SENTENZA N. 38
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Dott. Renato GRANATA Presidente
- Dott. Giuliano VASSALLI Giudice
- Prof. Francesco GUIZZI "
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell'art.
2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo
1953, n. 1, della richiesta di referendum
popolare per l'abrogazione della legge 3 febbraio
1963, n. 69, nel testo risultante dalle modificazioni
apportate dalle leggi 20 ottobre 1964, n. 1039 e 10
giugno 1969, n. 308 e dalle sentenze della Corte
costituzionale n. 11 e n. 98 del 1968, recante
"Ordinamento della professione di
giornalista", iscritto al n. 107 del registro referendum.
Vista l'ordinanza dell'11-13 dicembre 1996
con la quale l'Ufficio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di cassazione ha dichiarato
legittima la richiesta;
udito nella camera di consiglio dell'8
gennaio 1997 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;
uditi gli avvocati Giuseppe Minieri per
l'Ordine dei giornalisti della Lombardia, Antonio
Pandiscia per l'Ordine nazionale dei giornalisti,
Mario Bertolissi per l'Ordine dei giornalisti del
Veneto e Giuseppe Morbidelli per i presentatori
Bernardini Rita e Sabatano Mauro.
Ritenuto in fatto
- -- L'Ufficio centrale per il referendum
costituito presso la Corte di cassazione, in
applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e
successive modifiche, ha esaminato la richiesta di referendum
popolare presentata da un gruppo di cittadini elettori
sul seguente quesito: <<Volete voi che sia
abrogata la legge 3 febbraio 1963, n. 69, recante
"Ordinamento della professione di
giornalista"?>>.
- -- L'Ufficio centrale, dopo aver verificato la
regolarità della richiesta, con esito positivo, ha
rilevato che il quesito era stato formulato senza
tenere conto né delle successive leggi 20 ottobre
1964 n. 1039 e 10 giugno 1969 n. 308, che hanno
modificato la legge oggetto del referendum, né
delle sentenze n. 98 e n. 11 del 1968 di questa Corte,
che hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale
di alcune norme della legge stessa.
Di conseguenza, l'Ufficio centrale per il referendum
ha provveduto a riformulare il quesito del
referendum nei seguenti termini: <<Volete
voi che sia abrogata la legge 3 febbraio 1963, n. 69,
nel testo risultante dalle modificazioni apportate
dalle leggi 20 ottobre 1964 n. 1039 e 10 giugno 1969
n. 308 e dalle sentenze della Corte costituzionale n.
11 e n. 98 del 1968, recante "Ordinamento della
professione di giornalista"?>>.
Ricevuta comunicazione dell'ordinanza, il
Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 8
gennaio 1997 per l'udienza in camera di consiglio,
dandone regolare comunicazione.
3.-- In prossimità della camera di consiglio hanno
presentato memoria i promotori del referendum,
insistendo per la declaratoria di ammissibilità della
richiesta.
Ha in particolare rilevato la difesa che nel caso
non sembra sussistere alcuna delle ragioni ostative di
cui all'art. 75 della Costituzione.
Parimenti, non potrebbero trarsi motivi di
inammissibilità dal fatto che la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 11 del 1968, ha
ritenuto non contrastante con il principio di cui
all'art. 21 della Costituzione la prevista
obbligatorietà dell'iscrizione all'albo per
l'esercizio della professione di giornalista, in
quanto il fatto che una legge abbia superato il vaglio
di costituzionalità non vuol dire che la stessa non
sia sottoponibile a referendum.
Risulterebbero inoltre osservati, secondo il
Comitato promotore, gli ulteriori requisiti di
omogeneità, chiarezza ed univocità del quesito,
atteso che le disposizioni che si intendono abrogare
rispondono ad una matrice razionalmente unitaria,
richiedendosi l'abrogazione dell'intera legge che
disciplina, in modo organico e sistematico, l'attività
giornalistica.
Anche sotto il profilo della completezza non sembra
possano sussistere dubbi, posto che nella normativa di
risulta non sono rinvenibili disposizioni
ricollegabili alle abrogande norme ed espressive della
medesima ratio; in proposito, la difesa del
Comitato promotore fa presente che non è stato
ricompreso nel quesito referendario l'art. 5 della
legge 8 febbraio 1948, n. 47 in quanto esso si limita
a prevedere la mera possibilità e non l'obbligo, per
il direttore responsabile di un periodico, di
iscrizione all'albo dei giornalisti.
