REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Giuseppe BORZELLINO
Giudici
Dott. Francesco GRECO
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale degli artt. 2, 3, 15, 16 e 19 della
legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato), promosso con
ordinanza emessa il 3 marzo 1992 dal tribunale di
Firenze nel procedimento civile vertente tra la
Telemaremma s.r.l. e l'Amministrazione delle PP.TT.,
iscritta al n. 183 del registro ordinanze 1992 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1992.
Visto l'atto di costituzione della
Telemaremma s.r.l.
nonchè l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3
novembre 1992 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;
uditi gli Avvocati Felice Vaccaro e
Carlo Mezzanotte per la Telemaremma s.r.l. e
l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il
Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
l.- Nel corso di un procedimento
civile iniziato a seguito dell'emanazione di un
provvedimento pretorile d'urgenza, adottato sulla base
dell'art. 700 del codice di procedura civile, il
tribunale di Firenze ha sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 15, 16 e
19 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato), in
riferimento agli artt.3, 15, 21 e 41 della
Costituzione.
Il tribunale di Firenze ricorda che
il giudizio a quo è stato instaurato in conseguenza
di un provvedimento cautelare d'urgenza, con il quale
il pretore aveva intimato all'amministrazione delle
poste e telegrafi di non dare attuazione all'ordine di
disattivazione dell'impianto radioelettrico esercitato
dalla società a responsabilità limitata Telemaremma
sulla frequenza 67 VHF, essendo quest'ultima assegnata
con decreto ministeriale 31 gennaio 1983 al Ministero
della difesa per il servizio fisso e al Ministero
delle poste e telecomunicazioni per il servizio di
radiodiffusione. Durante il predetto giudizio, mentre
la società attrice sosteneva di esser titolare di un
diritto soggettivo pieno, grazie al quale poteva
invocare la tutela del giudice ordinario di fronte
alla carenza di potere della pubblica amministrazione,
l'Avvocatura dello Stato, invece, eccepiva il difetto
di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Intervenuta la legge n. 223 del 1990, le parti
precisavano le loro richieste, nel senso che, mentre
la resistente domandava una pronunzia di cessazione
della materia del contendere, la società Telemaremma
prospettava l'illegittimità costituzionale delle
norme sopravvenute istitutive del principio della
concessione nei confronti dei privati.
Nell'accogliere quest'ultima
richiesta, il giudice a quo ha sollevato la questione
di costituzionalità sopra indicata, precisando che
quest'ultima appare rilevante anche per giungere,
eventualmente, alla declaratoria della sopravvenuta
cessazione della materia del contendere.
L'applicabilità delle norme
impugnate, infatti, deve essere valutata, secondo il
giudice a quo, in relazione alla presentazione, ad
opera della parte attrice, della domanda di
concessione ai sensi dell'art. 32 della legge n. 223
del 1990, al fine di essere inclusa fra coloro che
sono autorizzati ex lege a continuare provvisoriamente
l'attività di radiotelediffusione in svolgimento al
momento di entrata in vigore della legge medesima.
Sicchè, essendo documentato che la società
Telemaremma aveva installato il proprio impianto
trasmittente anteriormente all'entrata in vigore della
predetta legge ed essendo indiscutibile che oggetto
del giudizio a quo è tanto la valutazione della
legittimità del comportamento della pubblica
amministrazione di fronte alla posizione soggettiva
vantata dalla parte attrice, quanto la decisione sulla
validità del titolo di quest'ultima in ordine alla
continuazione della propria attività, non dovrebbe
dubitarsi della sussistenza della rilevanza in ordine
alla sollevata questione.
Sul merito della questione, il
tribunale di Firenze osserva che, alla luce della
giurisprudenza costituzionale, l'esercizio di impianti
di radio- e tele-diffusione va configurato come un
diritto soggettivo perfetto discendente dall'art. 21
della Costituzione ed è, pertanto, tutelato come
posizione soggettiva assoluta, collegata alla prima e
massima espressione della libertà individuale, la cui
limitazione, come si deduce anche dall'art. 15 della
Costituzione in relazione a tutte le "forme di
comunicazione", può avvenire soltanto attraverso
un atto motivato dell'autorità giudiziaria.
L'attività del privato che
esercita un'impresa di trasmissione di programmi
radiotelevisivi è tutelata anche dall'art. 41 della
Costituzione, che, nel garantire la libertà
d'iniziativa economica privata, ammette limiti e
controlli sulla stessa soltanto per motivi d'utilità
sociale e per fini sociali. Sotto tale profilo, l'art.
32 della legge n. 223 del 1990, che permette, a favore
di coloro che al momento dell'entrata in vigore della
legge operino in situazione di oligopolio di fatto e
che presentino entro un certo termine la richiesta
della concessione, la prosecuzione dell'esercizio
della emittenza in regime autorizzatorio (fino al
momento del rilascio o del diniego della concessione),
non parrebbe garantire a tutti i privati la possibilità
di accesso a tali attività economiche, né
conterrebbe limiti conformi a Costituzione, per il
fatto che non si vede quali fini di utilità sociale
si perseguono con la protezione delle situazioni in
atto.
Alla violazione dell'art. 41 della
Costituzione si aggiunge quella dell'art. 3 della
stessa Carta costituzionale, poiché la possibilità
di accesso alle suddette attività economiche non
sembra affatto garantita a tutti su un piano di parità
sostanziale.
Secondo il giudice a quo, il punto
cruciale delle censure mosse sta in quelle
disposizioni della legge n. 223 del 1990 che
stabiliscono la necessità di un regime fondato sulla
concessione. Sulla base delle sentenze nn. 202 del
1976, 237 del 1984 e, soprattutto, 1030 del 1988,
l'installazione e l'esercizio di stazioni
radioelettriche potevano essere soggetti, nell'ambito
di un regime basato sulla riserva statale, soltanto a
"licenza", cioè a una species del genus
"autorizzazione". Il sistema della legge n.
223 del 1990, pur non avendo più come suo quadro di
riferimento un regime di monopolio statale, bensì uno
di "regime misto", è invece
contraddittoriamente incentrato sul principio della
concessione amministrativa, il quale, nel presupporre
l'attribuzione di poteri e facoltà, propri del
concedente, amplianti una situazione giuridica,
postula l'esistenza di un mero interesse legittimo del
privato, ontologicamente diverso dal diritto
soggettivo perfetto indicato dalla giurisprudenza
costituzionale. Questa configurazione, apparentemente
contraria alla Costituzione, comporta, secondo il
giudice a quo, che la tutela della posizione giuridica
in questione sia illegittimamente sottratta alla
giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.
Alla luce di tali osservazioni,
continua lo stesso giudice, appare contrastante con la
Costituzione, oltrechè contraddittorio e irrazionale,
anche il sistema del "doppio binario",
stabilito dall'art. 2 e richiamato dall'art. 38 della
legge n. 223 del 1990, in virtù del quale, mentre per
l'esercizio di impianti radiotelevisivi è prescritta
la concessione, per le imprese che ripetano o
diffondano nel territorio italiano programmi esteri è,
invece, prevista la perpetuazione del sistema
autorizzatorio di cui alla legge 14 aprile 1975, n.
103, e successive modificazioni. Questa disparità,
per la quale l'attività di radiotrasmissione tele
visiva è soggetta a concessione e quella di mera
ripetizione di programmi esteri è espressione di un
diritto soggettivo, non appare giustificata,
considerato che entrambe utilizzano le medesime forme
di comunicazione e si riferiscono alle medesime libertà
costituzionali garantite dagli artt. 21 e 41 della
Costituzione.
Per altro verso, prosegue il
giudice a quo, sussiste una ulteriore disparità di
trattamento tra le stesse attività a causa
dell'inesistenza di una "proporzionalità"
fra di loro sul piano della tutela accordabile.
Infatti, poichè il legislatore non ha individuato un
modo di convivenza fra le imprese di radiodiffusione
televisiva e quelle di ripetizione di programmi esteri
(lasciando, peraltro, irrisolto anche il problema
delle imprese "miste"), potrebbe darsi che
le seconde vengano ad occupare lo spettro
radioelettrico disponibile a danno delle prime, con
conseguente sacrificio totale della posizione
soggettiva di queste ultime.
