SENTENZA N. 148
ANNO 1981
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori giudici
Dott. Giulio GIONFRIDA, Presidente
Prof. Edoardo VOLTERRA
Dott. Michele ROSSANO
Prof. Antonino DE STEFANO
Prof. Leopoldo ELIA
Prof. Guglielmo ROEHRSSEN
Avv. Oronzo REALE
Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI
Avv. Alberto MALAGUGINI
Prof. Livio PALADIN
Dott. Arnaldo MACCARONE
Prof. Antonio LA PERGOLA
Prof. Giuseppe FERRARI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nel giudizio di legittimità costituzionale del
combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R.
29 marzo 1973 n. 156, in relazione alla l. 14 aprile
1975 n. 103 e all'art. 2 della l. 10 dicembre 1975 n.
693 (Monopolio pubblico delle trasmissioni televisive
via etere a carattere nazionale), promosso con
ordinanza emessa il 18 novembre 1980 dal pretore di
Roma, sul ricorso proposto dalla RAI, Radiotelevisione
Italiana S.p.A., contro la Rizzoli Editore S.p.a. ed
altri, con l'intervento dell'AGIS ed altri, iscritta
al n. 37 del registro ordinanze 1981 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27 del 28
gennaio 1981.
Visti gli atti di costituzione della S.p.a.
Teletevere, della S.p.a. SIT, Società Impianti
televisivi, ed altre, della S.p.a. Rizzoli Editore,
della Associazione Nazionale Teleradiodiffusioni
Indipendenti, della RAI, Radiotelevisione Italiana
S.p.a., nonché l'atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 29 aprile 1981 il
Giudice relatore Arnaldo Maccarone;
uditi gli avvocati Dario Di Gravio per la S.p.a.
Teletevere, Pasquale Russo e Carlo Vichi per la S.p.a.
SIT, ed altri, Aldo Sandulli, Carmine Punzi, Franco
Gaetano Scoca e Stefano Varvesi per la S.p.a. Rizzoli
Editore, Paolo Barile, Vezio Crisafulli, Giuseppe
Guarino e Alessandro Pace per la S.p.a. RAI,
Radiotelevisione Italiana, e l'avvocato Sergio Laporta,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
La RAI-TV, Radiotelevisione Italiana S.p.A.,
premesso che ad iniziativa della Rizzoli Editore
S.p.A. stava per iniziare la trasmissione via etere su
scala nazionale di un telegiornale ed altri programmi
televisivi utilizzando una rete di trasmissione e di
collegamento di proprietà delle società SIT, Società
Impianti Televisivi SIA, SET s.r.l. e Royal Editrice
s.r.l. correnti in Castelvecchio Pascoli consistente
in circa 18 stazioni sparse in tutta Italia ed
interconnesse fra loro; che la riferita iniziativa
doveva ritenersi illecita in quanto la diffusione di
dette trasmittenti era lesiva degli interessi di essa
RAI, estendendosi oltre l'ambito locale, posto dalla
Corte costituzionale (sentenza 202/1976) come limite
dell'impresa economica privata in materia, e in
violazione dell'art. 195 del Cod. postale nonché
della legge 14 aprile 1975 n. 103 e successivo d.P.R.
11 agosto 1975 n. 452, concernenti la riserva allo
Stato del servizio radiotelevisivo su scala nazionale
e del correlativo diritto di esclusiva di essa RAI
concessionaria del servizio stesso; che, infine, la
trasmissione era illecita amministrativamente in
difetto della necessaria autorizzazione e
dell'assegnazione della banda di frequenza da parte
del Ministero delle Poste, chiedeva al Pretore di Roma
di inibire alle dette società ogni ulteriore atto
diretto a condurre ad effetto le illecite iniziative
denunciate.
Il Pretore con decreto 14 ottobre 1980 emesso ai
sensi dell'art. 700 cod. proc. civ. accoglieva la
richiesta e inibiva alle società intimate di
diffondere programmi televisivi su scala nazionale.
All'udienza di comparizione delle parti disposta ai
sensi dell'art. 702 in relazione all'art. 690 cod.
proc. civ. per la conferma, modifica o revoca del
provvedimento suddetto oltre alle società intimate si
costituivano l'Amministrazione delle Poste e
telecomunicazioni, l'Associazione generale dello
spettacolo (AGIS), l'Associazione Nazionale Esercenti
Cinema (ANEC), l'Associazione Nazionale
Teleradio-diffusione Indipendenti (ANTI), nonché la
soc. Teletevere.
Tanto la soc. Rizzoli che la SIT, SET e Royal,
eccepivano, fra l'altro, l'illegittimità
costituzionale delle norme che disciplinano il
monopolio statale televisivo, per assunto contrasto
con gli artt. 3, 10, 21, 43 Costituzione.
L'amministrazione delle Poste, l'AGIS, l'ANEC e l'ANTI
aderivano alle tesi della RAI-TV mentre la società
Teletevere, quale titolare di una emittente televisiva
privata, prospettava l'illecità dell'attività delle
società intimate in quanto diretta a istituire una
rete di trasmissione in contrasto con i criteri
sanciti dalla citata sentenza n. 202 della Corte e, in
subordine, proponeva le stesse questioni di
illegittimità costituzionale prospettate dalla soc.
Rizzoli, e dalle altre menzionate società.
Il Pretore, con ordinanza 18 novembre 1980, dopo
avere espressamente affermato che il provvedimento di
inibizione era stato emesso in presenza di un
complesso di elementi probatori che chiaramente
evidenziavano l'esistenza di una situazione
pregiudizievole in danno della ricorrente e che il
provvedimento stesso trovava comunque titolo nella
normativa in atto vigente nonché nella prospettiva
costituzionale che di essa è stata data dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale, ha ritenuto
rilevante e non manifestamente infondata, in relazione
agli artt. 3, 21 e 43 Costituzione, la questione di
legittimità «della normativa risultante dal
combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 d.P.R. 29
marzo 1973, n. 156, in relazione a quanto prescritto
dalla legge 14 aprile 1975, n. 103, con particolare
riferimento per quest'ultima all'art. 45 nonché
all'art. 2 legge n. 693 del 1975, ed agli artt. 1, 2 e
segg. della citata legge n. 103 del 1975, nella parte
in cui questa normativa legittimando il monopolio
pubblico delle trasmissioni televisive via etere a
carattere nazionale, preclude alle imprese private la
possibilità di istituire e gestire attività
televisive aventi lo stesso carattere nazionale e
conferisce alla pubblica Amministrazione una potestà
discrezionale nella determinazione dell'ambito di
utilizzazione delle frequenze».
Il Pretore osserva preliminarmente che la
circostanza che le società intimate non sono in
possesso della autorizzazione amministrativa
all'esercizio delle trasmissioni, non può valere ad
escludere la rilevanza della questione, come vorrebbe
la RAI, poiché al fine di valutare la sussistenza del
detto requisito occorre fare riferimento al contenuto
del Potere giurisdizionale nella concreta fattispecie
al fine di accertare se la decisione debba essere
fondata sulla norma della cui legittimità si dubita.
E, secondo il Pretore, il presupposto del
provvedimento de quo, va individuato nell'esercizio
dell'attività radiotelevisiva su scala nazionale in
regime di monopolio, che proprio la stessa RAI afferma
per chiedere la tutela ai sensi dell'art. 700 cod.
prop. civ..
Pertanto, ove la normativa censurata risultasse
illegittima, il ricorso dovrebbe essere ritenuto
infondato ed il provvedimento dato quindi dovrebbe
essere revocato, mentre, in caso contrario, dovrebbe
essere confermato.
La situazione amministrativa delle società
intimate non potrebbe, quindi, comunque incidere ai
fini della pronunzia del giudice nella fase del
giudizio sommario attualmente in corso ex art. 700
cod. proc. civ.
Nel merito il giudice a quo osserva poi che,
secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale,
il monopolio statale nella subiecta materia garantisce
la libertà di manifestazione del pensiero dal
pericolo di restrizioni che deriverebbe
dall'instaurarsi di un monopolio od oligopolio privato
dell'informazione, in conseguenza della limitatezza
dei canali di trasmissione utilizzabili e
dell'eccessivo costo degli impianti e della gestione
degli stessi. Ove pertanto questi dati di fatto,
storicamente verificabili, dovessero mutare peso e
consistenza, potrebbe anche mutare il giudizio sulla
funzione del monopolio pubblico dell’informazione e,
conseguentemente, sulla legittimità delle norme che
lo sorreggono.
