REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Prof. Gabriele PESCATORE
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Antonio BALDASSARRE
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli
artt. 3, undicesimo comma, 15, 16, 17, 19 e segg., 34
e 37 della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato) e del
combinato disposto degli artt. 1 , primo e terzo
comma, del decreto legge 27 agosto 1993, n. 323
(Provvedimenti urgenti in materia radiotelevisiva),
convertito con modificazioni nella legge 27 ottobre
1993, n.422, e 15, quarto comma, e 8, settimo comma,
della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato), promossi
con n. 3 ordinanze emesse il 21 dicembre 1993 dal
Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui
ricorsi proposti da Beta Television s.p.a., T.V.
Internazionale s.p.a. e SIT - Teleservice 1975 s.r.l.
contro il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni ed
altri, iscritte ai nn.255, 276 e 310 del registro
ordinanze 1994 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 20, 21 e 23, prima serie
speciale, dell'anno 1994.
Visti gli atti di costituzione della s.p.a. T.V.
Internazionale, della s.p.a. Beta Television, della
s.r.l. SIT - Teleservice 1975, della s.p.a. R.T.I. -
Reti Televisive Italiane, della s.p.a. Prima T.V. ed
altre, nonchè gli atti di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri e del CODACONS ed altri;
udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1994 il
Giudice relatore Renato Granata;
uditi gli avvocati Alessandro Pace per la s.p.a.
T.V. Internazionale, Carlo Vichi e Franco Ravenni per
la s.p.a. Beta Television, Natale Giallongo per la
s.r.l. SIT - Teleservice 1975, Aldo Bonomo, Franco G.
Scoca e Giovanni Motzo per la R.T.I. - Reti Televisive
Italiane, Carlo Mezzanotte per la s.p.a. Prima T.V. ed
altre, Carlo Rienzi per il CODACONS ed altri e
l'Avvocato dello Stato Gian Paolo Polizzi per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. La società TV Internazionale - avendo
partecipato al procedimento per il rilascio della
concessione per la radiodiffusione televisiva in
ambito nazionale, di cui all'art. 16 della legge 6
agosto 1990 n. 223 ed essendo stata collocata al 6o
posto della graduatoria e quindi in posizione che
ancorchè utile per il rilascio della concessione
(posto che il Piano per l'assegnazione delle
frequenze, approvato con D.P.R. 20 gennaio 1992,
indica in 9 le reti televisive nazionali concedibili
ai privati) aveva tuttavia comportato l'assegnazione
di una rete con copertura inferiore a quella assegnata
ad altre emittenti televisive nazionali, nonchè
l'assegnazione di frequenze di più ridotta
illuminazione rispetto alla precedente copertura -
chiedeva con ricorso al T.A.R. Lazio l'annullamento:
a) del D.M. 13 agosto 1992, col quale il Ministro
delle poste e delle telecomunicazioni ha approvato la
graduatoria dei soggetti richiedenti il rilascio di
concessione per l'emittenza televisiva nazionale
nonchè l'elenco degli aventi titolo alla concessione;
b) dell'allegato A e dell'art. 8, comma 1, del D.M. 13
agosto 1992 (di autorizzazione della stessa ex art. 38
legge 14 aprile 1975 n.103); c) del Piano nazionale di
assegnazione del le radiofrequenze per la
radiodiffusione televisiva, approvato con D.P.R. 20
gennaio 1992.
Nel corso di tale giudizio il T.A.R. adito ha
sollevato (con ordinanza del 21 dicembre 1993)
questione incidentale di legittimità costituzionale
degli artt. 3, comma 11, e 15, comma 4, della cit.
legge 223/90 e dell'art. 1, comma 1 e 3, decreto legge
323/93, convertito con modificazioni nella legge 27
ottobre 1993 n. 422, nel combinato disposto con l'art.
15, comma 4, e l'art. 8, comma 7, della legge 223/90,
in riferimento a plurimi parametri e sotto vari
profili.
2. Osserva preliminarmente il T.A.R. rimettente che
nelle more del giudizio è entrato in vigore il
decreto legge 27 agosto 1993 n. 323, convertito con
modificazioni nella legge 27 ottobre 1993 n. 422,
recante alcune disposizioni direttamente incidenti
sulla materia oggetto della controversia. In
particolare l'art. 1, comma 3, secondo il quale, fino
alla data di entrata in vigore di una nuova disciplina
del sistema radiotelevisivo e dell'editoria, i
titolari di concessioni rilasciate ai sensi dell'art.
16 legge 223/90 o di autorizzazione ex art.38 legge
103/75 proseguono l'esercizio della radiodiffusione
televisiva in ambito nazionale con gli impianti e i
connessi collegamenti di tele comunicazione censiti ai
sensi dell'art. 32 legge 223/90. Tale disciplina
sopravvenuta incide direttamente sull'interesse
dedotto in giudizio dalla ricorrente, nel senso che la
legificazione dell'elenco di cui all'art. 1 del
decreto ministeriale del 13 agosto 1992 impedirebbe
all'autorità amministrativa, nel caso di annullamento
giurisdizionale del provvedimento impugnato, di
rinnovare l'atto nel senso auspicato dalla società
T.V. Internazionale donde la sopravvenuta carenza di
interesse: ciò ovviamente nei limiti in cui le nuove
norme siano conforme a Costituzione. Tuttavia
l'interesse residua nei limiti in cui sussiste il
dubbio, non manifestamente infondato,
dell'illegittimità costituzionale sia della nuova
normativa (che consentendo la prosecuzione dello stato
di fatto perpetuerebbe l'attuale situazione di
svantaggio denunciata dalla ricorrente), sia della
precedente normativa (perchè l'eventuale
illegittimità costituzionale delle citate
disposizioni della legge 223/90 inficierebbe la
legittimità costituzionale del decreto legge 323/93,
che ha inteso sanare ex post i vizi degli atti
amministrativi impugnati).
3. Nel merito il T.A.R. innanzi tutto denuncia
l'illegittimità dell'art. 3, comma 11, della legge
223/90, per contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 97
Cost., nella parte in cui consente all'Amministrazione
di pianificare le reti nazionali in maniera tale da
creare disparità di trattamento tra concessionari
quanto alla copertura del territorio e alla
dislocazione degli impianti nei punti commercialmente
più interessanti.
In tanto la disciplina <<anti-trust>>
contemplata dalla normativa censurata ed incentrata
sul numero di reti nazionali assentibili al medesimo
soggetto può dirsi idonea in quanto queste ultime
presentino caratteri omogenei, quanto a capacità di
diffondere il messaggio tele visivo in termini
commerciali e sociali.
4. Il T.A.R. rimettente censura poi l'art. 15,
comma 4, della legge 223/90, per contrasto con gli
artt. 3, 21, 41, Cost., nella parte in cui consente ad
uno stesso soggetto di essere titolare di tre
concessioni nazionali televisive. In particolare il
T.A.R. dubita dell'idoneità di tale disciplina
<<anti-trust>> perchè essa, per com'è
configurata, non impedisce l'insorgere di una
situazione di oligopolio. Infatti consente ad un unico
soggetto di ottenere tre concessioni nazionali col
limite del 25% delle reti nazionali previste dal piano
di assegnazione delle frequenze; quindi può accadere,
come in effetti è accaduto, che un unico soggetto, su
nove reti disponibili per i privati, divenga titolare
delle tre concessioni aventi maggiore illuminazione,
non senza considerare la possibilità di partecipare
(in posizione minoritaria) ad altre società titolari
concessioni, disponendo così di una potenzialità di
diffusione del messaggio televisivo su scala nazionale
che nessun altro soggetto pubblico o privato oggi
possiede.
5. Infine il T.A.R. rimettente solleva questione di
legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1 e 3,
decreto legge 323/93, nel combinato disposto con
l'art. 15, comma 4, e l'art. 8, comma 7, della legge
223/90, per contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97
Cost., nella parte in cui, consentendo la prosecuzione
dell'esercizio dei preesistenti impianti per almeno
due anni, non adotta alcuna misura idonea a
salvaguardare il pluralismo nel settore televisivo
nazionale. Ed invero - spiega l'ordinanza - l'attuale
situazione di fatto, che la norma tende a perpetuare,
è caratterizzata, come d'altronde è pacifico tra le
parti, dalla posizione dominante di un solo soggetto,
che dispone delle reti nazionali aventi maggiore
illuminazione e capacità di diffusione del messaggio
televisivo nazionale.
Nè il vizio può dirsi insussistente per il
dichiarato carattere provvisorio della disciplina
censurata, che appunto dovrebbe applicarsi fino alla
data di entrata in vigore della nuova disciplina del
sistema radiotelevisivo e dell'editoria, sia perchè
non esiste nella Costituzione una norma che consenta
di derogare alle disposizioni in essa contenute nel
caso di discipline provvisorie, sia soprattutto
perchè, nel caso di specie, la continua reiterazione
di norme provvisorie tende di fatto a consolidare e
perpetuare una situazione nata dall'occupazione
spontanea dell'etere da parte dei privati.
6. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, limitandosi a chiedere che le
questioni di costituzionalità siano dichiarate
inammissibili od infondate.
Ha poi svolto con successiva memoria una più
articolata difesa.
Quanto alla censura degli art. 16, comma 17, e 34
della legge 6 agosto 1990 n. 223 l'Avvocatura richiama
essenzialmente la sentenza n.112 del 1993 di questa
Corte che ha affermato che si tratta di requisiti che,
oltre ad essere oggettivi, sono predeterminati dalla
legge in modo tale da delimitare e circoscrivere i
poteri amministrativi sull'accesso dei privati nel
sistema radiotelevisivo a parametri prefissati dalla
legge, e non già lasciati alla scelta
dell'Amministrazione medesima.