Sussiste, infine, ancora un altro
profilo di disparità di trattamento nella citata
disciplina transitoria disposta dall'art. 32 della
legge n. 223 del 1990. Questa, infatti, con esclusivo
riferimento agli impianti esistenti, non distingue
affatto tra radiodiffusione televisiva e ripetizione,
sancendo per entrambe la sufficienza
dell'autorizzazione ai soli fini della prosecuzione
dell'esercizio.
2. Nel giudizio innanzi a questa
Corte si è costituita la Telemaremma s.r.l., per
chiedere l'accoglimento della questione sollevata.
Dopo aver ricostruito le vicende
che hanno portato all'attuale giudizio e dopo aver
sottolineato che nella controversia, iniziata sotto
l'impero della legge 4 febbraio 1985 n. 10, la società
attrice ha sempre difeso la sua posizione di diritto
soggettivo pieno (con la conseguente inesistenza dei
poteri di intervento della pubblica amministrazione),
essendo un imprenditore radiodiffusivo privato non
operante in ambito riservato alla concessionaria di
Stato, la difesa della parte privata ha osservato che,
intervenuta la legge n. 223 del 1990, la sua pretesa a
veder accertata la propria posizione di diritto
soggettivo non poteva dirsi soddisfatta dall'art. 32
di quella legge, che le consente la prosecuzione
dell'attività in regime autorizzatorio sulla base
della più tenue posizione soggettiva di potenziale
aspirante a una concessione.
La società Telemaremma sostiene
che il sistema introdotto dagli artt. 2, 3, 15, 16, 19
e 32 (che in parte qua deve considerarsi impugnato, in
quanto richiamato nella motivazione dell'ordinanza di
rimessione) configura un assetto normativo inadeguato
ai valori costituzionali relativi all'attività di
radiodiffusione privata. La concessione, infatti, nel
postulare che i poteri e le facoltà del privato non
siano originariamente appartenenti alla sua sfera
giuridica, suppone che sia lo Stato, e non il privato
cittadino, il vero titolare della situazione giuridica
soggettiva garantita dall'art. 21 della Costituzione.
Non v'è dubbio, continua la stessa parte privata,
che, all'interno di un sistema che riservava allo
Stato l'attività di emittenza radiotelevisiva,
qualificandola come servizio pubblico essenziale ai
sensi dell'art. 43 della Costituzione, la concessione
appariva del tutto adeguata a rappresentare la
posizione della impresa esercente l'attività
radiotelevisiva in relazione a quella dello Stato,
poichè si tratta di un istituto cui è connaturata
l'idea di attività esercitata per un fine pubblico
trascendente la posizione del concessionario e basata
su un atto di "trasferimento" di poteri di
cui è titolare lo Stato. Ma, dopo che si è passati a
un regime, come l'attuale, nel quale la posizione del
privato ha un autonomo fondamento costituzionale negli
artt.21 e 41 della Costituzione, lo schema concessorio
finisce per esprimere, ad avviso della società
Telemaremma, una concezione autoritaria dei rapporti
fra Stato e privati, che confligge con quei valori
costituzionali, in quanto assimila un'attività in
principio libera a un servizio statale o a un'attività
comunque ordinata al perseguimento di preminenti
interessi pubblici.
Se la disciplina impugnata,
prosegue la parte privata, fa sorgere forti dubbi di
legittimità costituzionale in riferimento agli artt.
3 e 41 della Costituzione, a causa dell'evidente
incapacità dell'istituto concessorio di esser
coerente con un sistema normativo che ha il suo centro
nel cittadino imprenditore anzichè nello Stato, tali
dubbi diventano certezza se si considera l'assolutezza
della libertà di manifestazione del proprio pensiero
garantita dall'art. 21 della Costituzione: la
concessione, sotto quest'ultimo profilo, appare il
frutto di un'ideologia monopolistica che tende a
perpetuare i propri istituti e ad esportarli al di là
dei confini del servizio pubblico nell'area
appartenente alla libertà dei cittadini. Ad avviso
della società Telemaremma, il diritto dei privati
garantito dall'art. 21 della Costituzione finisce per
perdere, in forza della previsione della concessione,
la certezza del suo contenuto e dei suoi confini
(essendo esso compatibile soltanto con un'attività
della pubblica amministrazione di mero accertamento o,
comunque, strettamente vincolata dalla legge) e per
essere sottratto alla riserva di giurisdizione
dell'autorità giudiziaria ordinaria, che costituisce
un'indefettibile garanzia dei diritti di libertà
costituzionali (artt. 13, 14, 15), compreso quello
concernente la libertà di diffusione del pensiero.
3. Si è costituito in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che
la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque,
infondata.
L'Avvocatura dello Stato osserva,
innanzitutto, che la questione sollevata è
inammissibile, poichè appare priva di qualsiasi
legame di pregiudizialità con il giudizio principale.
In quest'ultimo, infatti, deve farsi applicazione, non
già di qualcuna delle norme denunziate (artt. 2, 3,
15, 16 e 19), ma solo degli artt. 32 e seguenti, che
peraltro non hanno formato oggetto di censura.
Un secondo motivo di inammissibilità
è individuato nel palese difetto di giurisdizione del
giudice a quo, considerato che la Corte di cassazione
ha reiteratamente affermato la giurisdizione del
giudice amministrativo in ragione del potere della
pubblica amministrazione di governare l'etere a tutela
del pubblico interesse.
Infine, un ulteriore profilo di
inammissibilità è prospettato dall'Avvocatura dello
Stato in relazione alla natura ancipite dell'ordinanza
di rimessione, poichè questa, mentre, da un lato,
lamenta l'illogicità del distinto regime cui è
soggetta l'attività di radiotrasmissione (sottoposta
a concessione) rispetto a quella di ripetizione di
programmi esteri (sottoposta ad autorizzazione),
dall'altro, prospetta l'irrazionalità della
disciplina transitoria, che non distingue, rispetto
agli impianti già esistenti, fra radiotelediffusione
e ripetizione (sottoponendo l'una e l'altra al regime
dell'autorizzazione).
Nel merito, continua la difesa
erariale, la questione appare infondata alla luce
della stessa giurisprudenza costituzionale, la quale
ha sempre negato un diritto soggettivo del privato
all'assegnazione delle bande di frequenza, essendo
l'etere un bene comune naturalmente limitato e non
fruibile da tutti in modo indiscriminato
(v.specialmente sent. n. 1030 del 1988). Secondo
l'Avvocatura dello Stato, lo strumento della
concessione risponde adeguatamente al preminente
interesse generale che governa la materia e che è
ribadito dall'art. 1 della legge n. 223 del 1990 al
fine di assicurare un'informazione ispirata al
pluralismo delle fonti: attraverso gli obblighi di
comportamento, i divieti e i limiti imposti ai
concessionari, infatti, sarebberoassicurate la
migliore utilizzazione delle risorse disponibili e la
realizzazione dei valori costituzionali ricordati
nell'art. 1, comma secondo, della legge appena citata.
Ad avviso dell'Avvocatura dello
Stato, l'equiparazione, comportata dall'art.32 della
legge n. 223 del 1990, fra i concessionari in ambito
privato e i titolari di autorizzazione alla
ripetizione di programmi esteri, ai sensi dell'art. 38
della legge 14 aprile 1975 n. 103, va giustificata, poiché
è disposta al fine di evitare la concentrazione in
un'unica mano delle risorse disponibili (non
illimitate) e di salvaguardare i valori costituzionali
prima ricordati.
Infine, l'Avvocatura dello Stato
osserva che è ultroneo prospettare questioni in
ordine alla disciplina transitoria (ormai prossima
all'esaurimento), poiché nell'ambito di quest'ultima
non v'è rilascio di concessioni o di autorizzazioni,
ma sussiste soltanto una temporanea legittimazione ex
lege di coloro che già utilizzavano preesistenti
impianti in attesa dell'approvazione del piano
nazionale di ripartizione e di assegnazione delle
frequenze.
4. In prossimità dell'udienza la
difesa di Telemaremma s.r.l. ha depositato una memoria
con la quale insiste nella propria richiesta di
accoglimento.
