IL PRETORE
Letto gli atti del procedimento penale iscritto al n. 801/98 r. g. Dib. pendente
nei confronti di xxxx, per il reato di cui all’art. 663-bis c. p.
Alla pubblica udienza del 24 marzo 1999 ha pronunciato, dandone lettura in
udienza, la seguente ordinanza: 1) l’imputata è stata tratta a giudizio per
rispondere del reato di divulgazione di stampa clandestina, accertato in Livorno
l’8 aprile 1996, in particolare la prevenuta in concorso con altri la cui
posizione è stata, nel frattempo definita, in qualità di rappresentante della
lista Pannella - Sgarbi, nel contesto della campagna elettorale, divulgava
stampa pubblicata senza l’osservanza delle prescrizioni di legge sulla
pubblicazione e sulla diffusione periodica, distribuendo un periodico
clandestino denominato "Risorgimento liberale" mancante della
registrazione prevista dall’art. 5 della legge n. 47/1998;
2) il suo difensore, prima dell’apertura del dibattimento ha sollecitato il
giudicante a sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 663/bis c. p., 5, legge n. 47/1948 e 47, legge n. 69/1963,
che punisce chi divulga stampati pubblicati senza avere ottenuto la
registrazione per difetto di iscrizione del Direttore responsabile nell’albo
dei giornalisti, con riferimento agli artt. 21 e 3 della Costituzione;
3) specificava in particolare il difensore che nel caso di specie la
registrazione non era stata richiesta, proprio perché mancava nel direttore
responsabile nominato, Bernardini Rita il requisito richiesto dall’art. 5
citato dell’iscrizione all’Albo dei giornalisti;
Osserva
L’art. 5, primo comma della legge n. 47/1948, sostanzialmente confermando
la disciplina anteriormente vigente, prevede che nessun giornale o periodico
può essere pubblicato se non sia stato prima registrato presso la cancelleria
del tribunale, ed il comma 2 della stessa norma, al n. 3), individua tra gli
atti che devono essere depositati contestualmente all’istanza un documento da
cui risulti l’iscrizione all’Albo dei giornalisti, nei casi in cui questa
sia richiesta dalle leggi professionali;
L’ordine professionale dei giornalisti, introdotto già in epoca fascista dall’art.
7 della legge 31 dicembre 1925, n. 2305 e poi ulteriormente disciplinato dal
regio decreto del 28 febbraio 1928, n. 384, è oggi disciplinato dalla legge n.
69/1963; tale normativa ha previsto in particolare all’art. 45 che
"nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di
giornalista se è iscritto nell’albo professionale", sanzionando le
trasgressioni a tale divieto in sede penale; inoltre in alcune norme (artt. 28,
46 e 47) si individuano i casi in cui è necessario l’esercizio dell’attività
di giornalista da parte del direttore responsabile, si parifica la disciplina
dei giornalisti pubblicisti a quella dei giornalisti professionisti (C. cost. n.
98/1968), si ammette una parziale eccezione alla regola (riferita ai soli
direttori, ma con obbligo di vicedirettori iscritti all’Albo) per i quotidiani
e le altre pubblicazioni periodiche che siano organi di partiti o movimenti
politici o di organizzazioni sindacali, si esclude dall’obbligo di iscrizione
le sole categorie delle pubblicazioni a carattere tecnico, professionale o
scientifico;
Il periodico clandestino "Risorgimento liberale" non appartiene a
nessuna delle categorie per le quali è prevista l’esclusione dell’esercizio
dell’attività di giornalista da parte del di rettore responsabile;
Atteso che l’art. 663. bis c. p., sanziona chi divulga stampa pubblicata senza
l’osservanza delle prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione di
periodici e non periodici, prescrizioni tra le quali rientra evidentemente
quella contenuta nell’art. 5, n. 3 legge n. 47/1948 in materia di
registrazione, e di presupposti per ottenerla, la questione sollevata appare
rilevante; difatti il reato contestato è ipotizzabile a condizione che manchi
alcuno dei presupposti previsti dalla legge, ed in particolare quello dell’appartenenza
del direttore responsabile all’ordine dei giornalisti, espressamente previsto
dal combinato disposto delle norme citate;
La questione appare inoltre, in relazione ai principi statuiti dagli artt. 21,
3, 4 e 18 della Costituzione, non manifestamente infondata;
A tale proposito vi è in linea preliminare da sottolineare quanto emerge dai
lavori preparatori dell’Assemblea costituente; il dibattito che all’epoca si
venne a sviluppare mostra come i costituenti, più che disciplinare l’esercizio
del diritto in prospettiva, volessero dettare dei principi che avrebbero dovuto
consentire di evitare le esperienze del recente passato e di garantire la
libertà di espressione in genere, e di stampa in particolare; l’art. 21 della
Costituzione rappresentò per tale motivo il punto di equilibrio tra le diverse
posizioni emerse ed in particolare venne pensato per limitare l’intervento da
parte degli organi di polizia al settore dei sequestri in via d’urgenza, e per
disciplinare il tipo di controllo a cui sottoporre le aziende editoriali; in
tale contesto si ritenne di dover escludere la pubblicizzazione dei mezzi di
produzione nel settore editoriale, ritenendo che la stampa non potesse essere
inserita tra i servizi pubblici in senso stretto, e nella convinzione che si
potesse lasciare alla legislazione ordinaria la previsione di un sistema di
controllo sociale sulla stessa che fosse adeguato alle esigenze del momento
storico;
Asseritamene per rispondere alle esigenze dell’epoca venne emanata la legge n.