Quanto alla censura dell'art. 15, comma 4, legge
223/90, unitamente ai successivi artt. 16, 17, 19 e
seg., e 37, l'Avvocatura ne sostiene innanzi tutto l'inamissibilità
perchè l'eventuale dichiarazione di
incostituzionalità della disposizione censurata
aggraverebbe, e non già rimuoverebbe, gli
inconvenienti denunciati dal T.A.R. rimettente; ed
infatti, venendo meno i limiti di concentrazione
previsti dall'art.15, l'autonomia privata sarebbe
completamente svincolata da ogni tipo di contenimento.
Sotto altro profilo la questione si appalesa comunque
inammissibile perchè non potrebbe la Corte dettare
direttamente delle misure <<anti-rust>>
sostitutive di quelle volute dal legislatore con
criteri diversamente elaborati.
Nel merito l'Avvocatura sottolinea la congruità
della vigente disciplina <<anti-trust>>.
Infatti la percenturale del 25% consente di ipotizzare
una dislocazione delle risorse ripartita tra un
sufficiente numero di operatori e quindi realizza un
sistema pluralista in cui tale numero di operatori
convive con il polo pubblico, in una forma di
concorrenza, certo limitata, ma adeguata al bene in
questione, in quanto idonea a garantire al cittadino
una varietà di fonti di informazione.
In ordine alla censura dell'art. 3, comma 11, della
medesima legge l'Avvocatura rileva che tale
disposizione è estremamente puntuale e vincolante,
non lascia affatto un'ampia discrezionalità alla
pubblica amministrazione ed assicura viceversa un
trattamento paritario delle varie emittenti, che
devono essere tendenzialmente tutte messe in
condizione di servire l'utenza più vasta con
eventuali compensazioni tra i diversi bacini o
impianti delle varie emittenti, quando tutti non
possono operare contemporaneamente negli stessi.
L'Avvocatura ritiene poi infondata la censura
dell'art. 1, commi 1 e 3, decreto legge 323/93; si
deve infatti tenere conto della particolarità della
situazione in cui è venuta ad operare la norma, a
seguito della necessità di procedere alla revisione
del piano di assegnazione delle frequenze, che ha reso
impossibile il passaggio a regime del sistema
introdotto dalla legge 223/90; questo spiega
l'esigenza, assolutamente insuperabile, di autorizzare
la prosecuzione delle trasmissioni con gli impianti
censiti.
7. Si è costituita - successivamente depositando
anche memoria - la società TV Internazionale S.p.A.
che in via preliminare ha sostenuto la rilevanza, e
quindi l'ammissibilità, di tutte le questioni
sollevate.
Nel merito, quanto alla censura che investe l'art.
3, comma 11, legge 223/90, la difesa della società
osserva la funzione di pianificazione delle reti
dovrebbe essere svolta dalla pubblica amministrazione
nel pieno rispetto del principio della parità di
trattamento. Ove però si ritenesse che l'art. 3,
comma 11, cit. consenta alla pubblica amministrazione
di disegnare reti nazionali in termini differenziati
quanto alla copertura del territorio e alla
dislocazione degli impianti nei punti commercialmente
più interessanti, allora sarebbe fondata la censura
di incostituzionalità.
In ordine poi alla sospettata illegittimità
costituzionale dell'art. 15, comma 4, della medesima
legge la difesa della società osserva che un'unica
società concessionaria possiede tre reti nazionali
mentre tutti le altre emittenti hanno soltanto una
rete nazionale ciascuna.
Sarebbe quindi violato il principio del pluralismo
sotteso all'art. 21 Cost., attribuendosi in tal modo
un esorbitante vantaggio concorrenziale alla
concessionaria in posizione dominante. Sotto altro
profilo poi ci sarebbe anche violazione dell'art. 3
Cost. posto che vengono trattate paritariamente
situazioni ontologicamente differenti.
Ritiene infine la difesa della società che l'art.
1 decreto legge 323/93 - consentendo ai titolari di
concessioni (o di autorizzazioni, alle prime
equiparate, a ripetere programmi esteri) di continuare
ad operare per un periodo pari almeno a due anni (e
comunque non superiore a tre) con gli impianti censiti
- ha riprodotto quella situazione che era stata
stigmatizzata dalla sentenza n. 826/88 della Corte
sicchè la previsione ad opera della normativa
impugnata di un successivo ulteriore periodo
transitorio si pone in contrasto con gli artt. 21, 3,
41 e 97 Cost.
8. Si è costituita anche la BETA Television S.p.A.
(controinteressata), proprietaria dell'emittente
televisiva nazionale Videomusic richiamando e
riproducendo interamente la memoria difensiva
depositata nel giudizio incidentale relativo al
giudizio amministrativo proposto a seguito del proprio
ricorso al T.A.R. (per la quale v. infra).
9. Si è costituita la società R.T.I. limitandosi
a chiedere che le questioni di costituzionalità siano
dichiarate infondate.
In una successiva memoria - premessa la ritenuta
inammissibilità delle questioni di costituzionalità
per non aver il T.A.R. denunciato anche l'art. 3,
comma 2, decreto legge 323/90 che stabilisce che il
Ministro debba assumere a base dei provvedimenti
concessori l'elenco degli aventi titolo di cui
all'art. 1 del d.m. 13 agosto 1992, cosicchè l'elenco
viene convalidato quale strumento di identificazione
dei soggetti aventi titolo alle concessioni o
richiedenti le concessioni - ha svolto argomentazioni
in ordine alle singole censure.
Quanto alla censura dell'art. 3, comma 11, legge
223/90 la R.T.I. ne sostiene l'inammissibilità
perchè tale disposizione impugnata non prevede che
l'Amministrazione possa pianificare le reti in modo
discrimanatorio; se l'Amministrazione progettasse le
reti in modo sperequato, sarebbero semmai illegittimi
i relativi provvedimenti concessori.
La R.T.I. poi ritiene inammissibile per difetto di
rilevanza la censura dell'art. 15, comma 4, della
medesima legge giacchè il T.A.R. potrebbe accogliere
la domanda della TV Internazionale riconoscendo il
diritto ad una migliore collocazione nella graduatoria
senza che la legittimità costituzionale del quarto
comma dell'art. 15 possa influire in alcun modo.
Nel merito comunque la censura è - ad avviso della
R.T.I. - infondata essenzialmente perchè rientra nel
discrezionale apprezzamento del legislatore stabilire
- come fa la norma censurata - il numero massimo di
concessioni nazionali televisive nella minor somma tra
il 25% del numero di reti nazionali previste dal piano
di assegnazione e 3; limite questo che tiene conto
delle condizioni in cui di fatto versava il settore
radiotelevisivo all'epoca della legge 223/90. La
difesa della R.T.I. ritiene poi che per
l'individuazione della posizione dominante occorra
considerare non già il mercato "chiuso"
delle reti televisive, ma quello più ampio della
comunicazione di massa. Anche l'art. 1 della direttiva
comunitaria del 3 ottobre 1989 (89/552/CEE), ha
stabilito che il mercato omogeneo delle
"trasmissioni" è costituito dalla
"trasmissione, via cavo e via etere, nonchè
dalla trasmissione via satellite, in forma non
codificata o codificata, di programmi televisivi
destinati al pubblico".
Inoltre la difesa della R.T.I. mette in evidenza la
dimensione sovrannazionale del mercato delle
diffusioni radiotelevisive.
Ma anche considerando soltanto il mercato dei mezzi
di radiodiffusione televisiva, la questione - secondo
la difesa della R.T.I. - non è fondata. Infatti la
Corte ha riconosciuto che, nel settore
radiotelevisivo, la soglia minima di pluralismo da
salvaguardare attraverso norme anticoncentrazione è
quella comunque compatibile con lo svolgimento
dell'attività di telediffusione (privata) a
condizioni remunerative.
C'è poi da tener conto che la legge 223/90 impone
un preciso obbligo di pluralismo
<<interno>> non solo per l'emittenza
pubblica, ma anche per le singole emittenti private,
mentre il grado di pluralismo <<esterno>>
assicurato dalla legge 223/90 al settore
radiotelevisivo privato (con la diversificazione delle
presenze) è quello massimo realisticamente
compatibile con le rigidità tutte imposte dalla
struttura del mercato e dalle caratteristiche tecniche
dei media.
Infondata è poi anche - secondo la difesa della
R.T.I. - la censura dell'art. 1, commi 1 e 3, decreto
legge 323/93. La legge ha disposto per il
mantenimento, in via transitoria, di tutte le voci
esistenti nel settore televisivo sicchè la conferma
di una preesistente pluralità di voci è assorbente -
nel limitato periodo di tempo in considerazione - di
ogni censura intesa ad assicurare un più accentuato
pluralismo in un sistema da riordinare.
10. É intervenuto il CODACONS (Coordinamento delle
Associazioni per la Difesa dell'Ambiente e dei Diritti
degli utenti e Consumatori) chiedendo che la questione
di costituzionalità sia dichiarata fondata.
All'udienza pubblica di discussione - in cui il
CONDACONS ha proposto istanza di applicazione
dell'art. 78 c.p.c. - la Corte, ritiratasi in camera
di consiglio, ha dichiarato inammissibile l'intervento
ed improponibile l'istanza avanzata.
11. Per l'annullamento del medesimo D.M. 13 agosto
1992 di approvazione della graduatoria, dell'ulteriore
D.M. in pari data di rilascio della concessione per la
radiodiffusione in ambito nazionale, del suo allegato
A e delle concessioni rilasciate alle società
controinteressate proponeva ricorso al T.A.R. anche la
società Beta Television, titolare dell'emittente
Video Music, collocata al 4o posto della graduatoria
suddetta, e nel corso del giudizio il medesimo T.A.R.
adito ha sollevato (con ordinanza del 21 dicembre
1993) analoghe (ma non del tutto coincidenti)
questioni di legittimità costituzionale.
