Il testo integrale della sentenza
La Corte di Strasburgo ha dichiarato che c'è stata la violazione degli articoli
8 e 10 della Convenzione e conseguentemente ha condannato il Granducato del
Lussemburgo a pagare al giornalista e all'avvocato 4mila euro a testa per i
danni morali nonché le spese (11.629 euro) al cronista.
Milano, 19 febbraio 2004. L'ordinamento europeo impedisce ai giudici
nazionali di ordinare perquisizioni negli uffici e nelle abitazioni dei
giornalisti nonché nelle "dimore" dei loro avvocati a caccia di prove
sulle fonti confidenziali dei cronisti: "La libertà d'espressione
costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, e le
garanzie da concedere alla stampa rivestono un'importanza particolare. La
protezione delle fonti giornalistiche è uno dei pilastri della libertà di
stampa. L'assenza di una tale protezione potrebbe dissuadere le fonti
giornalistiche dall'aiutare la stampa a informare il pubblico su questioni
d'interesse generale. Di conseguenza, la stampa potrebbe essere meno in grado di
svolgere il suo ruolo indispensabile di "cane da guardia" e il suo
atteggiamento nel fornire informazioni precise e affidabili potrebbe risultare
ridotto".
Questi sono i principi sanciti nella sentenza 25 febbraio 2003 (Procedimento n.
51772/99) della quarta sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo. Va
detto che gli articoli della Convenzione operano e incidono unitamente alle
interpretazioni che la Corte di Strasburgo ne dà attraverso le sentenze. Le
sentenze formano quel diritto vivente al quale i giudici dei vari Stati
contraenti sono chiamati ad adeguarsi sul modello della giustizia inglese.
Questa sentenza, tradotta ed asseverata in tribunale nonché pubblicata nel sito
web dell'Ordine dei Giornalisti della Lombardia, è da oggi a disposizione dei
giornalisti presi di mira dai Gip e dal Pm. Il segreto professionale dei
giornalisti è tutelato solennemente dall'articolo 10 della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, mentre l'articolo 8 della stessa Convenzione protegge il
domicilio dei legali.
I protagonisti di questa vicenda (causa Roemen e Schmit contro Lussemburgo)
sono due cittadini lussemburghesi, il giornalista Robert Roemen e l'avvocato
Anne-Marie Schmit. La Corte di Strasburgo ha dichiarato che c'è stata la
violazione degli articoli 8 e 10 della Convenzione e conseguentemente ha
condannato il Granducato del Lussemburgo a pagare al giornalista e all'avvocato
4mila euro a testa per i danni morali nonché le spese (11.629 euro) al
cronista.
Il 21 luglio 1998, Robert Roemen ha pubblicato un articolo intitolato "Minister
W. der Steuerhinterziehung überführt" ("Il ministro W.
accusato di frode fiscale") sul quotidiano "Lëtzëbuerger
Journal". Vi sosteneva che "il ministro aveva infranto il
settimo, l'ottavo e il nono comandamento con frodi riguardanti l'IVA e osservava
che ci si sarebbe potuti aspettare che un uomo politico di destra prendesse più
sul serio i principi elaborati con tanta cura da Mosè. Precisava che il
ministro era stato oggetto di una sanzione fiscale di 100.000 franchi
lussemburghesi. Concludeva che un tale atteggiamento era ancor più vergognoso
poiché proveniente da una personalità che doveva servire da esempio".
La reazione del ministro era scattata sul fronte amministrativo e penale. Così
i giudici avevano ordinato di perquisire gli studi e gli uffici del giornalista
e dell'avvocato alla ricerca di indizi tali da portare gli inquirenti alla
identificazione delle "gole profonde" annidate nell'amministrazione
finanziaria del Granducato.
Si legge nella sentenza: Secondo l'opinione della Corte il presente caso
si distingue dal caso Goodwin in un punto fondamentale. In quest'ultimo caso
l'ingiunzione (di un tribunale inglese, ndr) aveva intimato al giornalista di
rivelare l'identità del suo informatore, mentre nel caso in oggetto sono state
effettuate perquisizioni presso il domicilio e il luogo di lavoro del
giornalista. La Corte giudica che delle perquisizioni aventi per oggetto di
scoprire la fonte di un giornalista costituiscono - anche se restano senza
risultato - un'azione più grave dell'intimazione di divulgare l'identità della
fonte. Infatti, gli inquirenti che, muniti di un mandato di perquisizione,
sorprendono un giornalista nel suo luogo di lavoro, detengono poteri d'indagine
estremamente ampi poiché, per definizione, possono accedere a tutta la
documentazione in possesso del giornalista. La Corte, che non può fare altro se
non rammentare che "i limiti definiti per la riservatezza delle fonti
giornalistiche esigono da parte [sua] (...) l'esame più scrupoloso
possibile" (vedi supra il provvedimento Goodwin citato, § 40), è quindi
del parere che le perquisizioni effettuate presso il giornalista erano ancora
più lesive nei confronti della protezione delle fonti di quelle adottate nel
caso Goodwin.
In considerazione di quanto precede la Corte giunge alla conclusione che il
Governo non ha dimostrato che l'equilibrio degli interessi in oggetto, vale a
dire, da un lato, la protezione delle fonti e, dall'altro, la prevenzione e
repressione dei reati, sia stato salvaguardato. A tale scopo rammenta che
"le considerazioni di cui devono tenere conto le istituzioni della
Convenzione per esercitare il loro controllo nell'ambito del par. 2 dell'art.10
fanno pendere la bilancia degli interessi in oggetto in favore di quello della
difesa della libertà di stampa in una società democratica" (vedi supra il
provvedimento Goodwin citato, § 45).
L'avvocato, invece, lamenta un'aggressione ingiustificata al suo diritto
al rispetto del suo domicilio a causa della perquisizione effettuata presso il
suo studio. Sostiene inoltre che il sequestro avvenuto in tale occasione ha
violato il diritto al rispetto della "corrispondenza fra l'avvocato e il
suo cliente". La Corte riconosce che "il mandato di
perquisizione concedeva quindi agli inquirenti dei poteri piuttosto
estesi". Inoltre, e soprattutto, la Corte è del parere che lo scopo
della perquisizione era infine quello di svelare la fonte del giornalista:
"Di conseguenza, la perquisizione della scrivania dell'avvocato ha avuto
una ripercussione sui diritti garantiti al giornalista dall'articolo 10 della
Convenzione. La Corte giudica peraltro che la perquisizione della scrivania è
stata sproporzionata rispetto allo scopo previsto, sostanzialmente tenendo conto
della rapidità con cui è stata effettuata".