Ciò posto il Pretore afferma che dalla
documentazione esibita dalle società intimate «potrebbe
ragionevolmente desumersi» che la situazione di fatto
su cui poggiano le precedenti pronunzie della Corte
sarebbe mutata per effetto dei progressi tecnici
conseguiti, né il giudice del merito potrebbe
spingere la sua indagine di fatto oltre l'ambito del
giudizio delibativo rimesso alla sua competenza, tanto
più che tali argomenti attengono direttamente alle
motivazioni adottate a suo tempo dalla Corte, per cui
spetterebbe a quest'ultima valutare se, ed in che
misura, la diversa realtà tecnologica possa incidere
sul giudizio di legittimità delle norme che, allo
stato, sorreggono il monopolio pubblico delle
trasmissioni televisive su scala nazionale. E in
proposito il giudice a quo precisa che, anche
indipendentemente dalla distinzione fra libertà di
manifestazione del pensiero e disponibilità dei mezzi
o strumenti idonei allo scopo, cui fa riferimento la
RAI per affermare che l'art. 21 Cost. garantirebbe in
ogni caso la detta libertà ma non la disponibilità
dei mezzi di trasmissione, ove si ritenga che
attualmente la tecnica consente entro limiti assai
ampi la possibilità di accesso dei privati agli
strumenti di trasmissione via etere a carattere
nazionale, non potrebbero ritenersi legittime le
attuali norme restrittive, non più giustificabili ai
sensi dell'art. 43 Costituzione.
Inoltre, il prospettato profilo di illegittimità
evidenzierebbe anche il dubbio circa il contrasto
della normativa denunziata con l'art. 3 Cost.. Infatti
la posizione di privilegio attribuita allo Stato
concreterebbe una disparità di trattamento non
sorretta da adeguata giustificazione, e ciò tanto più
che attraverso il sistema dei ripetitori le reti
televisive estere possono irradiare programmi
sull'intero territorio nazionale, acquisendo così
anch'esse una posizione di privilegio rispetto alle
emittenti televisive nazionali.
Inoltre, secondo il giudice a quo, dovendosi
riconoscere la operatività della normativa sul
monopolio pubblico televisivo a carattere nazionale in
relazione alle trasmissioni effettuate da emittenti
locali ma estese a tutto il territorio nazionale per
effetto della così detta interconnessione fra
emittenti, poiché si tratterebbe comunque di
trasmissioni estese a tutto il territorio nazionale la
Corte dovrebbe altresì valutare la legittimità
costituzionale della normativa denunziata anche sotto
questo particolare profilo.
Il giudice a quo infine, in relazione alla
richiesta di revoca del provvedimento di inibizione
avanzata dalla SIT, SET e Royal Editrice, ritiene di
dover precisare che la portata del provvedimento
concerne esclusivamente la diffusione di programmi su
scala nazionale, o aventi originariamente tale ambito
o risultanti tali per effetto di accorgimenti tecnici
quali l'interconnessione fra emittenti locali,
restandone quindi libera l'irradiazione di programmi
locali anche se operata da più emittenti in tempi
diversi. Pertanto il provvedimento in esame non
inciderebbe in alcun modo sull'attività
imprenditoriale delle menzionate società, che si
definiscono titolari di impianti aventi ambito
esclusivamente locale e le relative doglianze entro
questi limiti sarebbero infondate.
Si è costituita la soc. Rizzoli Editore in persona
del suo presidente Amministratore delegato e legale
rappresentante dott. Angelo Rizzoli rappresentato e
difeso dagli avuti Stefano Varvesi, prof. Aldo
Sandulli, prof. Carmine Punzi, prof. Gaetano Scoca,
che hanno tempestivamente depositato le proprie
deduzioni.
La difesa della soc. Rizzoli richiama anzitutto la
giurisprudenza della Corte in materia e ribadisce che
la liceità del monopolio pubblico sarebbe stata
ravvisata in base alla riconosciuta sussistenza del
fine di utilità generale richiesto al riguardo
dall'art. 43 Costituzione per l'avocazione allo Stato
di servizi pubblici essenziali, fine che la Corte
avrebbe identificato nella necessità di salvaguardare
la completezza, l'obiettività e l'imparzialità
nell'uso del più importante mezzo di diffusione del
pensiero che avrebbero potuto essere compromesse dalla
limitata utilizzabilità, all'epoca, dell'etere sia
per la limitata disponibilità delle bande di
trasmissione, sia per gli alti costi degli impianti
che avrebbe condotto alla instaurazione di monopoli o
di oligopoli privati. E la liberalizzazione delle
trasmissioni straniere su scala nazionale e di quelle
private via cavo su scala locale sarebbe stata appunto
conseguenza di tale orientamento, dovendosi escludere
per tali trasmissioni la sussistenza del pericolo di
monopolio o oligopolio sopra menzionato.
La legge n. 103 del 1975, pur muovendosi
apparentemente in conformità della ricordata
giurisprudenza costituzionale, non avrebbe considerato
che il progresso tecnico consentiva oramai una ben più
vasta utilizzazione delle bande di frequenza anche per
le trasmissioni via etere. Circostanza della quale
invece avrebbe tenuto conto la Corte con una
successiva sentenza (202/76), con la quale,
affrontando il problema limitatamente alle
trasmissioni via etere su scala locale riconosceva
l'esistenza di una disponibilità sufficiente ad
escludere il pericolo di monopoli od oligopoli privati
e dichiarava di conseguenza l'illegittimità
dell'estensione del monopolio pubblico alle emissioni
su scala locale, che costituiva una non più
giustificabile compressione del fondamentale principio
di libertà garantito dall'art. 21 Costituzione.
Ciò premesso, la difesa della soc. Rizzoli afferma
che la disponibilità attuale delle frequenze
utilizzabili per i collegamenti televisivi via etere
sarebbe di tale ampiezza «anche su scala nazionale»
da non giustificare ulteriormente alcuna limitazione
al principio di libertà di manifestazione del
pensiero, il che evidenzierebbe altresì il contrasto
dell’art. 1 della legge n. 103/75 con l'art. 43
Costituzione, là dove dopo avere premesso che la
radiodiffusione è un servizio pubblico essenziale a
carattere di preminente interesse generale, statuisce
che «pertanto» è riservato allo Stato senza tener
conto del venir meno dei fini di utilità generale
pure richiesti dall’art. 43 per la istituzione del
monopolio pubblico, e senza tener conto neppure che
con tali criteri, si aprirebbe la strada alla riserva
allo Stato anche dei giornali, del cinema, etc.
La difesa della soc. Rizzoli svolge quindi un'ampia
trattazione tecnica dell'argomento, tendente a
dimostrare l'esistenza di una molteplicità di canali
di trasmissione, sia all'interno del piano nazionale
delle frequenze approvate nel 1976 da 100 a 11700 MHZ,
sia all'esterno di esso, da 11700 MHZ a 400.000 MHZ.
Anche sotto il profilo dei costi, la riserva di
monopolio pubblico non troverebbe più alcuna
giustificazione, poiché l'impiego dei transistors, e
gli altri progressi tecnici in materia consentirebbero
di realizzare una vasta copertura del territorio
nazionale mediante una spesa di non più di 1500
milioni, «sopportabile da qualunque impresa» e
comunque ben inferiore a quella necessaria per
l'impianto di un giornale. Ed anche i costi di
gestione sarebbero inferiori a quelli di un giornale,
(e comunque sarebbe ampiamente condizionato dai ricavi
della pubblicità, la cui gestione potenziata dalla
emittenza privata avrebbe anche una funzione
riequilibratrice del settore.
