REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. ANTONINO DE STEFANO, Presidente
Prof. GUGLIELMO ROEHRSSEN
Avv. ORONZO REALE
Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI
Avv. ALBERTO MALAGUGINI
Prof. LIVIO PALADIN
Dott. ARNALDO MACCARONE
Prof. ANTONIO LA PERGOLA
Prof. VIRGILIO ANDRIOLI
Prof. GIUSEPPE FERRARI
Dott. FRANCESCO SAJA
Prof. GIOVANNI CONSO
Prof. ETTORE GALLO
Dott. ALDO CORASANITI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità
costituzionale degli artt. 1, 183, 184, 195 e 334,
primo comma, n. 2, del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156,
(Codice postale e delle telecomunicazioni) modificati
dall'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103
promossi con le ordinanze emesse il 20 dicembre 1977
dal pretore di Firenze, il 30 novembre 1979 dal
pretore di Torino, il 29 marzo e 12 giugno 1980 dai
pretori di Putignano e Modena; il 14 gennaio 1981 dal
pretore di Torino, l'11 marzo 1981 dal tribunale di
Livorno, il 27 marzo e 15 maggio 1981 dal pretore di
Susa, il 5 ottobre 1981 dal pretore di Reggio Emilia
(2 ordinanze) il 31 marzo 1982 dal pretore di Verona,
il 3 novembre 1982 dal pretore di Saluzzo, il 1
dicembre 1982 dal pretore di Bologna, il 16 novembre
1982 dal pretore di Terralba e il 13 gennaio 1983 dal
pretore di Morbegno, iscritte rispettivamente al n.
262 del registro ordinanze del 1978, ai nn. 76, 347,
838, del registro ordinanze 1980, ai nn. 291, 358,
512, 698, 704, 705 del registro ordinanze 1981 e ai nn.
460, 916 del registro ordinanze 1982 e ai nn. 33, 40 e
143 del registro ordinanze 1983 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 1978,
nn. 92 e 166 del 1980, nn. 56, 262, 248, 304 del 1981,
nn. 33 e 344 del 1982, nn. 142, 149, 177 e 191 del
1983.
Visti gli atti di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 10
gennaio 1984 il Giudice relatore Alberto Malagugini;
Udito l'avvocato dello Stato
Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei
Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento
penale a carico di Pieri Piero, imputato del reato di
cui all'art. 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come
modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103,
per aver attivato un impianto ripetitore dei programmi
televisivi della RAI nella Valle del Mugnone senza la
prescritta autorizzazione ministeriale, il pretore di
Firenze, con ordinanza del 20 dicembre 1977 (r.o.
262/78), sollevava una questione di legittimità di
tale norma incriminatrice, assumendone il contrasto
con l'art. 3 Cost.
Dopo aver rilevato che la legge n. 103 del 1975, sulla
scorta dei principi posti dalla sentenza della Corte
Costituzionale n. 225 del 1974, ha introdotto il
regime della concessione per gli impianti di
diffusione radiotelevisiva via etere in ambito locale
(c.d. radio libere) e quello della autorizzazione per
gli impianti ripetitori, e che il primo regime é
stato caducato per effetto della successiva sentenza
della Corte n. 202 del 1976, il pretore osservava che
in tale situazione risulta del tutto libera un'attività
prima sottoposta a regole più rigide, e per contro
assoggettata ad obblighi (necessità di preventiva
autorizzazione, pagamento di tasse e canoni)
penalmente sanzionati un'attività analoga che sin dal
primo esame era sembrata non creare pericoli di
monopolio od oligopolio.
La norma impugnata - strettamente collegata a quella
parte della stessa disposizione dichiarata
incostituzionale ed anzi attinente ad un sistema
necessariamente unitario - contrasterebbe quindi, ad
avviso del pretore, col principio di uguaglianza di
cui all'art. 3 Cost.. E ciò in quanto, pur essendovi
parità di condizioni oggettive (esercizio di apparati
radiotrasmittenti) e pur dovendo le due situazioni,
secondo un'autorevole interpretazione, essere
assoggettate ad un analogo regime di autorizzazione,
esse subiscono invece un trattamento differenziato
senza che la disparità sia fondata su presupposti
logici ed obiettivi che ne giustifichino razionalmente
l'adozione.
2. - Della legittimità costituzionale degli artt. 1,
183 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come
modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103,
dubitava altresì il Pretore di Putignano, con
ordinanza 29 marzo 1980 (r.o. 347/80) emessa
pregiudizialmente alla decisione su una richiesta
della P.G. di perquisizione domiciliare, tendente al
sequestro di un apparecchio ricetrasmittente (C.B.) di
debole potenza usato senza concessione. Ad avviso del
pretore dette disposizioni contrasterebbero: a) con
l'art. 3 Cost. per essere allo stato "del tutto
libere e esenti da tasse di concessione
l'installazione e l'esercizio di impianti di
diffusione radiofonica e televisiva di potenza assai
maggiore"; b) con l'art. 21 Cost., in quanto le
norme impugnate sottopongono ad un regime di
concessione amministrativa il diritto di tutti i
cittadini di "manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo
di diffusione": c) con l'art. 10 della
Convenzione internazionale per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in
Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848 che sancisce la
libertà di espressione e di, "conseguenza",
con l'art. 10 della Costituzione.