Ed ecco il testo della sentenza:
CONSIGLIO D'EUROPA
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO
Quarta Sezione
Causa ROEMEN E SCHMIT contro LUSSEMBURGO
(Procedimento n. 51772/99)
S E N T E N Z A
Strasburgo, 25 febbraio 2003
Nella causa Roemen e Schmit c. Lussemburgo
La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (quarta sezione),
riunita in camera di consiglio, costituita da:
Sir Nicolas Bratza, presidente
Sig. M. Pellonpää
Sig.re E. Palm
V. Straznicka
Sigg. M. Fischbach
J. Casadevall
S. Pavlovschi, giudici
e dal Sig. M. O'Boyle, cancelliere di sezione
In seguito al dibattimento in camera di consiglio del 4 febbraio
2003,
pronuncia il seguente provvedimento, efficace a partire dalla data in epigrafe:
PROCEDURA
1. L'origine della causa è un procedimento (n. 51772/99)
diretto contro il Gran Ducato del Lussemburgo, di cui due cittadini di tale
Stato, il sig. Robert Roemen ("Attore") e la sig.ra Anne-Marie
Schmit ("Attrice") avevano investito la Corte il 23 agosto 1999 in
base all'art.34 della Convenzione per la tutela dei Diritti dell'Uomo e delle
Libertà fondamentali (la "Convenzione").
2. Gli Attori sono rappresentati avanti la Corte dall'avv. D. Spielmann, avvocato a Lussemburgo. Il Governo lussemburghese (il
"Governo") è rappresentato dal suo agente, avv. Nothar, avvocato.
3. Nella citazione del procedimento il sig. Roemen si
dichiarava, in particolare, vittima di una violazione del diritto, riconosciuto
a tutti i giornalisti, di tacere le sue fonti; la sig.ra Schmit lamentava
sostanzialmente un'aggressione ingiustificata nei confronti del suo diritto al
rispetto del suo domicilio.
4. Il procedimento è stato assegnato alla seconda sezione della
Corte (art.52 § 1 del regolamento; di seguito "il regolamento"). In
seno alla stessa, conformemente all'art.26 § 1 del regolamento, è quindi stata
costituita la camera incaricata d'esaminare la causa (art.27 § 1 della
Convenzione).
5. Con provvedimento del 12 marzo 2002, la camera ha dichiarato
il procedimento parzialmente ammissibile.
6. La camera avendo deciso, in seguito a consultazione con le
parti, che non era il caso di tenere un'udienza dedicata all'approfondimento della
causa (art.59 § 3 in fine del regolamento), le parti hanno ciascuna sottoposto
commenti scritti sulle osservazioni dell'altra.
7. Il 1° novembre 2001, la Corte ha modificato la composizione
delle sue sezioni (art.25 § 1 del regolamento). Il presente procedimento è
quindi stato trasferito alla quarta sezione così come rimaneggiato (art.52 §
1).
IN FATTO
I. CIRCOSTANZE
8. Gli Attori sono nati rispettivamente nel 1945 e nel 1963;
sono residenti a Lussemburgo.
9. Il 21 luglio 1998, l'Attore, in quanto giornalista,
pubblicava un articolo intitolato "Minister W. der Steuerhinterziehung
überführt" ("Il ministro W. accusato di frode fiscale") sul
quotidiano "Lëtzëbuerger Journal". Vi sosteneva che il ministro
aveva infranto il settimo, l'ottavo e il nono comandamento con frodi riguardanti
l'IVA e osservava che ci si sarebbe potuti aspettare che un uomo politico di
destra prendesse più sul serio i principi elaborati con tanta cura da Mosè.
Precisava che il ministro era stato oggetto di una sanzione fiscale di 100.000
franchi lussemburghesi (LUF). Concludeva che un tale atteggiamento era ancor
più vergognoso poiché proveniente da una personalità che doveva servire da
esempio.
10. Gli Attori hanno prodotto avanti la Corte dei documenti
dai quali appare che, con provvedimento del 16 luglio 1998, il direttore
dell'amministrazione del registro e del demanio aveva condannato il ministro W.
alla suddetta sanzione in base all'art.77, 2° comma, della legge IVA del 12
febbraio 1979. Tale provvedimento veniva notificato al ministro W. il 20 luglio
1998. Appare anche che, il 27 luglio 1998, il ministro presentava ricorso al
tribunale della circoscrizione amministrativa (arrondissement) contro la
sanzione fiscale pronunciata nei suoi confronti. Questo ricorso è stato oggetto
di un appello avanti la Suprema Corte. Le parti non hanno fornito altre
informazioni sullo sviluppo di tale procedimento.
11. Il provvedimento del 16 luglio 1998 è stato oggetto di
commenti su altri giornali, segnatamente sul quotidiano "Républicain
lorrain" e sul settimanale "d'Lëtzëbuerger Land". Un deputato
liberale presentava inoltre un'interrogazione parlamentare in merito.
12. In seguito alla pubblicazione dell'articolo dell'Attore
venivano avviati due procedimenti giudiziari.
13. Il 24 luglio 1998, il ministro presentava al tribunale della
circoscrizione amministrativa un'azione legale per risarcimento danni e
interessi contro l'Attore e il quotidiano "Lëtzëbuerger Journal",
sostenendo il carattere errato dell'articolo relativo alla pronuncia di una
sanzione fiscale nei suoi confronti, che avrebbe comportato commenti lesivi per
il suo onore. Con provvedimento del 31 marzo 1999 il tribunale rigettava
l'azione legale del ministro con la motivazione che il giornalista aveva agito
nell'esercizio della libertà di stampa. Con provvedimento del 27 febbraio 2002,
la Corte d'appello annullava la decisione di prima istanza.