In particolare il T.A.R. - oltre a reiterare le
questioni che investono gli artt. 3, comma 11, e 15,
comma 4, legge 223/90, (peraltro estendendo le norme
censurate, oltre che all'art. 15 nella sua interezza,
anche agli artt. 16, 17, 19 e seg., e 37 della
medesima legge) - denuncia altresì l'illegittimità
degli artt. 16, comma 17, e 34 della stessa legge per
contrasto con gli artt. 3, 15, 21, 41, 43 Cost. sotto
il profilo che la norma attribuisce all'autorità
amministrativa una eccessiva discrezionalità nella
determinazione dei criteri per la formazione delle
graduatorie degli aventi titolo alla concessione;
l'omessa individuazione, da parte del legislatore, di
criteri puntuali e del peso che ciascuno di essi
dovrebbe avere nella valutazione comparativa delle
domande presentate dai vari aspiranti alla concessione
introduce un elemento di discrezionalità che mal si
concilia con le esigenze di tutela del valore
fondamentale del pluralismo.
12. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, chiedendo che le questioni di
costituzionalità siano dichiarate inammissibile od
infondate e svolgendo in una successiva memoria le
argomentazioni sopra riportate.
13. Si è costituita la società ricorrente BETA
Television S.p.A., proprietaria dell'emittente
televisiva nazionale Videomusic, prendendo posizione
in ordine alle singole censure di costituzionalità.
Ritiene fondata la censura di costituzionalità
dell'art. 1 decreto legge 323/93 perchè consacrando
le concessioni assentite, ancorchè illegittimamente
rilasciate, consente il perdurare della situazione
dominante della società alla quale sono state
assentite tre concessioni. In particolare sarebbero
violati gli artt. 3 e 21 Cost. poichè la normativa
censurata irragionevolmente preclude a soggetti in
possesso dei requisiti di accedere al mezzo televisivo
ottenendo la concessione, privilegiando
irragionevolmente altri soggetti cui consente di
possedere il 25% delle concessioni nazionali
assentibili.
Quanto alla censura degli artt. 16, comma 17, e 34
legge 223/90 rileva la difesa della società come non
sia illogico che la legge enunci criteri generali e
generici (ma individuati), rimandando per la
precisazione alla sede regolamentare.
Infine, con riferimento alla censura degli artt.
15, 16, 17, 19 e segg., 37 legge 223/90, osserva la
difesa della società che - considerando che una delle
concessioni è stata rilasciata alla TV Internazionale
s.p.a. che è ripetitorista di programmi esteri - si
ha che allo stato un unico soggetto è legittimamente
titolare dei tre/quinti delle concessioni assentite ed
assentibili ai privati per emittenza nazionale. Ma
l'esistenza di una posizione dominante risulta anche
sotto un altro profilo, quello dell'assegnazione delle
frequenze, giacchè alle reti di uno stesso soggetto
è assentito il 100% (o quasi) di copertura (è il
caso delle tre reti della R.T.I.), mentre ad altre
reti è assentita la copertura minima del 60% (Rete A)
o poco superiore (Video Music).
La normativa censurata quindi non fa altro che
legittimare una situazione dominante nel contesto di
un regime sostanzialmente di oligopolio.
La rilevata diversa illuminazione delle reti
comporta anche l'illegittimità costituzionale
dell'art. 3 legge 223/90.
14. Si è costituita la società T.V.
Internazionale con una memoria che riproduce le
argomentazioni sopra svolte.
15. Si è costituita la società R.T.I. limitandosi
a chiedere che le questioni di costituzionalità siano
dichiarate infondate.
In una memoria aggiuntiva ha eccepito
l'inammissibilità delle questioni di
costituzionalità perchè il fatto che non sia stata
sollevata questione di legittimità costituzionale del
decreto legge 323/93 determina la inammissibilità
delle questioni sollevate con riferimento alla legge
223/90 atteso che, anche nella ipotesi che le
disposizioni impugnate venissero dichiarate
costituzionalmente illegittime, rimarrebbe pur sempre
in vigore l'elenco "legificato" degli aventi
titolo alla concessione di reti televisive nazionali e
quindi il ricorso della società Beta Television
rimarrebbe improcedibile.
Nel merito ha svolto le stesse argomentazioni già
sopra riportate, soltanto aggiungendo che la censura
degli art. 16, comma 17, e 34 legge 223/90 non è
fondata giacchè la Corte (sent. n. 112/93) ha già
ritenuto la legittimità dei criteri in questione.
16. Si sono costituite le società Prima TV S.p.A.,
Europa TV S.p.A. ed Omega TV S.p.A. limitandosi a
chiedere che le questioni di costituzionalità siano
dichiarate inammissibili od infondate.
In una successiva memoria la difesa delle società
ha argomentato in ordine a tutte le questioni di
costituzionalità, non escluse quelle sollevate nel
primo giudizio.
In particolare essa sostiene pregiudizialmente
l'inammissibilità delle questioni sollevate con le
ordinanze n. 276 e n. 310/94 perchè sia le ricorrenti
che aspirano ad essere inserite nell'elenco degli
aventi titolo al rilascio della concessione, sia
coloro che, essendovi già inseriti, aspirano ad un
ampliamento della propria illuminazione e a un maggior
numero di frequenze di cui disporre, non hanno più
alcun interesse all'annullamento dell'elenco e delle
concessioni atteso che il diritto di trasmettere degli
attuali concessionari e degli aventi titolo al
rilascio della concessione è stato sganciato dalla
concessione e dalla graduatoria e che d'altra parte
tanto i concessionari quanto le emittenti non
utilmente classificate trasmettono ex lege avvalendosi
degli impianti in loro possesso.
Inoltre - sostiene ancora la difesa delle società
suddette - è in realtà inammissibile anche la
questione sollevata con l'ordinanza n.255/94
relativamente al decreto legge 323/93 giacchè non
hanno formato oggetto di rimessione alla Corte
costituzionale l'art. 11, terzo comma (concernente per
i non concessionari la prosecuzione delle trasmissioni
con gli impianti censiti e il blocco delle ulteriori
concessioni) e l'art. 3, secondo comma, nella parte in
cui, richiamando l'elenco approvato con d.m. 13 agosto
1992, conferisce forza di legge alla graduatoria degli
aventi titolo al rilascio della concessione e rende
ininfluente un ipotetico annullamento del solo atto
amministrativo.
Nel merito la difesa delle società ritiene
infondate le questioni sollevate.
Quanto alla censura dell'art. 1, commi 1 e 3, del
decreto legge 323/93, in combinato disposto con l'art.
15, comma 4, e l'art. 8, comma 7, legge 223/90,
osserva la difesa delle società che erroneamente il
giudice remittente ritiene che la prosecuzione
dell'attività con gli impianti censiti pregiudichi il
pluralismo; all'opposto, si tratta di misura il cui
effetto è quello di salvaguardare, sia pure in un
periodo transitorio ed in vista di una riforma globale
del settore, la posizione delle altre emittenti
escluse dall'elenco degli aventi titolo alla
concessione scongiurando l'acquisizione tutti gli
impianti e di tutte le frequenze da parte dei soli
concessionari e consentendo alle emittenti escluse
dall'elenco di proseguire nell'esercizio della loro
attività.
Non fondata è poi - secondo la difesa delle
società - la censura dell'art. 15, comma 4, legge
223/90: in particolare la previsione di un doppio
limite <<anti-trust>>, individuato in un
rapporto percentuale col numero complessivo delle reti
(25%) e comunque in un massimo di tre concessioni per
soggetto, rientra nella discrezionalità del
legislatore e non comporta alcuna violazione del
canone di ragionevolezza e non arbitrarietà delle
classificazioni legislative, atteso anche che, a
breve, il numero massimo di tre reti nazionali, se si
ha riguardo alle innovazioni tecnologiche in corso, è
destinato a rappresentare assai meno del 25% del
complesso delle reti. Comunque le opportunità di
pluralismo in un sistema di mercato non sono affatto
dipendenti dal numero complessivo di reti disponibili
e quindi di spazi pubblicitari cedibili da parte delle
singole imprese, giacchè la forza sul mercato di
un'impresa radiotelevisiva è data solo dall'audience.
Il numero di tre reti (e ancor più il limite 25%
delle reti nazionali, che in prospettiva è destinato
a ridimensionare fortemente l'incidenza del primo
limite) nell'attuale assetto radiotelevisivo non nega
opportunità di competizione alle imprese capaci.
Quanto alla censura degli art. 16, comma 17, e 34
della medesima legge la difesa delle società ne
ritiene l'infondatezza richiamandosi essenzialmente
alla sentenza n.112 del 1993 di questa Corte.
La difesa delle società sostiene poi parimenti
l'infondatezza della censura dell'art. 3, comma 11,
della stessa legge atteso che la disposizione
censurata si limita ad imporre che per ciascun bacino
di utenza sia individuato un numero di impianti atto a
garantire la diffusione del maggior numero di
programmi locali e nazionali (con ciò favorendo il
massimo di espansione dell'emittenza) e quindi ad
identificare in via astratta i requisiti minimi
dimensionali di rete, rispettivamente, per l'esercizio
in ambito nazionale e per l'esercizio in ambito
locale.
17. Nel corso di un terzo giudizio, promosso dalla
società SIT Teleservice 1975 - la quale, in quanto
proprietaria dell'emittente televisiva denominata
Elefante telemarket, collocata all'11o posto della
graduatoria (e quindi in posizione non utile per il
rilascio della concessione), aveva impugnato il più
volte citato d.m.13 agosto 1992 di approvazione della
graduatoria suddetta ed i provvedimenti concessori in
favore delle emittenti di cui alla graduatoria - il
medesimo T.A.R. adito ha ulteriormente sollevato (con
ordinanza anch'essa del 21 dicembre 1993) questioni di
legittimità costituzionale (degli artt. 15, 16, comma
17, e 34 legge 223/90 per contrasto con gli artt.3,
15, 21, 41, 43 Cost.) del tutto analoghe alle altre
sopra illustrate.