Analogamente, non sembrano ipotizzabili incoerenze
della normativa di risulta con riguardo ai profili
previdenziali connessi con l'esercizio della
professione di giornalista, dal momento che non vi è
coincidenza soggettiva tra gli iscritti all'ordine e
gli iscritti all'Istituto nazionale di previdenza per
i giornalisti, giacché questo comprende solo i
professionisti che effettivamente svolgono attività
professionale a favore di un'impresa editrice.
4.-- In prossimità dell'udienza hanno presentato
memorie il Consiglio nazionale dell'ordine dei
giornalisti ed i Consigli regionali del medesimo
ordine per il Veneto e per la Lombardia, ma la Corte
ha dichiarato l'inammissibilità di questi atti di
intervento.
5.-- Nella camera di consiglio dell'8 gennaio 1997
è stato udito, per i promotori del referendum,
l'avvocato Giuseppe Morbidelli.
Considerato in diritto
1.-- La richiesta di sottoporre a referendum
abrogativo l'intera legge 3 febbraio 1963, n. 69
(Ordinamento della professione di giornalista),
risulta ammissibile non sussistendo le ragioni
ostative riconducibili all'art. 75 della Costituzione
ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale.
Giova preliminarmente ricordare che questa Corte si
è già occupata, in sede di giudizio incidentale di
legittimità costituzionale, di alcune norme della
legge in oggetto. In quelle occasioni (sentenze n. 71
del 1991 e n. 11 del 1968) il Collegio -- chiamato a
verificare se l'esistenza dell'Ordine professionale
dei giornalisti fosse contrastante con l'art. 21 della
Costituzione -- ha affermato che non osta al principio
della libera manifestazione del pensiero il fatto che
i giornalisti siano così organizzati, anche perché
tale Ordine ha il "compito di salvaguardare, erga
omnes e nell'interesse della collettività, la
dignità professionale e la libertà di informazione e
di critica dei propri iscritti".
In questa sede, tuttavia, occorre precisare che
l'aver escluso che l'esistenza dell'ordine dei
giornalisti si ponga in contrasto con principi di
rilevanza costituzionale, non significa che tale
esistenza debba ritenersi obbligatoria.
2.-- Deve in proposito riaffermarsi il principio
che la richiesta di abrogazione referendaria può
investire norme di contenuto disponibile da parte del
legislatore ordinario, mentre è inammissibile quando
essa tende ad abrogare norme a "contenuto
costituzionalmente vincolato" (sentenza n. 16 del
1978).
Una tale natura non è ravvisabile nella specie per
il solo fatto che la legge in esame istituisce detto
ordine professionale, giacché rientra nella
discrezionalità del legislatore ordinario determinare
le professioni intellettuali per l'esercizio delle
quali è opportuna l'istituzione di ordini o collegi e
la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi
(art. 2229 cod. civ.).
3.-- Un contenuto costituzionale non è
riscontrabile nemmeno nelle norme relative agli
interessi coinvolti nello svolgimento della
professione giornalistica ed alla disciplina relativa
all'attività sia dei singoli giornalisti che degli
organi dell'Ordine.
Per quanto riguarda particolarmente l'interesse
della collettività che è stato sottolineato dalle
citate sentenze (n. 71 del 1991 e n. 11 del 1968) è
decisivo rilevare -- ai limitati fini della
ammissibilità del referendum -- che la
presenza nella legge in esame di una norma sulla
deontologia dei giornalisti, se favorisce
indirettamente l'esercizio del "diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione" (art. 21 della Costituzione), non è
sufficiente per far ritenere che l'ordinamento della
professione di giornalista sia essenziale per la
tutela di un diritto costituzionale.
Su questo primo punto deve quindi concludersi che,
a prescindere dall'opportunità dell'esistenza di un
Ordine professionale dei giornalisti e dall'interesse
della collettività al corretto svolgimento
dell'importante attività della comunicazione
multimediale, la loro disciplina non ha contenuto
costituzionalmente vincolato.
