REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (Testo
unico delle disposizioni legislative in materia
postale, di bancoposta e di telecomunicazioni),
promosso con ordinanza emessa il 16 maggio 1973 dal
pretore di Biella nel procedimento penale a carico di
Sacchi Giuseppe, iscritta al n. 282 del registro
ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 223 del 29 agosto 1973.
Visti gli atti d'intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri e di costituzione di Sacchi
Giuseppe;
udito nell'udienza pubblica del 29 maggio 1974 il
Giudice relatore Angelo De Marco;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato
Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di
Giuseppe Sacchi, imputato del reato di cui all'art.
195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (che ha approvato
il "Testo unico delle disposizioni legislative in
materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni"), per aver installato in
Biella un impianto di televisione via cavo senza avere
ottenuto la concessione del Ministero delle poste e
telecomunicazioni, il pretore di quella città, con
ordinanza 16 maggio 1973, accogliendo analoga
richiesta del difensore dell'imputato, dichiarava
rilevante e non manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 195 di detto
t.u., in riferimento agli artt. 21,41, 43,76 e 77
della Costituzione e disponeva la trasmissione degli
atti a questa Corte per il relativo giudizio.
Nell'ordinanza di rinvio le violazioni delle norme
costituzionali sono così motivate:
1. - Per l'art. 21, in quanto, se si esclude, come
mezzo di manifestazione del pensiero, quello
televisivo che, nella società attuale é divenuto di
gran lunga il più diffuso e penetrante, non si
vedrebbe come possa trovare concreta attuazione il
principio fondamentale di libertà sancito da questa
norma della Costituzione.
2. - Per gli artt. 41 e 43, in quanto per la
televisione via cavo, dato il suo costo non rilevante
e la possibilità di porre in opera cavi coassiali
senza limiti di quantità, non sussiste quella
inevitabilità di costituzione di monopolio od
oligopolio privato, che secondo la sentenza di questa
Corte n. 59 del 1960 costituisce uno dei motivi
fondamentali di giustificazione del monopolio statale
per la televisione via etere.
3. - Per gli artt. 76 e 77, in quanto la legge di
delega 28 ottobre 1970, n. 775, era limitata al
coordinamento ed alle modificazioni ed integrazioni
delle leggi, da raccogliere in testo unico, necessarie
al loro ammodernamento al fine di renderle più
accessibili e comprensibili e, quindi, non poteva
essere utilizzata al fine di estendere il monopolio
statale ad una nuova forma di telecomunicazioni quale
quella della televisione via cavo.
4. - Infine, argomentando dal dato di fatto che il
Sacchi in data 20 aprile 1971 aveva ottenuto dal
tribunale di Biella, ai sensi dell'art. 1 della legge
sulla stampa 8 febbraio 1948, n. 47, la registrazione
del suo impianto via cavo come "giornale
periodico di informazioni e cronache riprodotte a
mezzo video della testata " Telebiella A 21 TV
"" si prospetta la violazione anche del
secondo e terzo comma dell'art. 21 della Costituzione,
in quanto il denunziato art. 195 del d.P.R. n. 156 del
1973, richiedendo la concessione e facoltizzando
l'Amministrazione a procedere al sequestro degli
impianti ed apparecchi, contrasta con le disposizioni
di quei due commi secondo le quali "la stampa non
può essere soggetta ad autorizzazione o censura"
e non può essere sequestrata se non "per atto
motivato dell'autorità giudiziaria".
Si é costituito in giudizio il Sacchi, il di cui
patrocinio, con memoria depositata il 31 luglio 1973,
riproduce, sostanzialmente, la motivazione
dell'ordinanza di rinvio, mettendo in rilievo, per
quanto attiene alla prospettata violazione
dell'articolo 76 della Costituzione, che, comunque, la
delega in forza della quale é stato emanato il t.u.
n. 156 del 1973 non si estendeva fino al punto di
consentire la previsione di una nuova ipotesi di reato
e conclude chiedendo che le questioni con tale
ordinanza sollevate vengano dichiarate tutte fondate,
anche nel caso che venisse riconosciuto esistente
l'eccesso di delega.
É intervenuto nel giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, che, con l'atto
d'intervento, depositato il 17 agosto 1973, chiede che
le prospettate questioni vengano dichiarate tutte non
fondate.
