizi avanti questa Corte non vi è
stata costituzione di parti. Soltanto in quelli
conseguiti alle ordinanze dei pretori di Poggibonsi,
Omegna, Macerata e Verona è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri.
2. - Dai giudici di merito si premette che, dopo
aver attribuito l'appartenenza in esclusiva allo Stato
dei servizi di telecomunicazioni, il legislatore ha
statuito, tra l'altro, che "nessuno può eseguire
od esercitare impianti di telecomunicazioni senza aver
ottenuto la relativa concessione" (art. 166 r.d.
n. 645 del 1936; art. 183 d.P.R. n. 156 del 1973 e,
prima ancora, sostanzialmente, art. 2 r.d. n. 1067 del
1923); "che l'impianto e l'esercizio di stazioni
radioelettriche fisse e terrestri, ad uso
esclusivamente privato, può essere concesso, purchè
concorrono ragioni di pubblico interesse" (art.
251 r.d. n. 645 del 1936) e che per detenere
apparecchi radiotrasmittenti occorre averne fatta
preventiva denuncia all'autorità locale di pubblica
sicurezza ed al Ministero delle poste e delle
telecomunicazioni (art. 3 legge 14 marzo 1952, n.
196). Sono state, altresì, dettate norme per la
concessione di impianto e di esercizio di stazioni di
radioamatori (d.P.R. 5 agosto 1966, n. 1214) e per la
concessione in esclusiva alla RAI per il periodo di
venti anni dei servizi delle radioaudizioni e di
televisione circolare (d.P.R. 26 gennaio 1952, n.
180). L'infrazione alle su riportate disposizioni il
legislatore ha poi sanzionato penalmente (art. 178 del
r.d. n. 645 del 1936, così come sostituito dall'art.
1, n. 2, legge n. 196 del 1952; art. 3 di questa
legge; art. 195 del d.P.R. n. 156 del 29 marzo 1973).
Ciò posto si osserva che la legittimità
costituzionale di siffatta disciplina legislativa,
conseguente al monopolio statuale delle
telecomunicazioni e, prima ancora, la legittimità
costituzionale di questo monopolio, non può ritenersi
inconfutabilmente dimostrata dalla sentenza n. 59 del
1960 della Corte costituzionale. Inoltre, dopo oltre
dieci anni da tale decisione, le considerazioni di
ordine più strettamente tecnico sulle quali essa è
fondata sarebbero state superate dallo sviluppo della
scienza delle radiotelediffusioni.
3. - Per quanto attiene più specificamente alla
detenzione di apparecchi radio ricetrasmittenti e
all'uso esclusivamente privato di essi (artt. 3 legge
14 marzo 1952, n. 196; 251, 166, 178 r.d. n. 645 del
1936), si fa presente che l'art. 21 della Costituzione
sancisce la libertà di manifestazione del pensiero
con ogni mezzo di diffusione; chiunque, quindi, ha
diritto di manifestare in qualsiasi modo ed in ogni
circostanza il proprio pensiero, diritto da
considerarsi inviolabile ai sensi dell'art. 2 della
medesima Carta.
Ne discende che il dovere, per chiunque intenda
stabilire od esercitare un impianto radioelettrico, di
richiedere ed ottenere la prescritta concessione, il
cui rilascio è del tutto discrezionale per la
competente autorità, costituisce una grave ed
ingiustificata limitazione del diritto di manifestare
"liberamente" il proprio pensiero con ogni
mezzo di diffusione. Tanto più che siffatto diritto,
da qualificarsi come uno dei fondamentali proclamati e
protetti dalla Costituzione e come uno di quelli che
meglio caratterizzano l'attuale regime democratico
vigente nello Stato, non può incontrare che
limitazioni sostanziali fondate in precetti e principi
costituzionali enunciati esplicitamente nella
Costituzione, oppure desumibili da questa mediante una
rigorosa interpretazione giuridica.
Le ragioni inerenti alla limitatezza del mezzo
devono dirsi venute meno con il notevole diffondersi,
anche a seguito della sentenza n. 39 del 1963 di
questa Corte, del fenomeno dei radiotelefoni
portatili, certamente non destinate a dar luogo ad una
situazione di oligopolio.