La difesa poi, premesso un ampio ed analitico esame
della attuale situazione della disponibilità delle
frequenze di trasmissione, con riferimento al D.M. 3
dicembre 1976 relativo al piano nazionale delle
frequenze, afferma che, in forza di esso, sarebbe
riservato al servizio pubblico di trasmissione un
numero eccessivo di canali, neppure tutti utilizzati,
ed asserisce che sarebbe ben possibile ridurre tale
assegnazione allo scopo di aumentare la disponibilità
per i privati senza ridurre la resa tecnica del
servizio stesso. Il citato D.M. 3 novembre 1976
sarebbe anzi illegittimo appunto per l'irrazionale ed
eccessiva assegnazione di frequenze al monopolio
pubblico ivi disposta, e sarebbe un atto interno della
pubblica Amministrazione che come tale non potrebbe
essere tenuto presente in questa sede, ai fini di
valutare la obiettiva situazione della disponibilità
delle frequenze nei confronti dei terzi. Il potere
discrezionale esercitato col decreto in esame,
comunque, non sarebbe previsto da alcuna disposizione
legislativa né avrebbe potuto esserlo, incidendo in
materia di diritti costituzionalmente garantiti.
La difesa dedica la parte conclusiva delle proprie
deduzioni alla contestazione della necessità del
monopolio pubblico ai fini dell'osservanza dell'art.
21 Costituzione affermando che la facoltà di
utilizzare l'etere estesa ai soggetti in grado di
disporre degli appositi impianti non conculcherebbe
detta libertà, il cui rispetto esige soltanto che
tutti coloro che abbiano la possibilità di disporre
di un mezzo idoneo posano utilizzarlo per diffondere
il proprio pensiero. Ove esista la possibilità di un
naturale pluralismo, quello realizzato attraverso il
monopolio statale sarebbe in contrasto con la detta
libertà, sul piano nazionale non meno che su quello
locale, e senza che tale conclusione possa essere
contraddetta né dal fatto che alla Radiotelevisione
di Stato sovraintende una commissione parlamentare,
che per la sua natura politica sarebbe portatrice di
interessi più ristretti di quelli culturali connessi
al servizio in esame, né dalla asserita possibilità
che su scala nazionale finirebbero con l'imporsi
grossi gruppi economici, in quanto, mentre ciò
potrebbe egualmente affermarsi per la stampa, che
nessuno pensa di sottoporre a monopolio pubblico,
sarebbe sufficiente una legge antitrust per eliminare
tale pericolo, né dalla paventata esclusione dai
circuiti televisivi privati delle zone di minore
redditività pubblicitaria, giacché anche ammesso che
ciò potesse avvenire, non sarebbe argomento
sufficiente ad escludere il pluralismo, potendosi
eventualmente rimediare attraverso servizi pubblici a
carico della collettività, né infine dalla ventilata
minore professionalità dell'emittente privata
rispetto a quella pubblica, che, se mai, sarebbe
conseguenza solo dell'attuale illegittimo sistema.
Si sono anche costituite: la soc. SIT in persona
del Incidente dr.ssa Maria Lina Marcucci, la soc. SET
in persona dell'amministratore unico dr. Giuseppe
Pulvirenti e la soc. Royal Editrice in persona
dell'amministratore unico dr. Enzo Mentasti, tutti
rappresentati e difesi dagli avuti prof. Pasquale
Russo e Carlo Vichi che hanno depositato
tempestivamente le proprie deduzioni.
La difesa delle soc. SIT, SET e Royal Editrice,
richiamandosi alle deduzioni svolte in sede pretorile,
con le quali aveva affermato doversi ritenere ai sensi
delle norme impugnate pienamente lecita l'attività di
trasmissione di più emittenti locali, quali appunto
esse deducenti, avente ad oggetto la trasmissione
dello stesso programma ciascuna nel proprio ambito
locale, ribadisce che il fenomeno
dell'interconnessione fra stazioni locali o il ricorso
allo stesso scopo ai ponti radio o alle cassette non
trasformerebbe le emittenti locali in emittenti
ultralocali o nazionali, in quanto si realizzerebbe
così soltanto una diffusione in diverse località di
uno stesso programma, mantenendo peraltro ogni
emittente la propria autonoma individualità, e la
propria zona di competenza.
La limitazione della libertà di emissione non
riguarderebbe perciò i programmi che le varie
emittenti trasmettono ciascuna per suo conto. E ciò
sarebbe conforme alla giurisprudenza della Corte che
avrebbe inteso vietare l'oligopolio economico, non
ravvisabile nella diffusione di programmi eguali da
parte di più emittenti, salvaguardando invece la
diffusione pluralista delle idee che sarebbe limitata
dalla esclusione della possibilità che una
manifestazione del pensiero espressa in una regione
possa circolare in un'altra. E d'altra parte i citati
mezzi per la moltiplicazione della diffusione di uno
stesso programma, offrendo una possibilità di utenza
senza limiti ed a bassissimo costo, non urterebbero
contro il presupposto tecnico che sta alla base delle
decisioni della Corte, cioè la limitazione delle
frequenze e gli alti costi di gestione.
Ciò premesso, la difesa osserva peraltro che le
questioni di legittimità sollevate in relazione alle
norme impugnate interpretate nel senso restrittivo
adottato dal giudice a quo sarebbero fondate.
Sarebbero violati infatti l'art. 3 Costituzione,
per l'irrazionale disparità di trattamento a danno
delle emittenti locali, che si vedrebbero costrette a
trasmettere ciascuna in ambito limitato mentre la
concessionaria o le emittenti estere potrebbero farlo
liberamente su scala nazionale; l'art. 21 Costituzione
per la restrizione della libertà di manifestazione
del pensiero che tale limitazione comporterebbe;
l'art. 43 Costituzione letto in riferimento all'art.
41 Costituzione perché resterebbe soffocata senza
motivo la libertà d'impresa sia sotto il profilo
della produzione e commercializzazione dei programmi
sia sotto il profilo della scelta e dell'acquisto dei
programmi prodotti in ambiti locali diversi. Né
l'astratta possibilità di oligopolio collegata
all'eventuale controllo di pochi gruppi di una
pluralità di emittenti varrebbe a giustificare il
monopolio statale, che non da questo potrebbe essere
garantito, bensì da una idonea normativa regolatrice.
D'altra parte, prosegue la difesa, non
sussisterebbero ormai più le condizioni di
limitatezza delle frequenze utilizzabili poste a base
della ricordata giurisprudenza della Corte, e ciò
sarebbe dimostrato dalla attualità di numerose
emittenti nazionali oltre quelle RAI e costituite
dalle emittenti straniere di Montecarlo, Svizzera,
Capodistria e Francia ricevute in Italia, oltre alle
possibilità offerte dalle irradiazioni via satellite.
Le stesse limitazioni di frequenze disposte col D.M. 3
dicembre 1976 sarebbero comunque superate
dall'adozione della convenzione di Torremolinos,
ratificata con legge n. 790 del 1977, mentre il
giudice amministrativo avrebbe annullato il detto
decreto del 1976 nella parte in cui privilegiava la
RAI nell'assegnazione dei canali televisivi.
Neppure le limitazioni economiche sarebbero
realmente incisive ai fini in discorso poiché la
costruzione della 3a rete RAI, particolarmente
complessa secondo le ammissioni della stessa
concessionaria, sarebbe costata meno di quattro
miliardi, cioè meno di quanto occorre per impiantare
una casa editrice o produrre un buon film.
Si sono altresì costituiti in questa sede la soc.
Teletevere, in persona del legale rappresentante
Pietro Manno, nonché di Fabrizio Menghini, in
proprio, quale direttore editoriale, rappresentati e
difesi dall'avv. Dario di Gravio che ha depositato nei
termini le proprie deduzioni con cui si limita a
richiamare le tesi già svolte nel giudizio avanti al
Pretore, e sopra ricordate.
Si è altresì costituita la RAI Radiotelevisione
Italiana S.p.A., in persona del Presidente del
Consiglio di amministrazione e legale rappresentante
dr. Sergio Zavoli, rappresentato e difeso dagli avv.ti
prof. Paolo Barile, prof. Vezio Crisafulli, prof.
Giuseppe Guarino, prof. Natalino Irti, prof.
Alessandro Pace e Attilio Zoccali che hanno
tempestivamente depositato le proprie deduzioni.
La difesa della RAI, richiamandosi alla
giurisprudenza della Corte costituzionale, e della
Corte Suprema di Cassazione, pone in evidenza la
necessità di una autorizzazione per l'esercizio
dell'attività televisiva, con contestuale
assegnazione della frequenza da parte del Ministero
delle Poste e Telecomunicazioni. Dato che le soc.