3. - Intervenendo nel giudizio instaurato con la prima
delle predette ordinanze, l'Avvocatura dello Stato
rilevava innanzitutto che la Corte, nel dichiarare -
con la sentenza n. 202 del 1976 - l'illegittimità
costituzionale della disciplina che assoggettava le
attività di diffusione radiotelevisiva via etere in
ambito locale al regime concessorio anziché a quello
autorizzatorio, aveva avvertito che la caducazione del
primo non avrebbe implicato l'automatica applicazione
(agli impianti già esistenti) del secondo. Essa
avrebbe invece "reso necessario l'intervento del
legislatore per stabilire i modi e le condizioni di
attuazione, in attesa del quale, poiché il regime di
autorizzazione presuppone un vero e proprio diritto
perfetto del richiedente, sarebbero state
"inapplicabili sanzioni penali prevedute per
ipotesi diverse anche se analoghe" (cfr. n. 5
sent. cit.).
Finora l'auspicabile intervento del legislatore non si
é concretizzato, sicché allo stato, le attività ora
dette godono di un anomalo regime transitorio di
libertà.
Questa precaria carenza di disciplina delle suddette
attività, già per la sua stessa contingente
provvisorietà, non può però riflettersi, ad avviso
dell'Avvocatura, sulla persistente legittimità della
specifica disciplina che la legge del 1975 detta, in
armonia con la ricordata giurisprudenza
costituzionale, per altre attività come quelle
inerenti agli impianti ripetitori; e neppure autorizza
il sospetto che la diversità di trattamento possa non
essere giustificata.
Già nelle sentenze nn. 225 e 226 del 1974 - con le
quali erano stati "liberalizzati",
rispettivamente, i ripetitori di trasmissioni estere
ed il settore delle reti locali di trasmissione via
cavo - la Corte aveva sottolineato la legittimità (ed
anzi l'opportunità) dell'assoggettamento di tali
attività ad un regime autorizzatorio, in quanto
interferenti col monopolio radiotelevisivo statale ed
al fine di coordinarle con questo e tra di loro, a
salvaguardia di preminenti interessi pubblici. Le
stesse esigenze erano state poi ribadite nella
sentenza n. 202 del 1976.
Di qui, dunque, da un lato la legittimità
dell'attuale disciplina delle attività inerenti agli
impianti di ripetizione - data la loro incidenza sul
limitato numero di bande assegnate all'Italia e la
loro interferenza con il servizio statale, con la c.d.
libertà di antenna nell'ambito locale e con il limite
della localizzazione delle attività private -; e
dall'altro, la non ipotizzabilità di una irrazionale
disparità di trattamento per l'eventuale diverso
regime di queste attività rispetto ad altre, come
quelle inerenti alle emittenti private locali, diverse
per le implicazioni tecniche e per quelle giuridiche.
D'altra parte, se la ricordata giurisprudenza
postulasse la necessità di assoggettare le diverse
attività ad analogo regime autorizzatorio, ne
discenderebbe non già l'ingiustificatezza della
disciplina cui sono assoggettati gli impianti
ripetitori, per i quali é appunto richiesta
l'autorizzazione, bensì del regime transitorio di
libertà del quale provvisoriamente godono le
emittenti private locali.
Quanto al contrasto tra un regime di autorizzazione e
la libertà di manifestazione del pensiero (artt. 21
Cost. e 10 Convenzione Europea), sostenuto dal pretore
di Putignano, esso ésecondo l'Avvocatura, smentito
dalle sentenze della Corte già ricordate (nn. 225 e
226 del 1974, 202 del 1976), tutte concordi nel
ritenere necessaria una disciplina autorizzatoria.
4. - Nel corso di un procedimento penale a carico di
Cavalli Giancarlo - imputato del reato di cui agli
artt. 183 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, come
modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103,
per aver installato ed utilizzato nella propria
azienda, senza la prescritta concessione, due
apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza - il
pretore di Torino sollevava in riferimento agli artt.
3 e 27 Cost., una questione di legittimità
costituzionale delle predette norme, nonché dell'art.
334, primo comma, n. 2 del citato d.P.R. n. 156 del
1973, "nella parte in cui prevedono la pena
dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza
concessione un impianto radioelettrico
ricetrasmittente di debole potenza di tipo portatile
in ausilio a servizi di impresa industriale, e non
prevedono alcuna pena per chi esercita privatamente,
senza concessione od autorizzazione, trasmissioni
radio-televisive via etere in ambito locale" (r.o.
76/80).
Il pretore rilevava innanzitutto: che per i servizi
radioelettrici, disciplinati dal Titolo IV della legge
29 marzo 1973 n. 156, vige, in generale e per la
totalità dei casi, il principio del "regime
vincolato"; che, in particolare, sono esercitate
in regime di concessione (art. 183) le trasmissioni e
comunicazioni via etere a mezzo di ricetrasmittenti,
anche quando si tratti di apparecchi radioelettrici di
debole potenza (art. 334) installati in ausilio a
servizi di imprese industriali (comma primo, n. 2 del
medesimo articolo); che in mancanza di concessione
l'art. 195 d.P.R. cit. commina la pena dell'arresto da
3 a 6 mesi e dell'ammenda da L. 200.000 a 2.000.000.
Tale regime é, ad avviso del pretore, del tutto
ingiusticato ove lo si raffronti con quello relativo
alle trasmissioni via etere su scala locale che, a
seguito della sentenza n. 202 del 1976 della Corte
Costituzionale, sono esercitate di fatto dai privati
senza alcuna concessione o autorizzazione, in regime
di totale carenza legislativa (e quindi anche di
sanzione penale): e ciò, nonostante che si tratti di
attività di eccezionale importanza che coinvolge
interessi economici e sociali rilevanti, rispetto alla
quale le trasmissioni radioelettriche con apparecchi
portatili di debole potenza sono certamente un minus.