14. Il 4 agosto 1998, il ministro ricorreva al tribunale penale.
15. Il 21 agosto 1998, il procuratore di Stato chiedeva al
giudice istruttore di aprire un'inchiesta per violazione del segreto
professionale contro l'Attore e per violazione del segreto professionale contro
uno sconosciuto/degli sconosciuti. La requisitoria precisava che
"l'istruttoria e l'inchiesta dovevano accertare quale funzionario, o quali
funzionari, dell'amministrazione del registro e del demanio era implicato nella
gestione del fascicolo e aveva accesso ai documenti". Il procuratore
chiedeva peraltro al giudice istruttore di effettuare, o far effettuare, una
perquisizione domiciliare nell'abitazione o qualsiasi dimora dell'Attore e nei
locali del "Lëtzëbuerger Journal" nonché presso l'amministrazione
del registro e del demanio.
16. Sono seguite diverse perquisizioni.
1. Perquisizioni nell'abitazione e nel luogo di lavoro
dell'Attore
17. Il 9 ottobre 1998, il giudice istruttore emetteva due
mandati di perquisizione da effettuare una nell'abitazione, l'altra nel luogo di
lavoro dell'Attore, nell'intento "di cercare e sequestrare qualsiasi
oggetto, documento, effetti e/o altre cose utili a provare la verità
rispettivamente in relazione alle infrazioni di cui sopra o il cui uso potrebbe
nuocere al buon andamento dell'istruttoria". Il primo mandato precisava che
la perquisizione riguardava "l'abitazione e qualsiasi dimora di Robert
Roemen, (...) in qualsiasi posto in cui potrà (potrebbe) essere trovato nonché
nelle autovetture di sua proprietà o usate dallo stesso."
18. Le due suddette perquisizioni, effettuate il 19 ottobre 1998,
si sono rivelate infruttuose.
19. Il 21 ottobre 1998, l'Attore presentava dei ricorsi intesi ad
annullare ognuno dei mandati del 9 ottobre 1998 nonché tutti gli atti
istruttori eseguiti in base agli stessi, nella fattispecie le perquisizioni del
19 ottobre 1998. Oltre ad argomenti di diritto nazionale, ipotizzava la
violazione dell'art.10 della Convenzione sostenendo, in particolare, il proprio
diritto rispetto alla protezione delle fonti giornalistiche.
20. Con due provvedimenti del 9 dicembre 1998, la camera di
consiglio del tribunale della circoscrizione amministrativa rigettava ogni
ricorso. I giudici rilevavano che il ministro aveva denunciato un determinato
numero di fatti fra cui quello secondo cui dei funzionari dell'amministrazione
del registro e del demanio avevano divulgato indebitamente delle informazioni
all'Attore, che le avrebbe utilizzate in occasione della redazione di un
articolo di stampa calunniatore e diffamatorio. Tali fatti erano passibili
d'integrare un certo numero di fattispecie penali, fra cui quelle di violazione
del segreto professionale, violazione del segreto fiscale, furto e ricettazione
così come calunnia o diffamazione. I giudici precisavano che, secondo i termini
dell'art.11 dello statuto generale dei funzionari, a tutti i funzionari è
vietato rivelare fatti di cui siano venuti a conoscenza grazie alle loro
funzioni e che, per loro natura, abbiano carattere confidenziale. Aggiungevano
che la legge generale sulle imposte sanzionava penalmente la violazione del
segreto fiscale così come l'art.458 c.p. reprimeva la violazione del segreto da
parte di qualsiasi persona depositaria di segreti alla stessa confidati a causa
della sua professione. Quanto all'infrazione riguardante la ricettazione,
sottolineavano che l'art.505 c.p. colpisce tutti coloro che, a conoscenza di
causa, con qualsiasi mezzo abbiano tratto vantaggio dal prodotto di un reato o
di un illecito. Secondo la dottrina e giurisprudenza dominanti, l'oggetto della
ricettazione potrebbe essere immateriale, non soltanto come una creazione, ma
anche un segreto di fabbricazione o un segreto professionale. Da questo punto di
vista è poco importante che le circostanze d'origine dell'illecito non siano
state determinate appieno se la persona coinvolta era a conoscenza della sua
origine illecita, la fattispecie dell'infrazione originaria essendo
indifferente. I giudici concludevano che il giudice istruttore, incaricato di
istruire i fatti di cui era venuto a conoscenza, aveva il diritto di
ordinare una misura istruttoria al fine di convalidare gli indizi a carico già
in essere. Precisavano, inoltre, che l'art.10 della Convenzione europea dei
Diritti dell'Uomo non era stato violato dal momento che le perquisizioni -
ordinate per raccogliere delle prove e determinare la verità concernente azioni
illecite dal punto di vista penale che potessero aver preceduto la redazione di
un articolo di stampa o avervi contribuito - non avevano recato alcun
pregiudizio alla libertà d'espressione o alla libertà di stampa.
21. Con due decisioni del 3 marzo 1999, la camera di consiglio
della Corte d'appello rigettava i ricorsi in appello presentati contro i
provvedimenti del 9 dicembre 1998.
2. Perquisizione nello studio dell'Attrice
22. Il 19 ottobre 1998, il giudice istruttore ordinava una
perquisizione da effettuare il giorno stesso presso lo studio dell'Attrice
(avvocato dell'Attore nel procedimento nazionale).
23. In occasione di tale perquisizione gli investigatori
sequestravano una lettera del 23 luglio 1998 indirizzata al Primo Ministro dal
direttore dell'amministrazione del registro e del demanio, recante l'indicazione
manoscritta "Ai capi servizio. Trasmessa a titolo confidenziale per vostra
buona norma". Gli Attori spiegano che tale documento era stato comunicato
anonimamente alla redazione del "Lëtzëbuerger Journal" e che
l'Attore l'aveva immediatamente trasmesso al suo avvocato, vale a dire
all'Attrice.
24. Il 21 ottobre 1998, è stato presentato un ricorso di
annullamento contro il mandato di perquisizione e i successivi atti istruttori.