Rizzoli, SIT e SET non hanno nemmeno chiesto tale
autorizzazione, le stesse non avrebbero titolo ad
esercitare l'attività televisiva, e conseguentemente,
non avrebbero interesse a sollevare la questione di
legittimità che, pertanto, sarebbe inammissibile
perché irrilevante.
D'altra parte, con riferimento al profilo di
illegittimità prospettato nell'ordinanza di rinvio in
relazione alle norme che disciplinano il potere
autorizzatorio (artt. 1 e 183 cod. postale, così come
modificati dall'art. 45 della legge n. 103 del 1975)
censurate in quanto conferirebbero il detto potere con
discrezionalità assoluta senza specificare i criteri
per la concessione, la difesa osserva che
l'affermazione sarebbe inesatta in quanto la
assegnazione delle frequenze sarebbe disciplinata
dalle norme internazionali (d.P.R. 25 settembre 1967
n. 1525 e legge 7 ottobre 1977 n. 790), la concreta
assegnazione sarebbe stata legittimamente effettuata
con il D.M. 3 dicembre 1976 ed i criteri relativi
sarebbero desumibili dai principi costituzionali quali
interpretati dalla Corte con la sentenza n. 202/1976.
Secondo la difesa, la questione, pertanto, sarebbe
sotto questo profilo manifestamente infondata per cui
«rimarrebbe insuperabile l'eccezione di non
pertinenza ed irrilevanza delle questioni proposte».
Comunque la questione sarebbe infondata.
Ed a dimostrazione della sua tesi, la difesa
osserva anzitutto che la disciplina della
telediffusione nazionale quale servizio pubblico
essenziale dettata dalla legge n. 103 del 1975,
garantirebbe le esigenze di tutela del pluralismo,
dell'indipendenza, della obiettività e della
completezza degli scopi culturali e sociali del mezzo
pubblico televisivo sotto il controllo della apposita
Commissione parlamentare, caratteristiche tutte che
ovviamente non potrebbero essere richieste alle trasmissioni
private. D'altra parte la considerazione fondamentale
che avrebbe indotto la Corte a riconoscere la liceità
costituzionale del monopolio pubblico sarebbe che la
libertà di antenna su scala ultra locale si
trasformerebbe inevitabilmente in un potere privato,
ancor più pericoloso di un analogo potere pubblico in
quanto volto, a differenza di quest'ultimo, allo
sfruttamento commerciale delle sole zone del Paese
economicamente più redditizie tanto più che la
riserva del monopolio non contrasta con l'art. 21
Cost., la cui garanzia riguarderebbe la libertà di
manifestazione del pensiero nel suo contenuto,
indipendentemente dai modi e dai mezzi di diffusione e
dalla astratta disponibilità per tutti di questi
ultimi, e proteggerebbe comunque la manifestazione del
pensiero individuale, mentre la attività della
ricorrente, che è una società commerciale, meglio
dovrebbe qualificarsi attività di impresa, e come
tale ricadrebbe più propriamente sotto la tutela
dell’art. 41 Costituzione. Ed appunto la soc.
ricorrente intenderebbe svolgere essenzialmente
attività commerciale incentrata sul profitto
pubblicitario, in relazione al quale lo spettacolo
sarebbe solo mezzo al fine di lucro. Il che
comporterebbe la crescita dell'attività pubblicitaria
e della relativa spesa, con danno dei consumatori, sui
quali ricadrebbe in ultima analisi l'incremento della
spesa stessa, che la difesa quantifica in 210 miliardi
prevedibili per il 1984. E nell'ambito di tale mercato
gli imprenditori più forti agirebbero per la
conquista del mercato, sfruttando la loro maggiore
potenzialità economica, escludendo prima o poi le
concorrenti minori e giungendo necessariamente al
monopolio od oligopolio con le implicazioni anche
politiche che una simile conclusione prospetta. Il che
evidenzierebbe la necessità di salvaguardare il
servizio di trasmissioni televisive da così pesanti
condizionamenti, rendendolo aderente alla sua funzione
culturale, di dibattito, di informazione e di svago.
Da ultimo, la difesa constata poi che, poggiando
sostanzialmente le argomentazioni del giudice a quo
sull'elemento tecnico della supponibile evoluzione
delle condizioni di limitatezza della disponibilità
di canali, in difetto peraltro di un rigoroso
accertamento al riguardo, e pur dovendosi rilevare che
più correttamente il giudice a quo avrebbe dovuto
direttamente effettuare le necessarie indagini, in
quanto i presupposti di fatto della non manifesta
infondatezza debbono essere certi, e non solamente
probabili o ragionevoli, occorrerebbe in ogni caso
disporre una consulenza tecnica da espletare o a cura
del giudice a quo, a cui all’uopo andrebbero rimessi
gli atti, o, direttamente, dalla Corte in base ai suoi
poteri istruttori, allo scopo di accertare i dati
tecnici sulla disponibilità delle radiofrequenze, sul
costi di impianto e di esercizio, sulle possibili
dimensioni degli introiti, nonché tutti gli altri
necessari dati di carattere tecnico ed economico utili
alla decisione.
La difesa, comunque, ha anche depositato una
seconda memoria specificamente illustrativa degli
aspetti tecnici ed economici delle questioni in esame,
con la quale gli argomenti sono diffusamente trattati
al fine di dimostrare l'entità delle spese di
impianto e di gestione delle reti su scala nazionale
che, anche nella ipotesi meno costosa, ascenderebbero
comunque a decine di miliardi, ed analizza altresì la
disponibilità di canali su scala nazionale in forza
del piano di Stoccolma del 1961, che sarebbe critica
per quanto riguarda gli impianti di copertura di
grande potenza.
Si è costituito anche il Presidente del Consiglio
dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato che ha ritualmente depositato le
proprie deduzioni.
In relazione all'eccezione di rilevanza formulata
dalla RAI l'Avvocatura osserva che nell'ambito del
processo cautelare la qualificazione della situazione
giuridica delle convenute in ordine all'esercizio
dell’attività di trasmissione televisiva via etere
non avrebbe rilievo ai fini del provvedimento
pretorile, presupposto del quale sarebbe solo
l'eventuale riconoscimento alla RAI del diritto di
escludere altri dall'attività di radiotelediffusione
su scala nazionale indipendentemente dalla situazione
amministrativa delle società convenute.
Quanto al merito, l'Avvocatura, dopo avere
ricordato che la questione è stata sollevata in vista
della asserita modifica delle condizioni di fatto
(limitatezza delle frequenze) che avrebbero ispirato
le pronunzie precedenti della Corte, afferma che,
dall'evoluzione della giurisprudenza costituzionale,
invece, sarebbe lecito ritenere superata tale
prospettiva esclusiva in quanto la Corte avrebbe poi
anche riconosciuto che l'attività di telediffusione
attiene ad un servizio pubblico essenziale e che
questa condizione in connessione con i fini di utilità
generale ravvisati nella peculiarità dell'attività
stessa, consentirebbe autonomamente l'istituzione del
monopolio pubblico ai sensi dell'art. 43 Costituzione.
Ciò posto, e dopo avere affermato che l'asserita
sopravvenuta disponibilità delle frequenze troverebbe
una smentita nelle clausole limitative in materia
adottate con la convenzione di Malaga-Torremolinos
(legge 7 ottobre 1977 n. 790), rileva che permarrebbe
comunque il rischio che possano accedere all'etere
soltanto pochi gruppi economicamente più forti, che
finirebbero con l'escludere gli altri eventuali
concorrenti con l’ovvia prospettiva della formazione
di un oligopolio.
Trattando poi specificamente la questione con
riferimento al problema delle interconnessioni fra
stazioni emittenti locali, l'Avvocatura osserva che
dovendosi porre in primo piano il carattere di
servizio pubblico essenziale quale elemento
giustificativo del monopolio pubblico della diffusione
radiotelevisiva via etere, anche il fenomeno delle
interconnessioni andrebbe riguardato sotto tale
profilo e la questione quindi, dichiarata infondata.