18. Si è costituita la società SIT Teleservice
1975 S.r.l. anch'essa prendendo posizione in ordine
alle singole censure.
Quanto alla censura dell'art. 1, comma 3, decreto
legge 323/93 ritiene la difesa della società che il
legislatore ha inteso operare un richiamo meramente
formale alla graduatoria suscettibile quindi di
modificazione a seguito dell'accoglimento
dell'impugnazione e del conseguente subentro di
emittenti collocate illegittimamente in posizioni più
sfavorevoli nella graduatoria. Soltanto se, invece, la
normativa censurata dovesse essere diversamente
interpretata, allora sarebbe fondato il dubbio di
costituzionalità del T.A.R. rimettente.
Con riferimento poi alla censura degli artt. 16,
comma 17, e 34 legge 223/90 la difesa della società
sostiene la fondatezza della questione rilevando, tra
l'altro, che la Corte ha, anche di recente, escluso
che l'assegnazione delle frequenze ai privati possa
avvenire con l'esercizio di poteri latamente
discrezionali della pubblica amministrazione (sent. n.
112/93) Infine, richiamando le censure degli artt. 15,
16, 17, 19 e segg., 37 legge 223/90, osserva la difesa
della società che non è consentita la presenza nel
mercato radiotelevisivo di un soggetto privato con
posizione dominante. Invece la disciplina adottata con
legge 223/90 non è coerente con tale principio. Di
fatto le concessioni rilasciate ad imprenditori
privati (ad esclusione di quelle relative ad emittenti
che trasmettono in forma codificata) sono sei, e di
queste una è stata rilasciata a T.V. Internazionale
che è ripetitorista di programmi esteri: quindi un
unico soggetto è legittimato dalla normativa vigente
a detenere i tre/quinti delle concessioni assentibili
ai privati per l'emittenza nazionale.
20. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato, e si sono altresì costituite le
società BETA Television S.p.A., TV Internazionale
S.p.A., Prima TV S.p.A., Europa TV S.p.A., Omega TV
S.p.A., R.T.I. S.p.A. ripetendo tutti le
argomentazioni già svolte negli altri giudizi.
Considerato in diritto
1. Il T.A.R rimettente con le tre distinte
ordinanze di cui in narrativa ha sollevato plurime
questioni incidentali di legittimità costituzionale
che investono sia il decreto legge 27 agosto 1993 n.
323 (Provvedimenti urgenti in materia
radiotelevisiva), convertito con modificazioni nella
legge 27 ottobre 1993 n. 422, sia la legge 6 agosto
1990 n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato) e segnatamente ha censurato: a)
l'art. 3, comma 11, legge 223/90 - in riferimento agli
artt. 3, 21, 41, 97 Cost. - nella parte in cui
consente all'Amministrazione di pianificare le reti
nazionali in maniera tale da creare disparità di
trattamento tra concessionari quanto alla copertura (o
illuminazione) del territorio e alla dislocazione
degli impianti nei punti commercialmente più
interessanti per sospetta violazione (soprattutto) del
principio di eguaglianza; b) l'art.15, comma 4, legge
223/90 cit. (ma anche l'art. 15 nella sua interezza ed
i successivi artt. 16, 17, 19 e seg., e 37) - in
riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 43 Cost. - nella
parte in cui consente ad uno stesso soggetto di essere
titolare di tre concessioni nazionali televisive per
sospetta violazione dei valori di pluralismo e di
imparzialità sottesi al diritto di libera
manifestazione del pensiero, compromesso dalla
mancanza di un'idonea disciplina
<<anti-trust>> in materia di
radiodiffusione; c) gli art. 16, comma 17, e 34 della
legge 223/90 - in riferimento agli artt. 3, 15, 21, 41
e 43 Cost. - nella parte in cui tale normativa
attribuisce all'autorità amministrativa una eccessiva
discrezionalità nella determinazione dei criteri per
la formazione delle graduatorie degli aspiranti alla
concessione con conseguente mancato rispetto del
valore costituzionale espresso dal diritto di libera
manifestazione del pensiero; d) infine l'art. 1, commi
1 e 3, del decreto legge 323/93 nel combinato disposto
con l'art. 15, comma 4, e l'art. 8, comma 7, della
legge 223/90 - in riferimento agli artt. 3, 21, 41 e
97 Cost. - nella parte in cui consente la prosecuzione
dell'esercizio dei preesistenti impianti per almeno
due anni senza adottare alcuna misura idonea a
salvaguardare il pluralismo nel settore televisivo
nazionale.
2. In via pregiudiziale - riuniti i giudizi per
connessione delle questioni sollevate - vanno innanzi
tutto esaminate le eccezioni di inammissibilità
proposte, con riferimento a tutte dette questioni,
dall'Avvocatura dello Stato e da alcune parti private,
eccezioni che hanno un duplice profilo.
Da una parte si dubita che le questioni sollevate
con le ordinanze n.276/94 e n. 310/94 siano
ammissibili - atteso che le censure del giudice
rimettente, a differenza di quelle sollevate
nell'ordinanza n. 255/94, riguardano esclusivamente la
legge 230/90 cit. e non (anche) il decreto legge
323/93 - ove si ritenga che tale decreto legge,
regolando da ultimo la materia, rappresenti la
disciplina immediatamente applicabile nel giudizio a
quo.
D'altra parte si prospetta l'inammissibilità anche
della questione che investe il decreto legge 323/93
perchè il regime provvisorio introdotto da tale
provvedimento legislativo si fonda su tre disposizioni
(gli artt. 1, comma 3, 3, comma 2, e 11, comma 3)
reciprocamente interferenti sicchè non sarebbe
possibile l'impugnazione di un solo frammento di
questo plesso unitario, come invece fa il T.A.R che
censura unicamente l'art. 1, comma 3 (oltre che, ma
solo per riferimento, il precedente comma 1).
3. Le eccezioni sono infondate.
Va premesso - come quadro normativo di riferimento,
necessario anche per la successiva valutazione del
merito - che la legge 8 agosto 1990 n. 223 (recante la
riforma del sistema radiotelevisivo ispirata al c.d.
criterio misto che vede la partecipazione anche di
soggetti privati all'esercizio dell'attività di
radiodiffusione) ha previsto - accanto ad una
disciplina transitoria di tipo autorizzatorio (art.
32) - una disciplina a regime di tipo concessorio
(art. 16) che - fermo restando l'esistente piano
nazionale di ripartizione delle radiofrequenze (di cui
al d.m. 31 gennaio 1983 e successive modificazioni) -
suppone che sia predisposto il primo piano nazionale
di assegnazione delle frequenze (art. 3, comma 7;
nonchè comma 11, terza proposizione, circa i criteri
per l'assegnazione delle frequenze ai titolari di
concessione) e della graduatoria degli aspiranti,
formata secondo i criteri fissati dalla legge (art.
16, comma 17) e dal successivo regolamento (emanato
con d.P.R. 27 marzo 1992 n. 255) e nel rispetto tra
l'altro del divieto di posizioni dominanti sancito
dall'art. 15 della legge ed articolato in numerose
prescrizioni. In particolare, per effetto del quarto
comma di tale disposizione, in favore di uno stesso
soggetto non era (e non è) possibile assentire un
numero di concessioni in ambito nazionale superiore al
25% di quelle complessivamente previste e comunque
superiore a tre.
Per la prima applicazione della normativa a regime
(per la quale l'art. 34 della legge e l'art. 40 del
regolamento dettavano particolari prescrizioni) era
essenziale l'approvazione del primo piano di
assegnazione delle radiofrequenze, che veniva
approvato con d.P.R. 20 gennaio 1992; piano questo che
tra l'altro, all'art. 2, fissava in dodici il numero
complessivo delle reti televisive nazionali, comprese
quelle destinate al servizio pubblico.
Successivamente venivano emessi sia il d.m. 13
agosto 1992 che, sulla base della graduatoria
(trascritta nelle premesse) delle emittenti televisive
nazionali formata dal Ministero delle poste e
telecomunicazioni, approvava l'elenco delle nove
emittenti televisive (private) aventi titolo al
rilascio della concessione per la radiodiffusione
televisiva in ambito nazionale, sia i singoli decreti
ministeriali (tutti in pari data del 13 agosto 1992)
di assentimento della concessione alle emittenti
collocate nei primi sei posti del predetto elenco, con
la indicazione, nell'allegato A di ciascuna, della
rete assegnata (collocazione degli impianti e
frequenze).
Si ha quindi - all'esito di questo procedimento -
che a sei emittenti nazionali (Canale 5, Italia 1,
Retequattro, Videomusic, Rete A, Telemontecarlo), in
forza della loro collocazione nei primi sei posti
della graduatoria di cui al d.m. 13 agosto 1992, sono
assentite altrettante concessioni con coevi distinti
decreti ex art. 16 della legge (soltanto per
l'emittente TeleMontecarlo, destinata a ripetere
programmi esteri, il decreto è di autorizzazione, ma
equiparata alla concessione in ambito nazionale). Di
queste sei concessioni le prime tre sono assentite ad
una medesima società (R.T.I. S.p.A.), mentre delle
altre tre sono titolari distinte società (Beta
Television S.p.A., Rete A S.r.l., TV Internazionale
S.p.A., delle quali la prima e la terza sono
ricorrenti nei giudizi innanzi al T.A.R.).
La concessione non è stata invece rilasciata alle
altre emittenti non utilmente collocate in graduatoria
(tra cui l'emittente Elefante Telemarket della
società Sit Teleservice 1975 a r.l. che, classificata
all'undicesimo posto, è ricorrente nel giudizio
innanzi al T.A.R.).
In tal modo la fase di primo avvio della riforma
poteva considerarsi completata.