25. La camera di consiglio del tribunale della circoscrizione
amministrativa accoglieva il ricorso con la motivazione che il verbale del
servizio di polizia giudiziaria che aveva eseguito il mandato del 19 ottobre
1998, non citava, contrariamente alle disposizioni dell'art.35 della legge sulla
professione forense, le osservazioni del vicepresidente dell'Ordine degli
Avvocati presente durante le operazioni di perquisizione e sequestro. Annullava
il sequestro effettuato il 19 ottobre 1998 e ordinava la restituzione
all'Attrice della lettera del 23 luglio 1998.
26. Il documento sequestrato veniva restituito in data 11 gennaio
1999.
27. Lo stesso giorno, tuttavia, il giudice istruttorio ordinava
nuovamente una perquisizione avente lo scopo "di cercare e sequestrare
qualsiasi oggetto, documento, effetto e/o altre cose utili a provare la verità
rispettivamente in relazione alle infrazioni di cui sopra o il cui uso potrebbe
nuocere al buon andamento dell'istruttoria, e segnatamente il documento del 23
luglio 1998 recante l'indicazione manoscritta per i capi servizio". La
lettera in oggetto veniva quindi nuovamente sequestrata il giorno stesso.
28. Il 13 gennaio 1999, l'Attrice presentava ricorso
d'annullamento sostenendo sostanzialmente una violazione del principio secondo
cui il luogo di lavoro dell'avvocato e il segreto delle comunicazioni fra
l'avvocato e il suo cliente sono inviolabili. La sua istanza veniva respinta
dalla camera di consiglio del tribunale della circoscrizione amministrativa il 9
marzo 1999. Da un lato, i giudici riconoscevano il potere del giudice
istruttorio di procedere a perquisizioni anche presso persone che, a causa della
loro professione, sono depositarie di segreti loro confidati e tenute per legge
a non divulgarli e, dall'altro, consideravano che nella fattispecie le
disposizioni dell'art.35 della legge del 10 agosto 1991 sulla professione
forense erano state rispettate. Precisavano che le operazioni di perquisizione e
sequestro erano state effettuate in presenza del giudice istruttore, del
rappresentante della procura della Repubblica e del presidente dell'Ordine degli
Avvocati. Inoltre, la presenza del presidente dell'Ordine degli Avvocati e le
osservazioni concernenti la tutela del segreto professionale, che questi aveva
considerato dover esporre a proposito dei documenti da sequestrare, erano state
citate nel verbale del servizio di polizia giudiziaria.
29. Mediante provvedimento del 20 maggio 1999, la camera di
consiglio della Corte d'appello respingeva il ricorso in appello contro il
provvedimento del 9 marzo 1999.
3. Periodo successivo alle perquisizioni
30. Con lettera del 23 luglio 1999. l'Attore s'informava
presso il giudice istruttore in merito allo stato di avanzamento della
questione. Lamentava il fatto che nessun altro passo sembrava essere stato
compiuto e ricordava al giudice come questi non potesse presumere di ignorare le
disposizioni dell'art.6 della Convenzione. Sollecitava nuovamente il giudice in
termini analoghi il 27 settembre 2000.
31. Il 3 ottobre 2000, gli Attori fornivano alla Corte un
articolo pubblicato sul settimanale "d'Lëtzëbuerger Land" del 29
settembre 2000 in cui è possibile leggere quanto segue:
"(...) L'indagine nell'ambito dell'affare W. culmina quindi
con la perquisizione dell'abitazione di un funzionario dell'amministrazione del
registro e del demanio, membro del partito socialista, e con il reperimento di
telefonate in arrivo e in uscita di almeno due altri membri del [partito
socialista] (...)"
32. Il 18 aprile 2001, l'Attore sollecitava nuovamente il giudice
istruttore che, il 23 aprile 2001, gli rispondeva che "l'inchiesta
giudiziaria segue (seguiva) il suo corso".
33. Il 13 luglio 2001, in risposta a una lettera ricevuta
dall'Attore il giorno stesso, il giudice istruttore informava l'interessato che
l'indagine della polizia giudiziaria era terminata e che il fascicolo
istruttorio era appena stato trasmesso al procuratore di Stato per le
conclusioni.
34. Il 16 ottobre 2001, l'Attore citava al procuratore le
disposizioni dell'art.6 della Convenzione, rammentandogli che l'istruzione del
fascicolo era durata 3 anni e che l'Attore stesso non era mai stato accusato.
35. Il 13 novembre 2001, l'Attore riceveva un mandato di
comparizione avanti il giudice istruttore che chiedeva d'interrogarlo il 30
novembre 2001 sulle infrazioni a suo carico. Il mandato precisava che poteva
farsi assistere da un difensore.
36. Il 30 novembre 2001, l'Attore veniva accusato dal giudice
istruttore di "violazione del segreto professionale".
37. Gli Attori sottoponevano alla Corte un articolo pubblicato
sul giornale "Le Quotidien" del 9 gennaio 2002, in cui veniva indicato
che il Primo Ministro aveva "considerato 'sproporzionati' i mezzi adottati
dal giudice istruttore nell'ambito dell'inchiesta per violazione del segreto
professionale".
38. Da un provvedimento della camera di consiglio del
tribunale della circoscrizione amministrativa del 1° luglio 2002 risulta che
l'accusa nei confronti dell'Attore veniva annullata e il fascicolo rinviato al
competente giudice istruttore per consentirgli di chiudere o continuare
l'istruttoria.
39. Il 14 gennaio 2003, l'Attore faceva pervenire alla Corte una
lettera datata 9 gennaio 2003 con cui il giudice istruttore l'informava che
"l'istruttoria giudiziaria era [appena] stata chiusa".
II. DIRITTO NAZIONALE APPLICABILE
A. Perquisizioni e sequestri in generale
40. L'art.65 del codice d'istruttoria penale prevede
che "perquisizioni vengono effettuate in tutti i luoghi in cui possono
trovarsi oggetti la cui scoperta sarebbe utile a provare la verità".
41. L'art.66 dello stesso codice prevede che "il giudice
istruttore effettua il sequestro di tutti gli oggetti, documenti, effetti e
altre cose previste all'art.31(3)". Quest'ultimo articolo dispone che
potrà essere sequestrato "(...) in generale, tutto ciò che appare utile
per provare la verità o il cui utilizzo nuocerebbe al buon andamento
dell'istruttoria e tutto ciò che è passibile di confisca o restituzione".