L’Avvocatura, avviandosi alla conclusione delle
proprie argomentazioni, afferma che, rispetto
all'uso di quei mezzi di diffusione del pensiero, che,
per le loro caratteristiche tecniche, consentano di
compromettere il contemporaneo esercizio, da parte di
altri, della libertà di manifestazione del pensiero
con l'identico mezzo, non potrebbe ritenersi sussistente una
garanzia costituzionale assoluta ed incondizionata, onde la riserva allo Stato dei
mezzi stessi sarebbe da ritenere compatibile con
l'art. 21 Costituzione, che per i detti motivi,
appunto, non può garantire in identica misura ed allo
stesso modo l'uso di tutti i mezzi di diffusione del
pensiero.
Infine si è anche costituita, depositando il
relativo atto fuori termine, l'Associazione Nazionale
Teleradiodiffusione indipendenti, in persona del
Presidente avv. Eugenio Porta, rappresentato e difeso
dall'avv. prof. Paolo Stella Richter.
Le parti costituite, tranne la soc. Teletevere,
hanno tutte depositato memorie illustrative a sostegno
delle tesi già svolte nella prima difesa.
La soc. Rizzoli insiste nell'affermare la rilevanza
della questione sollevaLa, ribadendo in sostanza le
argomentazioni già esposte dal giudice a quo,
nell'ordinanza di rinvio.
Trattando in particolare della normativa
internazionale in materia afferma che essa avrebbe
carattere indicativo, ma non imperativo per i
cittadini. Il Regolamento per le radiocomunicazioni
approvato a Ginevra nel 1959 avrebbe invero natura di
mero regolamento amministrativo interno, stante il
regime di monopolio pubblico esistente in Italia, e ciò
sarebbe confermato dalla mancata pubblicazione
dell'atto, idoneo a stabilire soltanto impegni fra gli
Stati aderenti, al fine di coordinare le trasmissioni
evitando disturbi tra paese e paese. Il Regolamento
internazionale non avrebbe comunque «imposto» agli
Stati di utilizzare certe frequenze ma le avrebbe solo
indicativamente assegnate e pertanto non varrebbe
richiamarsi ad esso per giustificare il monopolio
statale delle radioteletrasmissioni.
La memoria si diffonde poi nel contestare la
funzione del monopolio pubblico, che finirebbe col
comprimere il pluralismo informativo e culturale, in
contrasto con l'art. 21 Costituzione. Pertanto, pur
dovendosi riconoscere allo Stato il compito di
regolare la materia al fine di evitare l'istituirsi di
monopoli privati, ciò non comporterebbe la necessità
di un monopolio pubblico, ma solo evidenzierebbe
l'esigenza di giungere ad una opportuna
regolamentazione legislativa della materia.
Comunque, in concreto, già esisterebbero ed
avrebbero dato ottima prova catene di trasmissioni a
livello «quasi nazionale», mentre, d'altra parte, i
costi di impianto e di gestione non potrebbero neppure
giustificare il monopolio statale, poiché i servizi
privati razionalmente organizzati e condotti
attraverso le opportune interconnessioni
consentirebbero di ridurre enormemente i costi stessi.
La memoria passa poi ad illustrare aspetti tecnici
del problema in esame, al fine di dimostrare che è agevolmente possibile
realizzare una molteplicità di reti attraverso
collegamento per mezzo di ponti-radio, e conclude
insistendo sulle posizioni già illustrate nella prima
difesa, ed affermando, in particolare, che le
conoscenze tecniche in materia sarebbero «diffuse»
ed alla «portata di tutti», per cui la Corte
potrebbe decidere senza bisogno di disporre consulenza
tecnica. Ad ogni buon fine, comunque, risulta allegata
alla memoria una relazione tecnica del prof. Angelo
Bernardini tendente a asseverare la possibilità di
coprire tutto il territorio nazionale con catene di
trasmettitori privati di piccola potenza collegati per
ponte-radio, che non creerebbero turbamenti alle
preesistenti assegnazioni del piano di Stoccolma. Dato
l'elevato numero di reti di collegamento così
realizzabili, ed il relativamente basso costo di
impianto e di gestione sarebbe garantita la pluralità
dell'informazione e resterebbe escluso il pericolo
del formarsi di oligopoli.
Ha depositato una memoria anche la difesa delle
società SIT S.p.A., SET s.r.l. e Royal Editrice s.r.l..
Si afferma ivi anzitutto l'infondatezza della
eccezione di irrilevanza della questione sollevata
dalla RAI, e si sostiene che l'oggetto del giudizio
principale è limitato alla conferma o revoca del
provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art. 700
cod. proc. civ., per cui sarebbero del tutto
inconferenti le argomentazioni svolte dalla difesa
della RAI circa l'eventuale illiceità dell'attività
di emissione senza autorizzazione, che comunque
attualmente, dopo la sentenza n. 202/76 della Corte,
non sarebbe nemmeno più richiesta.
Insiste poi nel sostenere la insussistenza in base
alle disposizioni vigenti di qualsiasi divieto per
quanto riguarda l'interconnessione fra stazioni locali
e, sotto questo profilo, riafferma la pretesa
irrilevanza della questione per quanto riguarda
appunto tale tipo di trasmissione, ribadendo comunque
che la questione riguarderebbe essenzialmente la
libertà di circolazione sul territorio nazionale dei
programmi televisivi attraverso la ripetizione da
parte di più emittenti con vari mezzi tecnici, ed
indipendentemente quindi dalla disponibilità delle
frequenze. Ed in proposito si richiama alla
giurisprudenza della Corte (sentenza n. 202/76) con la
quale si sarebbe dichiarata l'illegittimità della
riserva allo Stato della installazione e
dell'esercizio degli impianti di trasmissione via
etere di portata non eccedente l'ambito locale, senza
coinvolgere peraltro la libera circolazione dei
programmi.
Nella memoria si torna poi a contestare la
fondatezza della questione facendo particolarmente
riferimento alla libertà di manifestazione del
pensiero ed alla esigenza di tutelarne l'osservanza,
che sarebbe incompatibile col monopolio pubblico
dell'emittenza televisiva su scala nazionale anche
perché la garanzia costituzionale si estenderebbe
alle manifestazioni del pensiero di gruppi organizzati
oltre che dei singoli individui ed alla manifestazione
del pensiero altrui oltre che del proprio. Ed aggiunge
che le garanzie di accesso al mezzo televisivo fornite
dalle vigenti disposizioni in materia non varrebbero
al fine di conseguire l'effettivo rispetto del
principio di cui all'art. 21 Costituzione, per la
incompleta e parziale attuazione delle garanzie stesse
da parte degli organi competenti.
Anche la RAI-TV ha depositato una memoria
illustrativa, con cui svolge ampiamente le tesi già
sostenute nelle prime difese.
Nella memoria si riafferma anzitutto che, ove si
ritenesse che la questione di legittimità investe
anche il potere della pubblica Amministrazione di
formare il piano di assegnazione delle frequenze,
dovrebbe ritenersi inammissibile perché irrilevante
in quanto il potere stesso non sarebbe sorretto dalle
norme impugnate ma deriverebbe dalla regolamentazione
internazionale della materia e particolarmente dal
Regolamento internazionale delle radiocomunicazioni
approvato a Ginevra nel 1959. Nella memoria poi si
svolgono ulteriori argomenti per negare la
discrezionalità assoluta del potere in esame, e per
negare comunque che esista in materia una riserva
assoluta di legge.
Nella memoria poi vengono ribadite le
considerazioni già svolte circa la limitatezza delle
frequenze disponibili, escludendo in particolare
l'attualità delle trasmissioni via satellite, per la
cui generalizzazione ancora dovrebbero attendersi
molti anni.
Comunque, ove la Corte ritenesse di disporre al
riguardo consulenza tecnica, occorrerebbe precisare la
nozione di ambito locale (in relazione al quale
soltanto è stata riconosciuta la illegittimità del
monopolio pubblico) e stabilire sia l'indisponibilità
da parte dei privati delle frequenze necessarie per il
completamento delle tre reti televisive RAI, sia il
necessario rispetto delle norme e dei vincoli
internazionali per ciò che riguarda la qualità del
segnale e la percezione delle interferenze, sia infine
il tipo del sistema ricevente.
Nella memoria si torna ad insistere anche, con
diffuse argomentazioni, sulla inevitabilità
dell'istituirsi di un oligopolio privato per effetto
dell'abolizione del monopolio pubblico e in
particolare si pone in evidenza l'influenza di
possibili finanziamenti privati sull'effettiva
pluralità e libertà dell’informazione, nonché la
elevata spesa occorrente per l'istituzione e la
gestione di stazioni emittenti televisive su scala
nazionale.