Dopo aver ribadito, in linea di
fatto, che l'estensione della propria telediffusione
alla frequenza 67 VHF è stata dettata dall'esigenza
di rendere economicamente utile la gestione
dell'azienda e che l'uso della stessa, iniziato nel
1984, è stato a lungo pacifico e ininterrotto, la
difesa della parte privata si sofferma, innanzitutto,
a replicare alle eccezioni di inammissibilità
formulate dall'Avvocatura dello Stato.
In ordine alla asserita mancanza di
pregiudizialità e di rilevanza, la parte privata
osserva che il caso presente è sostanzialmente
diverso da quello giudicato inammissibile con una
precedente sentenza di questa Corte.
Allora, infatti, si era nell'ambito
di un giudizio cautelare, un giudizio, cioè, il cui
unico fine è assicurare al ricorrente un
provvedimento pretorile d'urgenza diretto a inibire la
disattivazione dell'impianto e a permettere
provvisoriamente la continuazione dell'attività in
attesa del futuro giudizio di merito. Sicché,
intervenuta la legge n.223 del 1990, la quale,
all'art. 32, consente agli esercenti di fatto, che
propongano entro un certo termine domanda di
concessione, la prosecuzione dell'esercizio degli
impianti, si era conseguentemente prodotto l'integrale
esaurimento della pretesa dedotta dal ricorrente nel
procedimento cautelare, dal momento che la nuova
disciplina esclude che l'impianto del ricorrente possa
subire il pericolo di una disattivazione d'autorità
da parte della pubblica amministrazione.
Diverso è, per la parte privata,
il giudizio dal quale sorge l'attuale incidente di
costituzionalità. In tal caso, infatti, non si versa
in un procedimento cautelare, diretto a mantenere
l'attivazione in via provvisoria dell'impianto, ma si
è in sede di giudizio di merito, nel quale ha
esclusiva rilevanza ciò che prima non l'aveva: vale a
dire, l'accertamento stabile della posizione di
diritto soggettivo pieno del ricorrente, da adottare
con un provvedimento suscettibile di acquistare
autorità di cosa giudicata anche nei confronti della
pubblica amministrazione. E, conclude sul punto la
parte privata, poiché a tale accertamento si oppone
la legge n. 223 del 1990, intervenuta nelle more del
giudizio con una disciplina che configura l'esercizio
privato dell'attività di radiodiffusione con propri
impianti come interesse legittimo, anziché come
diritto soggettivo, appare evidente la pregiudizialità
e la rilevanza della questione di costituzionalità
sollevata in ordine al richiesto accertamento della
sussistenza di un diritto soggettivo pieno
(accertamento rispetto al quale non sarebbe certo
satisfattiva una dichiarazione di cessazione della
materia del contendere, di fronte a una legge che nega
l'esistenza di un diritto del privato, degradandolo a
una posizione precaria e condizionata all'eventuale
futuro rilascio di un provvedimento concessorio).
Con riferimento al merito della
questione, la stessa difesa sviluppa tesi già esposte
nell'atto di costituzione, sottolineando, in
particolare, sia che la concessione postula che i
poteri e le facoltà del privato non siano
originariamente appartenenti alla sua sfera giuridica
(come, invece, richiede l'art. 21 della Costituzione),
sia che, una volta che la legge n. 223 del 1990 ha
escluso l'attività privata di emittenza
radiotelevisiva dalla configurazione come servizio
pubblico (essendo quest'ultimo riservato a una società
d'interesse nazionale), i limiti alla predetta attività
vanno rinvenuti, non già nell'art. 43 della
Costituzione, ma negli artt. 21 e 41 della stessa
Carta costituzionale. Sotto quest'ultimo profilo,
conclude la parte privata, poichè l'attività di
impresa radiotelevisiva è attività organizzata per
la diffusione del pensiero, la previsione della
concessione appare incongruente con i valori di libertà
di manifestazione del pensiero e d'iniziativa
economica privata, nonchè con le relative garanzie
costituzionali (riserva di legge e riserva di
giurisdizione).
5. Anche il Presidente del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria in
prossimità dell'udienza, con la quale insiste nelle
proprie richieste di inammissibilità e, comunque,
d'infondatezza.
Precisato che l'oggetto della
questione di costituzionalità è dato dalle
disposizioni contenute negli artt. 2, 3, 15, 16, 19 e
32 della legge n.223 del 1990, l'Avvocatura dello
Stato ritiene non superabile l'eccezione
d'inammissibilità per irrilevanza sotto altro
profilo. A suo avviso, infatti, la disciplina
concessoria non concorrerebbe in alcun modo a
qualificare la situazione soggettiva della società
Telemaremma, così come non influirebbe su
quest'ultima la legittimazione all'esercizio degli
impianti accordata in via provvisoria dall'art. 32
(tanto più che la stessa società sarebbe utilmente
collocata nella graduatoria delle emittenti aventi
titolo alla concessione in ambito locale).
Riguardo al merito della questione,
premesso che, per costante giurisprudenza
costituzionale, il diritto garantito dall'art. 21
della Costituzione non comprende quello di disporre di
tutti i possibili mezzi di diffusione e non è
configurabile come diritto soggettivo all'assegnazione
di frequenze, l'Avvocatura dello Stato precisa che, in
proposito, occorre distinguere fra la libertà della
comunicazione effettuabile con l'impianto (modo di uso
del segnale) e la posizione di interesse all'esercizio
dell'impianto stesso, implicante la disponibilità
esclusiva di determinate utilità (frequenze) di un
bene comune (etere).
Sulla base di tale distinzione,
continua la stessa difesa, poiché devono ritenersi
inattendibili le tesi configuranti l'etere come res
nullius, le cui utilitates (frequenze) sarebbero
suscettibili di appropriazione mediante occupazione, e
poiché l'etere va configurato, piuttosto, come res
communis omnium, le cui utilità possono essere fruite
da taluno in via esclusiva soltanto in forza di un
titolo concessorio rilasciato dall'autorità che ne ha
il governo, un regime basato sulla concessione appare
giustificato, non certo in ragione di una riserva
statale del settore ovvero in virtù
dell'anteposizione dei valori consacrati nell'art. 41
rispetto a quelli espressi dall'art. 21 della
Costituzione, bensì grazie all'esigenza di assicurare
l'uso esclusivo di (determinate porzioni di) un bene
comune ai fini della radiodiffusione televisiva,
nell'impossibilità di un'utilizzazione plurima o
indiscriminata dello stesso.
Da ultimo, l'Avvocatura dello
Stato, ribadita la non comparabilità dell'emittenza
nazionale con la ripetizione di segnali esteri,
ricorda ancora che la concessione è altresì
finalizzata a imporre l'uso e lo sfruttamento delle
risorse comuni in rispondenza a specifici interessi di
carattere generale e nel rispetto delle condizioni
tecniche e giuridiche e dei principi idonei ad attuare
i valori costituzionali e gli obblighi internazionali.
Considerato in diritto
l.- Nel corso di un procedimento
civile, instaurato dopo che il pretore aveva sospeso,
ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura civile,
l'ordine dell'amministrazione postale di disattivare
l'impianto radioelettrico esercitato da Telemaremma
s.r.l., il tribunale di Firenze ha sollevato varie
questioni di legittimità costituzionale nei confronti
degli artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32 della legge 6 agosto
1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato), ritenendoli di dubbia conformità
rispetto agli artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione.
2.- In via pregiudiziale,
l'Avvocatura generale dello Stato ha formulato tre
distinte eccezioni di inammissibilità, che, tuttavia,
non possono essere accolte.
Non può condividersi,
innanzitutto, l'eccezione secondo la quale il giudizio
di costituzionalità dovrebbe esser dichiarato
inammissibile a causa di un macroscopico difetto di
giurisdizione del giudice a quo, anche in
considerazione delle reiterate affermazioni della
giurisprudenza di merito circa la natura di interesse
legittimo ascrivibile alla posizione giuridica del
privato che esercita impianti di radiodiffusione
televisiva.