B. Perquisizioni e sequestri effettuati presso un avvocato
42. L'art.35(3) della legge del 10 agosto 1991 sulla
professione forense dispone quanto segue:
"Il luogo di lavoro dell'avvocato e il segreto delle
comunicazioni tramite qualsiasi mezzo fra l'avvocato e il suo cliente sono
inviolabili. Se una misura di procedura civile o d'istruttoria penale viene
applicata presso, o nei confronti di, un avvocato nei casi previsti dalla legge,
è possibile procedere solo in presenza del presidente dell'Ordine degli
Avvocati o del suo rappresentante, o degli stessi debitamente convocati.
Il presidente dell'Ordine degli Avvocati o il suo rappresentante
può indirizzare alle autorità aventi ordinato tali misure qualsiasi
osservazione concernente la tutela del segreto professionale. Gli atti del
sequestro e i verbali delle perquisizioni citano, pena la nullità, la presenza
del presidente dell'Ordine degli Avvocati o del suo rappresentante o che gli
stessi sono stati debitamente convocati, come pure le osservazioni che, se del
caso, il presidente dell'Ordine degli Avvocati o il suo rappresentante abbiano
ritenuto dover esporre."
IN DIRITTO
I. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ART.10 DELLA CONVENZIONE
43. L'Attore sostiene che il diritto di tacere le sue fonti
conferitogli dalla sua qualità di giornalista è stato violato dalle diverse
perquisizioni effettuate. Invoca in tal senso l'art.10 della Convenzione che
dispone:
"1. Qualsiasi persona ha diritto alla libertà
d'espressione. Tale diritto comprende la libertà d'opinione e la libertà di
ricevere o comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da
parte delle pubbliche autorità e senza tenere in considerazione alcun confine.
Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre le aziende
radiofoniche, cinematografiche o televisive a un regime di autorizzazioni.
2. Poiché l'esercizio delle suddette libertà comporta doveri e
responsabilità, lo stesso può essere soggetto a determinate formalità,
condizioni, restrizioni o sanzioni previste dalla legge, costituenti misure
necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale,
l'integrità territoriale o la sicurezza pubblica, per la difesa dell'ordine e
la prevenzione del crimine, la protezione della salute o della morale, la
protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione
d'informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del
potere giudiziario."
A. Tesi delle parti
1. L' Attore
44. L'Attore è del parere che le perquisizioni controverse
costituivano ingerenza nell'esercizio da parte sua dei diritti derivantigli
dall'art.10 della Convenzione; avevano per oggetto di scoprire l'autore della
presunta violazione del segreto professionale, quindi la fonte d'informazione
del giornalista. Le misure incriminate erano sproporzionate e di carattere tale
da dissuadere il giornalista a esercitare il suo ruolo di "cane da
guardia", indispensabile per l'informazione del pubblico su questioni
d'interesse generale. La scoperta dell'identità dell'autore della violazione
del segreto professionale avrebbe potuto essere raggiunta con altri mezzi, come
interrogatori dei funzionari dell'amministrazione del registro e del demanio.
Inoltre, la passività delle autorità istruttorie e giudiziarie successivamente
alle perquisizioni costituisce una prova sufficiente che queste ultime non erano
assolutamente necessarie per la protezione dell'ordine pubblico e la prevenzione
di illeciti penali.
2. Il Governo
45. Il Governo sostiene, per contro, che le azioni incriminate
delle autorità nazionali non possono essere analizzate come ingerenza
nell'esercizio, da parte dell'Attore, dei suoi diritti derivanti dall'art.10. Le
perquisizioni non hanno avuto alcun risultato, l'unico documento sequestrato non
essendo servito come fonte al giornalista per la redazione del suo articolo di
stampa. Presupponendo che vi sia stata ingerenza, la stessa era comunque
prevista dalla legge, segnatamente dall'art.65 del codice d'istruttoria penale.
Essa perseguiva lo scopo legittimo costituito dalla difesa dell'ordine pubblico
e dalla prevenzione degli illeciti penali. Inoltre era necessaria in una
società democratica e proporzionata allo scopo perseguito. Nel caso in oggetto
non sarebbe stato possibile applicare l'approccio seguito nella causa Goodwin (Goodwin
c. Regno Unito, provvedimento del 27 marzo 1996, Raccolta delle sentenze e
decisioni 1996-II, fasc.7). Da un lato, all'Attore non veniva ingiunto di
divulgare la sua fonte pena un'ammenda, ma era oggetto di una semplice
perquisizione il cui risultato era il sequestro di un unico documento.
Dall'altro, nella fattispecie lo scopo perseguito dall'ingerenza riveste un peso
diverso da quello rappresentato dalla protezione degli interessi economici di
una determinata azienda, come ricercata nella causa Goodwin. La violazione del
segreto professionale all'origine dell'apertura di un'istruttoria giudiziaria
chiamava direttamente in causa il regolare funzionamento delle pubbliche
istituzioni; anche la prevenzione e repressione di tale infrazione costituivano
una "necessità sociale imperiosa" giustificante l'ingerenza.
B. Giudizio della Corte
1. Principi generali
46. La libertà d'espressione costituisce uno dei fondamenti
essenziali di una società democratica, e le garanzie da concedere alla stampa
rivestono un'importanza particolare. La protezione delle fonti giornalistiche è
uno dei pilastri della libertà di stampa. L'assenza di una tale protezione
potrebbe dissuadere le fonti giornalistiche dall'aiutare la stampa a informare
il pubblico su questioni d'interesse generale. Di conseguenza, la stampa
potrebbe essere meno in grado di svolgere il suo ruolo indispensabile di
"cane da guardia" e il suo atteggiamento nel fornire informazioni
precise e affidabili potrebbe risultare ridotto. Tenendo conto dell'importanza
che riveste la protezione delle fonti giornalistiche per la libertà di stampa
in una società democratica, una tale misura si concilierebbe con l'art.10 della
Convenzione solo se giustificata da un'esigenza preponderante di pubblico
interesse. I limiti posti alla riservatezza delle fonti giornalistiche
richiedono, da parte della Corte, l'esame più scrupoloso possibile. Il compito
della Corte, allorché esercita il suo controllo, non è di sostituirsi alle
giurisdizioni nazionali, bensì di verificare dal punto di vista dell'art.10 le
decisioni rese dalle stesse in virtù del loro potere di giudizio. Per tale
ragione, la Corte deve considerare "l'ingerenza" controversa alla luce
dell'insieme della causa, al fine di determinare se le motivazioni invocate
dalle autorità nazionali per giustificarla appaiono "pertinenti e
sufficienti" (Goodwin c. Regno Unito, vedi supra, pp.500-501, §§ 39 e
40).