La memoria si sofferma poi su considerazioni volte
a dimostrare che il servizio di teletrasmissioni ha
natura di servizio pubblico essenziale e di preminente
interesse generale e che sussisterebbero le ragioni di
utilità generale che l'art. 43 Costituzione pone come
condizione per il monopolio pubblico di un servizio di
tale natura, ragioni identificabili essenzialmente
nella necessità di evitare la concentrazione
oligopolistica delle emittenti.
Tale concentrazione oltretutto ostacolerebbe la
diffusione di programmi sollecitati dalle varie ed
articolate componenti della complessa realtà sociale
cui la RAI, quale concessionaria, è invece tenuta in
base alla convenzione, al fine di garantire
l'interesse generale alla integrazione della
collettività nazionale nell'assolvimento del compito
dell'informazione e di promozione culturale locale e
nazionale proprio del servizio di radiotelediffusione.
Ribadite poi le argomentazioni già svolte circa
gli elementi che caratterizzano la peculiarità del
servizio pubblico stesso, la memoria ne evidenzia i
punti di differenziazione dalla stampa, in funzione
dei quali, quindi noti sarebbe concepibile
un'estensione a quest'ultimi della riserva
monopolistica pubblica. E tali punti vengono indicati
nella minore diffusione della stampa, e nella diversità
del mezzo di comunicazione, sia per la limitatezza
dell'etere che non trova riscontro per quanto riguarda
la stampa, sia per la materialità del veicolo che,
avvalendosi essenzialmente di immagini, può avere
effetti più penetranti e acriticamente recepibili che
non la parola scritta. L'espressa menzione della sola
stampa nell'art. 21 Costituzione, evidenziando la
particolare garanzia che il Costituente avrebbe inteso
apprestare soltanto a tale mezzo di manifestazione del
pensiero a differenza degli altri confermerebbe la
bontà delle argomentazioni di cui sopra.
Nella memoria inoltre, si tornano a prospettare i
gravi inconvenienti che deriverebbero dall'abolizione
del monopolio statale ponendo l'accento sulla
preminenza dell'elemento del profitto economico nella
gestione delle imprese private emittenti, nonché sui
riflessi negativi di tale gestione sulle altre imprese
del settore informativo culturale (cinema, stampa) e
sulla mancanza di una idonea normativa antitrust. Si
riafferma, altresì, in base alle argomentazioni già
svolte la legittimità del divieto della
interconnessione tra emittenti locali ribadendo il
concetto che l'interconnessione stessa, comunque
attuata, sarebbe in sostanza solo un modo per
trasmettere in ambiti più vasti di quelli consentiti,
eludendo oltre tutto la necessità della concessione
governativa.
Si tratta poi specificamente il profilo di
illegittimità prospettato nell'ordinanza di rinvio
con riferimento alla pretesa violazione dell'art. 3
Costituzione per effetto del trattamento privilegiato
che sarebbe usato a favore dell'emittenti estere che
potrebbero trasmettere in tutto il territorio
nazionale a differenza delle emittenti private
italiane.
Secondo la difesa della RAI si tratterebbe di
situazioni con comparabili in quanto differenziate per
la specialità della disciplina dei ripetitori,
soggetti a norme particolari restrittive per
l'impianto e la gestione.
Nella memoria infine si espone una visione
panoramica della situazione giuridico-economica del
servizio radiotelevisivo in varii ordinamenti
stranieri, concludendo che non esisterebbe un sistema
nel quale ci sia libertà assoluta di impiantare ed
utilizzare emittenti radiotelevisive.
Allegata alla memoria la difesa della RAI ha altresì
esibito una relazione tecnica del prof. Claudio Egidi del politecnico di Torino,
presentata al Convegno dellaFondazione Rizzoli tenutosi a Venezia nel marzo
1981. La relazione, dopo un'ampia trattazione
tecnica, sostiene che attualmente la presenza
massiccia di trasmettitori isolati privati
precluderebbe la possibilità di installare altre reti
a copertura nazionale o anche regionale, e conclude
affermando che per ovviare a tale inconveniente
occorrerebbe mettere ordine nel sistema attraverso una
gestione «centralizzata ed agile» della disponibilità
delle frequenze.
Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha infine
depositato una memoria con cui formula osservazioni di
carattere tecnico ad integrazione di quanto già
dedotto nella prima difesa e, richiamandosi anche al
Regolamento internazionale della radiodiffusione, riafferma che la limitatezza dei
canali non potrebbe consentire una proliferazione di
reti via etere a carattere nazionale.
Nella memoria si contesta poi anche che possa
effettivamente conseguirsi una sufficiente moltiplicazione delle possibilità di
trasmissione su scala nazionale attraverso il
collegamento tra loro degli impianti locali e si
afferma che tale conclusione varrebbe anche sotto il
profilo economico, giacché la spesa per effettuare tali
collegamenti sarebbe rilevante e comunque dell'ordine
di alcuni miliardi e accessibile quindi solo ad un
limitato numero di soggetti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - La difesa della RAI TV, in via pregiudiziale,
riproponendo una eccezione già disattesa dal Pretore,
sostiene che, stante la necessità della
autorizzazione amministrativa per l'esercizio
dell'attività televisiva, ed in mancanza della
autorizzazione medesima, che le società private parti
in giudizio non hanno nemmeno richiesto, le stesse non
avrebbero titolo e quindi interesse per fondare la
domanda avanzata davanti al giudice a quo, e la
questione sarebbe pertanto manifestamente irrilevante.
A riguardo va osservato che il giudice a quo, dopo
aver ritenuto rilevante e non manifestamente infondato
il dubbio di costituzionalità concernente le norme
costitutive del diritto posto dalla RAI a fondamento
della sua pretesa, ha considerato non determinante in
quella fase l'accertamento della legittimità, sul
piano amministrativo, della condotta delle imprese
private.
In realtà, ai fini dell'invocato provvedimento
cautelare, appariva sufficiente la deliberazione degli
elementi anzidetti, dovendo ogni altra contestazione
essere risolta nella sede propria, costituita
dall'eventuale successivo giudizio di merito.
Né può dubitarsi che il punto di cui si discute
fosse controverso, posto che appariva tutt'altro che
pacifica tra le parti - che si richiamavano a
contrastanti decisioni - giurisprudenziali - la
qualificazione giuridica da attribuire alla posizione
soggettiva riconosciuta alle imprese private dalla
sentenza n. 202 del 1976 di questa Corte.
2. - Ciò posto, e passando ad esaminare il merito,
è da rilevare che la Corte è chiamata a decidere se
il combinato disposto degli artt. 1, 183, 195 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, concernenti
l'appartenenza in esclusiva allo Stato, tra l'altro,
dei servizi di telecomunicazione, modificati dall'art.
45 della legge 193/75, e posti in relazione sia con
gli artt. 1 e 2 e segg. della stessa legge n. 103/75
(che ribadisce la riserva allo Stato delle
trasmissioni televisive e radiofoniche via etere su
scala nazionale definendo il servizio stesso un
servizio pubblico essenziale ed a carattere di
preminente interesse generale), sia con l'art. 2 della
legge 10 dicembre 1975 n. 693 (recante le attribuzioni
del Consiglio superiore tecnico delle poste e delle
telecomunicazioni, connesse col detto regime di
esclusiva), contrasti, anzitutto, con gli artt. 21 e
43 della Costituzione.
Il giudice a quo prospetta il dubbio di legittimità
delle dette norme osservando che, diversamente da
quanto considerato in precedenti pronunzie di questa
Corte, attualmente, in seguito alle acquisizioni di
carattere tecnologico sopravvenute in questi ultimi
anni, non sussisterebbero più quella limitatezza
delle frequenze di trasmissione via etere delle
emissioni radiotelevisive e l'elevato costo
dell'impianto e gestione di tali servizi che avrebbero
costituito gli elementi essenziali in base ai quali,
nella precedente giurisprudenza di questa Corte, era
stata esclusa l'illegittimità della riserva allo
Stato dei servizi radiotelevisivi; sicché non
potrebbe più sostenersi che i fattori anzidetti
avrebbero aperto la via alla possibile instaurazione a
monopolio od oligopoli privati nel caso di cessazione
del monopolio statale, ponendo l’attività di
radioteletrasmissione nella disponibilità di uno o
pochi soggetti privati, prevedibilmente mossi da
interessi particolari, con le deprecabili conseguenze
in danno della obiettività, imparzialità,
completezza e continuità del servizio in tutto il
territorio nazionale che tale situazione
comporterebbe.