In definitiva, in Italia, il commercio dei
radiotelefoni è libero, ma il cittadino che li
acquista è obbligato a denunciarne la detenzione ai
sensi dell'art. 3 della legge 14 marzo 1952, n. 196;
ed è in ogni caso impossibilitato non solo a farne
uso, ma anche e soprattutto a conservarli nella
propria abitazione in condizioni di "possibile
uso".
è certo che all'uso indiscriminato degli
apparecchi radioelettrici, quale mezzo di diffusione
del pensiero, si frappongono interessi di natura
politica, economica, militare, che è difficile
individuare con esattezza. Ma nessuna pratica
giustificazione appare sufficiente a legittimare il
mantenimento della riserva statale. Tuttavia, se
questa fosse abolita, un valido regolamento di
esercizio delle radio-comunicazioni potrebbe, nel
rispetto dei principi vigenti in materia, assicurare
allo Stato un'efficace funzione di controllo e di
repressione degli illeciti eventualmente commessi a
mezzo delle radionde.
Va infine fatto presente che lo Stato ha fatto
luogo alla liberalizzazione della vendita e dell'uso
di apparecchi radio trasmittenti e riceventi di
modesta potenza operanti sulle bande dei 27 MHz, ma
non ha provveduto ad abolire le norme che vietano la
trasmissione e la ricezione su queste frequenze (art.
9 d.P.R. 5 agosto 1966, n. 1214); il che contrasta con
l'art. 21 della Costituzione.
4. - Le norme contenute negli artt. 1, 183 e 195
del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (già artt. 1, 166 e
178 r.d. 27 febbraio 1936, n. 645) pongono inoltre
rilevanti ostacoli al diritto alla circolazione di
informazioni, protetto dall'articolo 21 della
Costituzione, ove si osservi che, sanzionando
penalmente anche l'installazione e l'esercizio
d'impianti idonei alla sola ricezione e diffusione di
programmi televisivi esteri, s'impone al cittadino di
attingere le proprie notizie unicamente dai servizi
radiotelevisivi nazionali, attualmente affidati in
regime di monopolio alla RAI-TV, precludendogli la
possibilità di accedere ad altre non irrilevanti
fonti di informazione e selezionare, in base alle
proprie personali opzioni, le fonti medesime. E ciò
pur non sussistendo nella specie alcuna delle ragioni
in forza delle quali la Corte, con la sentenza n. 59
del 13 luglio 1960, ritenne comprimibile il bene
protetto dall'art. 21 e conforme ai precetti
costituzionali la riserva allo Stato dei servizi
radiotelevisivi e l'attuale regime di affidamento
degli stessi in concessione esclusiva alla RAI.
L'installazione e l'esercizio di impianti del tipo
in esame non sono, infatti, certamente tali da
originare situazioni di monopolio o di oligopolio, ove
si consideri che essi sono alla portata di semplici
commercianti di materiali radiotecnici, e che,
soprattutto, sono volti non già a consentire a pochi
privilegiati di manifestare il proprio pensiero
quanto, invece, a permettere alla generalità di
accedere agevolmente ad una pluralità di fonti
d'informazione.
Né l'esercizio degli impianti in parola può
essere riguardato come servizio pubblico essenziale od
attività di preminente interesse generale non
ponendosi, evidentemente, nella specie alcuno dei
problemi di obbiettività ed imparzialità considerati
dalla Corte nella sentenza n. 59 del 1960 ed essendo
invece i ripetitori destinati ad ampliare, in
sostanziali condizioni di eguaglianza per i
destinatari del servizio, il novero degli strumenti di
informazione e consentire la libera circolazione tra i
consociati di notizie e di idee.
Non va, inoltre, trascurato che i
"ripetitori" sono dotati di limitatissima
potenza e sono idonei ad irradiare segnali per un
raggio di poche decine di chilometri, così da rendere
meramente teorico il pericolo di interferenze tra
diverse stazioni.
5. - L'Avvocatura dello Stato osserva che,
contrariamente a quanto si asserisce nelle ordinanze
di rimessione, oggi, rispetto al 1960 (epoca in cui
questa Corte ha pronunciato la più volte menzionata
sentenza n. 59 del 1960) la limitata disponibilità
dei canali televisivi è rimasta immutata. E all'uopo
esibisce - con una memoria illustrativa - un parere
emesso in tal senso il 9 aprile 1974 dal Consiglio
Superiore Tecnico delle Telecomunicazioni.