Né potrebbe obiettarsi che tale vuoto legislativo non
é stato voluto dalla Corte, che ha anzi postulato la
necessità di disciplinare la materia: in attesa di
questa si é comunque venuta oggettivamente a creare -
nell'ambito di una stessa fattispecie
tecnico-giuridica di trasmissione via etere - una
disparità di trattamento tra un'attività meno grave
e una più grave, che può essere eliminata solo
rendendo non sanzionabile la fattispecie meno grave.
Tale normativa sarebbe inoltre in contrasto con il
principio di cui all'art. 27, terzo comma, Cost.
(finalità rieducativa della pena) in quanto - ad
avviso del pretore - "colui che si vede
condannato per un fatto meno grave di quello commesso
da altri (di eguale natura, ma di maggiore rilevanza),
che rimane impunito perché considerato lecito dal
legislatore, sente una ingiustizia di fondo che toglie
alla pena ogni possibilità di emendarlo".
5. - Nel corso di procedimenti penali relativi
all'esercizio senza autorizzazione di impianti
radioelettrici ricetrasmittenti di debole potenza,
numerosi altri giudici sollevavano questioni di
legittimità costituzionale delle sopra richiamate
disposizioni cui agli artt. 183, 195 e 334, primo
comma n. 2 del d.P.R. n. 156/1973 (le prime due nel
testo modificato con l'art. 45 legge n. 103/1975).
Nelle relative ordinanze venivano svolte
considerazioni analoghe a quelle enunciate dal pretore
di Torino nell'ordinanza 30 dicembre 1979.
L'impugnativa era riferita talora al solo art. 3,
talaltra anche all'art. 27, terzo comma, Cost.. In
particolare deducevano la violazione del solo art. 3
Cost.: il pretore di Susa con due ordinanze del 27
marzo e 15 maggio 1981 (r.o. 512 e 698/81); il pretore
di Saluzzo con ordinanza del 3 novembre 1982 (r.o.
916/82); il pretore di Morbegno con ordinanza del 13
gennaio 1983 (r.o. 143/83). Lamentavano, invece, anche
la violazione dell'art. 27, terzo comma Cost.: il
pretore di Modena con ordinanza del 12 giugno 1980 (r.o.
838/80); il tribunale di Livorno con ordinanza dell'11
marzo 1981 (r.o. 358/81); il pretore di Reggio Emilia
con due ordinanze del 5 ottobre 1981 (r.o. 704 e
705/81); il pretore di Terralba con ordinanza del 16
novembre 1982 (r.o. 40/83); il pretore di Torino con
ordinanza del 14 gennaio 1981 (r.o. 291/81). Va
precisato che in quest'ultima ordinanza venivano
censurati gli artt. 184 e 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n.
156, modificati dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n.
103, dei quali si assumeva altresì il contrasto con
l'art. 21 Cost., peraltro col solo rilievo che la
normativa in oggetto impedirebbe la libera
manifestazione del pensiero.
Le ordinanze del Tribunale di Livorno e dei pretori di
Reggio Emilia, Verona e Morbegno erano motivate con un
semplice richiamo (per relationem) a quella in data 30
novembre 1979 del pretore di Torino, o ad altre
analoghe.
6. - L'Avvocatura dello Stato é intervenuta con
memorie di tenore sostanzialmente analogo nei giudizi
instaurati con le ordinanze nn. 78 e 347/80, 291, 512,
698 e 705/81, 460 e 916/82, 40/83. In tali memorie,
essa ripeteva i rilievi già svolti in ordine sia alla
necessità di sottoporre a regime autorizzatorio le
stazioni di radiotelediffusione via etere di portata
locale, sia all'inapplicabilità a tali ipotesi,
nell'attuale situazione di carenza di disciplina,
delle sanzioni penali previste per ipotesi diverse
anche se analoghe. Rilevava peraltro che proprio la
riconosciuta esigenza dell'autorizzazione statale
impedisce che tale situazione possa essere assunta
come parametro al quale rapportare situazioni simili
onde verificarne la conformità al principio di
uguaglianza. All'uopo potrebbe invece valere la
disciplina prevista per i ripetitori di programmi
esteri e per le reti via cavo a raggio locale dalle
stesse norme impugnate, che - applicando i principi
fissati nelle sentenze della Corte nn. 225 e 226 del
1974 - sanzionano penalmente l'esercizio senza
autorizzazione di tali attività.
D'altra parte, le esigenze di garanzia del pluralismo
dell'informazione ed, in genere, della libertà di
manifestazione del pensiero, poste a base della
sentenza n. 202/76, non possono valere per le residue
ipotesi tuttora previste dal citato art. 195, che
riguardano collegamenti diretti tra determinati
apparecchi o stazioni trasmittenti e riceventi e non
trasmissioni destinate ad un pubblico indeterminato:
il che fa escludere che si tratti di una medesima
fattispecie tecnico-giuridica.
Riguardo alla questione posta in riferimento all'art.
27, terzo comma, Cost., l'Avvocatura osservava che
"il fine della rieducazione del condannato può
essere pregiudicato dai presupposti, modi e tempi
della detenzione, non dalla considerazione di
temporanei vuoti di regolamentazione normativa".
7. - Nel corso di un procedimento penale a carico di
Norelli Giuseppe ed altri, il pretore di Bologna
rilevava che, in base alle risultanze degli atti,
l'utilizzazione degli apparecchi radioelettrici
(radiotelefoni) detenuti dagli imputati non poteva
essere autorizzata essendo essi tutti tarati su
frequenze già assegnate a terzi (Ministeri
dell'Interno e della Difesa), e che peraltro, la
normativa vigente non considera penalmente illecita
l'importazione, la produzione, la detenzione ed il
commercio degli stessi apparecchi (artt. 320, 398,
399, 402 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 e art. 1
legge 22 maggio 1980, n. 209), anche quando si tratta
di apparecchi non omologabili, non commerciabili, e
non utilizzabili per le caratteristiche relative alle
frequenze.
