ORDINE DEI GIORNALISTI- Consiglio regionale della Lombardia
www.odg.mi.it via A. Appiani, 2 - 20121 Milano
odg@galactica.it tel. 02.6361171 fax 02.6554307
Il presidente
Prot. n. 3467/01/FA/eg/maron-or.doc Milano, 7 luglio 2001
posta celere
On.le avv. Roberto Maroni
Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali
Via Flavia 6 - 00187 Roma
e p.c.:
On.le Umberto Bossi
Ministro per le Riforme
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 370 - 00186 Roma
On.le ing. Roberto Castelli
Ministro della Giustizia
via Arenula 70 - 00186 Roma
Dott. Alberto Brambilla
sottosegretario di Stato
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali
via Flavia 6 - 00187 Roma
Oggetto: il ruolo moderno dell’Ordine dei Giornalisti a tutela del
diritto dei cittadini a un’informazione corretta e completa.
Signor Ministro, il 6 e il 7 luglio, l’Ansa e il Corriere
della Sera Le hanno attribuito queste dichiarazioni pronunciate a Bruxelles
al termine dell’incontro con il commissario Ue alla concorrenza Mario Monti:
''Non abbiamo una posizione di difesa totale e preventiva dell'esistente:
siamo disponibili a discutere apertamente su tutto'': lo ha sottolineato il
ministro a proposito della necessità o meno di abolire gli ordini
professionali. Maroni, che ha detto di esprimere un'opinione personale, è stato
interpellato al termine di un incontro con il commissario Ue alla concorrenza
Mario Monti che ha in corso un'indagine contro gli ordini professionali (anche
italiani).
''Pur svolgendo alcune funzioni importanti, è vero che in sé non sempre
l'ordine è garanzia di professionalità'', ha detto Maroni. ''Se servono a
garantire posizioni di rendita, gli ordini hanno un ruolo negativo, se invece al
contrario servono a garantire il cittadino sul livello di professionalità di
chi esercita un mestiere, hanno un ruolo positivo''. Maroni, censurando gli
ordini che frenano l’accesso alle professioni, ha fatto l’esempio di quello
degli avvocati. Riterrebbe invece validi altri organismi simili (come quello dei
medici), quando garantiscono l’affidabilità professionale degli iscritti.
Per Maroni, negli ultimi anni c'è stata una proliferazione di ordini ''che a
mio avviso non hanno ragione di essere''. E' un terreno difficile e complicato,
su cui siamo disposti a discutere, non avendo lobby da difendere'', ha aggiunto
Maroni, rilevando che un ordine ''che andrebbe abolito subito è quello dei
giornalisti''. Sugli ordini professionali esprimo, però, un'opinione personale
perché non è scritto nel programma di governo. Dentro la Casa delle libertà,
del resto, c'è anche chi vorrebbe la fine della funzione legale per i titoli di
studio: questo comporterebbe una revisione totale degli ordini''.
-----
Mi ha colpito in particolare una frase delle sue dichiarazioni: "Un
Ordine che andrebbe abolito subito è quello dei giornalisti''. Mi permetto
sommessamente di ricordare che la parola Ordine significa riconoscimento
giuridico di una professione, nel caso particolare della professione
giornalistica. L’Ordine, inoltre, è la deontologia. Nel caso specifico le
"regole" fissate dal legislatore sono il perno, come afferma il nostro
contratto di lavoro, dell’autonomia dei giornalisti. I Consigli degli Ordini
sono per legge i giudici disciplinari. Fanno la loro parte, certamente con alti
e bassi. Gli enti e gli apparati statali camminano sulle gambe delle donne e
degli uomini che se ne occupano. Probabilmente sono da mettere sott’accusa
donne e uomini per le loro insufficienze e incapacità. In Italia è di moda, al
contrario, ribaltare le situazioni e sparare solo sugli enti e sugli
apparati...che non funzionano!.
Sottolineo l’importanza strategica per una società democratica del nuovo
diritto fondamentale dei cittadini all’informazione ("corretta e
completa"), costruito dalla Corte costituzionale sulla base dell’articolo
21 della Costituzione e dell’articolo 10 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Questo nuovo
diritto fondamentale presuppone la presenza e l’attività di giornalisti
vincolati a una deontologia specifica e a un giudice disciplinare nonché a un
esame di Stato, che ne accerti la preparazione come prevede l’articolo 33
della Costituzione.
I consiglieri dell’Ordine della Lombardia hanno condiviso sin dal 1999 quella
parte del decreto legislativo sul riordino dei ministeri che affida l’accesso
alle professioni - e quindi anche della professione giornalistica - all’Università.
E’ augurabile che le scuole di giornalismo, oggi riconosciute, siano collocate
nel nuovo assetto organizzativo degli Atenei italiani, potendo costituire il
ciclo conclusivo biennale di diversi corsi di laurea (Scienze politiche,
Giurisprudenza, Scienze economiche, Lettere, Scienze della comunicazione, etc.).