Secondo il giudice a quo la nuova situazione di
fatto - e cioè l'accresciuta disponibilità dei mezzi
di trasmissione e il diminuito onere del costo dei
servizi sarebbe ragionevolmente desumibile dagli atti
del giudizio principale, che, pur senza fornire
certezze al riguardo, sarebbero può sufficientemente
significativi al fine di giustificare il dubbio sulla
legittimità delle norme impugnate, salvo migliore e
definitivo accertamento da effettuare direttamente in
questa sede.
Va preliminarmente rilevato che, per le ragioni
appresso indicate, non occorre decidere se un
accertamento di tal genere competa, giudice a quo,
riguardando esso i fatti costitutivi della pretesa
dedotta in giudizio ovvero, come sostiene il Pretore,
spetti alla Corte in quanto rientrante nel giudizio di
legittimità della legge.
Invero, ai fini della decisione, soccorrono
ulteriori argomenti, indipendentemente dalla verifica
della attuale situazione della disponibilità delle
frequenze di trasmissione e dei costi da sopportare.
A riguardo appare anzitutto opportuno ricordare le
precedenti pronunzie di questa Corte cui il giudice a
quo fa riferimento nell'ordinanza di rinvio, onde
evidenziare la non completa considerazione dei
contenuti delle pronunzie stesse.
Tra le sentenze da tenere presente va menzionata la
n. 59 del 1960 con cui questa Corte, nel collegare
l'esigenza della riserva allo Stato del servizio di
radiotelediffusione alla limitatezza delle frequenze,
ha tuttavia riconosciuto in via generale che il
monopolio statale del servizio stesso è la migliore
garanzia della obiettività ed imparzialità nella
diffusione del pensiero in cui si concreta l'attività
di radioteletrasmissione, ed ha precisato che il
monopolio stesso costituisce presupposto idoneo a
garantire, attraverso l'adozione di adeguate
normative, la possibilità di avvalersi del mezzo
radiotelevisivo a coloro che ne abbiano interesse. E
con la stessa sentenza è stato anche posto il
principio basilare, ribadito successivamente secondo
cui non contrasta col principio di libertà di
manifestazione del pensiero l'avocazione allo Stato di
quei mezzi di diffusione di esso che, in regime di
libera iniziativa, siano destinati naturalmente a dar
luogo a situazioni di monopolio o di oligopolio
(sentenze 46/61, 105/74, 225/74).
Con la sentenza 225/74, pur confermando la
persistenza della limitazione delle frequenze
disponibili, la Corte ha sviluppato i concetti già
espressi ribadendo non potersi minimamente dubitare
che, nell'attuale contesto storico, la
radiotelediffusione soddisfi un bisogno essenziale
della collettività e che, pertanto, essa debba
qualificarsi un servizio pubblico essenziale,
caratterizzato da quel preminente interesse generale
che la norma costituzionale dell'art. 43 richiede
perché legittimamente possa esserne disposta la
riserva allo Stato, senza per questo essere
incompatibile con l’art. 21 Costituzione, dato che
“il monopolio pubblico deve essere inteso e
configurato come necessario strumento di allargamento
della area di effettiva manifestazione della pluralità
delle voci esistenti nella nostra società”. E la
Corte ha invero approfondito la propria analisi al
riguardo esplicitamente affermando: 1) che la
radiotelediffusione adempie a fondamentali compiti di
informazione; 2) che concorre alla formazione
culturale del paese; 3) che diffonde programmi che in
vario modo incidono sulla pubblica opinione; ed ha
concluso essere perciò necessario che essa non
divenga strumento di parte. Testualmente la sentenza
afferma al riguardo che "solo l'avocazione allo
Stato può e deve impedirlo".
Vero è che, in quella occasione, la Corte,
occupandosi dell'attività dei ripetitori in stazioni
trasmittenti estere ha riconosciuto l'illegittimità
dell'estensione del monopolio a tale limitato settore,
ma con ciò non vengono certamente vulnerati i
principii generali sopra enunciati, poiché quella
decisione si ispirava espressamente alla specificità
del settore considerato che, ove sottoposto a riserva
statale, avrebbe finito col "realizzare una
specie di autarchia nazionale delle fonti di
informazione" senza apprezzabili ragioni ed in
contrasto con l'esigenza della libera circolazione
delle idee anche sul piano internazionale.
Una ulteriore conferma e precisamente del pensiero
testé esposto emerge poi dalla sentenza n. 226/74 con cui la Corte,
occupandosi dello stesso problema riferito alle reti
di radioteletrasmissione via cavo, in ordine alle
quali si sosteneva l'insussistenza dell'ostacolo
derivante dalla indisponibilità di frequenze di
trasmissione, data la particolarità del mezzo
adottato, ha, ribadito i concetti espressi in
precedenza con riferimento alla trasmissione via
etere, indipendentemente dalla disponibilità più o
meno ampia di frequenze, riconoscendo che il costo di
un impianto televisivo via cavo il quale comprenda
l'intero territorio nazionale, o comunque la massima
parte di esso, potrebbe essere talmente elevato da dar
luogo a gravi pericoli di insorgenza di situazioni
monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua
realizzazione non restasse riservata allo Stato ma
fosse intrapresa da privati. Pertanto, prosegue la
sentenza, “le stesse ragioni che in via di principio
giustificano il monopolio statale della
radiotelevisione via etere giustificano la riserva
allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando
questi assumono le dimensioni innanzi indicate".
E’ sempre più evidente, in tali affermazioni, la
convinzione della Corte che non solo l'elemento della
disponibilità delle frequenze di trasmissione sia
decisivo ai fini del mantenimento del monopolio
statale in materia, ma anche l'esistenza di condizioni
tali da rendere possibile l'insorgenza di un monopolio
privato in un settore tanto delicato della vita
sociale. Su ciò si fondano i motivi di utilità
generale che, a norma degli artt. 21 e 43
Costituzione, autorizzano la riserva allo Stato.
Nella detta pronuncia venne altresì evidenziato un
altro aspetto di indubbio interesse là dove, appunto,
la sussistenza dei motivi testé enunciati a favore
della conservazione della riserva allo Stato delle
trasmissioni via cavo su scala nazionale fu esclusa
invece per le trasmissioni con lo stesso mezzo su
scala locale, in relazione al ritenuto basso costo
degli impianti di tal genere, con la conseguente
insussistenza del pericolo di oligopolio. Veniva,
pertanto, meno, con riguardo all'ambito locale, quella
finalità di utilità generale in base alla quale era
stata inibita la realizzazione di una pluralità di
reti televisive locali via cavo; che, anzi - ebbe
allora ad affermare la Corte - attraverso queste
ultime era più largamente attuata da libertà di
manifestazione del pensiero sancita dall'art. 21
Costituzione.
E’ infine da considerare la sentenza n. 202/76,
la quale, pur richiamando la rilevanza della
limitatezza dei canali disponibili, e, pur
riconoscendo che, su scala locale, la disponibilità
di frequenze è tale da escludere il pericolo di
monopolio o oligopolio privato, e se ne renderebbe
pertanto possibile la liberalizzazione, conferma
tuttavia a chiare lettere che ciò non comporta «che
debba escludersi la legittimità delle norme che
riservano allo Stato le trasmissioni radiofoniche e
televisive su scala nazionale».
Da tutto quanto testé ricordato emerge pertanto la
consolidata opinione della Corte che il servizio
pubblico essenziale di radioteletrasmissione, su scala
nazionale, di preminente interesse generale, può
essere riservato allo Stato in vista del fine di
utilità generale costituito dalla necessità di
evitare l'accentramento dell'emittenza radiotelevisiva
in monopolio od oligopolio privato. Necessita, va
aggiunto, che non emerge soltanto in relazione alla
maggiore o minore disponibilità delle frequenze di
trasmissione, ma attiene altresì alla natura del
fenomeno delle radioteletrasmissioni visto nel
contesto socioeconomico in cui esso è, destinato a
svilupparsi.