Ritenendo tale differenza di trattamento sanzionatorio
non rispondente a criteri di ragionevolezza, il
pretore, con ordinanza dell'1 dicembre 1982 (r.o.
33/83), dichiarava "rilevante e non
manifestamente infondata, con riferimento all'art. 3
della Costituzione, la questione di illegittimità
costituzionale dell'art. 195 d.P.R. 29 marzo 1973, n.
156, modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n.
103, nella parte in cui prevede la pena dell'arresto e
dell'ammenda per chi esercita senza autorizzazione un
impianto radioelettrico ricetrasmittente di tipo
portatile, per il quale non é possibile alcuna
autorizzazione a causa delle sue caratteristiche, e
non prevede alcuna pena per chi produce, importa,
commercia e detiene analoghi apparecchi".
8. - Intervenendo nel giudizio così instaurato,
l'Avvocatura dello Stato osservava che il divieto di
costruire, usare ed esercitare apparecchi
radioelettrici che producano emissioni su frequenze o
con potenze diverse da quelle ammesse per il servizio
cui sono destinati era originariamente munito di
sanzione penale (ammenda: artt. 399-402 d.P.R. n.
156/1973), e che questa era stata trasformata in
sanzione amministrativa per effetto della legge 24
dicembre 1975, n. 706 (sulla depenalizzazione dei
reati minori), mantenendo poi tale natura sia con le
modifiche ed integrazioni apportate ai suddetti
articoli con la legge 22 maggio 1980 n. 209, sia con
la nuova legge di depenalizzazione n. 689/81 (art.
32).
Ciò premesso, l'Avvocatura rilevava che rispetto a
tale normativa, finalizzata alla tutela dei principi
sull'omologazione delle apparecchiature, é
indifferente che l'esercizio dell'apparecchio
radioelettrico sia stato o meno autorizzato, così
come é indifferente, ai fini dell'integrazione della
contravvenzione di cui all'art. 195 cod. postale, che
gli apparecchi radioelettrici utilizzati siano o meno
conformi alle speciali prescrizioni dettate per la
prevenzione e la eliminazione dei disturbi alle
radiocomunicazioni (v. in tal senso, sent. n. 47 del
1979).
Trattandosi perciò di precetti aventi contenuto e
finalità diverse, il prevedere per l'uno la sanzione
penale e per l'altro la sanzione amministrativa
rientra - ad avviso dell'Avvocatura - nell'ambito di
discrezionalità del legislatore; e la questione
dovrebbe quindi essere dichiarata "inammissibile
o comunque infondata".
9. - Le ordinanze di rimessione indicate nei
precedenti punti, tutte ritualmente notificate e
comunicate, venivano pubblicate, rispettivamente,
nella Gazzetta Ufficiale nn. 222 del 9 agosto 1978 (r.o.
262/78), 92 del 2 aprile 1980 (r.o. 76/80), 166 del 18
giugno 1980 (r.o. 347/80), 56 del 25 febbraio 1981 (r.o.
838/80), 262 del 23 settembre 1981 (r.o. 291/81), 248
del 9 settembre 1981 (r.o. 358/81), 304 del 4 novembre
1981 (r.o. 512/81), 33 del 3 febbraio 1982 (r.o. 698,
704, 705/81), 344 del 15 dicembre 1982 (r.o. 460/82),
142 del 25 maggio 1983 (r.o. 916/82), 149 dell'1
giugno 1983 (r.o. 33/83), 177 del 29 giugno 1983 (r.o.
40/83), 191 del 13 luglio 1983 (r.o. 143/83).
Considerato in diritto
1. - Le quindici ordinanze di
rimessione propongono questioni identiche od analoghe.
I relativi giudizi possono, quindi, essere riuniti e
decisi con unica sentenza.
2. - Preliminarmente va osservato che il tribunale di
Livorno (r.o. 358/81) ed il pretore di Reggio Emilia (r.o.
nn. 704 e 705 del 1981) sollevano entrambi
"questione di legittimità costituzionale degli
artt. 183, 195, 334, primo comma n. 2, del d.P.R. 29
marzo 1973, n. 156 e successive modificazioni nella
parte in cui prevede la pena dell'ammenda e
dell'arresto per chi esercita senza concessione un
impianto radio-elettrico ricetrasmittente di debole
potenza, in riferimento agli artt. 3 e 27 della
Costituzione".
Nelle tre ordinanze qui considerate manca, peraltro,
qualsiasi motivazione in punto di rilevanza ed il
benché minimo accenno alle fattispecie dedotte nei
rispettivi giudizi, così che non é verificabile la
pregiudizialità della questione sollevata. Per
quanto, poi, attiene alla non manifesta infondatezza
della questione stessa, i giudici a quibus si limitano
a scrivere che ritengono di "condividere
pienamente le motivazioni di cui all'ordinanza 30
novembre 1979 del pretore di Torino da ritenersi (qui)
integralmente riprodotta (G. U. n. 92 in data 2 aprile
1980)".
Tali essendo le risultanze processuali, in conformità
alla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. da
ultimo, le ordinanze nn. 61, 64, 76, 98 e 113 del
1984), deve dichiararsi la manifesta inammissibilità
delle questioni proposte dal tribunale di Livorno (r.o.
n. 358/1981) e dal pretore di Reggio Emilia (r.o. n.
704 e n. 705 del 1981).
