SENTENZA N. 194
ANNO 1987
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici
Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente
Prof. Virgilio ANDRIOLI
Prof. Giuseppe FERRARI
Dott. Francesco SAJA
Prof. Giovanni CONSO
Prof. Ettore GALLO
Prof. Aldo CORASANITI
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Dott. Francesco GRECO
Prof. Renato DELL'ANDRO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco P. CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli
artt. 4, comma primo, capoverso secondo, e 6 della
legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia
di diffusione radiofonica e televisiva), promosso con
ordinanza emessa il 6 novembre 1982 dal Pretore di
Roma nei procedimenti civili riuniti vertenti tra il
Centro di iniziativa giuridica "P. Calamandrei"
ed altra e la Commissione parlamentare per l'indirizzo
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi ed
altri, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 1983 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 177 dell'anno 1983.
Visti gli atti di costituzione della Lega per il
disarmo unilaterale, del Centro di iniziativa
giuridica "P. Calamandrei", della R.A.I. e
della Commissione parlamentare, nonché l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 24 marzo 1987 il
Giudice relatore Aldo Corasaniti;
uditi gli avv.ti Claudio Chiola e Corrado De
Martini per il Centro di iniziativa giuridica "P.
Calamandrei" e per la Lega per il disarmo
unilaterale, Alessandro Pace e Filippo Satta per la
R.A.I. e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per
la Commissione parlamentare e per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Il Pretore di Roma - adito ex art. 700 c.p.c.
dal Centro di iniziativa giuridica P. Calamandrei e
dalla Lega per il disarmo unilaterale per ottenere in
via d'urgenza la trasmissione dei programmi che i
ricorrenti, ammessi al c.d. "accesso" alla
radiotelevisione pubblica, avevano registrato, e la
cui diffusione era stata negata, per motivi inerenti
al loro contenuto, dalla Sottocommissione per
l'accesso e successivamente dalla Commissione
parlamentare di vigilanza in sede di ricorso - ha
sollevato questione di legittimità costituzionale
degli artt. 4, comma primo, capoverso secondo, e 6
della legge 14 aprile 1975 n. 103 (Nuove norme in
materia di diffusione radiofonica e televisiva), per
violazione degli artt. 21 e 43 Cost., come
coordinatamente considerati nella sentenza n. 225 del
1974 della Corte costituzionale, nonché degli artt.
24 e 102 Cost.
I resistenti - Commissione parlamentare di
vigilanza e R.A.I. - avevano preliminarmente eccepito
il difetto assoluto di giurisdizione del pretore,
sostenendo che la disciplina del c.d.
"accesso" al mezzo radiotelevisivo, attuata
a seguito della sentenza n. 225/1974 della Corte
costituzionale, sottrae al sindacato di qualsiasi
giudice, ordinario o amministrativo, le determinazioni
dei competenti organi in materia. In particolare,
avevano rilevato che l'art. 6 della legge n. 103/1975
prevede avverso le determinazioni della
Sottocommissione parlamentare per l'accesso - alla
quale é demandato l'esame delle richieste di accesso
- il solo ricorso alla Commissione parlamentare di
vigilanza, le cui decisioni - in conformità alla
natura dell'organo (espresso dal Parlamento, del quale
condivide le prerogative di sovranità) ed alle
funzioni esercitate (di carattere politico) - sono
insindacabili dalla magistratura.
Ha osservato il pretore che da tale prospettazione
- che appare la più aderente al testo normativo e
che, se accolta, comporterebbe il rifiuto della
richiesta tutela d'urgenza, per improponibilità
assoluta della domanda - scaturiscono fondati dubbi
circa la legittimità costituzionale della citata
normativa.
Invero, con la sentenza n. 225/1974, la Corte
costituzionale, chiamata a decidere della legittimità
del monopolio radiotelevisivo, ha statuito che la
conservazione del monopolio stesso é condizionata non
solo all'attuazione di un sistema idoneo ad escludere
il predominio del potere esecutivo nell'ambito
dell'ente gestore e ad attuare l'obiettività,
l'imparzialità e la completezza dell'informazione, ma
anche all'emanazione di norme idonee a "favorire,
rendere effettivo e garantire il diritto di accesso,
nella misura massima consentita dai mezzi
tecnici", "se non ai singoli cittadini,
almeno a tutte quelle formazioni più rilevanti nelle
quali il pluralismo sociale si esprime e si
manifesta", in modo da "raggiungere quei
fini di utilità generale in funzione dei quali l'art.