Conseguentemente permangono tutti i motivi illustrati
in detta sentenza, per i quali fu dichiarata non
fondata la questione di legittimità costituzionale
del monopolio televisivo, e ulteriormente chiariti,
per quanto attiene all'art. 21 della Costituzione,
nella successiva sentenza n. 105 del 1972, secondo la
quale il principio della libertà di manifestazione
del pensiero va inteso non già nel senso che tutti
debbono avere, in fatto, la materiale disponibilità
di tutti i possibili mezzi di diffusione. Più
realisticamente, sta a significare che a tutti la
legge deve garantire la giuridica possibilità di
usarne o di accedervi, con le modalità ed entro i
limiti resi eventualmente necessari dalle peculiari
caratteristiche dei singoli mezzi o dalla esigenza di
assicurarne l'armonica coesistenza col pari diritto di
ciascuno o dalla tutela di altri interessi
costituzionalmente apprezzabili. E secondo
l'Avvocatura, quanto affermato in detta sentenza vale
anche per i cosiddetti ripetitori, perché anch'essi,
in definitiva, sono stazioni trasmittenti onde
hertziane. A nulla rileverebbe che testi trasmettono
non programmi originali, ma programmi trasmessi da
altre trasmittenti. In realtà, per i mezzi tecnici
impiegati, e per le interferenze cui possono dar
luogo, sarebbero assoggettabili pleno jure alla
disciplina delle radiotelecomunicazioni.
6. - Per quanto attiene alla eccepita
incostituzionalità dell'art. 251 del codice postale,
che disciplina il settore dei radiocollegamenti ad uso
privato, occorre osservare - continua l'Avvocatura -
che la limitatezza delle frequenze d'onda, assegnate
in sede internazionale ai singoli Paesi, impone la
necessità di vagliare le richieste di concessioni o
di autorizzazioni per soddisfare, nei limiti delle
disponibilità dei mezzi, quelle che siano motivate da
imprescindibili esigenze di utilità generale o che
siano rivolte, se avanzate da singoli o da enti
commerciali o industriali, al miglioramento delle
condizioni economiche e sociali della collettività.
In difetto di una "disciplina delle
frequenze" si verificherebbero inammissibili
interferenze fra i vari radiocollegamenti sì da
rendere impossibile usufruire di detto mezzo anche a
quegli organismi o istituzioni pubbliche che
utilizzano su scala nazionale determinate ed
appropriate bande di frequenza (stazioni radio p.t.;
servizi radioelettrici delle FF.AA. e della Polizia;
stazioni a bordo di navi; radiotelevisione, etc.), con
grave pregiudizio di servizi essenziali o di interesse
generale.
L'esistenza di concessioni di radiocollegamenti ad
uso privato peraltro dimostra che il monopolio statale
è temperato dalla larghezza con cui si fa luogo al
rilascio di autorizzazioni o concessioni a privati di
collegamenti radiotelegrafici o radiotelefonici.
7. - In ordine, infine, alla questione di
incostituzionalità dell'art. 9 del d.P.R. 5 agosto
1966, n. 1214, nella parte in cui non ha abrogato le
norme che vietano la trasmissione e ricezione da
apparecchi operanti sulla banda dei 27 MHz,
l'Avvocatura rileva che il menzionato decreto ha
natura regolamentare; la questione di
costituzionalità della citata norma non può quindi
essere sollevata avanti alla Corte costituzionale, che
ai sensi dell'art. 134 della Costituzione può
conoscere solo della costituzionalità di norme aventi
forza di legge.
Considerato in diritto
1. - Le ordinanze indicate in epigrafe propongono -
in riferimento agli artt. 21, 41 e 43 della
Costituzione - identiche o analoghe questioni di
legittimità costituzionale concernenti disposizioni
in forza delle quali i servizi di radiodiffusione e
televisione circolare a mezzo di onde
elettromagnetiche sono riservati allo Stato e di
conseguenza non possono essere esercitati - anche se
si tratti di apparecchi ricetrasmittenti per uso
privato - da chi non ne abbia avuta la concessione.