4. Il successivo decreto legge 323/93 è venuto a
sovrapporre una disciplina provvisoria (c.d.
disciplina- ponte) a quella a regime prevista dalla
legge 223/90, senza abrogarla in parte qua. Ed
infatti, per quanto riguarda in particolare la
concessione delle frequenze ad emittenti private per
la diffusione televisiva in ambito nazionale, ha
previsto (all'art. 1, comma 3) che, fino alla entrata
in vigore della nuova disciplina del sistema
radiotelevisivo e della editoria (programmata con
l'art. 2, comma 2, legge 25 giugno 1993 n. 206,
modificato con l'art. 7 del decreto legge 28 ottobre
1994 n. 602 ad oggi non ancora convertito) e comunque
per un periodo non superiore a tre anni, i titolari di
concessione ai sensi dell'art. 16 legge 223/90
proseguono nell'esercizio della radiodiffusione
televisiva in ambito nazionale con gli impianti ed
annessi collegamenti censiti ai sensi del successivo
art.32, comma 1. Quali siano tali soggetti è
implicito nel riferimento alla titolarità (a
quell'epoca) della concessione ed è comunque
confermato dal successivo art. 3, comma 2, che
prescrive che fino all'entrata in vigore della nuova
legge di riordino del settore il Ministro non rilascia
le concessioni in ambito nazionale a più di otto
emittenti televisive nazionali private <<sulla
base dell'elenco di cui all'art. 1 del d.m. 13 agosto
1992>>.
Il disegno di questa (del tutto particolare)
disciplina transitoria si completa, nelle sue linee
essenziali e per quanto in questa sede interessa, con
l'art. 3, comma 1, (che prevede che entro dodici mesi
dall'entrata in vigore della legge di conversione il
Ministro procede alla revisione del piano nazionale di
assegnazione delle radiofrequenze, approvato - come
già ricordato - con d.P.R. 20 gennaio 1992) e con
l'art. 11, comma 3, (che prescrive che - salvo quanto
previsto dal precedente comma 2 per i soggetti che
sono inclusi nell'elenco degli aventi titolo al
rilascio delle concessioni in ambito nazionale,
approvato con d.m. 13 agosto 1992, ed intendano
trasmettere in codice - non è consentito, fino alla
data di entrata in vigore della nuova disciplina del
sistema radiotelevisivo e dell'editoria e comunque per
un periodo non superiore a tre anni, il rilascio di
ulteriori concessioni per la radiodiffusione
televisiva in ambito nazionale ed è prorogato il
termine di cui all'art. 32, comma 1, della legge
223/90 per la prosecuzione dell'esercizio, in regime
autorizzatorio, degli impianti per la radiodiffusione
televisiva in ambito nazionale e dei connessi
collegamenti di telecomunicazione con gli obblighi
previsti per i concessionari).
5. Il fatto che il legislatore non abbia inteso
abrogare in parte qua la legge 223/90, ma l'abbia
lasciata in vigore, ha avuto l'effetto di mantenere
tutto il complesso meccanismo procedimentale ed i
provvedimenti concessori emessi al suo esito sicchè
correttamente la Amministrazione non ha provveduto a
revocare i decreti ministeriali di assentimento delle
concessioni.
La sovrapposizione della disciplina provvisoria a
quella a regime ha quindi comportato per i
concessionari una ulteriore e concorrente
legittimazione, derivante dal decreto legge 323/93, in
funzione di temporanea cristallizzazione della
situazione esistente in attesa della riforma della
disciplina a regime.
6. Emerge così la rilevanza di entrambi gli ordini
di questioni sollevate: sia, cioé, di quelle relative
alla legge 223/90, sia di quella relativa al decreto
legge 323/93.
Da una parte, invero, è ravvisabile l'interesse
delle società ricorrenti, pur nella vigenza del
decreto legge 323/93, a contestare la legittimità dei
decreti di concessione e della graduatoria, che ne è
il presupposto, al fine di ottenere l'annullamento
così da poter conseguire vuoi una migliore
collocazione nella stessa (per le emittenti che vi
figurano utilmente inserite), vuoi l'inclusione (per
l'emittente che invece è attualmente in posizione non
utile).
L'assentimento della concessione e della rete
rappresentano comunque un'utilità, che legittimamente
le ricorrenti perseguono: permane infatti l'interesse
giuridico attuale delle ricorrenti all'utile
collocazione in graduatoria e alla correlativa
acquisizione del titolo al conseguimento della
concessione in base alla legge 223/90 trattandosi di
titolo attributivo di una situazione giuridica
caratterizzata da una propria rilevanza in quanto
comportante, tra l'altro, il riconoscimento del
possesso di determinati requisiti soggettivi
giuridicamente significativi.
Per altro verso, quanto alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 3,
decreto legge 323/93, va rilevato che, nell'economia
del giudizio in cui è stata sollevata (con ordinanza
n.255/94), la questione stessa è connotata da una sua
specifica ed autonoma rilevanza, posto che la norma
denunziata è quella che in atto concorre a
disciplinare - pur se in via temporanea e transitoria
come meglio più avanti si dirà - la posizione dei
soggetti in favore dei quali, in applicazione della
legge 223/90, sono state assentite le concessioni
finora rilasciate.
Sicchè sussiste una distinta ed autonoma rilevanza
delle questioni di costituzionalità che attingono sia
l'una che l'altra normativa, senza che risultino
reciprocamente condizionate; quindi la limitazione
delle censure alla sola legge 223/90, quale fatta
nelle ordinanze n. 276 e n.310/94, non è di per sè
ragione di inammissibilità delle stesse.
7. Nè alcuna preclusione all'ammissibilità della
censura mossa nei confronti dell'art. 1, comma 3,
decreto legge 323/93 può farsi discendere dall'aver
il T.A.R omesso di censurare contestualmente anche i
successivi artt. 3, comma 2, ed 11, comma 3. É vero -
come già osservato - che la disciplina provvisoria
dettata dall'art. 1, comma 3, si completa in parte qua
con tali ultime due disposizioni; ma correttamente il
giudice rimettente ha censurato unicamente la norma
del decreto legge che rileva direttamente nel giudizio
sulla legittimità degli atti impugnati; sede questa
in cui invece non rilevano nè il limite di otto
emittenti televisive nazionali private assentibili
sulla base dell'elenco di cui all'art. 1 del d.m. 13
agosto 1992 (limite destinato ad operarare non prima
della revisione del piano di assegnazione delle
frequenze), nè la preclusione alla pubblica
amministrazione di consentire il rilascio di
<<ulteriori>> con cessioni in ambito
nazionale, nè infine la proroga del regime
autorizzatorio (del quale continua a beneficiare
quella delle società ricorrenti che non è stata
utilmente collocata in graduatoria). Se poi, nella
linea argomentativa della eccezione di
inammissibilità, si vuole ipotizzare che la
Amministrazione - all'esito dell'accoglimento, in
tesi, dei ricorsi proposti al T.A.R. - possa venire a
trovarsi di fronte ad un concorso di posizioni
soggettive confliggenti sui medesimi impianti e sulle
medesime frequenze per la coesistenza sia del regime
concessorio in principio spettante ai nuovi soggetti
aventi titolo alla collocazione, o ad una migliore
collocazione, nell'elenco, sia del regime
autorizzatorio prorogato dall'art. 11, comma terzo,
seconda parte, in favore anche dei già concessionari
eventualmente non più tali a seguito del giudicato
amministrativo, con ciò si configura una vicenda
attinente ad un momento successivo, quello della
esecuzione di tale giudicato.
Sussiste quindi il presupposto dell'ammissibilità,
per tutte le censure, che vanno ora esaminate
distintamente nel merito.
8. Può valutarsi innanzi tutto la questione di
costituzionalità che ha ad oggetto l'art. 1, commi 1
e 3, decreto legge 323/93, censurato nel combinato
disposto con l'art. 15, comma 4, e l'art. 8, comma 7,
della legge 223/90.
Come già rilevato il T.A.R rimettente ritiene che
tale disposizione contrasti con gli artt. 3, 21, 41 e
97 Cost. perchè, nel consentire, seppur
provvisoriamente, la prosecuzione dell'esercizio dei
preesistenti impianti per almeno due anni, non adotta
alcuna misura idonea a salvaguardare il pluralismo nel
settore televisivo nazionale.
Va subito premesso che il comma 1 cit. riguarda le
televisioni locali e quindi può ritenersi estraneo
alla questione e menzionato dal giudice rimettente
unicamente perchè la determinazione della durata del
regime provvisorio per le emittenti nazionali è fatta
richiamando quello previsto dal primo comma per le
emittenti locali.
Analogamente il combinato disposto con l'art. 15,
comma 4, e l'art. 8, comma 7, della legge 223/90 è
richiamato come contesto normativo in cui si innesta
la disposizione censurata. In tali termini può quindi
dirsi che lo scrutinio di costituzionalità ha in
realtà ad oggetto esclusivamente la disposizione del
terzo comma dell'art. 1, per intendere la quale
occorre richiamarne la genesi che si riconnette al
(già esaminato) iter procedimentale per il rilascio
delle concessioni.
Mette conto rimarcare che nella fase di prima
applicazione della nuova legge l'elaborazione del
(primo) piano di assegnazione delle frequenze,
indispensabile strumento di programmazione,
assolutamente necessario per avviare il procedimento
concorsuale per l'assentimento delle concessioni,
rappresentava un nodo essenziale e strategico perchè
sarebbero state catalogate complessivamente le
frequenze assegnabili alle emittenti televisive con
contestuale determinazione del numero complessivo
delle reti nazionali. I provvedimenti di assentimento
delle concessioni scontano tutti - come atto
presupposto - il piano di assegnazione (tant'è che
tutte e tre le società ricorrenti impugnano,
contestualmente al decreto di approvazione della
graduatoria ed ai decreti di concessione, anche il
piano di assegnazione).