43 Cost. rende legittima la riserva".
La Corte ha quindi sollecitato il legislatore ad
emanare una legge che preveda almeno che "in
attuazione di un'esigenza che discende dall'art. 21
Cost., l'accesso alla radiotelevisione sia aperto, nei
limiti massimi consentiti, imparzialmente ai gruppi
politici, religiosi, culturali nei quali si esprimono
le varie ideologie presenti nella società".
Ad avviso del pretore, la richiamata sentenza ha
riconosciuto che, nell'ambito del sistema
monopolistico radiotelevisivo, sussiste, in capo ai
gruppi di particolare qualificazione politica,
religiosa e culturale, un diritto soggettivo di
accesso, garantito a livello costituzionale, come
espressione di esigenze che derivano dall'art. 21
Cost., e ciò in quanto nella motivazione della
sentenza e nelle direttive impartite al legislatore
(nella lettera f) appare assente ogni elemento che
possa consentire di configurare l'accesso come diritto
condizionato, o interesse legittimo, o, addirittura,
come mera situazione di fatto non giustiziabile,
perché dotata di tutela a livello esclusivamente
politico.
Ed infatti, nelle determinazioni della Corte,
l'ammissione al mezzo radiotelevisivo appare come
dovuta, con conseguente esclusione di ogni
discrezionalità (che condurrebbe a possibili
discriminazioni ideologiche, vertendosi in una materia
tanto delicata quale la libertà di manifestazione del
pensiero, soprattutto quando questa si esplica nel
campo delle concezioni politiche, religiose e
sociali), salvo limiti di natura tecnica che possono
tuttavia operare solo dopo lo sfruttamento massimo
della potenzialità del mezzo, e con l'implicito
richiamo del limite del buon costume, posto dall'art.
21 Cost.
In sostanza il diritto di accesso al mezzo
radiotelevisivo gestito in regime di monopolio, come
delineato dalla sentenza n. 225/1974, va considerato,
ad avviso del pretore, come un diritto soggettivo
perfetto, garantito a livello costituzionale in forza
della coordinata lettura degli artt. 21 e 43 Cost., ed
in quanto tale non comprimibile da parte degli organi
preposti all'accesso e suscettivo di incontrare limiti
alla sua soddisfazione ed attuazione solo nella
intrinseca limitatezza del mezzo attraverso il quale
é destinato a realizzarsi; limitatezza che, nella
fattispecie, non assumeva rilievo, dal momento che le
trasmissioni organizzate dai ricorrenti avevano già
trovato la loro collocazione nei programmi, e sono
state, successivamente alla effettiva registrazione,
annullate, ritenendosi che il loro contenuto, per
l'asprezza dei toni e la natura dei termini usati,
assumesse rilievo penale.
Orbene - prosegue il giudice a quo - l'art. 6 della
legge n. 103/1975 sembra discostarsi dal quadro
delineato dalla Corte, dal momento che degrada il
diritto all'accesso a mera situazione di fatto, sia
perché ne condiziona l'applicazione a valutazioni non
meramente tecniche, nelle quali assume rilievo anche
il contenuto del programma (cfr. art. 6, comma quinto,
ultima parte); sia, soprattutto, perché sembra
escludere ogni garanzia di tipo giurisdizionale, in
quanto rimette l'attuazione dell'accesso a
determinazioni di organi di incerta natura, che
appaiono, nel sistema della legge n, 103/1975, esenti
da ogni sindacato giurisdizionale.
La norma viene pertanto denunciata dal pretore alla
Corte costituzionale per violazione degli artt. 21 e
43 Cost., nella lettura coordinata fornita dalla
sentenza n. 225/1974, in quanto non
"favorisce" né "rende effettivo"
il diritto di accesso al servizio pubblico
radiotelevisivo come espressione della libertà di
manifestazione del pensiero di gruppi socialmente
rilevanti, ma lo disciplina alla stregua di una mera
situazione di fatto, così privando i gruppi che ne
sono titolari - tra i quali rientrano pacificamente i
ricorrenti, tanto é vero che essi sono stati
regolarmente ammessi, con provvedimento
successivamente revocato per motivi inerenti al
contenuto dei programmi, dei quali pur si assumevano,
secondo la vigente legge e in forza dei princìpi, la
piena responsabilità civile e penale - delle
prerogative di tutela proprie del diritto soggettivo
perfetto.