Questa Corte ha già ammesso al
riguardo (v. sent. n. 314 del 1992) che, se un giudice
ordinario dubita, sotto il profilo della legittimità
costituzionale, della qualificazione giuridica di
quella posizione soggettiva come interesse legittimo e
ritiene, sempre sotto il profilo della legittimità
costituzionale, che la stessa posizione debba esser
definita come diritto soggettivo, allora il sollevare
la relativa questione di costituzionalità risulta
certamente pregiudiziale rispetto alla pronunzia sulla
propria giurisidizione. Quest'ultima, infatti, è
certamente condizionata dalla risoluzione di quel
dubbio di costituzionalità, dal momento che, ove la
questione fosse accolta, il giudice a quo dovrebbe
riconoscere la propria giurisdizione, mentre, ove si
pervenisse a una pronuncia di rigetto, lo stesso
giudice dovrebbe dichiararsi privo di giurisdizione. Nè,
contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura dello
Stato, potrebbe condurre a un diverso avviso
l'esistenza di numerose sentenze che in proposito
ammettono la giurisdizione del giudice amministrativo,
sia perchè tale giurisprudenza si è formata sotto la
vigenza di una diversa legislazione, ispirata al
principio della riserva statale sull'intero settore
radiotelevisivo, sia perchè il giudice a quo afferma
motivatamente di dubitare di quell'orientamento sulla
scorta di una certa interpretazione delle norme
costituzionali di riferimento.
3.- Non fondata è pure l'altra
eccezione di inammissibilità formulata
dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale, poichè
dal "dispositivo" dell'ordinanza l'art. 32
della legge n. 223 del 1990 non risulterebbe essere
oggetto di contestazione e poichè la situazione
dedotta nel giudizio a quo sarebbe esclusivamente
regolata dall'articolo appena ricordato, il complesso
delle questioni sollevate mancherebbe del necessario
requisito della rilevanza.
In proposito occorre precisare che
la premessa maggiore sulla quale poggia l'eccezione
ora esaminata non risponde al contenuto reale
dell'ordinanza di rimessione, ove questa sia
considerata, come deve esser considerata,
nell'integralità delle sue parti. L'art. 32, infatti,
è sicuramente ricompreso fra le disposizioni
sottoposte al presente giudizio, poiché esso è
espressamente menzionato nell'ordinanza come articolo
sospettato d'incostituzionalità in ben tre occasioni:
una prima volta, insieme alle varie disposizioni che
sanciscono il "principio della concessione",
sotto il profilo del loro complessivo possibile
contrasto con gli artt. 21 e 41 della Costituzione;
una seconda volta, come articolo a sé stante che il
giudice a quo ritiene di dubbia compatibilità con il
combinato disposto formato dagli artt. 3 e 41 della
Costituzione; infine, una terza volta, quando l'art.
32, riferito sia alle emittenti televisive sia ai
ripetitori di programmi esteri, è sospettato
d'incostituzionalità sotto il profilo della disparità
di trattamento (art. 3 della Costituzione).
4.- L'eccezione di inammissibilità
per irrilevanza non può essere accolta neppure sotto
il profilo diverso, peraltro alternativo a quello
esaminato nel punto immediatamente precedente,
illustrato dalla Avvocatura dello Stato nella memoria
depositata in prossimità dell'udienza. Non può,
infatti, condividersi il punto di vista di
quest'ultima, secondo il quale la situazione giuridica
soggettiva sul cui accertamento verte il giudizio a
quo non risulterebbe in alcun modo qualificata né
dall'autorizzazione provvisoria prevista dal ricordato
art. 32, né dalla disciplina concessoria contenuta
nella stessa legge.
Il processo principale è stato
promosso, sotto la vigenza del regime legislativo
anteriore a quello stabilito dalla legge n. 223 del
1990, su iniziativa della società Telemaremma, la
quale, dopo che il pretore di Firenze aveva
cautelarmente sospeso, ai sensi dell'art. 700 c.p.c.,
l'efficacia dell'ordine dell'amministrazione postale
di disattivare l'impianto esercitato dalla parte
attrice sulla frequenza 67 VHF, ha chiesto al
tribunale di Firenze che fosse riconosciuto il suo
diritto soggettivo di radiodiffusione televisiva
circolare e che fosse consequenzialmente dichiarata la
carenza di potere dell'amministrazione pubblica nei
con fronti dell'attività di trasmissione da essa
svolta sulla frequenza contestata. Intervenuta nelle
more del giudizio la legge n. 223 del 1990, le parti
hanno preso atto della nuova disciplina posta
dall'art. 32, a norma del quale "i privati che
alla data di entrata in vigore della presente legge
eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o
televisiva in ambito nazionale o locale e i connessi
collegamenti di telecomunicazione, sono autorizzati a
proseguire nell'esercizio degli impianti stessi, a
condizione che abbiano inoltrato domanda per il
rilascio della concessione di cui all'art. 16 entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge e fino al rilascio della concessione
stessa ovvero fino alla reiezione della domanda
(...)". Sulla base di tale disposizione, infatti,
mentre l'Avvocatura dello Stato chiedeva la cessazione
della materia del contendere, la parte attrice
eccepiva l'illegittimità costituzionale della nuova
disciplina, ritenendola incompatibile con la posizione
di diritto soggettivo che, a suo dire, le assicurava
l'art. 21 della Costituzione. Il giudice a quo
accoglieva quest'ultima eccezione e sollevava la
questione di costituzionalità oggetto del presente
giudizio, dopo aver valutato con esito affermativo la
rilevanza della stessa in quanto la società
Telemaremma era esercente di fatto dell'impianto
trasmittente sulla frequenza 67 VHF al momento
dell'entrata in vigore della nuova legge e la stessa
società aveva richiesto, nel termine prescritto, il
rilascio della concessione ai sensi dell'art. 16 della
nuova legge.
Considerato che oggetto del
giudizio principale è l'accertamento della posizione
giuridica soggettiva in ordine all'esercizio
dell'impianto di radiodiffusione televisiva sulla
frequenza 67 VHF, questa Corte non può non
condividere la valutazione sulla rilevanza operata dal
giudice a quo, poichè non è implausibile che l'art.
32 della legge n. 223 del 1990 sia ritenuto
applicabile nella controversia pendente di fronte al
tribunale di Firenze, essendo diretto tale articolo a
modificare il titolo di legittimazione per la
prosecuzione, da parte dei privati, dell'attività di
radiodiffusione televisiva. Diverso sarebbe stato il
caso ove la questione fosse stata sollevata nel corso
del giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c. (v. sent. n.
314 del 1992), poichè, essendo quest'ultimo
preordinato, non già all'accertamento del diritto
contestato, ma alla mera assicurazione in via
provvisoria degli effetti della futura decisione sul
merito di fronte al pericolo di danni irreparabili,
sarebbe mancato del tutto il necessario legame di
pregiudizialità fra la disciplina normativa posta
dall'art. 32 in ordine alla posizione giuridica
soggettiva degli esercenti gli impianti
radiotelevisivi e la tutela dell'attività di
radiodiffusione televisiva accordabile attraverso il
giudizio previsto all'art. 700 c.p.c..
Per quanto riguarda, poi, la
rilevanza delle disposizioni dirette a stabilire il
"principio della concessione" nei confronti
dei privati (artt. 2, 3, 15, 16 e 19), occorre
osservare che l'applicabilità nel giudizio principale
dell'art. 32 comporta altresì l'influenza rispetto
allo stesso delle norme ora considerate, dal momento
che l'autorizzazione ex lege alla prosecuzione in via
provvisoria dell'attività di radiodiffusione
televisiva è condizionata, quanto al titolo, dal
presupposto dell'avvenuta presentazione della domanda
per il rilascio della concessione. Da ciò consegue
che l'ipotizzato accoglimento dei dubbi di
costituzionalità relativi al "principio della
concessione" farebbe venir meno anche la
condizione legittimante per esser autorizzati ex lege
alla prosecuzione dell'esercizio degli impianti di
radiodiffusione televisiva, con evidente incidenza
sulla posizione soggettiva al cui accertamento è
finalizzato il processo principale.