Successivamente, però, si determina una situazione
contingente (e non prevedibile) che di fatto fa venir
meno il pieno affidamento nel piano di assegnazione,
oggetto di verifica in sedi diverse, o quanto meno
determina l'insorgere di dubbi e riserve. D'altra
parte anche ragioni inerenti alla rapida evoluzione
tecnologica del settore concorrono a far apprezzare
come inadeguato il piano medesimo. Sta di fatto che il
legislatore, nella sua discrezionalità, ritiene che
il piano debba essere riformulato e di qui il disposto
dell'art.3, comma 1, decreto legge 323/93 che - come
già rilevato - ne prevede la revisione.
La valutazione, da parte del legislatore, di
inadeguatezza del primo piano di assegnazione è resa
ulteriormente evidente dall'art. 1, comma 3, che - nel
confermare la legittimazione dei concessionari
nell'esercizio degli impianti di diffusione televisiva
- ha fatto riferimento agli impianti censiti (che
esprimevano la mera situazione di fatto),
pretermettendo le reti disegnate sulla base del piano,
le quali (in quanto rispondenti ad una programmazione
organica) erano, sì, destinate a sostituire quelle
censite nella disciplina a regime, ma avrebbero
comunque potuto essere già utilizzate anche nel
contesto di una disciplina provvisoria.
D'altra parte non risulta che la stessa pubblica
amministrazione abbia mai comunicato alle
concessionarie (come invece previsto dall'art.2 dei
singoli decreti concessori) di iniziare la
radiodifussione dei programmi televisivi sulle
frequenze prescritte dall'allegato A sicchè, anche
prima del decreto legge 323/93, in realtà le reti
utilizzate erano rimaste quelle censite, mentre quelle
disegnate nei singoli decreti di concessione sulla
base del piano di assegnazione delle frequenze non era
no mai state attivate (appunto in applicazione della
clausola comune, contenuta nel comma 4 del citato art.
2 di ogni decreto di concessione). É in questo
contesto ed in una prospettiva di più ampio respiro
che il legislatore ritiene quindi che la stessa legge
223/90 debba essere riformata.
9. Questa sopravvenuta necessità di rivedere il
piano di assegnazione e di novellare la legge 223/90
comportava che dovessero darsi comunque delle regole
nel periodo provvisorio tra la precedente disciplina,
insoddisfacente sia per le peculiarità contingenti
della sua prima applicazione sia per l'impianto
complessivo, e la nuova emananda regolamentazione.
In questo contesto va inquadrata la conferma della
legittimazione di quelle emittenti che in quel momento
risultavano assentite al fine di cristallizzare
provvisoriamente la situazione esistente e di
elaborare la riforma (del piano e della normativa) in
condizioni di statica immobilità nel punto in cui era
arrivata la prima fase di avvio della legge 223/90. La
necessità, discrezionalmente apprezzata dal
legislatore, di cristallizzare provvisoriamente la
situazione (nel breve periodo di saldatura tra il
vecchio ed il nuovo) giustifica la mancanza di una
normativa diretta ad impedire la formazione di una
posizione dominante che implica una disciplina a
regime e presuppone un sistema chiuso che vede
accordata soltanto ad alcune emittenti (le
concessionarie) la possibilità di trasmettere con
esclusione di tutte le altre emittenti aspiranti che
non siano state collocate utilmente in graduatoria.
Invece il legislatore - che in tal modo si è mostrato
non insensibile ai valori del pluralismo - ha
contestualmente prorogato il termine del regime
autorizzatorio ex art. 32 legge 223/90 in modo da
affiancare alle emittenti titolari a quel momento di
concessione tutte le emittenti già operanti in
precedenza in regime autorizzatorio che altrimenti non
avrebbero potuto trasmettere (art. 11, comma 3,
seconda proposizione, decreto legge 323/93).
La concorrente legittimazione delle concessionarie
si giustifica appunto con la provvisorietà
dell'intervento entro il limite temporale fissato
dallo stesso legislatore, mentre in questo contesto -
limitato nel tempo e connotato dalla presenza di una
platea più ampia di soggetti legittimati - la
possibilità che tre concessioni siano assentite (come
in effetti sono state assentite) alla medesima
società non travalica quel limite minimo di tutela
del pluralismo, presidiato dall'art. 21 Cost.. Non è
che - come teme il T.A.R. rimettente - la connotazione
della provvisorietà attribuisca di per sè alla
disciplina una sorta di salvacondotto che la rende
immune da vizi di incostituzionalità; essa bensì -
in un più complesso contesto e nel concorso di altri
fattori - può ridimensionare, ovviamente soltanto
allo stato, la possibile tensione sui parametri
evocati contenendola al di qua del limite di rottura
che concreterebbe il vizio di in costituzionalità,
ove quella situazione di provvisorietà fosse comunque
prolungata.
Ed è quindi sotto questo profilo soggettivo (delle
emittenti assentite) che il valore del pluralismo non
può dirsi vulnerato perchè è generalmente
riconosciuta la possibilità di diffusione televisiva
vuoi in regime concessorio, vuoi in regime
autorizzatorio, mentre non è irragionevole che in una
fase provvisoria, destinata improrogabilmente ad aver
fine a breve, non sia stata dettata alcuna disciplina
diretta a prevenire l'insorgenza di una posizione
dominante.
10. Nè a conclusione diversa induce la valutazione
del profilo oggettivo della diseguale illuminazione
delle reti censite, che sono quelle di fatto occupate
dalle emittenti, sia concessionarie che autorizzate.
Senza considerare che la censura del T.A.R. in
realtà non valorizza particolarmente tale
prospettazione denunziando essenzialmente il fatto
che, seppur nel regime provvisorio, sia possibile che
a uno stesso soggetto siano assentite tre concessioni,
c'è comunque da tenere presente che, una volta
accantonato il piano di assegnazione delle frequenze e
conseguentemente ritenute inutilizzabili le reti
disegnate sulla base dello stesso, il legislatore -
che intendeva cristallizzare provvisoriamente la
situazione esistente - non poteva far riferimento
altro che agli impianti censiti, giacchè qualsiasi
altro criterio avrebbe richiesto una previa opera di
programmazione, quale è proprio la revisione del
piano di assegnazione; in attesa di tale revisione
può dirsi giustificata (anche sotto il profilo della
ragionevolezza) la cristallizzazione delle reti negli
impianti (e connessi collegamenti) già censiti.
Può quindi pervenirsi ad una complessiva
valutazione di non fondatezza della censura sotto
entrambi i profili, soggettivo ed oggettivo, senza che
possa evocarsi una transitorietà di questa disciplina
provvisoria che surrettiziamente si ricolleghi e
protragga quella pregressa (decreto legge 6 dicembre
1984 n.807, convertito in legge 4 febbraio 1985 n.10),
già tenuta presente dalla Corte nella sentenza
n.826/88, in quanto - proprio per le ragioni prima
indicate - la normativa in esame si presenta
ontologicamente nuova e diversa rispetto a quella
precedente l'emanazione della legge 223/90, anche se
connotata dal protratto riferimento alle reti censite,
anzichè alle reti assentite con i singoli decreti
concessori sulla base del piano di assegnazione, in
forza della già rilevata mancata comunicazione di cui
al citato art. 2 dei decreti ministeriali di
concessione.
11. Le censure che investono la legge 223/90 - al
cui esame occorre ora passare - riguardano sia il
profilo soggettivo di individuazione dei
concessionari, sia quello oggettivo di individuazione
della rete assentita. Sotto quest'ultimo profilo viene
censurato l'art. 3, comma 11, per violazione degli
artt. 3, 21, 41, 97 Cost. perchè - secondo il giudice
rimettente - consente all'Amministrazione di
pianificare le reti nazionali in maniera tale da
creare disparità di trattamento tra concessionari
quanto alla copertura (o illuminazione) del territorio
e alla dislocazione degli impianti nei punti
commercialmente più interessanti.
La questione non è fondata nei sensi di cui in
motivazione.
Il T.A.R adotta un'interpretazione che non è
condivisibile proprio perchè contrastante con il
principio di eguaglianza (art. 3) e di tutela del
pluralismo (art. 21 Cost.), mentre - come è costante
giurisprudenza di questa Corte - il giudice deve
sempre privilegiare l'interpretazione che si adegua ai
principi costituzionali.
Ma in realtà è sufficiente rilevare che il
dettato della norma censurata non depone affatto per
l'esegesi accolta dal T.A.R.; soltanto nel prevedere
(al successivo art. 15) la possibilità di titolarità
di più reti nazionali da parte di uno stesso soggetto
- di cui si dirà oltre - il legislatore ha ipotizzato
una posizione differenziata dei concessionari
consentendo che un concessionario abbia più reti di
un altro concessionario e quindi benefici del
vantaggio di posizione derivante da tale plurima
titolarità. Ma nulla è detto in ordine alla
possibilità (che quindi deve ritenersi esclusa) di
disegnare reti differenziate che creino sperequazione
quanto ad illuminazione complessiva, come del resto
mostra la mancanza di alcun criterio preferenziale che
consentirebbe di attribuire, o negare, una maggiore
copertura ad un'emittente piuttosto che ad un'altra.
Deve infatti ritenersi che il rispetto del principio
del pluralismo, coniugato con quello di eguaglianza,
imponga - in tal senso orientando la discrezionalità
della pubblica amministrazione - che le reti assentite
siano - nei limiti delle compatibilità tecniche -
tendenzialmente equivalenti e che l'eventuale
insufficienza di frequenze disponibili in alcune aree
di servizio gravi, per quanto possibile, in modo
complessivamente bilanciato su tutte le reti
medesime.
12. Sotto il profilo soggettivo vengono poi
censurati gli art. 16, comma 17, e 34 perchè - come
già detto - violerebbero gli artt. 3, 15, 21, 41 e 43
Cost. attribuendo all'autorità amministrativa una
eccessiva discrezionalità nella determinazione dei
criteri per la formazione delle graduatorie degli
aspiranti alla concessione.