Per quanto attiene, poi, alla "garanzia"
del diritto di accesso, una ulteriore censura di
incostituzionalità, ad avviso del pretore, si
ricollega alla peculiare natura degli organi ai quali
é demandata la gestione dell'accesso.
Trattasi, invero, di organi che costituiscono
espressione del Parlamento, dal quale promanano quanto
a composizione, di guisa che sembra corretto ritenere
che essi siano sottratti, in ragione della sovranità
attribuita al Parlamento, al sindacato degli organi
giurisdizionali: si pone, allora, il quesito se sia
conforme all'art. 24 Cost. "politicizzare"
con legge una determinata attività oggettivamente
amministrativa (qual é la gestione dell'utilizzazione
degli spazi di trasmissione riservati all'accesso),
sottraendo così ad ogni sindacato giurisdizionale
deliberazioni incidenti su di una posizione giuridica
soggettiva qualificabile come diritto
costituzionalmente garantito.
Né potrebbe obbiettarsi che la Commissione
parlamentare assicura, in sede di ricorso avverso le
decisioni della Sottocommissione per l'accesso, la
"garanzia" del diritto di accesso, in quanto
questa, ai sensi dell'art. 24 Cost., é soltanto
quella assicurata dalla magistratura, i cui compiti
non possono essere svolti dalla Commissione, per il
divieto di istituzione di giudici speciali, posto
dall'art. 102 Cost.
L'esame delle sollevate eccezioni di
incostituzionalità viene pertanto rimesso alla Corte
costituzionale, ritenendole il giudice a quo non
manifestamente infondate né irrilevanti, atteso che
la persistenza o meno delle norme denunciate
condiziona l'accoglimento o il rigetto (per
improponibilità assoluta della domanda) della
richiesta di provvedimento ex art. 700 c.p.c.
2. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale
si sono costituiti il Centro di iniziativa giuridica
P. Calamandrei e la Lega per il disarmo unilaterale,
sollecitando la declaratoria di illegittimità
costituzionale delle norme denunciate.
3. - Si é costituita altresì la R.A.I., eccependo
l'irrilevanza della questione, in quanto nei giudizi a
quibus non veniva in considerazione il problema
dell'accesso, dal momento che i ricorrenti erano stati
ammessi a trasmettere, bensì quello del potere di
controllo della Sottocommissione sul contenuto dei
programmi, che ha determinato il diniego della
diffusione dei programmi già registrati e che é
stato trascurato dal pretore.
La questione, ad avviso della R.A.I., é inoltre
inammissibile, poiché, trovando l'accesso la sua
disciplina esclusivamente nella legge n. 103/1975, e
non già nella Costituzione, l'eventuale declaratoria
di incostituzionalità sortirebbe un effetto opposto a
quello auspicato dal Pretore, precludendo del tutto
l'ammissione dei gruppi socialmente rilevanti al mezzo
radiotelevisivo pubblico. In ultima istanza la
questione é ritenuta infondata. Invero, se può
riconoscersi ai gruppi socialmente rilevanti la
titolarità del diritto soggettivo ad esprimere il
proprio pensiero, nascente dal provvedimento di
ammissione, tuttavia, l'esercizio di tale diritto non
può ritenersi sottratto ad ogni controllo. Al
contrario, questo bene é esercitato, qualora nel
programma siano inserite affermazioni di rilievo
penale, dalla concessionaria, per evitare il concorso
nel reato (art. 40, comma primo, c.p.), e dalla
Commissione parlamentare, i cui poteri di vigilanza si
riallacciano ad un preciso invito della sentenza n.
225 del 1974 della Corte costituzionale. 4. - La
Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi, rappresentata
dall'Avvocatura dello Stato, ha contestato la
sufficienza della motivazione dell'ordinanza in punto
di rilevanza. In via gradata, la Commissione di
vigilanza ha negato la fondatezza della questione.