I relativi giudizi, congiuntamente discussi
nell'udienza pubblica, vengono pertanto riuniti e
decisi con unica sentenza.
2. - Con la sentenza n. 59 del 1960, questa Corte
ha già dichiarato che gli artt. 21, 41, 33 e 43 della
Costituzione non sono violati dalla riserva allo Stato
dei servizi di televisione circolare a mezzo di onde
radio elettriche, e dal conseguente divieto di
impiantare ed esercitare servizi del genere senza
avere ottenuto la prescritta concessione. E la
decisione si articola sulle seguenti proposizioni:
a) esiste una attuale limitatezza dei canali
utilizzabili, talché la televisione si caratterizza
indubbiamente come una attività predestinata, in
regime di libera iniziativa, quanto meno
all'oligopolio di fatto;
b) i servizi televisivi si collocano, pertanto, tra
le categorie di imprese che si riferiscono a
situazioni di monopolio, nel senso in cui all'art. 43
della Costituzione;
c) ricorrono altresì gli altri due requisiti
voluti dall'articolo 43 della Costituzione, e cioè
l'attività di preminente interesse generale e le
ragioni di utilità generale, idonee a giustificare
l'avocazione in esclusiva dei servizi allo Stato;
d) non è violato l'art. 21 della Costituzione,
perché data la limitatezza di fatto della
possibilità di utilizzazione del mezzo televisivo, lo
Stato monopolista si trova istituzionalmente nelle
condizioni di obbiettività e imparzialità più
favorevoli per conseguire il superamento delle
difficoltà frapposte dalla naturale limitatezza del
mezzo alla realizzazione del precetto costituzionale
volto ad assicurare a tutti la possibilità di
diffondere il pensiero con qualsiasi mezzo.
Quasi tutte le ordinanze dei pretori assumono
invece che la limitatezza dei canali di trasmissione,
sulla quale fondamentalmente si basa la motivazione su
indicata, sarebbe oramai superata dallo sviluppo della
scienza e della tecnica delle radiodiffusioni.
L'esistenza di ampie bande di frequenza, i moderni
metodi di trasmissione multicanale, ed il sistema di
emissioni su uno stesso canale da parte di stazioni
lontane, fra loro non interferenti, renderebbero
pressoché illimitata la possibilità di trasmissioni.
Aggiungono, poi, che la sentenza avrebbe fatto
ricorso al concetto di oligopolio, assimilandolo alla
situazione di monopolio di cui all'art. 43 della
Costituzione, mentre la parificazione fra le due
situazioni si rivelerebbe inaccettabile; che la
riserva allo Stato, con la conseguente eliminazione
degli operatori privati, esige che il fenomeno
comporti un beneficio per la collettività, mentre il
sistema del monopolio - consentendo allo Stato di
lasciare inutilizzata buona parte delle frequenze - ,
produce "una strozzatura del consumo", in
contrasto con i fini di utilità generale di cui
all'art. 43 della Costituzione; che è molto più
facile diffondere notizie parziali e non obbiettive in
regime di monopolio, quando manca il confronto con lo
stesso mezzo di diffusione; che è contestabile il
presupposto da cui muove la sentenza, che cioè
l'attività televisiva costituisca un servizio
destinato alla diffusione del pensiero e che lo Stato,
avocandolo a sè, ne sia il migliore garante. Dopo
aver affermato che l'art. 21 regola la materia in modo
autonomo, sottraendola a quella dei rapporti
economici, concludono che alla conclamata libertà di
diffusione del pensiero dovrebbe accompagnarsi la
libertà di fare uso dei mezzi indispensabili ad essa.
3. - La Corte rileva che sussistono tuttora,
nonostante il contrario assunto delle ordinanze di
rimessione, quelle stesse ragioni giustificative della
riserva allo Stato che nella precedente decisione
furono enunciate a proposito della televisione
circolare. E difatti sia per quest'ultima, sia per la
radiodiffusione circolare la disponibilità delle
bande di trasmissione, come risulta dalla motivata ed
analitica relazione del Consiglio superiore delle
telecomunicazioni allegata agli atti, è tanto
limitata da consentire solo a pochi, ove la riserva
non fosse disposta, l'utilizzazione del mezzo
radiotelevisivo.