Premesso che nel concetto di "impianto
radioelettrico" vanno comprese sia la TV via
etere, sia quella via cavo, in quanto entrambi questi
tipi di trasmissione si fondano sull'utilizzazione di
radio frequenze e si diversificano soltanto per il
mezzo usato nella loro propagazione che avviene nel
primo caso attraverso l'etere, nel secondo mediante l'incanalazione
nel cavo, se ne traggono le seguenti conseguenze:
1. - Poiché anche quello via cavo, per quanto
precede, deve considerarsi "impianto
radioelettrico" viene meno il presupposto sul
quale dovrebbe trovar fondamento il denunziato eccesso
di delega.
2. - Non sussiste violazione dell'art. 21 della
Costituzione sotto alcuno dei profili denunziati con
l'ordinanza di rinvio, sia perché la libertà di
pensiero non può ritenersi compressa o violata per
effetto di limitazione dei mezzi di espressione
giustificata o dalla peculiare natura di tali mezzi o
dalla esigenza di composizione con altri interessi
costituzionalmente protetti, sia perché non possono
trovare applicazione in materia di televisione le
norme sulla stampa che, evidentemente, riguardano
soltanto l'espressione del pensiero col mezzo
"stampa".
3. - Poiché non é esatto che gli impianti di
trasmissione via cavo siano meno costosi e richiedano
minori spese di esercizio di quelli via etere, mentre
l'utilizzazione di un numero ben maggiore di canali,
almeno allo stato, é meramente teorica, sussistono
anche per essa quelle condizioni che rendono necessari
monopoli o tutt'al più oligopoli perché ne sia
possibile un'utile gestione, donde anche a questo
mezzo, che dà luogo a servizi d'interesse pubblico,
deve estendersi il monopolio statale, col che viene a
cadere la denunziata violazione degli artt. 41 e 43
della Costituzione.
Con altra memoria, depositata il 17 aprile 1974, il
patrocinio del Sacchi, a confutazione delle deduzioni
dell'Avvocatura generale dello Stato, di cui all'atto
d'intervento sopra riassunto, oppone sostanzialmente
quanto segue:
1. - Non é esatto che l'impianto e l'esercizio di
trasmissioni televisive via cavo richiedono l'impiego
di capitali così ingenti che postulano la necessità
di monopoli od oligopoli e, quindi, impongono la
stessa disciplina - monopolio statale - dichiarata
legittima con la sentenza di questa Corte n. 59 del
t960.
Al riguardo viene chiarito che lo "studio di
produzione" in edificio già esistente può
richiedere un impegno finanziario che si aggira
intorno ai cinque milioni di lire; gli impianti per la
produzione e la diffusione via cavo dei programmi,
siano essi in diretta, registrati o filmati, possono
costare intorno ai quindici milioni di lire; la
gestione di una stazione che produca programmi per la
durata giornaliera di circa 90 minuti si aggira sui
tre milioni e mezzo di lire mensili; l'installazione
di una rete televisiva via cavo ha un costo, per
singolo abbonato, che si può definire tra le
cinquemila e le diecimila lire.
Si aggiunge che quanto precede é tanto vero che,
sull'esempio di Telebiella A 21 TV, nonostante il
divieto dell'impugnato art. 195,si erano già
impiantate, in varie regioni, oltre 20 stazioni
televisive via cavo, nominativamente elencate nella
memoria.
Di qui l'inammissibilità e la illegittimità della
parificazione della TV via etere a quella via cavo e
dell'assoggettamento anche di quest'ultima al
monopolio statale sotto tutti i profili prospettati
nell'ordinanza di rinvio.
2. - Non é, del pari, esatto che la TV via cavo
sia impianto radioelettrico; di qui il denunziato
eccesso di delega che, comunque, sussiste palesemente
per l'introduzione nel testo unico di un nuovo
illecito penale.
Nell'interesse del Sacchi s'insiste, pertanto, nel
chiedere che venga dichiarata la fondatezza delle
sollevate questioni di legittimità costituzionale.