69/1963 che disciplina l’ordinamento professionale dei giornalisti ispirandosi
al modello del giornalismo letterario e su supporto cartaceo; quella legge pur
non fornendo alcuna definizione oggettiva di quella professione, prevede che
essa possa essere svolta da chi disponga di una certa qualificazione formale,
circostanza questa che ha comportato non pochi problemi con l’affermarsi ad
esempio, in anni più recenti, della contrattazione collettiva, e del
conseguente frequente mutamento dei profili professionali dei singoli
lavoratori.
La nascita e l’enorme diffusione di strumenti di informazione totalmente
sconosciuti negli anni’60 ha contribuito a rendere datata quella legge che
impone ad esempio, per tutti i periodici indipendentemente dal loro contenuto,
di informazione o di intrattenimento, l’obbligo del direttore responsabile di
iscrizione all’Albo, mentre invece nel settore televisivo si è previsto un
identico obbligo soltanto per coloro i quali svolgano
l’attività di natura informativa; per non parlare poi di quanto è nel
frattempo avvenuto nel settore delle comunicazioni via modem, oggi totalmente
sottratte a controllo nonostante il contenuto di informazione che pure esse
possono avere, oltre che di una sconfinata capacità di diffusione, così da
essere portatrici degli stessi rischi che con le disposizioni in commento si era
voluto evitare;
La Corte costituzionale ha già avuto modo di affrontare la questione dell’illegittimità
dell’Ordine professionale dei giornalisti con particolare riferimento all’obbligo
di iscrizione dei direttori responsabili (C. cost. n. 11/1968) ritenendo l’irrilevanza
dell’ordinamento della professione giornalistica rispetto alla libertà di
manifestazione del pensiero tramite la stampa, e la funzione dello stesso di
tutela della libertà della categoria; a prescindere dal rilievo che è assai
difficile immaginare un istituto che nel contempo limiti e garantisca una
libertà (altro sarebbe stato prevedere uno statuto che garantisse i principi di
indipendenza interni) si deve osservare come quelle argomentazioni, svolte in
anni in cui la stampa era sostanzialmente l’unico strumento di manifestazione
del pensiero, appaiono oggi da rivedere alla luce delle modifiche intervenute
nei mezzi di comunicazione, giacchè tale profilo appare rilevante in relazione
all’oggettiva compressione del diritto che così viene posta in essere, con
conseguente lesione dell’art. 3 della Costituzione;
La legittimità delle norme in commento era stata ritenuta dalla Corte anche in
ragione della
Affermata assimilabilità dell’Ordine dei giornalisti ad altre categorie
professionali, quali i medici e gli avvocati; peraltro questo giudicante ritiene
sommessamente che, alla luce della normativa dettata dalla legge n. 69/1963, ma
ancor di più in ragione della singolarità della professione in parola, l’unica
ad avere ad oggetto l’esercizio di una libertà costituzionale, quelle
argomentazioni vadano rivalutate; il confronto tra l’ordine dei giornalisti e
gli altri ordini professionali consente infatti di affermare che il primo, a
differenza dei secondi, afferisce a soggetti che normalmente non godono della
qualità di liberi professionisti; hanno ottenuto l’iscrizione all’albo
sostenendo una prova d’idoneità professionale che certo non può paragonarsi
ad un esame di Stato; devono conseguire un titolo professionale pur esercitando
un’attività per la quale quel titolo non è strettamente necessario; da ciò
consegue che l’inquadramento professionale e l’assetto organizzativo
perseguito normalmente per gli esercenti le libere professioni di natura
intellettuale, posto a tutela della fede pubblica in relazione sia alla
preparazione tecnica che all’attitudine morale di chi intenda svolgere in via
esclusiva determinate mansioni, non appartiene all’Ordine dei giornalisti; né
d’altra parte si può superare tale discrasia conferendo all’Ordine una
natura, nella sostanza, di organo di tutela sindacale, giacchè ciò mal si
concilierebbe con la previsione di un obbligo tassativo di iscrizione all’albo
per l’esercizio di fatto di un diritto costituzionalmente garantito;
L’obbligo di iscrizione all’Ordine dei giornalisti per l’esercizio del
diritto sancito dall’art. 21 della Costituzione appare contrastare in
particolare con la previsione dell’art. 18 della Costituzione in materia di
libertà di associazione; tale libertà è stata ritenuta dalla corte riferita
tanto al diritto di associarsi liberamente, quanto al diritto di non associarsi;
le previsioni contenute nella legge n. 69/1963 appaiono costituire un obbligo
per i giornalisti professionisti, ed inoltre il direttore responsabile, di
associarsi tra loro se vogliono esercitare il diritto riconosciuto dall’art.