2. Applicazione dei sopra citati principi
47. Nella causa in oggetto la Corte è del parere che le
perquisizioni nell'abitazione e nei locali professionali dell'Attore devono
essere analizzate incontestabilmente come un'ingerenza nell'esercizio, da parte
dell'interessato, dei diritti derivanti dal par.1 dell'art.10. Infatti, tali
misure intendevano individuare quali funzionari dell'amministrazione del
registro e del demanio erano implicati nella gestione del fascicolo relativo
alla condanna del ministro a una sanzione fiscale. Da questo punto di vista la
Corte è del parere che l'assenza di risultato delle perquisizioni non toglie a
queste ultime il loro scopo, vale a dire trovare l'autore di una violazione del
segreto professionale e quindi la fonte del giornalista.
48. Si pone la domanda di sapere se un'ingerenza di questo tipo
può essere giustificata tenendo conto del par. 2 dell'art.10. E' quindi il caso
di esaminare se tale ingerenza era "prevista dalla legge", perseguiva
uno "scopo legittimo" tenendo conto di questo paragrafo ed era
"necessaria in una società democratica" (Lingens c. Austria,
provvedimento datato 8 luglio 1986, serie A n. 103, pp.24-25, §§ 34.37).
49. L'Attore non contesta l'affermazione del Governo secondo cui
l'ingerenza era "prevista dalla legge", nella fattispecie dagli artt.
65 e 66 del codice d'istruttoria penale. Di conseguenza la Corte non vede alcuna
ragione di adottare un punto di vista differente.
50. Secondo il parere della Corte, l'ingerenza perseguiva lo
"scopo legittimo" costituito dalla difesa dell'ordine pubblico e dalla
prevenzione dei reati penali.
51. La domanda preminente è di sapere se l'ingerenza criticata
era "necessaria in una società democratica" per raggiungere tale
scopo. E' quindi il caso di stabilire se l'ingerenza corrispondeva a
un'imperiosa necessità sociale, se era proporzionata allo scopo legittimo
perseguito e se le motivazioni fornite dalle autorità nazionali per
giustificarla erano pertinenti e sufficienti.
52. La Corte osserva immediatamente che, nella fattispecie, le
perquisizioni contestate non sono state effettuate nell'ambito della ricerca di
un'infrazione che l'Attore avrebbe commesso al di fuori delle sue funzioni di
giornalista. Al contrario, avevano per obiettivo la ricerca dei potenziali
autori di una violazione del segreto professionale e dell'eventuale illecito
successivamente commesso dall'Attore nell'esercizio delle sue funzioni. Le
misure rientrano quindi senza dubbio nell'ambito della protezione delle fonti
giornalistiche.
53. Per rigettare i ricorsi d'annullamento delle perquisizioni
presentati dall'Attore, i giudici nazionali decidevano che l'art.10 della
Convenzione non era stato violato. Erano quindi del parere che le perquisizioni
- ordinate per raccogliere delle prove e determinare la verità concernente
azioni illecite dal punto di vista penale che potessero aver preceduto la
redazione di un articolo di stampa o avervi contribuito - non avevano recato
alcun pregiudizio né alla libertà d'espressione né alla libertà di stampa.
54. La Corte osserva che, nel suo articolo, l'Attore aveva
pubblicato un fatto accertato, relativo a una sanzione fiscale pronunciata nei
confronti di un ministro da una decisione del direttore dell'amministrazione del
registro e del demanio. Non vi è dubbio che egli abbia quindi discusso di un
soggetto d'interesse generale e che un'ingerenza "potrebbe conciliarsi con
l'art.10 della Convenzione solo se giustificata da un'esigenza preponderante di
pubblico interesse" (Fressoz e Roire c. Francia [GC], n. 29183/95, CEDH
1999-I).
55. Dalla requisitoria della procura del 21 agosto 1998 risulta
che l'istruttoria è stata aperta simultaneamente contro i funzionari
dell'amministrazione del registro e del demanio e contro l'Attore allo scopo di
cercare l'eventuale autore di una violazione del segreto professionale e
l'eventuale 'ricettatore' di tale violazione. Poco dopo seguivano delle
perquisizioni presso l'Attore; per contro, misure istruttorie sono state
effettuate presso funzionari dell'amministrazione del registro e del demanio
solo in un secondo tempo.
56. La Corte condivide il parere dell'Attore, peraltro non
contraddetto dal Governo, secondo cui misure diverse dalle perquisizioni
eseguite presso l'Attore (ad esempio, interrogatori dei funzionari
dell'amministrazione del registro e del demanio) avrebbero potuto permettere al
giudice istruttore di cercare gli eventuali autori delle infrazioni indicate
nella requisitoria della procura. In effetti è d'obbligo constatare che il
Governo non ha dimostrato che, in assenza delle perquisizioni presso l'Attore,
le autorità nazionali non sarebbero state in grado di cercare in primo luogo
l'esistenza di un'eventuale violazione del segreto professionale, poi, a valle,
quella di un eventuale 'ricettatore' di tale violazione.
57. Secondo l'opinione della Corte il presente caso si distingue
dal caso Goodwin in un punto fondamentale. In quest'ultimo caso l'ingiunzione
(di un tribunale inglese, ndr) aveva intimato al giornalista di rivelare
l'identità del suo informatore, mentre nel caso in oggetto sono state
effettuate perquisizioni presso il domicilio e il luogo di lavoro dell'Attore.