Premesso che nella specie non veniva in discussione
l'accesso al mezzo radiotelevisivo - che era stato
autorizzato, non equivalendo, come ritenuto dal
pretore, la subordinazione della diffusione dei
programmi alla loro parziale modifica, nelle parti
ritenute di rilevanza penale, ad una revoca
dell'originario provvedimento ammissivo - bensì la
imponibilità di limiti, diversi da quello del buon
costume, alla libertà di manifestazione del pensiero,
osserva la deducente che l'art. 6, comma quinto, della
legge n. 103/1975 (il quale impone ai soggetti ammessi
alle trasmissioni di osservare i princìpi
dell'ordinamento costituzionale ed in particolare
quelli relativi alla tutela della dignità della
persona, nonché della lealtà e della correttezza del
dialogo democratico), é pienamente conforme alla
configurazione del diritto di libera manifestazione
del pensiero accolta dalla Corte costituzionale, la
quale ha ripetutamente statuito che l'esercizio di
tale diritto ben può essere sottoposto a restrizioni
in ragione della tutela di altri diritti
costituzionalmente garantiti (sentt. n. 86 del 1974 e
n. 18 del 1981). Non sussiste, inoltre, la prospettata
lesione dell'art. 24 Cost., determinata dalla
attribuzione ad organi parlamentari della vigilanza
sull'osservanza dei limiti posti all'accessi dalla
legge n. 103/1975, con conseguente insindacabilità
delle relative determinazioni in sede giurisdizionale.
Invero, la legge n. 103/1975, affidando al Parlamento,
e non al Governo la vigilanza sul servizio
radiotelevisivo pubblico, si é attenuta puntualmente
alle indicazioni formulate dalla Corte costituzionale
con la sentenza n. 225 del 1974. Ed é tale precisa
scelta che contiene in sé la conseguenza della non
giustiziabilità delle deliberazioni della
Commissione, in quanto espressione dell'attività
politica del Parlamento, assistita dalla prerogativa
dell'assoluta indipendenza, a fronte della quale la
posizione dei gruppi aspiranti all'accesso assume la
consistenza di posizione solo politicamente protetta
(per la legittimità di siffatte deroghe alla
giurisdizione in favore del Parlamento: Corte
costituzionale, sentt. n. 66 del 1964; n. 143 del
1968; n. 110 del 1970; n. 129 del 1981). 5. - É
intervenuto altresì il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato,
che ha svolto deduzioni conformi a quelle riassunte
nel precedente n. 4.
Considerato in diritto
1. - Il giudice a quo, investito di ricorsi ex art.
700 c.p.c. da parte di gruppi sociali (Centro di
iniziativa giuridica P. Calamandrei e Lega per il
disarmo unilaterale), i quali chiedevano che fosse
disposta in via d'urgenza la trasmissione di programmi
dell'accesso ad essi inibita, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale, in riferimento agli
artt. 21 e 43 Cost., nonché in riferimento agli artt.
24 e 102 Cost, degli artt. 4, comma primo, capoverso
secondo, e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103. Ciò
in quanto ha ritenuto che l'accesso dei gruppi di
rilevante interesse sociale al mezzo televisivo ex
art. 6, comma primo, legge su indicata, é strutturato
dalle impugnate disposizioni - mediante l'affidamento
delle relative decisioni alla Sottocommissione
permanente, istituita ai sensi dell'art. 6, comma
terzo, stessa legge, nell'ambito della Commissione
parlamentare di indirizzo e vigilanza di cui agli
artt. 1 e 4 stessa legge e, in via di ricorso, ex art.
6, comma quinto, e 4, comma primo, capoverso secondo,
stessa legge, alla Commissione - in modo tale da
essere rimesso all'esercizio di poteri dei detti
organi insindacabile da parte di qualsiasi giudice.
Ha argomentato al riguardo:
I) in punto di rilevanza, affermando la necessaria
pregiudizialità della questione, in quanto
concernente la presupposta esclusione della
giurisdizione, rispetto all'esercizio dei poteri
giurisdizionali sollecitato dai ricorrenti;
II) in punto a non manifesta infondatezza,
prospettando la grave lesione che la presupposta
insindacabilità dei poteri della sottocommissione e
della Commissione parlamentare, specie se esercitati
in relazione al contenuto dei programmi dell'accesso,
verrebbe a spiegare: a) tanto in danno del valore,
protetto dall'art. 24 Cost., della difesa davanti a un
giudice (valore non soddisfatto adeguatamente neppure
nel caso di ravvisata autodichiarazione delle
Commissioni, peraltro a sua volta sospetta di
illegittimità ex art. 102 Cost.); b) tanto in danno
della stessa libertà di manifestazione del pensiero,
tenuto conto, sotto quest'ultimo aspetto, che
l'effettività dell'accesso appare considerata da
questa Corte, con la sentenza n. 225 del 1974, come
strumento del pluralismo ideologico dell'informazione.