5.- Va, infine, escluso che
l'ordinanza di rimessione possa esser ritenuta
contraddittoria e, quindi, inammissibile, per aver
lamentato, per un verso, l'illogicità del distinto
regime cui sono soggette le attività di
radiodiffusione televisiva (sottoposte a concessione)
e quelle di ripetizione di programmi esteri
(sottoposte ad autorizzazione) e, per altro verso,
l'irrazionalità della disciplina transitoria, che per
gli impianti già esistenti prevede l'autorizzazione
tanto per le attività di radiodiffusione televisiva
quanto per quelle di ripetizione di programmi esteri.
L'ipotizzata contraddittorietà dell'ordinanza di
rimessione, infatti, non può essere condivisa, ove si
tenga conto che il giudice a quo solleva due distinti,
ma non contrastanti, dubbi di costituzionalità, in
ordine a due diverse discipline: da un lato, in ordine
alla disciplina a regime, egli sospetta che
mancherebbe una "proporzionalità" fra il
trattamento delle attività di radiodiffusione
televisiva, configurate come interesse legittimo, e le
attività di ripetizione di programmi esteri, che
assume essere svolgimento di un diritto soggettivo;
dall'altro lato, in ordine alla disciplina
transitoria, egli rileva che le attività di
radiodiffusione televisiva sono ritenute
irragionevolmente equiparate con quelle di ripetizione
dei programmi esteri.
6.- Nel merito, la questione di
costituzionalità sollevata nei confronti degli artt.
2, 3, 15, 16 e 32 della legge n. 223 del 1990 per
violazione degli artt. 21 e 41 della Costituzione non
è fondata.
In via di premessa occorre
osservare che non può condividersi la posizione del
giudice a quo, secondo la quale, muovendo dall'assunto
che l'art. 21 della Costituzione garantisce un diritto
soggettivo perfetto, sarebbe compatibile con
quest'ultimo soltanto un regime autorizzatorio, e non
certo uno di tipo concessorio. Questa posizione parte
evidentemente dal presupposto che la nozione di
autorizzazione amministrativa sia in ogni caso
coincidente con il suo significato più tradizionale,
consistente in un provvedimento diretto a rimuovere un
limite all'esercizio di un diritto.
Solo se si accetta tale
significato, infatti, si può sostenere che soltanto
un regime autorizzatorio presuppone la preesistenza di
un diritto proprio del privato e non produce alcun
effetto "costitutivo" nella sfera giuridica
di quest'ultimo.
In realtà, questa Corte, anche
sulla scorta dell'analisi di una dottrina sempre più
imponente, ha già affermato che sussistono numerose
ipotesi di diritto positivo, anche nell'ambito della
materia radiotelevisiva, nelle quali la configurazione
dell'autorizzazione amministrativa è tale da non
comportare semplicemente la rimozione di un limite
all'esercizio di un preesistente diritto (v. sent. n.
153 del 1987). Da ciò consegue che l'opposizione fra
autorizzazione e concessione perde in molti casi
consistenza in relazione al carattere
"costitutivo", o meno, del provvedimento,
cosicchè cade anche la possibilità di contrapporre,
almeno in via generale, il regime autorizzatorio a
quello concessorio, al fine di affermare la presunta
compatibilità del primo con la garanzia di un diritto
soggettivo e, viceversa, l'incompatibilità con
quest'ultima di un regime concessorio.
Ciò posto, compito di questa Corte
è verificare la conformità con i principi contenuti
negli artt. 21 e 41 della Costituzione del regime di
controllo pubblico dell'attività di radiodiffusione
televisiva privata previsto dagli articoli della legge
n. 223 del 1990 oggetto di contestazione, regime che
ha il suo perno nel provvedimento che le disposizioni
ora richiamate denominano "concessione".
7.- Questa Corte ha costantemente
affermato che la Costituzione, all'art. 21, riconosce
e garantisce a tutti la libertà di manifestare il
proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione e
che tale libertà ricomprende tanto il diritto di
informare, quanto il diritto di essere informati (v.,
ad esempio, sentt. nn. 202 del 1976, 148 del 1981, 826
del 1988). L'art. 21, come la Corte ha avuto modo di
precisare, colloca la predetta libertà tra i valori
primari, assistiti dalla clausola dell'inviolabilità
(art. 2 della Costituzione), i quali, in ragione del
loro contenuto, in linea generale si traducono
direttamente e immediatamente in diritti soggettivi
dell'individuo, di carattere assoluto.
Tuttavia, l'attuazione di tali
valori fondamentali nei rapporti della vita comporta
una serie di relativizzazioni, alcune delle quali
derivano da precisi vincoli di ordine costituzionale,
altre da particolari fisionomie della realtà nella
quale quei valori sono chiamati ad attuarsi.
Sotto il primo profilo, questa
Corte ha da tempo affermato che il "diritto
all'informazione" va determinato e qualificato in
riferimento ai principi fondanti della forma di Stato
delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la
nostra democrazia sia basata su una libera opinione
pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la
pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà
generale. Di qui deriva l'imperativo costituzionale
che il "diritto all'informazione" garantito
dall'art. 21 sia qualificato e caratterizzato: a) dal
pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e
notizie - che comporta, fra l'altro, il vincolo al
legislatore di impedire la formazione di posizioni
dominanti e di favorire l'accesso nel sistema
radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci
diverse - in modo tale che il cittadino possa essere
messo in condizione di compiere le sue valutazioni
avendo presenti punti di vista differenti e
orientamenti culturali contrastanti; b)
dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati
forniti; c) dalla completezza, dalla correttezza e
dalla continuità dell'attività di informazione
erogata; d) dal rispetto della dignità umana,
dell'ordine pubblico, del buon costume e del libero
sviluppo psichico e morale dei minori.
Sotto il secondo profilo, costante
è l'affermazione nella giurisprudenza costituzionale
che il diritto di diffusione del proprio pensiero
attraverso il mezzo televisivo è fortemente
condizionato dai connotati empiricamente riferibili
all'uso di tale mezzo: connotati che, ove non fossero
adeguatamente regolati e disciplinati, rischierebbero
di trasformare l'esercizio di una libertà
costituzionale in una forma di prevaricazione o,
comunque, in un privilegio arbitrario. Fra questi
condizionamenti di fatto la Corte, sin dalle sue prime
pronunzie in materia, ha indicato la limitata
possibilità di utilizzare l'etere al fine della
radiotelecomunicazione circolare attraverso
l'irradiazione di onde in determinate gamme di
frequenza dello spettro radioelettrico (v. già sentt.
nn. 59 del 1960, 225 del 1974) o, più precisamente,
ha segnalato la sussistenza di una disponibilità
dell'etere non sufficiente a garantire un libero
accesso nello stesso (v., così, sent. n. 202 del
1976). In sentenze più recenti, la stessa Corte ha
aggiunto tra i condizionamenti di fatto anche
l'elevato costo dell'organizzazione delle attività
radiotelevisive e le ristrette possibilità di accesso
alle risorse tecnologiche (v. spec. sentt. nn. 148 del
1981, 826 del 1988).
Si tratta, in ogni caso, di
elementi, la cui sussistenza dipende da fattori
sociali, economici, giuridici e tecnici storicamente
variabili e, comunque, obiettivamente accertabili e la
cui verifica è demandata, innanzitutto, al
legislatore e, in sede di controllo sulle leggi, al
giudice di costituzionalità.
8.- Per lungo tempo il legislatore,
attraverso un uso del suo potere discrezionale
giudicato non irragionevole da questa Corte, ha
ritenuto che l'importanza dei condizionamenti di fatto
ora indicati fosse tale da giustificare una riserva
statale sull'intero settore radiotelevisivo. In
conseguenza di ciò la relativa attività era
complessivamente qualificata come servizio pubblico
essenziale e attribuita, per l'erogazione, a una
società concessionaria a prevalente partecipazione
statale, sottoposta a controlli e a direttive da parte
del Parlamento al fine di assicurare la realizzazione
dei valori costituzionali posti a tutela del
"diritto all'informazione" (pluralismo,
imparzialità, etc.). In tal modo, la garanzia offerta
dall'art. 21 della Costituzione alla libertà di
diffusione del proprio pensiero veniva saldamente
ancorata, per quel che riguarda il settore
radiotelevisivo, all'art. 43 della Costituzione, tanto
da rinvenire nel contenuto normativo di quest'ultimo i
profili organizzativi fondamentali del settore
medesimo, quali la riserva allo Stato, la connotazione
dell'attività di radiotelediffusione, in quanto tale,
come servizio pubblico essenziale, l'assegnazione
della gestione del servizio stesso attraverso la
concessione a una società diretta dallo Stato e,
infine, la previsione di ampi controlli e di poteri
d'indirizzo al fine di assicurare il preminente
interesse generale.