Anche l'Avvocatura generale dello Stato, in data 13
maggio 1974, ha depositato una memoria con la quale si
ribadiscono le già riassunte deduzioni e se ne
aggiungono altre due desunte da fatti nuovi
sopraggiunti (sentenza 30 aprile 1974 della Corte di
giustizia della Comunità europea e l'imminente
presentazione alla Camera dei Deputati del disegno di
legge concernente "Nuove norme in materia di
servizi pubblici radiotelevisivi" approvato dal
Consiglio dei ministri il 30 aprile 1974).
In sostanza, lo schema logico di tali nuove
deduzioni é il seguente:
a) L'art. 8, ultimo comma, della legge 28 ottobre
1970, n. 775, delegava al Governo la potestà di
raccogliere in testi unici le disposizioni in vigore,
concernenti le singole materie "apportando, ove
d'uopo, alle stesse le modificazioni ed integrazioni
necessarie per il loro coordinamento ed
ammodernamento, ai fini di una migliore accessibilità
e comprensibilità".
L'avere soppresso la menzione delle
telecomunicazioni "ottiche" e compreso nella
generalizzata dizione "telecomunicazioni" la
televisione via cavo rientra nel concetto di
ammodernamento del testo originario e, pertanto,
costituisce adempimento e non eccesso della delega.
Né si é creata una nuova figura di reato, essendo
state soltanto riprodotte le sanzioni preesistenti.
b) Come risulta dal parere del Consiglio superiore
tecnico delle telecomunicazioni 9 aprile 1974, n. 476
(in atti depositato), motivato appunto con valutazioni
tecniche anche se la utilizzazione dei cavi per
trasmissioni televisive amplierà notevolmente la
possibilità di diffondere i relativi programmi, deve
evitarsi, come contrario ai principi che regolano la
economicità e l'impiego coordinato dei sistemi di
telecomunicazione, la possibilità di consentire la
realizzazione di un sistema costituito da una
molteplicità di reti, le quali, finendo con
l'interessare tutte la medesima utenza potenziale,
risulterebbero anche sovrapposte.
Di qui la prospettiva razionale, nell'interesse
pubblico, di una estensione della televisione via cavo
su base nazionale, che, per l'enorme potenziale dei
sistemi, del costo elevatissimo della loro
realizzazione, della necessità dello sfruttamento
ottimale dei mezzi esistenti e futuri e del diritto di
tutti i cittadini di usufruirne, impone che la sua
realizzazione e l'esercizio delle relative reti siano
effettuati con i criteri adottati per i pubblici
servizi di telecomunicazioni, evitando la
proliferazione di iniziative isolate e settoriali.
Tutto ciò, che del resto trova conferma nei
sistemi adottati nella maggior parte dei Paesi europei
(Francia, Germania federale, Inghilterra, Belgio)
implica che anche la TV via cavo vada disciplinata
come servizio pubblico d'interesse generale.
Ne consegue la legittimità costituzionale, in
riferimento sia all'art. 21, sia agli artt. 41 e 43
della Costituzione in conformità con i principi
affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.
c) Poiché non possono estendersi in materia le
disposizioni sulla stampa viene meno la violazione
dell'art. 41 della Costituzione prospettata sul
presupposto di tale estensione.
d) La sentenza 30 aprile 1974 della Corte di
giustizia della Comunità europea, emessa sulla
domanda di pronunzia pregiudiziale, proposta a norma
dell'art. 177 del Trattato C.e.e., dal tribunale di
Biella nel procedimento penale innanzi ad esso
pendente a carico del Sacchi, ha riconosciuto che
anche la TV via cavo costituisce servizio essenziale
di interesse pubblico.
e) Col disegno di legge concernente "Nuove
norme in materia di servizi pubblici
radiotelevisivi", approvato dal Consiglio dei
ministri (del quale é stata depositata copia), si
investe il Parlamento della discussione ed
approvazione di vaste ed organiche proposte, che
attengono sia alla struttura degli organi preposti al
servizio, sia al più ampio diritto di accesso all'uso
del mezzo radiotelevisivo, sotto la diretta
supervisione della Commissione parlamentare di
vigilanza opportunamente integrata e potenziata.
All'udienza odierna il rappresentante l'Avvocatura
generale dello Stato ha illustrato oralmente le sopra
riportate dedizioni, mentre il patrocinio del Sacchi
non é intervenuto.