2. - Non può negarsi che il servizio
radiotelevisivo (definito dalla legge come servizio
pubblico essenziale a carattere di preminente
interesse generale in evidente riferimento alla
problematica della legittimità della riserva statale
sotto il profilo di cui agli artt. 41 e 43 Cost.) é
un servizio sociale, in quanto diretto ad assicurare,
agevolando la circolazione delle idee, l'effettività
della libera manifestazione del pensiero e della
libera informazione, considerate come due aspetti
essenziali ed inscindibili di un unico valore
costituzionalmente protetto in via primaria dall'art.
21 Cost. Ora, attraverso il dubbio prospettato dal
giudice a quo, viene a profilarsi l'ampio problema se
l'esclusione della giustiziabilità della pretesa
avente per oggetto l'accesso al detto servizio sia
compatibile per un verso con la garanzia
costituzionale della difesa, ma per altro verso,
tenuto conto del ruolo che tale garanzia assume
rispetto all'effettività su indicata, con lo stesso
valore costituzionalmente protetto cui essa si
riferisce. La sostanza del dubbio é se il solo
elevato grado di democraticità rappresentativa, che
il servizio sociale in parola ripete dalla sua
strutturazione nell'orbita del Parlamento ("parlamentarizzazione"),
valga a sottrarre il suo funzionamento ad ogni
sindacato esterno senza danno o pericolo per quel
valore che il servizio é volto a promuovere in
relazione a tutte le manifestazioni del pluralismo
sociale e ideologico, ivi comprese, ed anzi
particolarmente, quelle minoritarie o addirittura non
aventi voce in Parlamento.
3. - L'Avvocatura dello Stato, costituitasi per la
Presidenza del Consiglio e per la Commissione
parlamentare, e la RAI hanno eccepito
l'inammissibilità della questione. Al riguardo esse
hanno osservato che nel caso sottoposto all'esame del
Pretore si trattava non già di gruppi aspiranti
all'accesso, cui fosse stato opposto senz'altro
diniego, ma di gruppi già ammessi all'accesso, i cui
programmi peraltro non furono poi trasmessi perché
ritenuti contrastanti con quanto prescritto dall'art.
6, penultimo comma, della legge n. 103 del 1975. Ciò
implicherebbe l'irrilevanza del dubbio, riferito
all'accesso in generale.
L'eccezione é fondata.
Per la verità il Pretore ha preso atto della
particolarità prospettata con l'eccezione (definendo
il rifiuto di trasmissione come revoca della già
disposta ammissione). Tuttavia ha ritenuto che il
nuovo comportamento o atto della sottocommissione
(ovvero la decisione negativa della Commissione su
ricorso proposto dagli interessati) costituisse frutto
dell'esercizio del medesimo potere, anziché essere
espressione di un distinto potere dell'autorità
preposta all'accesso, con correlata configurabilità
di una situazione del gruppo ammesso affatto distinta
da quella dei meri aspiranti all'accesso, e per
avventura giustiziabile, come ha sostenuto la difesa
della RAI.
Ne deriva, a giudizio della Corte, l'irrilevanza
della questione come posta in via generale, giacché
il particolare aspetto in cui la questione si
presentava in concreto, o almeno la specifica
considerazione di tale aspetto, poteva influire sulla
decisione.
La questione va, dunque, dichiarata inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 4, comma primo, capoverso
secondo, e 6 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove
norme in materia di diffusione radiofonica e
televisiva), sollevata, in riferimento agli artt. 21,
43, 24 e 102 Cost., dal Pretore di Roma con
l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio
1987.
Il Presidente: LA PERGOLA
Il Redattore: CORASANITI
Depositata in cancelleria il 25 maggio 1987.
Il direttore della cancelleria: VITALE
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