La Corte giudica che delle perquisizioni aventi per oggetto di scoprire la fonte
di un giornalista costituiscono - anche se restano senza risultato - un'azione
più grave dell'intimazione di divulgare l'identità della fonte. Infatti, gli
inquirenti che, muniti di un mandato di perquisizione, sorprendono un
giornalista nel suo luogo di lavoro, detengono poteri d'indagine estremamente
ampi poiché, per definizione, possono accedere a tutta la documentazione in
possesso del giornalista. La Corte, che non può fare altro se non rammentare
che "i limiti definiti per la riservatezza delle fonti giornalistiche
esigono da parte [sua] (...) l'esame più scrupoloso possibile" (vedi supra
il provvedimento Goodwin citato, § 40), è quindi del parere che le
perquisizioni effettuate presso l'Attore erano ancora più lesive nei confronti
della protezione delle fonti di quelle adottate nel caso Goodwin.
58. In considerazione di quanto precede la Corte giunge alla
conclusione che il Governo non ha dimostrato che l'equilibrio degli interessi in
oggetto, vale a dire, da un lato, la protezione delle fonti e, dall'altro, la
prevenzione e repressione dei reati, sia stato salvaguardato. A tale scopo
rammenta che "le considerazioni di cui devono tenere conto le istituzioni
della Convenzione per esercitare il loro controllo nell'ambito del par. 2
dell'art.10 fanno pendere la bilancia degli interessi in oggetto in favore di
quello della difesa della libertà di stampa in una società democratica"
(vedi supra il provvedimento Goodwin citato, § 45).
59. La Corte è quindi dell'avviso che se le motivazioni invocate
dalle giurisdizioni nazionali possono certo passare come "pertinenti",
non possono essere giudicate "sufficienti" a giustificare le
perquisizioni incriminate.
60. La Corte conclude che le misure contestate devono essere
considerate sproporzionate e hanno violato il diritto dell'Attore alla libertà
d'espressione riconosciuto dall'art.10 della Convenzione.
II. SULLA PRESUNTA VIOLAZIONE DELL'ART.8 DELLA CONVENZIONE
61. L'Attrice lamenta un'aggressione ingiustificata al suo
diritto al rispetto del suo domicilio a causa della perquisizione effettuata
presso il suo studio. Sostiene inoltre che il sequestro avvenuto in tale
occasione ha violato il diritto al rispetto della "corrispondenza fra
l'avvocato e il suo cliente". Invoca l'art.8 della Convenzione, che recita
come segue:
"1. Chiunque ha diritto al rispetto della sua vita privata e
familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una pubblica autorità nell'esercizio del
suddetto diritto, fatto salvo che tale ingerenza sia prevista dalla legge e che
costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la
sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico del paese, la
difesa dell'ordine e la prevenzione degli illeciti penali, la protezione della
salute o della morale, o la protezione dei diritti e libertà altrui."
A. Tesi delle parti
1. L'Attrice
62. L'Attrice è del parere che la perquisizione e il sequestro
di un documento che le era stato affidato nell'ambito della difesa dell'Attore
hanno costituito un'ingerenza nell'esercizio, da parte sua, dei suoi diritti
garantiti dal par.1 dell'art.8 della Convenzione. Tale ingerenza non può essere
considerata come "prevista dalla legge" nella misura in cui la legge
sulla professione forense non soddisfa le garanzie qualitative richieste
dall'art.8. In ogni caso l'Attrice contesta la necessità dell'ingerenza. I
mandati di perquisizione erano redatti in termini particolarmente ampi. Nel caso
in oggetto, dopo tutto banale ma fortemente politicizzato, i mezzi impiegati
dalle autorità nazionali all'inizio dell'istruttoria sono stati sproporzionati,
soprattutto tenendo conto dalla successiva carenza del giudice istruttore.
2. Il Governo
63. Il Governo sostiene che, supponendo che la perquisizione
debba essere analizzata come un'ingerenza nell'esercizio da parte dell'Attrice
dei diritti derivanti dall'art.8, tale ingerenza è giustificata per quanto
riguarda il par.2 di tale articolo. Infatti, l'ingerenza era prevista dalla
legge e perseguiva uno scopo legittimo, vale a dire la prevenzione e repressione
dei reati penali. Infine, era necessaria in una società democratica. I mandati
di perquisizione erano redatti in termini restrittivi e prevedevano la ricerca e
il sequestro di un unico documento. Le infrazioni all'origine della
perquisizione incriminata costituiscono reati di una certa gravità che mettono
in causa il funzionamento stesso dell'amministrazione e giustificano quindi che
il giudice istruttore proceda a tutte le azioni dallo stesso giudicate utili al
raggiungimento della verità.
B. Giudizio della Corte
64. La Corte rammenta in primo luogo che il termine
"domicilio" usato nell'art. 8 può comprendere, ad esempio, l'ufficio
di un membro di una libera professione (Niemietz c. Germania, provvedimento del
16 dicembre 1992, serie A n.251-B, § 30).
65. La Corte considera, con l'Attrice, che la perquisizione
effettuata nello studio della stessa e il sequestro di un documento relativo al
fascicolo del suo mandante si leggono come un'ingerenza nell'esercizio da parte
dell'interessata dei diritti derivanti dal par.1 dell'art.8 della Convenzione.
66. La Corte giudica che una tale ingerenza era "prevista
dalla legge". Infatti, gli artt. 65 e 66 del codice d'istruttoria penale
riguardano le perquisizioni e i sequestri in generale, mentre l'art. 35(3) della
legge del 10 agosto 1991 definisce le modalità da rispettare in caso di
perquisizione e/o di sequestro effettuati presso un avvocato.
67. Giudica peraltro che l'ingerenza perseguiva uno "scopo
legittimo", vale a dire quello della difesa dell'ordine pubblico e della
prevenzione dei reati penali.
68. Per quanto riguarda la questione della "necessità"
di tale ingerenza, la Corte rammenta che "le eccezioni di cui al par.2
dell'art.8 esigono una rigida interpretazione e [che] la loro necessità in un
determinato caso deve essere stabilita in modo convincente" (Crémieux c.
Francia, provvedimento del 25 febbraio 1993, serie A n. 256-B, § 55).