Considerato in diritto
1. - Il d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (che ha
approvato il "T.U. delle disposizioni legislative
in materia postale, di bancoposta e di
telecomunicazioni"), all'art. 1, nell'elencare i
servizi che appartengono in esclusiva allo Stato,
unifica nella sola voce "telecomunicazioni"
tutti i mezzi di comunicazione a distanza che nel
precedente testo unico, approvato con r.d. 27 febbraio
1936, n. 645, erano specificamente elencati in mezzi
telegrafici, telefonici, radioelettrici ed ottici.
In relazione a tale riserva esclusiva, l'art. 183
del nuovo testo unico statuisce che "nessuno può
eseguire od esercitare impianti di telecomunicazioni
senza avere ottenuto la relativa concessione" e
l'art. 195 prevede, per chi "stabilisca od
eserciti senza la concessione prescritta, impianti di
telecomunicazioni, l'ammenda da lire 10.000 a lire
100.000 se il fatto non si riferisce ad impianti
radioelettrici, l'arresto da tre a sei mesi e
l'ammenda da lire 20.000 a lire 200.000 se il fatto
riguarda impianti radioelettrici". All'ultimo
comma l'art. 195 stabilisce: "Ai fini delle
disposizioni del presente articolo, costituiscono
impianti radioelettrici anche quelli trasmittenti o
ripetitori, sia attivi che passivi, per radioaudizioni
o televisione, nonché gl'impianti di distribuzione di
programmi sonori o visivi realizzati via cavo o con
qualunque altro mezzo".
Come si é riferito in narrativa, il pretore di
Biella, nel corso di un procedimento penale a carico
di un imputato del reato preveduto dal citato art. 195
per avere stabilito ed esercitato un impianto di
televisione via cavo, ha ritenuto rilevante e non
manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale di detto art. 195 del d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156, in riferimento agli artt. 21,41, 43,76 e
77 della Costituzione.
Più precisamente il pretore, affermando che, in
sostanza, con la denunciata norma, si é esteso il
monopolio statale alla TV via cavo, contesta la
legittimità costituzionale di tale estensione sotto i
seguenti profili:
a) la prescrizione della concessione amministrativa
per l'esercizio di impianti televisivi via cavo e le
sanzioni penali per il caso di esercizio senza
concessione, escludendo la libera manifestazione del
pensiero attraverso il mezzo televisivo, sono in
contrasto con l'art. 21, comma primo, della
Costituzione, che sancisce il diritto di tutti di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione,
nonché - qualora la televisione via cavo possa essere
assimilata alla stampa - anche con i commi secondo e
terzo dello stesso art. 21;
b) giacché i canali realizzabili mediante cavo
sono illimitati e di costo non rilevante, l'estensione
del monopolio statale alla televisione via cavo, non
potendo giustificarsi in base all'esistenza di un
monopolio di fatto dovuto a ragioni tecniche, come per
la televisione via etere, contrasta con gli artt. 41 e
43 della Costituzione;
c) con la legge 28 ottobre 1970, n. 775, il Governo
era stato delegato a raccogliere in testi unici
disposizioni vigenti relative a procedimenti
amministrativi, apportandovi le modificazioni e
integrazioni necessarie per il loro coordinamento al
fine di renderle più accessibili e comprensibili:
l'art. 195 eccede tali limiti poiché, esorbitando
dalla delega, include tra gli apparecchi
radioelettrici gli impianti di televisione via cavo,
che tali non sono, ed estende ad essi una normativa
che in precedenza non era applicabile, configurando
una nuova ipotesi di reato, in violazione degli artt.
76 e 77 della Costituzione. In relazione a tali
questioni si rileva quanto segue.
2. - Nonostante il pretore di Biella abbia indicato
nell'art. 195 del d.P.R. n. 156 del 1973 la norma
impugnata, dal contesto dell'ordinanza di rimessione
si rileva che le questioni di legittimità
costituzionale sollevate, investono in via generale la
stessa riserva allo Stato dell'impianto e
dell'esercizio di apparecchi di televisione via cavo,
e cioè l'art. 1 del t.u., nella parte in cui
ricomprende la televisione via cavo fra i servizi di
telecomunicazione che appartengono in esclusiva allo
Stato e l'art. 183, il quale, anche con riferimento
agl'impianti di televisione via cavo, stabilisce che
"nessuno può eseguire o esercitare impianti di
telecomunicazione senza avere ottenuto la relativa
concessione".