4. - Quanto innanzi si è detto consente di
affermare che, a causa della limitazione delle bande
di trasmissione disponibili, l'attività di
radiotelediffusione circolare integra quella
situazione di monopolio che l'art. 43 della
Costituzione considera legittimo presupposto della
riserva allo Stato.
Se la ratio di quella disposizione costituzionale
risiede nella ragionevole previsione che, là dove non
esiste o addirittura non è possibile la libera
concorrenza, il monopolio statale (o degli altri
soggetti tassativamente indicati) meglio garantisce
l'interesse della collettività, ciò vale a maggior
ragione quando, come nella materia in esame, si tratti
di attività che, ben al di là della sua rilevanza
economica, tocca molto da vicino fondamentali aspetti
della vita democratica. Né vale l'obbiezione che
nella specie vi sarebbe, al più, pericolo di un
oligopolio, non già di un monopolio. Ed invero le due
situazioni, almeno se riferite ai servizi di cui qui
si discorre, sostanzialmente si identificano negli
effetti, atteso che la disponibilità in poche mani di
uno strumento di comunicazione di massa non
presenterebbe rischi minori di quelli insiti in un
monopolio in senso stretto.
Del resto ricorre nella specie anche un'altra delle
tre ipotesi contemplate nell'art. 43 della
Costituzione. Ed infatti, non potendosi minimamente
dubitare che nell'attuale contesto storico la
radiotelediffusione soddisfi un bisogno essenziale
della collettività, si deve convenire che trattasi di
un servizio pubblico essenziale, caratterizzato da
quel preminente interesse generale che la norma
costituzionale richiede perché legittimamente possa
essere disposta la riserva.
Che poi ricorrano "fini di utilità
generale" è cosa che già risulta da quanto s'è
detto. La radiotelevisione adempie a fondamentali
compiti di informazione, concorre alla formazione
culturale del paese, diffonde programmi che in vario
modo incidono sulla pubblica opinione e perciò è
necessario che essa non divenga strumento di parte:
solo l'avocazione allo Stato può e deve impedirlo.
5. - Il monopolio statale, che per le cose dette
trova fondamento nell'art. 43 della Costituzione e per
ciò stesso non viola l'art. 41 Cost., non risulta
nemmeno incompatibile con l'art. 21 della
Costituzione.
La Corte, anche qui ribadendo argomenti già svolti
nella ricordata decisione n. 59 del 1960, rileva che,
se quel monopolio non venisse disposto, non per ciò
riuscirebbe ad avere attuazione il diritto di
"tutti" di manifestare liberamente il
proprio pensiero con ogni mezzo di diffusione. A parte
la considerazione che siffatto diritto non comprende
anche quello di disporre di tutti i possibili mezzi (cfr.
sent. n. 105 del 1972), giova riaffermare che, non
essendo controvertibile che il numero delle bande di
trasmissione sia limitato, la liberalizzazione
inevitabilmente si tradurrebbe in una effettiva
riserva a pochi, comportando con ciò grave violazione
di quel principio di eguaglianza che è cardine del
nostro ordinamento e la cui scrupolosa osservanza si
impone specialmente là dove venga in giuoco
l'esercizio di un fondamentale diritto di libertà.
La verità è che proprio il pubblico monopolio - e
non già la gestione privata di pochi privilegiati -
può e deve assicurare, sia pure nei limiti imposti
dai particolari mezzi tecnici, che questi siano
utilizzati in modo da consentire il massimo di
accesso, se non ai singoli cittadini, almeno a tutte
quelle più rilevanti formazioni nelle quali il
pluralismo sociale si esprime e si manifesta. Chè,
anzi, è proprio questa un'ulteriore via attraverso la
quale si devono raggiungere quei "fini di
utilità generale" in funzione dei quali l'art.
43 della Costituzione rende legittima la riserva: il
monopolio pubblico, in definitiva, deve essere inteso
e configurato come necessario strumento di
allargamento dell'area di effettiva manifestazione
della pluralità delle voci presenti nella nostra
società.