Nel suo discrezionale apprezzamento
delle condizioni in cui di fatto versava il settore
radiotelevisivo e delle più opportune modalità
dirette ad attuare i valori costituzionali prima
ricordati, il legislatore, adottando la legge n. 223
del 1990 (anche in attuazione della direttiva CEE n.
89/552), ha considerato, invece, che quei valori
potessero trovare adeguata realizzazione attraverso
l'istituzione di un sistema radiotelevisivo di tipo
"misto", cioé basato sul "concorso di
soggetti pubblici e privati" (art. 2). Questa
valutazione del legislatore muove evidentemente dalla
convinzione che, allo stato attuale dello sviluppo
tecnologico ed economico-sociale, la limitatezza nella
utilizzabilità delle frequenze per la
radiotelediffusione circolare e la relativa
ristrettezza delle possibilità di accesso alle
risorse necessarie per l'organizzazione delle attività
in questione sono tali da indurre a considerare gli
imprenditori privati, semprechè sottoposti a rigorose
condizioni d'ingresso e a predeterminati controlli,
come soggetti in grado di concorrere insieme al
servizio pubblico nella realizzazione dei valori
costituzionali posti a presidio dell'informazione
radiotelevisiva (v. artt. 1 e 2 della legge n. 223 del
1990).
9.- Il "principio della
concessione", che si enuclea dalle disposizioni
oggetto della contestazione in esame, rappresenta uno
snodo fondamentale nel sistema "misto"
delineato dalla legge n. 223 del 1990, nel quale sono
destinati a operare una "concessionaria
pubblica" e una delimitata pluralità di
"concessionari privati". In quel principio,
infatti, si riflettono le connotazioni essenziali del
rapporto tra i poteri pubblici di regolazione o di
controllo e le posizioni soggettive o le attività dei
singoli operatori del sistema.
E, poichè queste ultime godono in
Costituzione di una garanzia differenziata a seconda
che i loro titolari siano soggetti pubblici oppure
soggetti privati, il "principio della
concessione", se non intende porsi in contrasto
con le norme costituzionali, deve assumere un
significato diverso quando sia riferito alla
"concessionaria pubblica" ovvero quando sia
riferito ai "concessionari privati".
Sotto il profilo indicato, la
concessione con la quale viene affidata la gestione
del servizio pubblico, così come è regolata nella
legge n. 223 del 1990, rimanda a moduli organizzatori
non dissimili, nella sostanza, rispetto a quelli
connotanti lo stesso istituto nella legislazione che
si ispirava al principio della "riserva
statale". E ciò vale tanto se si guarda alla
caratterizzazione giuridica del concessionario (società
d'interesse nazionale) e ai poteri di direttiva e di
controllo che su di esso debbono esser esercitati
dallo Stato (commissione parlamentare d'indirizzo e di
vigilanza, nomina parlamentare dei consiglieri di
amministrazione, etc.), quanto se si guarda alla
peculiarità del regime delle risorse economiche di
cui può usufruire il concessionario stesso. In altri
termini, riferita al servizio pubblico, la concessione
conserva, nel suo complesso, il carattere di strumento
organizzatorio, attraverso il quale si costituiscono
in capo al concessionario poteri e doveri da
sottoporre a controlli discrezionali e al
coordinamento amministrativo, in vista del
perseguimento di finalità di interesse pubblico.
Al contrario, riferita ai privati,
la concessione per l'esercizio della radiodiffusione
sonora e televisiva assume un carattere complesso,
poichè, mentre per determinati aspetti (c.d.
assegnazione delle radiofrequenze) conserva una
connotazione comune alla concessione del servizio
pubblico, per altri aspetti (controlli sull'attività
erogata e sull'organizzazione dell'impresa), invece,
costituisce uno strumento di ordinazione nei confronti
di facoltà e di doveri connessi alla garanzia
costituzionale della libertà di manifestazione del
pensiero (art. 21) e della libertà di iniziativa
economica privata (art. 41), nonchè ai correlativi
limiti posti a tutela di beni d'interesse generale.
10.- Questo duplice e complesso
carattere della concessione per la radiodiffusione
televisiva privata, come ha correttamente osservato
l'Avvocatura dello Stato, è desumibile dall'art. 16
della legge n.223 del 1990, interpretato alla luce
dell'art. 21 della Costituzione. L'art.16, infatti,
oltre a regolare la specifica concessione per
l'installazione degli impianti nelle aree definite ai
sensi dell'art. 4 della stessa legge, disciplina
dettagliatamente la appena ricordata concessione per
l'esercizio di impianti di radiodiffusione televisiva
privata, assegnandole contenuti classificabili secondo
due distinti profili, vale a dire quelli relativi a:
a) l'affidamento alla esclusiva disponibilità di
individuati soggetti privati, semprechè in possesso
dei requisiti prescritti dagli artt. 16 e 17 per il
rilascio della concessione medesima, di determinate
frequenze, definite in conformità ai piani di
ripartizione e di assegnazione delle stesse previsti
dall'art. 3, in relazione alle quali gli impianti,
connotati da una certa potenza e da una particolare
area di servizio, sono destinati a trasmettere;
b) l'abilitazione all'utilizzazione
delle frequenze conferite (le quali, come è noto,
sono suscettibili di utilizzazioni plurime) attraverso
l'uso di determinati segnali, al fine della
radiodiffusione televisiva circolare su scala
nazionale o su scala locale.
Sotto il primo profilo, la
concessione concerne un presupposto necessario per
l'esercizio da parte dei privati della libertà di
manifestazione del pensiero con il mezzo
radiotelevisivo: un presupposto, comunque, che,
proprio perchè tale, non coincide con l'attività di
cui consta quell'esercizio, attività che costituisce
l'oggetto diretto della tutela accordata dall'art. 21
della Costituzione.
Essa, infatti, per l'aspetto ora
considerato, conferisce ai privati la disponibilità
in via esclusiva di determinate utilità, le
frequenze, in mancanza delle quali non sarebbe
possibile l'attività di radiodiffusione televisiva
circolare. Più precisamente, suo oggetto è il
conferimento a determinati privati di un bene comune,
l'etere, da parte del soggetto (Stato) che ne ha il
governo complessivo, affinchè gli assegnatari possano
propagarvi in via esclusiva onde radioelettriche
connotate da predefinite frequenze. Per questo
aspetto, dunque, il provvedimento amministrativo in
esame rivela una natura tipicamente concessoria, in
relazione alla quale l'interesse del privato va
qualificato come interesse legittimo, e non già come
diritto soggettivo (v., specialmente, sentt. nn. 1030
del 1988, 102 del 1990). In ogni caso, quale
presupposto necessario condizionante lo svolgimento
dell'attività di diffusione del pensiero attraverso
il mezzo radiotelevisivo, l'"assegnazione delle
frequenze" ai privati deve avvenire, per
rispettare l'art. 21 della Costituzione, in modo tale
che sia assicurata la massima obiettività e
imparzialità, dal momento che la garanzia del nucleo
di valore costituzionale espresso dalla libertà di
manifestazione del pensiero non può, certo, esser
vanificata, distorta o trasposta in una qualche forma
di privilegio da parte di provvedimenti discrezionali
della pubblica amministrazione, non vincolati da
precisi parametri legali.
Sotto il profilo del conferimento
al privato dell'abilitazione a svolgere l'attività di
teletrasmissione, la concessione disciplinata
dall'art. 16 riconosce, invece, una facoltà, analoga
a quella indicata dall'art. 29 per la diffusione via
cavo, il cui svolgimento coincide con l'attività
tutelata dall'art. 21 come manifestazione del
pensiero. L'esercizio di tale facoltà, pertanto, è,
per un verso, soggetto ai limiti stabiliti dall'art.