4.-- La presente proposta referendaria, in secondo
luogo, non difetta dei requisiti della chiarezza e
della omogeneità del quesito. Essa investe l'intero
testo normativo che concerne tutti gli aspetti,
strettamente connessi fra loro, della professione di
giornalista.
D'altra parte la riconduzione della legge in
questione ad una matrice razionalmente unitaria non
appare alterata dal fatto che essa faccia riferimento
anche ai diritti ed ai doveri dei giornalisti,
sintetizzati nell'unica disposizione (art. 2) dei 75
articoli del testo normativo oggetto del quesito
referendario.
Tale testo, invero, si presenta chiaramente alla
considerazione dell'elettore come quello che organizza
e disciplina i giornalisti professionisti, ivi
compresi gli scopi dell'Ordine e i doveri dei suoi
iscritti. Né può sorgere il dubbio che, con
l'eventuale esito abrogativo del referendum,
possano venir meno l'attività giornalistica
professionale, la disciplina contrattuale del rapporto
di lavoro, o i canoni deontologici inerenti a tale
attività. Questi ultimi derivano, oltre che dal
costume, da altre leggi (cui del resto fa rinvio lo
stesso art. 2), dalle funzioni del Garante, dalla
giurisprudenza in materia e da forme di
autoregolamentazione.
5.-- La richiesta referendaria non può infine
ritenersi inammissibile per l'omessa indicazione delle
numerose norme relative all'Ordine dei giornalisti,
distribuite in diversi testi legislativi non
ricompresi nel quesito posto agli elettori.
Va in proposito osservato, in via di principio, che
la carenza del requisito della completezza non è
ravvisabile per il solo fatto che non siano investiti
tutti gli altri frammenti, richiami o parti di norme
che, in conseguenza dell'abrogazione, verrebbero a
subire i normali effetti caducatori o di adattamento
da parte del giudice o del legislatore.
L'incompletezza è, invece, ravvisabile solo quando la
stessa norma o lo stesso principio oggetto del referendum
costituiscano il contenuto essenziale di un altro
autonomo corpo normativo che, sopravvivendo
all'eventuale abrogazione per voto popolare,
determinerebbe un'intollerabile contraddizione,
traducendosi in un difetto di chiarezza verso gli
elettori. Nella specie la residua normativa riguarda
aspetti talvolta marginali del regolamento della
professione di giornalista, o aspetti la cui
permanenza è compatibile con l'eventuale abrogazione
della legge in questione; rimanendo comunque affidato
alla discrezionalità del legislatore ed
all'interpretazione sistematica della giurisprudenza,
in caso di esito positivo del referendum, il
compito di ricondurre la disciplina ad unità ed
armonia.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile la richiesta di referendum
popolare per l'abrogazione della legge 3 febbraio
1963, n. 69, nel testo risultante dalle modificazioni
apportate dalle leggi 20 ottobre 1964 n. 1039 e 10
giugno 1969 n. 308 e dalle sentenze della Corte
costituzionale n. 11 e n. 98 del 1968, recante
"Ordinamento della professione di
giornalista", richiesta dichiarata legittima, con
ordinanza dell'11-13 dicembre 1996, dall'Ufficio
centrale per il referendum costituito presso la
Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 gennaio
1997
Il Presidente: Renato Granata
Il redattore: Fernando Santosuosso
ALLEGATO
ORDINANZA
emessa nella camera di consiglio dell'8 gennaio
1997.
Premesso che hanno depositato "atto di
intervento in giudizio" l'Ordine dei giornalisti,
Consiglio nazionale; il Consiglio regionale
dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia e l'Ordine
dei giornalisti del Veneto;
Ritenuto che, secondo la costante giurisprudenza
della Corte (sentenze nn. 37, 33 e 32 del 1993, 47 del
1991, 10 del 1972), sono legittimati ad intervenire
nei giudizi di ammissibilità della richiesta di referendum,
a norma dell'art. 33, terzo comma, della legge 25
maggio 1970, n. 352, soltanto il Governo nonché i
delegati e i presentatori;
che i soggetti sopra indicati non rivestono tali
qualità, sicché il loro intervento risulta
inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento sopra indicato.
F.to: Renato GRANATA, Presidente
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