Pertanto, ancorché manchi una specifica denuncia
di tali norme, essendo queste implicitamente e
univocamente contenute nell'ordinanza di rimessione,
questa Corte - in conformità con la sua costante
giurisprudenza al riguardo - non può esimersi
dall'esaminare le questioni sollevate nella loro
effettiva ampiezza.
Ciò premesso, va osservato - anche se
nell'ordinanza di rinvio é prospettato per ultimo ed
il patrocinio della parte privata ha chiesto che in
ogni caso vengano esaminate anche le altre questioni -
che pregiudiziale e, se fondato, assorbente é il
denunziato eccesso di delega.
Un tale eccesso, però, non sussiste.
Prima dell'emanazione del d.P.R. n. 156 del
1973,l'art. 1 del r.d. 27 febbraio 1936, n. 645, già
riservava allo Stato l'esercizio di tutti gl'impianti
di telecomunicazioni, che i privati potevano
esercitare solo previa concessione amministrativa
(art. 166); l'art. 178 (vigente nel testo modificato
dall'art. 2 della legge 14 marzo 1952, n. 196) puniva
penalmente la lesione di tale riserva, con sanzioni
diverse a seconda che il fatto riguardasse o non
riguardasse impianti radioelettrici. Il nuovo codice
postale, mantenendo all'art. 1 la riserva, non ha
innovato la precedente disciplina, limitandosi a dare,
con la normativa dettata all'art. 195, una
interpretazione autentica di essa, stabilendo - allo
scopo di eliminare ogni incertezza circa
l'applicazione delle sanzioni da esso previste - che
tutti gl'impianti di distribuzione di programmi sonori
o visivi vanno considerati impianti radioelettrici.
Non vi é, quindi, violazione degli artt. 76 e 77
della Costituzione, essendosi il legislatore delegato
limitato ad apportare alla normativa già vigente
quelle interpretazioni necessarie a renderla più
comprensibile, come la legge di delegazione lo aveva
autorizzato a fare.
Ugualmente disattese vanno le censure prospettate
in riferimento all'art. 21, commi secondo e terzo,
della Costituzione, nel presupposto che la televisione
via cavo possa essere assimilata alla stampa.
Tale presupposto, infatti, non sussiste, in quanto
la stampa presenta caratteristiche peculiari, che ne
hanno imposta una specifica disciplina, la quale non
può di per sé estendersi ad altri mezzi di
espressione e comunicazione del pensiero di diversa
natura, tra i quali é da annoverarsi la TV via cavo.
3. - Prima di passare all'esame delle altre
questioni prospettate con l'ordinanza di rinvio,
occorre a questo punto precisare che la differenza
pratica di maggior rilievo ai fini del presente
giudizio, fra televisione via cavo e televisione via
etere, é data dalla limitatezza dei canali
realizzabili via etere e dall'illimitatezza dei canali
realizzabili via cavo, potendosi questi aumentare
indefinitamente moltiplicando il numero dei cavi,
com'é pacificamente e universalmente riconosciuto.
In Europa la televisione via cavo non ha avuto
finora attuazione e diffusione su vasta scala, essendo
ancora allo stato sperimentale ed incominciando a
sorgere solo da poco impianti di un qualche interesse.
Essa ha avuto, invece, un notevole sviluppo in
Giappone e negli Stati Uniti d'America, dove la sua
realizzazione é affidata all'iniziativa privata,
previa licenza governativa. In entrambi questi Stati
l'impiego della televisione via cavo é attualmente
limitato all'integrazione della televisione via etere
- le cui trasmissioni vengono
fatte pervenire via cavo in località lontane o
isolate - nonché a trasmissioni autonome a corto
raggio, interessanti agglomerati urbani.
É di particolare interesse rilevare che negli
Stati Uniti, dove é in atto un largo uso della
televisione via cavo e tale mezzo di comunicazione si
va sviluppando da oltre venti anni, le reti di
televisione via cavo hanno tutte carattere locale e le
famiglie da esse servite, alla fine del 1971, non
superavano la cifra di 5.900.000 su oltre 200 milioni
di abitanti.