La censura è manifestamente infondata avendo
questa Corte (sent. n.112/93) già rilevato che la
norma denunziata in realtà impone che siano seguiti
criteri ben determinati e concorrenti tra loro, in
particolare attinenti alla potenzialità economica,
alla qualità della programmazione prevista e dei
progetti radioelettrici e tecnologici, oltrechè, per
i soggetti già operanti nel campo della emittenza
radiotelevisiva, ad altri elementi più specifici,
come la presenza sul mercato, le ore di trasmissione
effettuate, la qualità dei programmi riscontrata, le
quote percentuali di spettacoli e i servizi
informativi autoprodotti, il personale dipendente, con
particolare riguardo a quello con contratto
giornalistico, e gli indici di ascolto rilevati. Di
tali criteri questa Corte ha già riconosciuto sia il
carattere oggettivo, sia la predeterminazione per
legge sicchè essi sono idonei a delimitare e
circoscrivere i poteri amministrativi nella formazione
della graduatoria dei privati aspiranti alla
concessione.
13.1. Riferibile infine ancora al profilo
soggettivo è la censura che investe l'art. 15, comma
4, legge 223/90 cit., ma anche l'art. 15 nella sua
interezza ed i successivi artt. 16, 17, 19 e seg., e
37 che, secondo il T.A.R. rimettente, violerebbero gli
artt. 3, 21, 41 e 43 Cost. perchè consentono ad uno
stesso soggetto di essere titolare di tre concessioni
nazionali televisive, prevedendo in tal modo un
inidoneo limite alla concentrazione in materia di
radiodiffusione televisiva.
Va subito precisato che, ancorchè plurime siano le
disposizioni indicate come censurate nelle ordinanze
n. 276 e n. 310/94, mentre l'ordinanza n. 255/94
censura unicamente l'art. 15, comma 4, la questione
sollevata è in realtà identica, essendo pressochè
testualmente identiche le argomentazioni che la
sorreggono in tutte e tre le ordinanze, oggetto delle
quali è la non adeguatezza del limite massimo di
concessioni assentibili allo stesso soggetto - 25%
delle concessioni nazionali e comunque non più di tre
- previsto appunto dall'art. 15, comma 4.
Analogamente, ancorchè plurimi siano i parametri
indicati, l'allegata ragione di incostituzionalità
della disposizione è riferibile essenzialmente
all'art. 21 Cost., anche se rileva un profilo di
irragionevolezza intrinseca (art. 3 Cost.).
13.2. La difesa della società R.T.I. eccepisce la
inammissibilità della questione nella causa promossa
dalla società T.V. Internazionale (ord. 255/94), sul
rilievo che questa, classificata al sesto posto e non
al quarto come da essa preteso, si duole di essere
stata posposta alle emittenti Videomusic e Rete A, ma
non anche di essere stata posposta alle tre reti
concesse alla R.T.I. Con la conseguenza che la
questione relativa alla illegittimità della norma che
consente il rilascio di tre concessioni al medesimo
soggetto sarebbe, appunto, irrilevante nel giudizio a
quo, in quanto ben avrebbe potuto il T.A.R.
riconoscere la illegittima posposizione lamentata,
indipendentemente dalla concessione delle tre reti
alla R.T.I.
L'eccezione è infondata.
La illegittimità costituzionale dell'art. 15,
comma 4, legge 223/90 era stata dalla società T.V.
Internazionale dedotta, come ragione autonoma,
concorrente con l'altra ricordata dalla società
R.T.I., di annullamento dei provvedimenti impugnati.
Onde la rilevanza della questione nel giudizio a quo
è indubbia, posto che la eventuale riduzione delle
concessioni rilasciate alla R.T.I. potrebbe consentire
alla società T.V. Internazionale di scalare di
altrettanti posti la graduatoria.
Altra eccezione di inammissibilità della
questione, con riferimento a tutti i giudizi a quibus,
è proposta dalla Avvocatura dello Stato, sul rilievo
che la elisione totale della norma comporterebbe
<<un inasprimento della problematica sollevata:
difatti venendo meno i limiti di concentrazione
previsti dall'art. 15 l'autonomia privata sarebbe
completamente svincolata da ogni tipo di
contenimento>>.
Peraltro - osserva la Corte - l'eccezione, indipendentemente da ogni altro possibile rilievo di
principio, è infondata per la erroneità della
premessa dalla quale muove: invero, come fra breve
più ampiamente si dirà, la disciplina
"ponte" dettata con il decreto legge 323/93,
del quale la Corte ha prima negato la illegittimità
costituzionale denunziata con riferimento all'art. 1,
comma 3, assicura la permanenza dello status quo, per
tutto il periodo della sua pur temporanea vigenza,
onde la eventuale caducazione dell'art. 15, comma 4,
legge 223/90 non determinerebbe il "vuoto"
normativo paventato dall'Avvocatura dello Stato.
14.1. Nel merito la questione è fondata.
14.2. Preliminarmente va ribadito che condizione
indefettibile per il superamento della riserva statale
dell'attività di radiodiffusione è costituita da
un'idonea disciplina che prevenga la formazione di
posizioni dominanti le quali in questo settore possono
non solo alterare le regole della concorrenza, ma
anche condurre ad una situazione di oligopolio, che in
sè pone a rischio il valore fondamentale del
pluralismo delle voci, espressione della libera
manifestazione del pensiero; pluralismo
<<esterno>> che condiziona il carattere
misto del sistema delle radiodiffusioni come attività
di preminente interesse generale e che si coniuga -
risultandone rafforzato - con il pluralismo
<<interno>> quale emerge, come principio
fonda mentale del sistema radiotelevisivo, dall'art.
1, comma 2, legge 223/90; senza però alcuna
fungibilità o surrogazione dell'uno all'altro avendo
entrambi una propria dimensione e collocazione.
14.3. E va pure riaffermato che il diritto
all'informazione garantito dall'art. 21 Cost. implica
indefettibilmente il pluralismo delle fonti e comporta
<<il vincolo al legislatore di impedire la
formazione di posizioni dominanti e di favorire
l'accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo
numero possibile di voci diverse>>
(sent.n.112/93). Se per l'emittenza radiotelevisiva
privata il pluralismo interno, inteso come apertura
alle varie voci presenti nella società, incontra
inevitabilmente dei limiti in ragione principalmente
delle libertà assicurate alle imprese vuoi dall'art.
41 che dall'art.21 Cost., ciò impone, come
ineludibile imperativo costituzionale, la necessità
di garantire <<il massimo di pluralismo esterno,
onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci
concorrenti, il diritto del cittadino all'informazione>>
(sent. n.826/88). Ed infatti la <<posizione di
preminenza di un soggetto o di un gruppo privato non
potrebbe non comprimere la libertà di manifestazione
del pensiero di tutti quegli altri soggetti che, non
trovandosi a disporre delle potenzialità economiche e
tecniche del primo, finirebbero con il vedere
progressivamente ridotto l'ambito di esercizio delle
loro libertà>> (sent. n.148/81). Nè la
presenza della concessionaria pubblica - che pur si
colloca in una posizione particolare in ragione della
doverosa maggiore realizzazione del pluralismo interno
nel servizio pubblico - è di per sè sola sufficiente
a bilanciare una posizione dominante nel settore
privato essendosi già posto in evidenza come
<<il pluralismo in sede nazionale non potrebbe
in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra
un polo pubblico ed un polo privato che sia
rappresentato da un soggetto unico o che comunque
detenga una posizione dominante nel settore
privato>> (sent. n.826/88 cit.).
14.4. Orbene l'art. 15, comma 4, nella parte
impugnata non ha rispettato l'imperativo
costituzionale sotteso all'esigenza di garanzia del
valore del pluralismo (ex art. 21 Cost.), quale
ripetutamente affermato dalla citata giurisprudenza di
questa Corte.
La necessità di consentire l'accesso al massimo
numero possibile di voci non può essere intesa come
mera idoneità minima di una qualsivoglia disciplina
<<anti-trust>>; d'altra parte l'innegabile
impossibilità di individuare una soluzione obbligata,
che possa dirsi essa sola rispettosa del canone
costituzionale dell'art. 21 Cost., non è di
impedimento a verificare se sia adeguato, o meno, il
limite <<anti-trust>> adottato e se più
in generale, nel contesto delle contingenti condizioni
economiche e culturali della società in un
determinato momento storico, la normativa vigente
effettivamente si sia mossa in direzione della
realizzazione del pluralismo. Normativa questa che va
letta nel contenuto integrato quale risultante dalla
determinazione del numero complessivo delle reti ad
opera del piano di assegnazione delle frequenze
sicchè il parametro percentuale (del 25%) e quello
assoluto (di tre reti) - contemplati dalla norma
censurata - concorrono nel fissare il limite alla
concentrazione in tre reti su un totale di dodici
complessive ovvero di nove assentibili a soggetti
privati e comportano di conseguenza che allo stato
attuale della vigente disciplina a regime un terzo di
tutte le reti private può essere posseduto da uno
stesso soggetto.
Si ha quindi che la normativa - posta a regolare
una situazione in cui di fatto tre reti erano già
esercitate dallo stesso soggetto (cfr. sent.
n.826/88), e però in mancanza di qualsiasi limite
massimo legislativamente fissato del numero
complessivo di reti nazionali e quindi in assenza di
preclusioni verso qualsiasi altra rete nazionale -
anzichè muoversi nella direzione di contenere
posizioni dominanti già esistenti così da ampliare,
ancorchè gradualmente, la concreta attuazione del
valore del pluralismo, ha invece sottodimensionato il
limite alle concentrazioni essendone conseguito
l'effetto di stabilizzare quella posizione dominante
esistente, che tuttora si riscontra, trascurando
viceversa che il valore da tutelare era l'allargamento
del pluralismo, prevalente sulla facoltà di
concentrazione quale conseguenza estrema
dell'esercizio della libertà di iniziativa economica:
concentrazione che, pur potendo in ipotesi rispondere
alla opportunità di conseguire una dimensione di
impresa ottimale sotto il profilo economico-
aziendale, non risponde peraltro alla preminente
necessità di assicurare il maggior numero possibile
di voci, in rapporto alle frequenze disponibili ed
alla esigenza che struttura dimensionale e forza
economica delle imprese siano funzionali alla
finalità primaria di garantire, anche grazie alla
indipendenza delle imprese stesse, la libertà e il
pluralismo informativo e culturale.