21 della Costituzione, con ciò negandosi di fatto la possibilità di
associazione negativa (ciò si argomenta in relazione al fatto che in precedenza
la Corte ha ritenuto la legittimità delle norme in commento in considerazione
del fatto che esse sarebbero ispirate alla volontà di tutelare il diritto di
espressione dei giornalisti, con ciò riconoscendosi la natura di tutela
sindacale dell’Ordine) ;
Quanto sino ad ora argomentato consente inoltre di dubitare anche del contrasto
della normativa indicata con l’art. 4 della Costituzione che riconosce il
diritto al lavoro, diritto per l’esercizio del quale non possono essere
imposti dalla legge ordinaria limiti se non in relazione ad un interesse
costituzionalmente protetto; ciò premesso si deve rammentare che la legge n.
69/1963 trova la propria ragione d’essere nella necessità di assicurare un’adeguata
preparazione professionale, di consentire agli organi dell’Ordine, attraverso
l’introduzione del potere disciplinare nei confronti dei giornalisti, la
repressione dei comportamenti contrari all’onore ed al decoro della
professione, di tutelare la libertà di espressione del pensiero degli iscritti
nei confronti del potere economico su cui la stampa si sostiene; se ciò è
vero, l’unico principio a cui si potrebbe fare riferimento, per affermare l’esistenza
di un interesse costituzionalmente protetto legittimante una limitazione del
diritto al lavoro, è l’art. 21 della Costituzione; ma tale norma riconosce a
tutti, e non solo agli iscritti all’albo il diritto alla libera espressione
del proprio pensiero, e d’altra parte la repressione di determinati
comportamenti viene affidata al giudice ordinario, e non all’Ordine, ed alle
norme penali espressamente dettate a tale proposito (il che significa che non
sarebbero legittime quelle limitazioni al principio sancito dall’art. 21 che
siano previste da norme ordinarie la cui violazione, tra l’alto, è già
sanzionata con una norma di pari grado) ;
Deve altresì rilevarsi come l’iscrizione all’albo, pur costituendo un
presupposto per l’esercizio di un diritto costituzionale, quantomeno nella
forma professionale (ma è d’altra parte la stessa Corte ad affermare che il
giornalismo, se si alimenta anche nel contributo di chi ad esso non si dedica
professionalmente, vive soprattutto attraverso l’opera quotidiana dei
professionisti alla cui libertà "si connette, in un unico destino, la
libertà della stampa periodica, che a sua volta è condizione essenziale di
quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici
vitali"), ed in ogni caso per l’esercizio della funzione di direttore
responsabile, mentre per altre forme di manifestazioni del pensiero diverse
dalla stampa manca un’identica disciplina, è condizionata ad una serie di
vincoli ed oneri; si pensi a tale proposito al potere dei Consigli di concedere
l’iscrizione a chi abbia riportato una condanna che non importi interdizione
dai pubblici uffici, o dopo la cessazione di questa, "vagliate tutte le
circostanze e specialmente la condotta del richiedente" (art. 31 u. c.,
legge n. 69/1963), ed al fatto che tale potere non viene escluso neppure in
relazione a condanne per reato di opinione;
Alla necessità per gli aspiranti giornalisti di produrre una dichiarazione
motivata del direttore responsabile circa la pratica esperita, dichiarazione che
non viene per legge limitata alla sola attestazione obiettiva degli elementi
formali del rapporto; ai poteri disciplinari ed alle relative sanzioni cui sono
sottoposti coloro che si rendono colpevoli di comportamenti "non conformi
al decoro ed alla dignità professionale" (art. 48), e che devono essere
correlati all’obbligo inderogabile "del rispetto della verità
sostanziale dei fatti" (art. 2) ;
Il quadro come sopra delineato consente di ritenere non manifestamente infondata
la questione sollevata dell’illegittimità costituzionale del combinato
disposto degli artt. 663 - bis c.p., 5, comma 2 n. 3 della legge n. 47 /1948 e
45 della legge n. 69/1963, costituendo quest’ultimo un limite al libero
esercizio del diritto al lavoro, a non associarsi obbligatoriamente ma solo per
libera scelta, all’espressione del proprio pensiero con l’uso dello scritto,
limitazione quest’ultima che non ricorre in relazione ad altre forme di
esercizio del diritto sancito dall’art. 21 della Costituzione.
P. Q. M.
Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1, della legge 9 febbraio 1948, n.
1 e 23 e ss. legge 11 marzo 1953 n. 87;
Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 663 - bis c.p., in riferimento agli artt. 5, comma 2
n. 3), legge n. 47/1948 e 45 della legge n. 69/1963 in relazione agli artt. 21,
3, 4 e 18 della Costituzione e per l’effetto;
Sospende il giudizio in corso nei confronti di xxxx
Ordina la trasmissione degli atti e della presente ordinanza alla Corte
costituzionale;
Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al Presidente
del Consiglio dei Ministri e per la comunicazione della stessa ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
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