69. La Corte osserva che, a differenza dal caso Niemietz, la
perquisizione effettuata nel caso in oggetto è stata accompagnata da speciali
garanzie procedurali. Infatti è stata effettuata in presenza del giudice
istruttore, del rappresentante della procura e del presidente dell'Ordine degli
Avvocati. Inoltre, la presenza del presidente dell'Ordine degli Avvocati e le
osservazioni concernenti la tutela del segreto professionale che quest'ultimo ha
ritenuto opportuno fare a proposito dei documenti da sequestrare sono state
citate nel verbale del servizio di polizia giudiziaria.
70. Per contro, è d'obbligo per la Corte constatare che il
mandato di perquisizione dell'11 gennaio 1999 era redatto in termini
relativamente ampi. Il giudice istruttore richiedeva, infatti, la perquisizione
al fine "di cercare e sequestrare qualsiasi oggetto, documento, effetto e/o
altre cose utili a provare la verità rispettivamente in relazione ai reati in
epigrafe o il cui uso sarebbe tale da nuocere al buon andamento dell'istruttoria
e sostanzialmente il documento del 23 luglio 1998 recante l'indicazione
manoscritta per i capi servizio". Il mandato di perquisizione concedeva
quindi agli inquirenti dei poteri piuttosto estesi (vedi il provvedimento
Crémieux citato).
71. Inoltre, e soprattutto, la Corte è del parere che lo scopo
della perquisizione era infine quello di svelare la fonte del giornalista
tramite l'intermediazione del suo avvocato. Di conseguenza, la perquisizione
della scrivania dell'Attrice ha avuto una ripercussione sui diritti garantiti
all'Attore dall'art.10 della Convenzione. La Corte giudica peraltro che la
perquisizione della scrivania è stata sproporzionata rispetto allo scopo
previsto, sostanzialmente tenendo conto della rapidità con cui è stata
effettuata.
72. Per tutto quanto sopra esposto e con un ragionamento in parte
analogo a quello sviluppato al titolo I del presente provvedimento, la Corte è
del parere che vi sia stata violazione dell'art.8 della Convenzione per quanto
riguarda l'Attrice.
III. SULL'APPLICAZIONE DELL'ART. 41 DELLA CONVENZIONE
73. Secondo l'art.41 della Convenzione
"Se la Corte decide che vi è stata violazione della
Convenzione o dei suoi protocolli, e se il diritto nazionale della parte
contraente permette di cancellare solo in modo imperfetto le conseguenze di
questa violazione, la Corte, se del caso, concede alla parte lesa un'equa
soddisfazione."
A. Danni
74. Gli Attori chiedono ognuno 5.000 Euro (EUR) per il
pregiudizio morale subito. Sottolineano che le perquisizioni hanno costituito
per loro un evento traumatizzante che, inoltre, si è verificato in un contesto
molto mediatico. Sono del parere di essere state vittime di un'aggressione al
loro onore.
75. Il Governo contesta le cifre presentate dagli Attori.
76. Deliberando in equità, come richiesto dall'art.41, la Corte
assegna a ognuno degli Attori una somma di 4.000 EUR per pregiudizio morale.
B. Costi e spese
77. L'Attore chiede 35.176,97 EUR per costi e spese
debitamente esposti. Presenta due notule di onorari: una prima, datata 17
gennaio 2002, indica gli onorari legali pagati all'avv. Schmit avanti le
giurisdizioni nazionali e ammonta a 25.547,56 EUR; una seconda, datata 3 aprile
2002, riguarda un importo di 9.629,41 EUR corrispondente ai costi avanti la
Corte. Sostenendo che deve ancora pagare onorari legali per la prosecuzione
della causa avanti la Corte, l'Attore sollecita un importo per costi e spese
futuri fino a 1.000 EUR.
78. L'Attrice non espone alcuna richiesta a titolo di costi e
spese.
79. Il Governo contesta gli importi richiesti dagli Attori.
80. La Corte ricorda che un attore può ottenere il rimborso dei
suoi costi e spese solo nella misura in cui sono definiti la loro realtà, la
loro necessità e il carattere ragionevole del loro tasso (vedi ad es. Bottazzi
c. Italia [GC] n. 34884/97, § 30, CEDH 1999-V). Nella fattispecie e tenendo
conto degli elementi in suo possesso e dei sopra citati criteri, la Corte
giudica ragionevole concedere una somma di 11.629,41 EUR all'Attore.
C. Interessi di mora
81. La Corte giudica appropriato basare il tasso degli
interessi di mora sul tasso d'interesse del servizio di prestito marginale della
Banca Centrale Europea, aumentato di tre punti percentuali (Christine Goodwin c.
Regno Unito [GC], n. 28957/95, § 124, CEDH 2002-...).
PER LE SUDDETTE MOTIVAZIONI LA CORTE, ALL'UNANIMITA',
1. Dichiara che vi è stata violazione dell'art.10 della
Convenzione nel caso dell'Attore;
2. Dichiara che vi è stata violazione dell'art. 8 della
Convenzione nel caso dell'Attrice;
3. Dichiara
a) che lo Stato difensore deve versare all'Attore, entro tre mesi
a partire dalla data in cui il provvedimento sarà diventato definitivo
conformemente all'art.44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i. 4.000 EUR (quattromila Euro) per danni morali;
ii. 11.629,41 EUR (undicimilaseicentoventinove Euro e quarantun
centesimi) per costi e spese;
b) che lo Stato difensore deve versare all'Attrice, entro tre
mesi a partire dalla data in cui il provvedimento sarà diventato definitivo
conformemente all'art.44 § 2 della Convenzione, la somma di 4.000 EUR
(quattromila Euro) per danni morali;
c) che a partire dalla scadenza del suddetto termine e fino al
pagamento, dette somme dovranno essere maggiorate di un interesse semplice a un
tasso uguale a quello del servizio di prestito marginale della Banca Centrale
Europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
4. Rigetta la richiesta di equo soddisfacimento per l'eccedenza.
Svolto in francese, poi comunicato per iscritto il 25 febbraio
2003 in applicazione dell'art.77 §§ 2 e 3 del regolamento.
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