3. - All'esame delle questioni sollevate con le
restanti dodici ordinanze di rimessione, giova
premettere una sommaria ricognizione della normativa
vigente in materia, quale risultante anche per effetto
delle sentenze di questa Corte.
Il testo unico delle disposizioni legislative in
materia postale di bancoposta e di telecomunicazioni
approvato con d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, all'art. 1
riservava in esclusiva allo Stato, nei limiti previsti
da quel testo, per quanto qui interessa "i
servizi di telecomunicazioni".
I successivi artt. 183, 184 e 195, compresi nel libro
IV (Dei servizi di telecomunicazioni) titolo I (parte
generale) capo I (disposizioni di carattere generale)
e capo II (norme comuni alla concessione ad uso
pubblico e ad uso privato) disciplinavano
l'"Esecuzione ed esercizio di impianti di
telecomunicazioni - Esclusività - Eccezioni -
Assegnazione di radiofrequenze" (art. 183), gli
"Impianti di telecomunicazioni delle
amministrazioni dello Stato e di esercenti di mezzi
adibiti al pubblico servizio di trasporto di persone o
cose" (art. 184) nonché l'"Impianto ed
esercizio di telecomunicazioni senza concessione -
Sanzione "(art. 185). Infine l'art. 334, compreso
nel titolo IV ("Dei servizi radioelettrici")
capo II ("Concessione di stazioni radioelettriche
ad uso privato") Sezione IV ("Concessione di
stazioni radioelettriche di debole potenza"),
disciplina la "Riserva di frequenze, impieghi
consentiti".
Con le sentenze n. 225 e n. 226 del 1974 questa Corte
ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli
artt. 1, 183 e 195 del succitato T. U. del 1973
"nella parte relativa ai servizi di
radiotelediffusione circolare a mezzo di onde
elettromagnetiche", nonché, "nelle parti
relative ai servizi di televisione via cavo".
In ossequio, alle predette pronunzie, l'art. 45 della
legge 14 aprile 1975, n. 103 ha sostituito gli artt.
1, 183 e 195 del citato testo unico.
É sopravvenuta, infine, la sentenza n. 202 del 1976
con la quale questa Corte ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale degli artt. 1, 2 e 45 della legge 14
aprile 1975 n. 103 (nuove norme in materia di
diffusione radiofonica e televisiva) "nella parte
in cui non sono consentiti, previa autorizzazione
statale e nei sensi di cui in motivazione,
l'installazione e l'esercizio di impianti di
diffusione radiofonica e televisiva via etere di
portata non eccedente l'ambito locale". Con la
medesima sentenza la Corte, a norma dell'art. 27 della
legge 11 marzo 1953 n. 87, ha dichiarato altresì
"l'illegittimità costituzionale dell'art. 14
della citata legge n. 103 del 1975 nella parte in cui
prevede la possibilità che mediante le realizzazioni
di impianti da parte della società concessionaria
siano esaurite le disponibilità consentite dalle
frequenze assegnate all'Italia dagli accordi
internazionali per i servizi di radiodiffusione".
Quest'ultima sentenza ha, dunque, riconosciuto il
diritto di iniziativa privata per l'installazione e
l'esercizio di impianti per le trasmissioni via etere
di programmi radiofonici e televisivi su scala locale.
Nel riconoscere un tale diritto, questa Corte, ha però
affermato anche "la necessità dell'intervento
del legislatore nazionale perché stabilisca l'organo
dell'amministrazione centrale dello Stato competente a
provvedere all'assegnazione delle frequenze ed
all'effettuazione dei conseguenti controlli e fissi le
condizioni che consentano l'autorizzazione
all'esercizio di tale diritto in modo che questo si
armonizzi e non contrasti con il preminente interesse
generale (di cui sopra) e si svolga sempre nel
rigoroso rispetto dei doveri ed obblighi anche
internazionali, conformi a Costituzione".
Tale esplicito invito al legislatore, perché
intervenisse nella materia de qua, adeguandosi ad una
serie di indicazioni specifiche (intervento
presupposto anche nel dispositivo della sentenza) é
rimasto, però, sin qui inascoltato.
Riassumendo e parafrasando quanto esattamente rilevato
dal pretore di Torino (r.o. n. 86/1980) il d.P.R. n.
156 del 1973 e la legge n. 103 del 1975 regolano la
materia delle trasmissioni radiofoniche e televisive
in regime o di monopolio o di concessione o di
autorizzazione, mentre per quanto riguarda i servizi
radioelettrici di telecomunicazioni vige il principio
del "regime vincolato". Per le trasmissioni
via etere a mezzo di ricetrasmittenti (anche quando si
tratti di apparecchi di debole potenza installati in
ausilio a servizi di imprese industriali, commerciali,
artigiane ed agrarie (art. 334 n. 2 del T. U.) occorre
cioé la concessione governativa (art. 322 del T. U.).
Dalla normativa qui considerata emerge, dunque, una
regola generale, in forza della quale l'installazione,
lo stabilimento e l'esercizio di impianti di
telecomunicazioni sono subordinati al previo
ottenimento dell'autorizzazione o della concessione
governativa, mentre la trasmissione via etere su scala
locale, esercitata dai privati, per effetto della
citata sent. n. 202 del 1976, é assolutamente libera
nel senso che si svolge, "in regime di totale
carenza legislativa".
Si é determinata in tal modo la situazione
indubbiamente anomala e squilibrata, dalla quale
prendono le mosse la maggior parte dei giudici
rimettenti.
4. - Comune alle dodici ordinanze, qui considerate é
la questione di legittimità costituzionale dell'art.
195 del d.P.R n. 156 del 1973, nel testo sostituito
dall'art. 45 della legge n. 103 del 1975.