21 della Costituzione a tutela di determinati valori
di carattere generale (buon costume, protezione dei
minori, etc.) e, per altro verso, è sottoponibile a
restrizioni o a controlli soltanto nel rispetto delle
garanzie previste dallo stesso art. 21 della
Costituzione e, in particolare, nel rispetto della
riserva assoluta di legge, oltrechè della c.d.
riserva di giurisdizione.
1l.- Gli articoli della legge n.
223 del 1990 oggetto della contestazione ora in esame
non contravvengono ai requisiti di validità
sopraindicati, desumibili dall'art. 21 della
Costituzione.
Nel determinare i criteri sulla cui
base deve avvenire la selezione dei soggetti privati
aspiranti alla concessione, l'art. 16, al comma
diciassettesimo, impone che siano seguiti criteri
oggettivi, che attengono alla potenzialità economica,
alla qualità della programmazione prevista e dei
progetti radioelettrici e tecnologici, oltrechè, per
i soggetti già operanti nel campo della emittenza
radiotelevisiva, ad altri elementi più specifici,
come la presenza sul mercato, le ore di trasmissione
effettuate, la qualità dei programmi riscontrata, le
quote percentuali di spettacoli e i servizi
informativi autoprodotti, il personale dipendente, con
particolare riguardo a quello con contratto
giornalistico, e gli indici di ascolto rilevati. Si
tratta di requisiti che, oltre ad essere oggettivi,
sono predeterminati dalla legge in modo tale da
delimitare e circoscrivere i poteri amministrativi
sull'accesso dei privati nel sistema radiotelevisivo a
parametri prefissati dalla legge, e non già lasciati
alla scelta dell'amministrazione medesima.
Analogamente, per quanto riguarda
lo svolgimento dell'attività di teletrasmissione, il
principio della riserva assoluta di legge, posto
dall'art. 21 della Costituzione a garanzia della
libertà di manifestazione del pensiero, è rispettato
sia sotto il profilo dei limiti di trasmissione, sia
sotto quello dei controlli previsti. Per quanto
riguarda il primo aspetto, infatti, l'art. 15, dal
nono al tredicesimo comma, specifica, attraverso
puntuali norme di legge, taluni dei limiti desumibili
dalla Costituzione nei confronti della libertà di
manifestazione del pensiero (divieto di trasmissione
di messaggi di carattere subliminale o cifrati,
divieto di messa in onda di programmi nocivi allo
sviluppo psichico o morale dei giovani, divieto o
limitazione della fascia oraria per la trasmissione di
programmi vietati ai minori).
Anche sotto il profilo dei
controlli previsti, il principio di stretta legalità
comportato dalla riserva assoluta di legge in materia
di attività di manifestazione del pensiero non è
contraddetto dalle norme contestate, tanto che il più
importante fra i controlli delineati dalla legge n.
223 del 1990, quello attribuito al Garante per la
radiodiffusione e l'editoria (art. 6), non è
caratterizzato, come pure avviene per istituzioni
analoghe operanti in ordinamenti diversi dal nostro,
da funzioni ampiamente discrezionali, ma consiste,
invece, in attività predeterminate dalla legge in
modo tale che il relativo potere sia delimitato e
circoscritto a parametri legislativamente stabiliti
secondo i principi propri della riserva assoluta di
legge.
In definitiva, poiché attraverso
il "principio della concessione" gli
articoli contestati non introducono deroghe o rotture
alla regola della riserva assoluta di legge, si deve
escludere che essi si pongano in contrasto con l'art.
21 della Costituzione.
12.- Posto che l'art. 15 della
Costituzione è male invocato come parametro di
costituzionalità nella dedotta questione, poichè,
come questa Corte ha già chiarito (v. sent. n. 1030
del 1988), il suddetto articolo non può trovare
applicazione nel campo della radiodiffusione
televisiva circolare (destinata a una pluralità
indeterminata di soggetti) avendo ad oggetto soltanto
la comunicazione riservata tra persone predeterminate,
in relazione agli articoli della legge n. 223 del 1990
finora esaminati non resta che vagliare le
contestazioni ad essi mosse dal giudice a quo per
l'asserita violazione dell'art. 41 della Costituzione.
Occorre osservare preliminarmente
che, essendo l'attività di radiotrasmissione
televisiva dei privati organizzata in forma di
impresa, non si può dubitare dell'applicabilità alla
stessa della garanzia costituzionale relativa alla
libertà di iniziativa economica privata e dei
connessi limiti di interesse sociale. Tuttavia, va
sottolineato che nella materia ora considerata
l'organizzazione imprenditoriale ha soltanto una
posizione strumentale rispetto allo svolgimento
dell'attività di diffusione del pensiero attraverso
il mezzo radiotelevisivo, di modo che, come non si
possono giustificare limiti all'impresa che siano tali
da ricadere sull'attività di radiodiffusione
televisiva con effetti di irragionevole compressione
della libertà tutelata dall'art. 21 della
Costituzione, così sono pienamente giustificabili
limiti più rigorosi nei confronti delle imprese
operanti nel settore al fine di apprestare un'adeguata
protezione ai valori primari connessi alla
manifestazione del pensiero attraverso il mezzo
televisivo.
Alla luce di tali principi, le
disposizioni contestate non si pongono in contrasto
con l'art. 41 della Costituzione, poiché, mentre
tutelano in modo adeguato l'autonomia di scelta
costituzionalmente garantita agli imprenditori
privati, nello stesso tempo sottopongono lo
svolgimento di tale autonomia a limiti specifici,
giustificati dall'esigenza di prevenire il pericolo
che l'esercizio della libertà di scelta da parte
dell'impresa possa arrecare pregiudizio al pluralismo
e all'imparzialità dell'informazione televisiva e, in
genere, ai valori protetti dall'art. 21 della
Costituzione.
Sotto il profilo del rispetto della
libertà d'impresa, occorre sottolineare,
innanzitutto, che, nel prevedere la radiodiffusione
privata a carattere commerciale, l'art. 16 salvaguarda
chiaramente lo scopo di lucro, connaturale a qualsiasi
attività imprenditoriale svolta dai privati, ai sensi
dell'art. 41, primo comma, della Costituzione. In
coerente svolgimento con tale principio, la legge n.
223 del 1990 riconosce l'autonomia imprenditoriale
sull'attività produttiva, rimettendo, in particolare,
alla libertà dell'imprenditore la scelta dei mezzi di
finanziamento della propria azienda fra il complesso
delle risorse utilizzabili ai sensi dell'art. 15 e
garantendo che queste ultime siano certe e
predeterminate.
Sotto il profilo dei limiti e dei
controlli effettuabili nei confronti dello svolgimento
della libertà d'iniziativa economica privata, occorre
osservare, in linea generale, che anche per l'aspetto
relativo all'attività d'impresa, il rapporto tra
poteri pubblici e soggetti privati è posto al riparo
da interventi amministrativi non rispettosi del
principio della riserva di legge stabilito dall'art.
41, secondo e terzo comma, della Costituzione, a
tutela della libertà di iniziativa economica privata.
Il legislatore, infatti, ha improntato lo statuto
dell'impresa radiotelevisiva al principio della
certezza giuridica, determinando la linea di confine
tra l'attività dei privati e i poteri pubblici in
termini oggettivi di legalità sostanziale, vale a
dire attraverso la predeterminazione in norme di legge
del contenuto essenziale e della forma dei limiti
imponibili all'autonomia imprenditoriale.
L'anzidetto principio connota le
restrizioni previste dalla legge n.223 del 1990 alla
libertà d'impresa radiotelevisiva e, in particolare,
i limiti e i controlli derivanti dalla specifica
disciplina "anti-trust" ivi stabilita, in
relazione alla quale, anzi, quel principio è reso più
rigoroso in ragione dell'esigenza di tutelare nel modo
più efficace i valori primari della libertà, del
pluralismo e dell'imparzialità dell'informazione (
televisiva) contenuti nell'art. 21 della Costituzione.