6. - Le considerazioni fin qui esposte concorrono a
dimostrare che il monopolio statale dei servizi
radiotelevisivi a trasmissione circolare non viola in
via di principio le disposizioni costituzionali di
raffronto. Ma occorre a questo punto accertare se quel
monopolio risulti costituzionalmente giustificato in
tutta la sua ampiezza e se, nella parte di sua
legittima operatività, esso sia accompagnato da
garanzie idonee ad assicurare che il suo esercizio sia
effettivamente diretto al conseguimento di quei fini
di utilità generale che soli possono consentirlo.
7. - Quanto al primo aspetto, la Corte osserva che
la riserva allo Stato, in quanto trova il suo
presupposto nel numero limitato delle bande di
trasmissione assegnate all'Italia, non può
abbracciare anche attività, come quelle inerenti ai
c.d. ripetitori di stazioni trasmittenti estere, che
non operano sulle bande anzidette. è evidente che in
questo particolare settore, senza apprezzabili
ragioni, l'esclusiva statale sbarra la via alla libera
circolazione delle idee, compromette un bene
essenziale della vita democratica, finisce col
realizzare una specie di autarchia nazionale delle
fonti di informazione. Può ammettersi che l'impianto
e l'esercizio di siffatti ripetitori debbano essere
sottoposti ad una disciplina legislativa in
considerazione della salvaguardia di pubblici
interessi. Ma è anche vero che la tutela di questi
ultimi può realizzarsi con un regime di
autorizzazione, non esige certo l'esclusione del
diritto del singolo.
8. - Volgendo ora l'esame al diverso problema delle
garanzie che devono accompagnare la riserva allo
Stato, occorre trarre le debite conclusioni da quanto
si è detto nei Precedenti paragrafi. La sottrazione
del mezzo radiotelevisivo è legittima solo se si
assicuri che il suo esercizio sia preordinato a due
fondamentali obbiettivi: a trasmissioni che rispondano
alla esigenza di offrire al pubblico una gamma di
servizi caratterizzata da obbiettività e completezza
di informazione, da ampia apertura a tutte le correnti
culturali, da imparziale rappresentazione delle idee
che si esprimono nella società; a favorire, a rendere
effettivo ed a garantire il diritto di accesso nella
misura massima consentita dai mezzi tecnici. In
mancanza di una disciplina legislativa che imponga
queste due linee direttive e che predisponga gli
strumenti all'uopo adeguati, il mezzo radiotelevisivo,
posto nella libera disponibilità di chi lo gestisce,
rischia - non meno, e forse con maggior danno, che se
fosse nelle mani di pochi privati - di essere un
poderoso strumento a servizio di parte, non certo a
vantaggio della collettività. In altri termini, il
monopolio pubblico, una volta libero da ogni regola
che correttamente ed efficientemente ne disciplini
l'esercizio, potrebbe tendere a fini e portare a
risultati diametralmente opposti a quelli voluti dalla
Costituzione.
Nel fare questa affermazione la Corte non intende
esprimere alcun giudizio sul modo col quale i mezzi
radiotelevisivi sono stati finora gestiti: intende
solo adempiere al suo dovere di accertare quali siano
le condizioni minime necessarie perché il monopolio
statale possa essere considerato conforme ai principi
costituzionali.
A tal proposito la Corte - pur nel rispetto della
discrezionalità del legislatore di scegliere gli
strumenti più appropriati ad assicurare il
conseguimento dei due fondamentali obbiettivi di cui
innanzi si è discorso - ritiene che la legge debba
almeno prevedere:
a) che gli organi direttivi dell'ente gestore (si
tratti di ente pubblico o di concessionario privato
purché appartenente alla mano pubblica) non siano
costituiti in modo da rappresentare direttamente o
indirettamente espressione, esclusiva o preponderante,
del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale
da garantirne l'obiettività;
b) che vi siano direttive idonee a garantire che i
programmi di informazione siano ispirati a criteri di
imparzialità e che i programmi culturali, nel
rispetto dei valori fondamentali della Costituzione,
rispecchino la ricchezza e la molteplicità delle
correnti di pensiero;
c) che per la concretizzazione di siffatte
direttive e per il relativo controllo siano
riconosciuti adeguati poteri al Parlamento, che
istituzionalmente rappresenta l'intera collettività
nazionale;
d) che i giornalisti preposti ai servizi di
informazione siano tenuti alla maggiore obbiettività
e posti in grado di adempiere ai loro doveri nel
rispetto dei canoni della deontologia professionale;
e) che, attraverso una adeguata limitazione della
pubblicità, si eviti il pericolo che la
radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di
finanziamento della libera stampa, rechi grave
pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa
oggetto di energica tutela;
f) che, in attuazione di un'esigenza che discende
dall'art. 21 della Costituzione, l'accesso alla
radiotelevisione sia aperto, nei limiti massimi
consentiti, imparzialmente ai gruppi politici,
religiosi, culturali nei quali si esprimono le varie
ideologie presenti nella società;
g) che venga riconosciuto e garantito - come
imposto dal rispetto dei fondamentali diritti
dell'uomo - il diritto anche del singolo alla
rettifica.