Al proposito occorre rilevare che, pure quando nelle
denunzie dei giudici a quibus vengono formalmente
coinvolti anche altri disposti del T. U. del 1973,
(con le modificazioni introdotte nel 1975) ed in
particolare gli artt. 183 e 334, primo comma n. 2, il
dubbio di costituzionalità riguarda sempre ed
esclusivamente il trattamento sanzionatorio dettato
dal legislatore per le ipotesi contravvenzionali di
cui al predetto art. 195, senza porre in discussione i
relativi precetti. Ciò è vero, non solo e,
ovviamente, per l'ordinanza del pretore di Firenze (r.o.
n. 262 del 1978) che censura il solo art. 195 del
d.P.R. 156 del 1973, nel testo modificato, ma anche
per le restanti ordinanze.
Così il pretore di Torino (ord. n. 76 del 1980)
denunzia "gli artt. 183, 195, 334, primo comma n.
2 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, modificato
dall'art. 45 legge 14 aprile 1975, n. 103" ma
soltanto "nella parte in cui prevedono la pena
dell'ammenda e dell'arresto per chi esercita senza
concessione un impianto radioelettrico
ricetrasmittente di debole potenza di tipo portatile
in ausilio a servizi di impresa industriale e non
prescrivono alcuna pena per chi esercita privatamente
senza concessione o autorizzazione, trasmissioni
radiotelevisive via etere in ambito locale".
Il pretore di Modena, a sua volta, (ord. n. 838 del
1980) dubita della legittimità costituzionale degli
artt. 183, 195, 334 d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156,
modificato dall'art. 45 legge 14 aprile 1975 n. 103,
nella parte in cui prevedono la pena dell'ammenda e
dell'arresto per chi esercita senza concessione un
impianto radio- elettrico di debole potenza in ausilio
delle attività professionali sanitarie, e non
prevedono alcuna pena per chi esercita senza
concessione o autorizzazione trasmissioni
radiotelevisive via etere, in ambito locale. In
termini anche letteralmente identici la questione é
posta dal pretore di Torino (reg. ord. n. 291 del
1981, in riferimento ad un impianto radioelettrico
ricetrasmittente di tipo portatile), dal pretore di
Susa (r.o. n. 512 e n. 698 del 1981, in riferimento ad
un impianto radioelettrico di debole potenza in
ausilio ad attività sportive), dal pretore di Saluzzo
(r.o. n. 916 del 1982 in riferimento ad un impianto
radioelettrico ricetrasmittente di debole potenza) e
dal pretore di Terralba (r.o. n. 40 del 1983 in
relazione ad un impianto radioelettrico
ricetrasmittente di debole potenza in ausilio a
servizi di imprese industriali e agrarie).
Sostanzialmente uguali, infine, sono le prospettazioni
del pretore di Verona (r.o. n. 460 del 1982) e del
pretore di Morbegno (r.o. n. 143 del 1983) che del
resto fanno riferimento tra le altre alle succitate
ordinanze del pretore di Susa e del pretore di Torino.
5. - La questione da decidere (salve le precisazioni
seguenti in questo stesso paragrafo) é essenzialmente
quella avente ad oggetto l'art. 195 del T. U. del
1973, nel testo novellato.
La norma così denunziata punisce (con la sola pena
dell'ammenda se il fatto non si riferisce ad impianti
radioelettrici; con la pena dell'arresto e
dell'ammenda se il fatto si riferisce ad impianti
radioelettrici o televisivi via cavo) "chiunque
installa, stabilisce od esercita impianto di
telecomunicazione senza aver prima ottenuto la
relativa concessione o l'autorizzazione" (di cui
al secondo comma dell'art. 184 stesso T. U. e
richiesta anche per gli impianti ripetitori via etere
di programmi sonori e televisivi esteri o nazionali).
Il dubbio di costituzionalità nasce dal confronto che
i giudici a quibus istituiscono tra la situazione qui
sopra descritta e quella di chi "senza
concessione o autorizzazione" "esercita
privatamente" "trasmissioni radiotelevisive
via etere in ambito locale".
Così posta, la questione é chiaramente infondata. Ciò
non tanto in base al rilievo che potrebbe essere
giudicato formale per cui la fattispecie
contravvenzionale di cui all'art. 195 in esame
presuppone l'obbligo del preventivo ottenimento della
concessione o della licenza per l'esercizio delle
attività ivi considerate, mentre un tale obbligo allo
stato non sussiste nelle situazioni poste a confronto,
per le quali quindi é del tutto gratuito parlare di
esercizio senza concessione o autorizzazione.
L'infondatezza della questione nasce dal più
sostanziale rilievo che il principio di uguaglianza
viene invocato dai giudici a quibus in senso inverso a
quello naturale, assumendo la situazione anomala (e,
ci si augura, temporanea) determinata dall'inerzia del
legislatore dopo la sentenza n. 202 del 1976 di questa
Corte come metro di legittimità della regola
generale, di cui alla normativa denunziata, che vuole
l'installazione e l'esercizio degli impianti di
telecomunicazioni subordinati alla concessione o
all'autorizzazione governativa.
Ciò tanto più quando, proprio con la sentenza n. 202
del 1976 la Corte, lungi dal prospettare una deroga
alla predetta regola generale per l'installazione e
l'esercizio di impianti per le trasmissioni
radiotelevisive via etere in ambito locale da parte
dei privati, ha, per quanto di sua competenza,
riaffermato l'esigenza di una "previa
autorizzazione statale".