In ragione di ciò, infatti, la disciplina
"anti-trust" appositamente prevista per il
settore radiotelevisivo correttamente non ricorre a
parametri consistenti in concetti indeterminati, in
clausole generali o, comunque, in poteri dotati di
un'ampiezza sostanzialmente non definita nella legge,
ma prevede, piuttosto, limiti alla dimensione delle
imprese basati su prescrizioni precise e puntuali.
Alla luce delle considerazioni ora
svolte, anche il dubbio di legittimità costituzionale
prospettato nei confronti degli artt. 2, 3, 15, 16, 19
e 32 della legge n. 223 del 1990 in riferimento
all'art. 41 della Costituzione non è fondato, poichè
il "principio della concessione" stabilito
dalle disposizioni contestate non comporta
un'irragionevole compressione della libertà
d'iniziativa economica privata, ma sottopone
quest'ultima a regole e a controlli, che, valutati
anche in relazione alla loro ricaduta finale sulla
libertà di manifestazione del pensiero, rispondono ai
principi della riserva di legge e della certezza
giuridica.
13.- Va altresì respinto il dubbio
di costituzionalità specificamente rivolto all'art.
32 della legge n. 223 del 1990 in riferimento agli
artt. 3 e 41 della Costituzione.
Secondo il giudice a quo,
l'articolo contestato, nel permettere ai privati, che,
al momento di entrata in vigore della legge,
gestiscono impianti di radiodiffusione televisiva, di
proseguire nella loro attività ove facciano domanda
per il rilascio della concessione nel termine di
sessanta giorni, oltre a porsi in contrasto con l'art.
3 della Costituzione per un irragionevole discrimine a
danno degli altri privati che non godono del suddetto
beneficio, violerebbe altresì l'art. 41 della
Costituzione, sia perché non garantirebbe a tutti
l'accesso nel mercato televisivo, sia perché
costituirebbe un limite alla libertà d'iniziativa
economica privata non giustificato da alcun motivo di
utilità sociale.
In realtà, l'autorizzazione ex
lege alla prosecuzione nell'attività di
teletrasmissione, contenuta nell'art. 32, rappresenta
una misura provvisoria, diretta a congelare la
situazione delle emittenti radiotelevisive risultante
all'atto dell'entrata in vigore della legge fino al
momento della decisione sul rilascio delle
concessioni. Tale misura, mentre non viola l'art. 3
della Costituzione, dal momento che non si rivela
irragionevole alla luce della consistente diffusione
delle emittenti radiotelevisive occorsa in via di
fatto prima dell'entrata in vigore della legge n. 223
del 1990 e provvisoriamente legittimata con la legge
n. 10 del 1985, non si pone in contrasto neppure con
l'art. 41 della Costituzione, per il fatto che il
carattere assolutamente provvisorio e transitorio
della norma contestata fa sì che non sia introdotta
una regola volta a connotare stabilmente l'accesso dei
privati nel sistema radiotelevisivo e a porre,
pertanto, un limite ingiustificato al normale
svolgimento della libertà d'iniziativa economica
privata.
14.- Non fondata è anche la
questione di legittimità costituzionale riferita
all'art. 2 della legge n. 223 del 1990, per la quale
sussisterebbe una disparità di trattamento, con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione,
fra le emittenti radiotelevisive, soggette a
concessione, e i ripetitori di programmi esteri,
sottoposti ad autorizzazione, anche in considerazione
della possibilità che questi ultimi vengano a
occupare lo spettro radioelettrico disponibile, a
danno delle altre. La premessa da cui muove il giudice
a quo nel prospettare la questione ora esaminata è
che i ripetitori di programmi esteri siano titolari di
un diritto soggettivo, essendo l'autorizzazione un
provvedimento diretto semplicemente a rimuovere un
limite all'esercizio di un preesistente diritto.
Questa premessa, non solo non è
corretta in via generale per le ragioni già esposte
nel punto 6 di questa motivazione, ma non lo è
neppure con riferimento al caso specifico. I
ripetitori di programmi esteri, infatti, possono
esercitare la loro attività di diffusione televisiva
soltanto attraverso l'utilizzazione in via esclusiva
di un certo spettro radioelettrico connotato da
predeterminate frequenze. Da questo punto di vista,
pertanto, la loro posizione è identica a quella delle
emittenti radiotelevisive di fronte alla c.d.
assegnazione delle frequenze, che, come è stato
precisato nel precedente punto 10 di questa
motivazione, dev'esser giuridicamente qualificata come
interesse legittimo. Sicchè, per l'aspetto
considerato, deve escludersi l'effetto discriminatorio
a danno delle emittenti radiotelevisive in conseguenza
dell'ipotizzata libera occupazione dell'etere da parte
dei ripetitori dei programmi esteri, essendo
sottoposti questi ultimi a un'autorizzazione, cui è
connesso anche il compito di riconoscere al
richiedente una determinata frequenza, ove ciò sia
compatibile con il piano nazionale di assegnazione e
con la "distribuzione" delle stesse
frequenze alle emittenti abilitate a trasmettere ai
sensi degli artt. 3, undicesimo comma (concessionaria
pubblica) e 16 (concessionari privati) della legge n.
223 del 1990.
Il fatto che l'art. 2 continui a
sottoporre i ripetitori di programmi esteri ad
autorizzazione significa soltanto che a questi ultimi
- proprio in ragione della circostanza differenziante
che essi non producono, nè preordinano i programmi,
ma ritrasmettono soltanto quelli generati da altri
all'estero, secondo le norme dei rispettivi
ordinamenti, - non può ragionevolmente richiedersi
l'insieme delle condizioni implicato dal rilascio
della concessione ai sensi dell'art. 16 della stessa
legge. Ma per il resto - ed è l'art. 38 della legge
n. 223 del 1990 a renderlo esplicito - i titolari
dell'autorizzazione per la ripetizione dei canali
esteri sono equiparati ai concessionari privati in
ambito nazionale, ai fini dell'applicazione della
legge medesima. Entro questi limiti la
differenziazione sussistente tra le due situazioni
poste a confronto dal giudice a quo non configura
un'irragionevole disparità di trattamento e,
pertanto, non può considerarsi in contrasto con
l'art. 3 della Costituzione.
15.- Va, infine, respinta la
questione di legittimità costituzionale mossa nei
confronti dell'art. 32 sul presupposto che questo
articolo violerebbe l'art. 3 della Costituzione nel
prevedere la medesima autorizzazione ex lege a favore
di soggetti diversi, quali le emittenti
radiotelevisive e i ripetitori di programmi esteri,
abilitandoli indifferentemente a proseguire le loro
attività, esercitate in via di fatto al momento
dell'entrata in vigore della legge.
Considerata la ratio dell'art. 32 -
che, come si è già precisato nel punto 13 di questa
motivazione, è quella di congelare provvisoriamente
la situazione di fatto esistente al momento
dell'entrata in vigore della legge fino al rilascio
dei provvedimenti amministrativi diretti a determinare
stabilmente i soggetti abilitati a trasmettere - non
può ritenersi in contrasto con l'art. 3 della
Costituzione una norma transitoria che tratta
uniformemente situazioni che la disciplina a regime
regola differentemente. Infatti, in relazione allo
scopo perseguito dalla norma transitoria, che è
l'unica rilevante ai fini della valutazione della
parità di trattamento nel caso in esame, le
situazioni considerate non presentano elementi di
differenziazione tali da indurre a ritenere
irragionevole la loro assimilazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
- dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, 15,
16, 19 e 32 della legge 6 agosto 1990, n. 223
(Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato), sollevate, in riferimento agli artt. 15, 21
e 41 della Costituzione, dal tribunale di Firenze con
l'ordinanza indicata in epigrafe;
- dichiara non fondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge
n. 223 del 1990, sollevata, in riferimento all'art. 3
della Costituzione, dal tribunale di Firenze con
l'ordinanza indicata in epigrafe;
- dichiara non fondate le questioni
di legittimità costituzionale dell'art. 32 della
legge n. 223 del 1990, sollevate, in riferimento agli
artt. 3 e 41 della Costituzione, dal tribunale di
Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso, in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
24/03/93.
Giuseppe BORZELLINO Presidente
Antonio BALDASSARRE, Redattore
Depositata in cancelleria il
26/03/93.
|