Va peraltro considerato che l'asserito aumento
della disponibilità delle frequenze non appare anche
peraltro aspetto elemento determinante per escludere
il pericolo di oligopoli privati. Invero, una serie di
fattori di ordine economico, con la utilizzazione del
progresso della tecnologia, fa permanere i rischi di
concentrazione oligopolistica attraverso lo strumento
della interconnessione e degli altri ben noti mezzi di
collegamento di vario tipo oggi esistenti per le
trasmissioni televisive.
Proprio per evitare tali inconvenienti sin da
allora percepiti, la sentenza n. 202 del 1976, nel
riconoscere il diritto di iniziativa privata nelle
trasmissioni via etere in ambito locale, segnalò al
legislatore la necessità di regolarne l'esercizio, in
modo da armonizzarlo con il connesso servizio pubblico
essenziale e di preminente interesse generale
costituito dalla diffusione su scala nazionale
affidata al monopolio statale, al fine di realizzare,
così, nell'interesse dell'utente, una equilibrata
coesistenza tra servizio pubblico e iniziativa
privata.
Ma per la persistente inerzia del legislatore la
situazione non è oggi diversa da quella sottoposta a
suo tempo alla verifica di costituzionalità e
pertanto non può la Corte discostarsi dalle sue
precedenti statuizioni.
Dalle esposte considerazioni deriva la irrilevanza
ai fini del decidere di ogni indagine, anche
istruttoria, volta a stabilire se sussistano
l'asserito aumento delle frequenze disponibili e la
diminuzione dei costi di impianto e gestione dei
servizi televisivi, non essendo gli anzidetti elementi
determinanti e risolutivi per escludere il pericolo di
formazione di oligopoli privati.
3. - Né potrebbe opporsi al riguardo l'apparente
contraddittorietà derivante dalla esclusione dal
monopolio statale delle trasmissioni locali in vista
della natura di servizio pubblico essenziale
attribuibile anche a queste ultime. Tale obiezione,
infatti, prescinde dalla considerazione di quelli che
sono i dati caratteristici del mezzo di diffusione del
pensiero in esame che, per la sua notoria capacità di
immediata e capillare penetrazione nell'ambito sociale
attraverso la diffusione nell'interno delle abitazioni
o per forza suggestiva della immagine unita alla
parola, dispiega una peculiare capacità di
persuasione e di incidenza sulla formazione
dell'opinione pubblica nonché sugli indirizzi
socio-culturali, di natura ben diversa da quella
attribuibile alla stampa. L'emittenza privata può
essere attualmente esercitata senza le conseguenze
dannose di cui si è parlato solo in ambito locale per
la oramai ivi acquisita pluralità di altre emittenti
di diversi e contrastanti indirizzi, mentre largamente
travalicherebbe questi limiti qualora si estendesse a
tutto il territorio nazionale, ove i suoi effetti si
moltiplicherebbero di intensità finendo coli
l'attribuire al soggetto privato, operante in regime
di monopolio o oligopolio, una potenziale capacità di
influenza incompatibile con le regole del sistema
democratico. Capacità che si risolverebbe, oltre
tutto, come del resto è già stato sopra ricordato,
proprio nella violazione di quell'art. 21 Costituzione
che, invece, si invoca a sostegno della tesi
favorevole dell’abolizione del monopolio statale.
Infatti, come è evidente, la delineata posizione di
preminenza di un soggetto o di un gruppo privato non
potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione
del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non
trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e
tecniche del primo, finirebbero col vedere
progressivamente ridotto l'ambito di esercizio delle
loro libertà.
Ciò vale ovviamente, allo stato attuale della
legislazione, in base alla quale, per la permanente
carenza di una normazione adeguata, restano appunto
aperte le possibilità di oligopolio o monopolio sopra
delineate. A diverse conclusioni potrebbe
eventualmente giungersi ove il legislatore,
affrontando in modo completo ed approfondito, il
problema della regolamentazione delle TV private,
apprestasse un sistema di garanzie efficace al fine di
ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di
concentrazioni monopolistiche o oligopolistiche non
solo nell'ambito delle connessioni fra le varie
emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le
imprese operanti nei vari settori dell'informazione
incluse quelle pubblicitarie.
4. - In base alle considerazioni che precedono, non
solo va esclusa la violazione degli artt. 21 e 43
Costituzione ma, in relazione all'art. 3 Costituzione
pure invocato, emerge anche la non comparabilità fra
la situazione dell'impresa concessionaria del servizio
pubblico e la situazione dei privati imprenditori, che
per le stesse ragioni, legittimamente vedono sottratto
l'esercizio del servizio stesso alla loro sfera di
disponibilità. E, come pure si è detto, il difetto
di omogeneità è riscontrabile anche fra la
situazione dei privati, cui è inibita la facoltà di
trasmissione su scala nazionale, e le emittenti estere
cui invece tale facoltà è stata riconosciuta. Invero
le trasmissioni provenienti dall'estero costituiscono,
allo Stato, un fenomeno con caratteristiche del tutto
particolari, non paragonabile sotto alcun profilo a
quello cui lo si vorrebbe raffrontare. Pertanto è da
escludere l'operatività nella specie del principio di
eguaglianza.
5. - Il giudice a quo, nell'ordinanza di rinvio, ha
rappresentato altresì un aspetto particolare della
problematica sollevata, riferendosi al fenomeno delle
interconnessioni fra stazioni locali emittenti,
effettuate in modo tale da estendere la diffusione a
tutto il territorio nazionale. Al riguardo il giudice
osserva che, in sostanza, l'interconnessione così
praticata involgerebbe un problema di legittimità
costituzionale analogo a quello prospettato in linea
principale, risolvendosi in una diffusione a carattere
nazionale, come tale riservata allo Stato dalle norme
impugnate.
In proposito è sufficiente osservare che la
soluzione della questione scaturisce da tutto quanto
già detto a proposito della liceità della riserva
allo Stato delle trasmissioni su scala nazionale.
Il rilievo costituzionale della questione, invero,
si esaurisce nell'aspetto testé menzionato, è, cioè,
limitato all'ipotesi in cui la interconnessione
conduca ad una trasmissione che travalichi i limiti di
liberalizzazione delineati da questa Corte con la
sentenza n. 202/76. Ogni diverso aspetto del fenomeno,
sia per quanto riguarda i mezzi usati, sia per quanto
riguarda l'ambito e le modalità di esercizio delle
trasmissioni sono materia devoluta alla
regolamentazione legislativa sulla cui urgente
attuazione è già stata richiamata l'attenzione degli
organi competenti.
6. - Il giudice a quo nella formulazione delle
censure sollevate sembra poi identificare un ulteriore
specifico elemento di illegittima nella asserita
discrezionalità che sarebbe attribuita al Ministero
delle Poste nella elaborazione del piano di
assegnazione delle frequenze ai privati autorizzati.
Ma tale profilo - che concerne non già la sussistenza
ma l'esercizio del diritto preteso - appare
inammissibile poiché, al di là della mera
enunciazione della censurata discrezionalità, non si
rinviene nell'ordinanza di rinvio alcuna motivazione
circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza
della specifica questione, elementi entrambi
indispensabili perché possa essere validamente
promosso il giudizio incidentale di legittimità
costituzionale delle leggi.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) Dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale della normativa risultante dal
combinato disposto degli artt. 1, 183, 195, d.P.R. 29
marzo 1973, n. 151 in relazione a quanto prescritto
dalla legge 1-4 aprile 1975, n. 103, con particolare
riferimento, per quest'ultima, all'art. 45 nonché
all’art. 2 della legge 10 dicembre 1975, n. 693, ed
agli artt. 1, 2 e segg. della citata legge n. 103 del
1975, così come formulata in relazione agli artt. 3,
21 e 43 della Costituzione con l'ordinanza del Pretore
di Roma del 18 novembre 1980.
2) Dichiara inammissibile la questione riferita
alle stesse norme di legge ed ai medesimi parametri
costituzionali sollevata con la detta ordinanza sotto
il particolare profilo dei poteri discrezionali che la
normativa impugnata attribuirebbe alla pubblica
Amministrazione in ordine alla “determinazione
dell’ambito di utilizzazione delle frequenze”.
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