Vero é, del resto, che con la normativa della quale
si discute, il legislatore ha perseguito il fine, più
che legittimo, doveroso per lo Stato democratico, di
garantire la funzionalità di servizi essenziali per
la vita del Paese, di impedire il disordine e la
sopraffazione nel campo considerato e di assicurare le
condizioni per il rispetto del principio di
uguaglianza.
La questione, dunque, sollevata dai giudici a quibus
nei termini sopra puntualizzati, deve dichiararsi
infondata, in coerenza con gli orientamenti
ripetutamente espressi da questa Corte (cfr. sentt. nn.
42 del 1977; 71 del 1979; 162 del 1981; 168 del 1982 e
71 del 1983).
Per concludere sul punto, é bene aggiungere che le
argomentazioni sin qui svolte e la conclusione
raggiunta non cambierebbero quand'anche si dovesse
ritenere che i giudici a quibus (con l'eccezione del
pretore di Firenze) abbiano inteso coinvolgere negli
incidenti di costituzionalità non le sole
disposizioni sanzionatorie, ma l'intera, sebbene
"incompleta" fattispecie contravvenzionale
di cui all'art. 195 del T.U. del 1973, nel testo
novellato, integrandone il precetto con i disposti di
altri articoli del T. U. medesimo.
Ciò perché, anche in siffatta ipotesi non
muterebbero i termini e la caratteristica del
confronto istituito dai giudici medesimi per dedurne
la violazione del principio di eguaglianza.
6. - Il pretore di Torino (r.o. nn. 76/80 e 291/81) il
pretore di Modena (r.o. n. 838/80) e il pretore di
Terralba (r.o. n. 40/83) denunziano la disposizione di
legge sopra esaminata anche in riferimento all'art.
27, terzo comma, Cost.
Secondo i giudici a quibus, "colui che si vede
condannato per un fatto meno grave di quello commesso
da altri (di uguale natura, ma di maggiore rilevanza)
che rimane impunito perché considerato lecito dal
legislatore, sente una ingiustizia di fondo che toglie
alla pena ogni possibilità di emendarlo" (ord.
76/80 del pretore di Torino, cui sono sostanzialmente
conformi le motivazioni delle altre tre ordinanze in
esame).
Ancora una volta, presupposto della censura é la
comparazione delle due situazioni delle quali si é
sin qui discorso.
La questione così proposta é però inammissibile
perché l'invocato art. 27, terzo comma, Cost.
"si riferisce propriamente alla esecuzione della
pena in senso stretto" (sent. n. 167/73; cfr.
anche sent. n. 104 del 1982), mentre sfugge al
controllo di legittimità l'indagine sulla efficacia
rieducativa della pena edittale, la cui determinazione
é rimessa alla valutazione discrezionale del
legislatore (cfr. sent. n. 22 del 1971 e n. 107 del
1980).
7. - Il Pretore di Bologna (r.o. n. 33/1983) dubita
anche egli della legittimità costituzionale dell'art.
195 del T. U. del 1973, nel testo novellato, in
riferimento all'art. 3, primo comma, Cost..
Diversamente da quanto dedotto nelle ordinanze più
sopra esaminate (nn. 4 e 5) il giudice a quo lamenta
la disparità di trattamento, a suo avviso
ingiustificato, tra la situazione di chi installa ed
esercita senza autorizzazione - quando
l'autorizzazione non sia concedibile a causa delle
caratteristiche dell'impianto - un apparecchio
radioelettrico ricetrasmittente di tipo portatile, che
per questo fatto é punito con pena pecuniaria e
detentiva, da un lato, e la situazione di chi produce,
importa, commercia e detiene gli stessi apparecchi ed
é per questo soggetto a sanzione amministrativa,
dall'altro.
Come giustamente eccepisce l'Avvocatura dello Stato,
anche questa questione é inammissibile.
Invero, il fatto della produzione, dell'importazione,
del commercio e della detenzione degli apparecchi in
esame "non utilizzabili per le caratteristiche
relative alla frequenza" (come rileva il giudice
a quo) era punito con l'ammenda, à sensi dell'art.
402, in relazione all'art. 399 del T. U. del 1973. La
fattispecie contravvenzionale é stata depenalizzata
con la legge 24 dicembre 1975 n. 706, modificata ed
integrata con la legge 22 maggio 1980 n. 209.
Le due situazioni a confronto derivano, quindi, da
scelte discrezionali del legislatore al quale soltanto
spetta di configurare le ipotesi di reato,
determinando la pena per ciascuna di esse, e di
depenalizzare fatti dianzi configurati come reato.
Scelte di politica criminale quali quelle in questione
non sono sindacabili da questa Corte, quando
rispondono a valutazioni non eccedenti i limiti della
ragionevolezza, che non sono certamente stati superati
nelle ipotesi considerate.
La questione sollevata dal pretore di Bologna deve
pertanto dichiararsi inammissibile.
8. - Il pretore di Putignano (r.o. 347 del 1980)
solleva questione di legittimità costituzionale degli
artt. 1, 183 e 195 del T. U. del 1973, nel testo
novellato, in riferimento, oltre che all'art. 3, primo
comma, nei termini più sopra riferiti, anche agli
artt. 21 e 10 Cost.
La questione viene sollevata dal giudice a quo, a
seguito della richiesta di perquisizione domiciliare
avanzata dalla Direzione compartimentale PP.TT. di
Bari nei confronti di un soggetto indicato quale
responsabile del reato di cui ai citati artt. 1, 183 e
195 del T. U. del 1973, "per aver usato un
impianto ricetrasmittente di debole potenza senza la
prescritta concessione" governativa: richiesta
che, come risulta dagli atti, traeva origine da una
denuncia anonima relativa a molestie che sarebbero
state commesse con l'utilizzazione di tale impianto.