L'ordinanza di rinvio e la parte privata,
richiamandosi ai principi affermati con la sentenza n.
59 del 1960 di questa Corte, a sostegno della dedotta
questione di legittimità costituzionale, pongono
appunto in evidenza che, se anche per la televisione
via etere permane tuttora il limite derivante dagli
accordi internazionali vigenti in materia, é invece
possibile realizzare via cavo un numero notevole
d'impianti televisivi. Con la conseguenza che per la
televisione via cavo non sussisterebbe quel pericolo
di costituzione di monopoli od oligopoli privati, di
fronte al quale, secondo la citata sentenza, esigenze
prevalenti d'interesse pubblico giustificherebbero il
monopolio statale.
L'Avvocatura dello Stato, per contro, obbietta che
il pericolo dell'oligopolio é insito nel costo degli
impianti e vi é un interesse pubblico a che la
televisione via cavo sia realizzata secondo una
prospettiva globale, che eviti dispersione di risorse
e "duplicazione" d'impianti e comprenda,
coordinandoli, tutti i sistemi di telecomunicazione su
piano nazionale.
A sostegno di tale tesi é stato allegato un parere
del Consiglio superiore tecnico delle
telecomunicazioni, nel quale appunto si afferma
l'opportunità di evitare iniziative settoriali, che
darebbero luogo ad una proliferazione di reti
parziali, financo sovrapposte, con conseguente
dispersione di mezzi che andrebbero, invece,
convogliati tutti al fine della realizzazione di
un'unica rete nazionale, comprensiva della totalità
degli impianti di telecomunicazioni e non solo di
quelli televisivi.
In relazione a dette affermazioni va rilevato che
il costo di un impianto di televisione via cavo, il
quale comprenda l'intero territorio nazionale o
comunque la massima parte di esso, potrebbe essere
talmente elevato da dare luogo a gravi pericoli
d'insorgenza di situazioni monopolistiche od
oligopolistiche qualora la sua realizzazione non resti
riservata allo Stato ma sia intrapresa da privati.
Pertanto le stesse ragioni che in via di principio
giustificano il monopolio statale della
radiotelevisione via etere giustificano la riserva
allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando
questi assumono le dimensioni innanzi indicate.
Va peraltro aggiunto che siffatta riserva, per
essere costituzionalmente legittima, deve essere
accompagnata da una disciplina che, nei sensi
richiesti dalla sentenza n. 225 depositata in data di
oggi, é essenziale per garantire che la gestione sia
indirizzata ai fini in vista dei quali é consentita
la sottrazione alla libera iniziativa dei privati. A
tale proposito la Corte rinvia alle indicazioni
contenute in quella decisione non senza aggiungere
che, in relazione alla maggiore disponibilità dei
canali di trasmissione, deve essere dato più ampio
spazio al diritto di accesso.
4. - Diverso discorso deve essere fatto per quanto
riguarda l'installazione e l'esercizio di reti
radiotelevisive via cavo a raggio limitato che, per la
loro dimensione locale, non integrino, nei sensi
innanzi detti, quella fattispecie per la quale
legittimamente può disporsi la riserva allo Stato.
Invero l'art. 41 della Costituzione statuisce, al
primo comma, che l'iniziativa economica privata é
libera. L'art. 43 statuisce che solo a fini di
utilità generale la legge può riservare
originariamente allo Stato, a Enti pubblici e a
comunità di lavoratori o di utenti determinate
imprese o categorie di imprese che si riferiscono a
servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia, o a
situazioni di monopolio ed abbiano carattere di
preminente interesse generale. L'art. 21, primo comma,
statuisce che tutti hanno diritto di manifestare
liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Orbene, gl'impianti di televisione via cavo a
carattere locale non hanno, entro certi limiti, un
costo non sostenibile da singole imprese, come
dimostrano l'esperienza estera e la stessa modesta
esperienza italiana al riguardo. Il che é
riconosciuto anche nel sopra menzionato parere del
Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni,
nel quale si afferma che, in mancanza della riserva
allo Stato, in Italia gl'impianti di televisione via
cavo sarebbero destinati a proliferare, dando luogo ad
una pluralità di reti parziali e non, quindi, a
situazioni di monopolio od oligopolio.