A tanto non provvede la legislazione vigente, nella
quale - a parte alcune disposizioni contenute nel
d.l.C.P.S. 3 aprile 1947, n. 428 (modificato dalla
legge 23 agosto 1949, n. 681), palesemente
insufficienti ad assicurare serie direttive in ordine
ai programmi ed a consentire un efficiente controllo
del Parlamento - nulla si rinviene che possa
corrispondere a quel minimo di regolamentazione a cui
innanzi si è fatto cenno.
9. - Per le ragioni esposte deve essere dichiarata,
nei sensi di cui in motivazione e nella parte relativa
ai servizi di radiotelediffusione circolare a mezzo di
onde elettromagnetiche, l'illegittimità
costituzionale: a) degli artt. 1, 166, 168, n. 5, 178
e 251 del r.d. 27 febbraio l936, n. 645 (in parte
modificato dalla legge 14 marzo 1952, n. 196); b)
degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n.
156.
10. - L'ordinanza 15 maggio 1971 del pretore di
Poggibonsi impugna gli artt. 1, 2 e 18 del r.d. 8
febbraio 1923, n. 1067, ma, correttamente
interpretando il provvedimento, le censure devono
essere ritenute rivolte alle corrispondenti norme
contenute nel r.d. n. 645 del 1936, oggetto della
dichiarazione di parziale illegittimità.
L'ordinanza 17 febbraio 1972 del pretore di
Macerata impugna l'art. 9 del d.P.R. 5 agosto 1966, n.
1214, e l'ordinanza 22 marzo 1973 del pretore di
Perosa Argentina impugna il d.P.R. 26 gennaio 1952, n.
180. In entrambi i casi si tratta di atti non aventi
forza di legge e pertanto le relative questioni devono
essere dichiarate inammissibili.
Varie ordinanze impugnano, fra l'altro, l'art. 3
della legge 14 marzo 1952, n. 196. Ma poichè
ovviamente tale disposizione, che si limita a disporre
l'obbligo di preventiva denuncia della detenzione di
apparecchi radiotrasmittenti, non viola gli artt. 21,
41 e 43 della Costituzione, la questione deve essere
dichiarata non fondata.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l'illegittimità costituzionale degli
artt. 1, 166, 168, n. 5, 178 (così come sostituito
dall'art. 1, n. 2, della legge 14 marzo 1952, n. 196)
e 251 del r.d. 27 febbraio 1936, n. 645 (Approvazione
del codice postale e delle telecomunicazioni), e degli
artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156
(Approvazione del testo unico delle disposizioni
legislative in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni), nella parte relativa ai servizi di
radiotelediffusione circolare a mezzo di onde
elettromagnetiche;
b) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 9 del d.P.R. 5
agosto 1966, n. 1214 (Nuove norme sulle concessioni di
impianto e di esercizio di stazioni di radioamatori),
e del d.P.R. 26 gennaio 1952, n. 180 (Approvazione ed
esecutorietà della convenzione per la concessione
alla RAI del servizio di radioaudizioni e televisione
circolare e del servizio di telediffusione su filo),
sollevata in riferimento agli artt. 21, 41 e 43 della
Costituzione;
c) dichiara non fondata la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 14
marzo 1952, n. 196, sollevata in riferimento agli artt.
21, 41 e 43 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della consulta, il 9 luglio
1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ-
Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo
DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio
CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto
AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido
ASTUTI.
Arduino SALUSTRI – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 luglio 1974.
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