Anzi, all'opposto, con la normativa in esame si è
avuto che l'esistente posizione dominante - già
rilevata dalla sentenza 826/88 citata - è risultata
rafforzata perché con il tetto delle nove reti
private è stata tracciata un'invalicabile soglia di
ingresso che tiene fuori dalla categoria dei soggetti
privati concessionari (salva la rilevata proroga del
regime autorizzatorio) ogni ulteriore emittente
nazionale non utilmente collocata in graduatoria,
mentre nella precedente situazione - proprio in
ragione della mancanza di regole - non vi erano
preclusioni o sbarramenti che impedissero la
contestuale presenza di più di nove emittenti
nazionali private.
Insomma il legislatore del 1990 ben poteva -
tenendo presente la peculiarità della situazione
italiana, che aveva visto di fatto l'insorgenza di una
posizione dominante - operare un bilanciamento allo
stato tra la necessità di allargare le voci cui
assentire l'accesso all'emittenza nazionale privata e
l'esigenza di tener conto di una realtà economica
comunque esistente. Ma per essere rispettoso dei
principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte
doveva comunque muoversi nella direzione di contenere
e gradualmente ridimensionare la concentrazione
esistente e non già nella direzione (opposta) di
legittimarla stabilmente, non potendo esimersi dal
considerare che la posizione dominante data dalla
titolarità di tre reti su nove - resa possibile dalla
norma censurata - assegna un esorbitante vantaggio
nella utilizzazione delle risorse e nella raccolta
della pubblicità.
14.5. L'inadeguatezza del limite alle
concentrazioni emerge poi anche dal raffronto non
soltanto con la normativa degli altri paesi, e
soprattutto con quelli della Comunità europea (che
hanno in larga prevalenza una disciplina più rigorosa
e restrittiva), ma anche con la parallela disciplina
nazionale dell'editoria. L'art. 3, lett. a), legge 25
febbraio 1985 n.67 considera come posizione dominante
quella di chi editi (o controlli società che editino)
testate quotidiane la cui tiratura nell'anno solare
precedente abbia superato il 20% della tiratura
complessiva dei giornali quotidiani in Italia; limite
questo che si giustifica - al pari del limite
dell'art.15, comma 4, per le emittenti televisive -
con l'esigenza di salvaguardare il pluralismo delle
voci. Però con questa rilevante differenza: che nel
settore della stampa non c'è alcuna barriera
all'accesso, mentre nel settore televisivo la non
illimitatezza delle frequenze, insieme alla
considerazione della particolare forza penetrativa di
tale specifico strumento di comunicazione (sent.
148/81, paragr. 2 e amplius paragr. 3; già sent.
225/74, paragr. 4, e poi sent. 826/88, paragr. 9 e
16), impone il ricorso al regime concessorio.
Ed allora il grado di concentrazione consentito non
può che essere inferiore in quest'ultimo settore per
la ragione che l'esigenza di prevenire l'insorgere di
posizioni dominanti si coniuga con l'inevitabile
contenimento del numero delle concessioni assentibili.
Ed invece - se si considera che dalla particolare
disciplina posta dall'art. 1, comma 1, per l'ipotesi
di titolarità di concessioni televisive in ambito
nazionale e contestualmente di controllo di imprese
editrici di quotidiani si deduce che la titolarità di
una concessione è equiparata (nella valutazione
discrezionale del legislatore) al controllo di imprese
editrici di quotidiani con una tiratura pari all'8%
della tiratura complessiva dei giornali in Italia -
emerge che il limite del 25%, in principio, e del
numero massimo di tre reti, allo stato, di cui
all'art. 15, comma 4, cit. appare meno rigoroso del
limite del 20% di cui all'art. 3, comma 1, cit.. Ciò
da una parte ne svela l'incoerenza e quindi la
irragionevolezza (art. 3 Cost.), d'altra parte ne
conferma ulteriormente la inidoneità; questa peraltro
aggravata dal rischio di ulteriore accentuazione della
posizione dominante in ragione della possibilità per
il titolare di tre emittenti nazionali di partecipare,
sia pur come socio di minoranza, a imprese titolari di
altre concessioni e ad imprese impegnate in altri
settori dell'editoria.
Inidoneità che non è smentita certo dalla
circostanza che la disposizione censurata è inserita
nel contesto di una più ampia disciplina restrittiva
(riguardante il controllo incrociato di emittenti e
quotidiani, la percentuale complessiva di risorse del
settore comprendenti anche gli introiti derivanti
dalla pubblicità, gli adempimenti dei concessionari
per consentire le verifiche del Garante per la
radiodiffusione, la speciale disciplina delle azioni
delle società titolari di concessione) trattandosi di
aspetti ulteriori che non valgono a ridimensionare la
posizione dominante in atto.
Nè infine l'inidoneità del limite
<<anti-trust>> è in alcuna misura
diminuita dall'ampliamento della prospettiva a tutta
l'area dei mezzi di comunicazione o alla dimensione
extra-nazionale, atteso che - come emerge dalla già
citata giurisprudenza di questa Corte - il principio
del pluralismo delle voci deve avere specifica e
settoriale garanzia nel campo dell'emittenza
radiotelevisiva (anche) in ragione della già
ricordata peculiare diffusività e pervasività del
messaggio televisivo, mentre il riferimento
territoriale è necessitato dalle ben note barriere
linguistiche.
15. Si impone quindi - per le ragioni finora
esposte (e rimanendo assorbita la verifica degli altri
parametri invocati dal giudice rimettente) - la
dichiarazione di incostituzionalità del quarto comma
dell'art. 15 cit. nella parte relativa alla
radiodiffusione televisiva.
Con la dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell'art. 15, comma 4, il valore del
pluralismo, espresso dall'art. 21 Cost., si specifica
già, come regola di immediata applicazione, nel
divieto - in rapporto all'attuale assetto complessivo
del settore televisivo - di titolarità di tre
concessioni di reti nazionali su nove assentibili a
privati (o dodici in totale) ovvero di titolarità del
25% del numero complessivo delle reti previste, mentre
rimane nella discrezionalità del legislatore
disegnare la nuova disciplina positiva di tale limite
per colmarne la sopravvenuta mancanza.
Limite che dovrà essere rispettoso della regola
suddetta e dell'esigenza costituzionale, ad essa
sottesa, di necessaria tutela del pluralismo delle
voci sicchè, qualunque sia la combinazione dei
parametri adottati, non sarà, allo stato, in alcun
caso possibile che la risultante finale sia tale da
consentire che un quarto di tutte le reti nazionali (o
un terzo di tutte le reti private in ambito nazionale)
sia concentrata in un unico soggetto. Ferma, quindi,
la esclusione di un limite percentuale pari ad un
quarto delle reti complessivamente disponibili, di per
sè atto a consentire la ripartizione della emittenza
privata fra una rosa ristrettissima di forti
concentrazioni oligopolistiche, spetterà al
legislatore - che sollecitamente dovrà intervenire -
emanare una nuova disciplina della materia con forme a
Costituzione, individuando i nuovi indici di
concentrazione consentita e scegliendo tra le ipotesi
normative possibili (come, ad esempio, riducendo il
limite numerico delle reti concedibili ad uno stesso
soggetto ovvero ampliando, ove l'evoluzione
tecnicologica lo renda possibile, il numero delle reti
complessivamente assentibili).
Peraltro, come già si è osservato, la
dichiarazione di incostituzionalità non determina un
vuoto di disciplina, vuoto che significherebbe un
arretramento verso la mancanza di alcun limite alla
titolarità di plurime concessioni. Rimane infatti
pienamente efficace il decreto legge 323/93, e quindi
resta ferma nel periodo di transizione - e
limitatamente a tale periodo - la provvisoria
legittimazione dei concessionari già assentiti con
d.m. 13 agosto 1992 a proseguire nell'attività di
trasmissione con gli impianti censiti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art.
15, comma 4, della legge 6 agosto 1990 n. 223
(Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e
privato) nella parte relativa alla radiodiffusione
televisiva;
dichiara non fondata, nei sensi di cui in
motivazione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3, comma 11, della legge 6
agosto 1990 n. 223 (Disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato) sollevata, in
riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 97 della
Costituzione, dal T.A.R. del Lazio con le ordinanze di
cui in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art.1, commi 1 e 3, del decreto
legge 27 agosto 1993 n.323 (Provvedimenti urgenti in
materia radiotelevisiva), convertito con modificazioni
nella legge 27 ottobre 1993 n. 422, nel combinato
disposto con l'art. 15, comma 4, e l'art. 8, comma 7,
della legge 6 agosto 1990 n. 223 (Disciplina del
sistema radiotelevisivo pubblico e privato) sollevata,
in riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 97 della
Costituzione, dal T.A.R. del Lazio con l'ordinanza di
cui in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione
di legittimità costituzionale degli artt. 16, comma
17, e 34 della legge 6 agosto 1990 n. 223 (Disciplina
del sistema radiotelevisivo pubblico e privato)
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 15, 21, 41 e
43 della Costituzione, dal T.A.R. del Lazio con le
ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/12/94.
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Renato GRANATA, Redattore
Depositata in cancelleria il 07/12/94.
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