Di fronte a tale situazione, consegue che va
rilevata, limitatamente all'installazione e
all'esercizio di reti locali di televisione via cavo,
la carenza di quei fini di utilità generale che
potrebbero, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
legittimarne a norma dell'art. 43 della Costituzione
la riserva allo Stato, disposta dall'art. 1 del d.P.R.
n. 156 del 1973, ribadita dall'art. 183 e sanzionata
penalmente dall'art. 195. Non si vede infatti quale
"utilità generale" possa avere, nel nostro
ordinamento costituzionale, inibire, comprimendo
l'iniziativa privata, la realizzazione di una
pluralità di reti televisive via cavo, attraverso le
quali sia più largamente attuata la libertà di
manifestazione del pensiero sancita dal primo comma
dell'art. 21 della Costituzione.
Tale "utilità generale", va
ulteriormente sottolineato, come non può essere
ravvisata nell'esigenza di evitare il pericolo del
costituirsi di oligopoli privati - il quale non
sussiste e comunque, anche a volere aderire alle
opinioni più pessimistiche, non é più grave di
quello esistente per la stampa quotidiana e periodica,
attività questa che nessuno osa pretendere di
riservare allo Stato - così non é neppure
ravvisabile nell'opportunità di realizzare il sopra
menzionato progetto, tuttora in fase di elaborazione,
di organizzare un servizio globale di
telecomunicazioni. Lo Stato, infatti, ben può
procedere alla sua realizzazione pur senza vietare
gl'impianti locali privati di televisione via cavo e
senza comprimere le libertà garantite dagli artt. 21
e 41 della Costituzione.
Ciò non significa, peraltro, che il legislatore
non possa disciplinare con legge l'installazione e
l'esercizio delle reti private di televisione via
cavo, essendo tale installazione od esercizio
strettamente collegati ad interessi generali e dovendo
perciò essere attuati in armonia e non in contrasto
con i su detti interessi.
Quindi, anche se non sussistono per le reti locali
di televisione via cavo - come del resto per la
generalità delle attività imprenditoriali - ragioni
di "utilità generale" che ne giustifichino
una riserva allo Stato, la loro installazione e il
loro esercizio possono essere senz'altro
legittimamente ed opportunamente disciplinati con
legge, in modo da assicurare che, nel rispetto della
libertà di manifestazione del pensiero e d'iniziativa
economica, siano salvaguardati gli interessi pubblici,
che, in varia guisa, possono entrare in giuoco.
All'uopo, pertanto, potrà stabilirsi che sia
l'installazione sia l'esercizio siano subordinati ad
autorizzazione amministrativa, da rilasciarsi ove
sussistano le condizioni previste dalla legge.
Naturalmente, quando concorrano tali condizioni,
l'autorizzazione é vincolata e non meramente
discrezionale, con tutte le conseguenze che tale sua
natura comporta nel nostro ordinamento.
5. - In conseguenza di quanto fin qui si é detto
la riserva allo Stato dei servizi radiotelevisivi via
cavo, così come disposta dalle norme impugnate,
risulta illegittima per il concorso di due
fondamentali motivi:
a) perché essa include anche attività che, nei
sensi anzidetti, non possono essere sottratte
all'iniziativa dei privati;
b) perché, nella parte di legittima operatività,
essa non soggiace ad una disciplina sufficiente a
garantire il raggiungimento dei fini in vista dei
quali la Costituzione la consente.
Va dichiarata, in conseguenza, nei sensi di cui in
motivazione, l'illegittimità costituzionale dell'art.
1 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nella parte in cui
riserva allo Stato anche l'installazione e l'esercizio
di reti locali di televisione via cavo; dell'art. 183
di detto decreto, nella parte in cui vieta
l'installazione e l'esercizio di tali reti senza avere
previamente ottenuto la relativa concessione;
dell'art. 195 di tale decreto, nella parte in cui
punisce tale installazione ed esercizio senza la
previa concessione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale degli artt.
1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (col
quale é stato approvato il testo unico delle
disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni), nelle parti
relative ai servizi di televisione via cavo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio
1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ-
Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo
DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vezio
CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto
AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido
ASTUTI.
Arduino SALUSTRI – Cancelliere
Depositata in cancelleria il 10 luglio 1974.
|