Quella notte io c'ero. Con un gruppo di amici, panini,
patatine e cocacola. La lunga notte davanti al
televisore in bianco e nero. L'uomo sulla Luna!
Timoniere esperto di un'interminabile diretta, lui, Tito
Stagno. E il battibecco con Ruggero Orlando. Ho ancora
davanti agli occhi quelle ore irripetibili, che sono
anche la nostalgia dei vent'anni, ma soprattutto il
senso di avere in qualche modo preso parte a un evento
unico, irripetibile.
In Mister Moonlight Tito Stagno, con Sergio
Benoni, ci racconta tutto quello che successe prima di
quella diretta, e durante. Un racconto avvincente, al
centro di un'autobiografia a tutto campo, quasi
impudica. La storia di un giornalista profondamente
innamorato del suo lavoro, un professionista
dell'informazione consapevole del suo ruolo e delle sue
responsabilità.
Ormai ottantenne, ma lucido, impeccabile come quando
faceva il "mezzobusto", Stagno ci parla di una
televisione che non c'è più. Quella che selezionava e
formava i giornalisti, li assumeva perché bravi e non
perché "in quota" a questa o quella parte
politica, a questo o quel notabile. Da un altro punto di
vista è la stessa televisione che ci ha raccontato,
qualche anno fa, Bruno Vespa in un altro libro
largamente autobiografico: Rai, la grande guerra
1962-2002 (Rai Eri-Mondadori, 2002). Diversi gli
autori, diversa la visione degli eventi. Una storia di
informazione per Mister Moonlight, una storia di
politica per l'anfitrione della "terza Camera della
Repubblica".
Ma, in comune, la nostalgia per un passato di grandi
imprese, di grandi personaggi, di una
"missione" del servizio pubblico
radiotelevisivo che oggi sopravvive in pochi programmi
mandati in onda in orari "catacombali",
secondo la definizione di Gianni Minoli, un altro
"vecchio" protagonista della TV.
Un libro da leggere tutto in un fiato,
che si chiude purtroppo con una riflessione tanto
scontata quanto amara. Scrive Stagno: "E' successo
che tutto quel mondo in cui ero cresciuto, pian piano è
cambiato. E' finita una fase eroica - forse naïf,
ma comunque onesta - nella quale avevo creduto. Quella
della prima tv, fatta da persone più o meno capaci e
generalmente perbene. Quella del giornalismo fatto con
passione e a volte persino utile... Ed è incominciata
l'era della mediocrità. E il gioco - in Rai come
ovunque - si è fatto sporco".
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