L'incidente di costituzionalità é stato proposto dal
pretore di Putignano sulla base soltanto della citata
richiesta della Direzione compartimentale PP.TT. di
Bari, prima ancora di aver inviato all'indiziato
comunicazione giudiziaria per una specifica ipotesi di
reato e prima di aver compiuto una qualsiasi, sia pure
sommaria, indagine.
Può allora dubitarsi che la questione sia stata
sollevata nel corso di un giudizio, come esige l'art.
23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, ma anche a negare
fondatezza ad un tale dubbio, si deve riconoscere che
la questione medesima é irrilevante.
Invero, dal "sistema normativo risultante
dall'art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e
dall'art. 23 della legge n. 87 del 1953 si deduce che
la pregiudizialità necessaria della questione di
costituzionalità rispetto alla decisione del giudizio
a quo va intesa considerando tale decisione come
conclusiva di un itinerario logico, ciascuno dei cui
passaggi necessari può dar luogo ad un incidente di
costituzionalità, ogniqualvolta il giudice dubita
della legittimità costituzionale delle disposizioni
normative che, in quel momento, é chiamato ad
applicare per la prosecuzione e/o la definizione del
giudizio" (sent. n. 53 del 1982).
L'osservanza dei riferiti criteri porta a ritenere che
la semplice denunzia di un fatto di reato, rende
meramente eventuale, soltanto possibile,
l'applicazione della norma incriminatrice, i cui
indispensabili presupposti devono ancora essere
verificati.
L'incidente di costituzionalità é stato, dunque,
proposto intempestivamente dal giudice a quo che, in
quel momento, non era chiamato ad applicare la norma
denunziata bensì a compiere atti di istruzione
probatoria, in applicazione di norme del codice
processuale penale. Ne consegue che le questioni
proposte dal pretore di Putignano vanno dichiarate
inammissibili.
9. - Per finire, il pretore di Torino (r.o. n. 291 del
1981) solleva questione di legittimità costituzionale
degli artt. 184 e 195 del T. U. del 1973, nel testo
novellato, oltre che in riferimento agli artt. 3,
primo comma, e 27, terzo comma (del che ci si é
occupati sub 5 e sub 6), anche in riferimento all'art.
21 Cost.
Peraltro la denunzia, formulata nei termini sopra
descritti sub 4, investe, per come si é detto, la
norma sanzionatoria e non anche la norma precettiva.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
- dichiara la manifesta inammissibilità delle
questioni di legittimità costituzionale degli artt.
183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del d.P.R. 29 marzo
1973, n. 156, i primi due nel testo sostituito con
l'art. 45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 sollevate
in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.
dal tribunale di Livorno (ord. n. 358 del 1981) e dal
pretore di Reggio Emilia (ordd. nn. 704 e 705 del
1981);
- dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale - tutte proposte in riferimento
all'art. 3, primo comma, Cost. -: a) degli artt. 183,
195 e 334, primo comma, n. 2 del d.P.R. 29 marzo 1973,
n. 156 - i primi due nel testo sostituito con l'art.
45 della legge 14 aprile 1975, n. 103 - sollevate dai
pretori di Torino (ord. n. 74 del 1980), di Modena (ord.
n. 838 del 1980), di Susa (ord. n. 698 del 1981), di
Verona (ord. n. 460 del 1982), di Saluzzo (ord. n. 916
del 1982), di Terralba (ord. n. 40 del 1983) e di
Morbegno (ord. n. 143 del 1983); b) dei medesimi artt.
183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, nel testo
sostituito con il citato art. 45 legge n. 103/75,
sollevata dal pretore di Susa (ord. n. 512 del 1981);
c) del medesimo art. 195, nel testo come sopra
sostituito, nonché dell'art. 184 del citato d.P.R. n.
156 del 1973, sollevata dal pretore di Torino (ord. n.
291 del 1981); d) dell'art. 195 del medesimo d.P.R.,
nel testo sostituito, sollevata dal pretore di Firenze
(ord. n. 262 del 1978);
- dichiara l'inammissibilità delle questioni di
legittimità costituzionale - tutte proposte in
riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost. -: a)
degli artt. 183, 195 e 334, primo comma, n. 2 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, i primi due nel testo
sostituito con il citato art. 45 legge n. 103 del
1975, sollevate dai pretori di Torino (ord. n. 76 del
1980), di Modena (ord. n. 838 del 1980) e di Terralba
(ord. n. 40 del 1983); b) del medesimo art. 195, nel
testo sostituito, nonché dell'art. 184 dello stesso
d.P.R. n. 156 del 1973 sollevata dal pretore di Torino
(ord. n. 291 del 1981);
- dichiara l'inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell'art. 195 del d.P.R.
29 marzo 1973, n. 156, nel testo sostituito con l'art.
45 della legge 14 aprile 1975, n. 103, sollevata in
riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. dal pretore
di Bologna (ord. n. 33 del 1983);
- dichiara l'inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 1, 183 e 195
del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, tutti nel testo
sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975,
n. 103, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo
comma, 10 e 21 Cost. dal pretore di Putignano (ord. n.
347 del 1980);
- dichiara l'inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale degli artt. 184 e 195 del
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 - il secondo nel testo
sostituito con l'art. 45 della legge 14 aprile 1975,
n. 103 - sollevata in riferimento all'art. 21 Cost.
dal pretore di Torino (ord. n. 291 del 1981).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio
1984.
ANTONINO DE STEFANO, PRESIDENTE
ALBERTO MALAGUGINI, REDATTORE
Depositata in cancelleria il 30 luglio 1984.
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