La nostra scuola di giornalismo (l’Ifg "Carlo De Martino") in 20
anni ha formato 500 giornalisti. Nell’Ifg la deontologia è anche materia di
insegnamento. Il 21 luglio 2000 ho sottoscritto un protocollo con il Rettore
dell’Università Statale di Milano che prevede la trasformazione dell’Ifg in
corso di laurea specialistica biennale in giornalismo. Il corso dovrebbe partire
dall’ottobre 2002. Si diventerà giornalisti - ed era ora! - soltanto in
università. Un obiettivo che l’Ordine di Milano persegue da 10 anni!
Le considerazioni e i fatti raccontati consentono di risalire alle ragioni
che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica.
L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della
professione giornalistica comporterà questi rischi:
1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale
riconosciuta e tutelata dalla legge.
2) risulterà abolita l’etica professionale fissata oggi nell’articolo
2 della legge professionale ("E' diritto insopprimibile dei giornalisti
la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme
di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo
inderogabile il rispetto della verità sostanziale di fatti, osservati sempre i
doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le
notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e
editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle
notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a
promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra
giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori"). Senza
etica, regnerà, nel mondo dell’informazione, la legge della giungla!!!
3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la
norma che impone il rispetto del "segreto professionale sulla fonte
delle notizie". Nessuno in futuro darà una notizia ai
giornalisti privati dello scudo del segreto professionale.
4) Senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati
di redazione vincolati soltanto da due articoli (2104 e 2105) del Codice
civile che riguardano gli obblighi di diligenza e fedeltà. Dice l’articolo
2104 Cc: "Diligenza del prestatore di lavoro. Il prestatore di
lavoro deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la
disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di
questo dai quali gerarchicamente dipende". Dice l’articolo 2105: "Obbligo
di fedeltà. Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per
conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, né divulgare
notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o
farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio". Gli accordi tra
editore e direttore responsabile (su linea politica, organizzazione e sviluppo
della testata) non devono, dice oggi l’articolo 6 del Cnlg, "risultare
in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica".
In sostanza l’editore oggi sa che ha di fronte giornalisti professionisti
vincolati per legge al rispetto di determinate regole etiche e, quindi, non può
impartire disposizioni al direttore in rotta di collisione con quelle regole. In
futuro, quando le norme sull’ordinamento della professione giornalistica
non ci saranno, l’imprenditore (o chi per lui) potrà scavalcare l’impiegato-direttore
e impartire direttamente disposizioni agli impiegati-redattori sui
contenuti del giornale. L’articolo 2104 Cc, senza la barriera della legge
professionale, conferisce all’editore un potere totale che prima non aveva. Il
direttore responsabile, non più giornalista professionista, diventerà,
comunque, un dirigente dell’azienda editoriale alle dipendenze operative dell’amministratore
delegato e del suo braccio destro (il direttore editoriale).
Senza la deontologia calata nella legge professionale, e quindi
vincolante per tutti (editori compresi), il direttore non potrebbe più
garantire l’autonomia della sua redazione e i redattori dovrebbero solo
piegare la testa di fronte agli interessi dell’editore. La professione non ci
sarebbe più. Sarebbe un ritorno al passato e quindi al mestiere.
Sono convinto che la distruzione degli Ordini e dei Collegi costituisca una
minaccia per l’autonomia dei professionisti italiani. Governo e Parlamento
devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi e di tutelare
i saperi dei professionisti stessi, saperi che sono una ricchezza senza confini
e una inesauribile fonte di progresso. Gli esami per l’accesso devono, invece,
essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il
rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i
giornalisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella della professione. Lo
stesso discorso vale per gli avvocati e per le altre professioni regolamentate.
Il titolo della mia relazione all’assemblea dei giornalisti lombardi del
marzo 2001 ("La deontologia della professione giornalistica
attraverso le pronunce dell’Ordine di Milano nel corso del 2000. Un impegno al
servizio dei cittadini e volto alla tutela della dignità della persona, norma
costituzionale e valore costituzionale, che animano l’ordinamento della
Repubblica)" suona come una assunzione di responsabilità precisa e
incontrovertibile. E si collega all’impegno del Consiglio dell’Ordine dei
Giornalisti della Lombardia di difesa e sviluppo della professione
giornalistica. Abbiamo cercato in questi anni di far prevalere la legge, vista
come il momento più alto della politica, e di alimentate le virtù civili dei
giornalisti. Virtù civili che ciascuno di noi deve far crescere con una
condotta personale improntata all’imparzialità, all’equidistanza dai fatti,
recuperando la cultura della responsabilità e mai abdicando alla libertà di
informazione e di critica, libertà che, con la deontologia, è il cuore della
professione giornalistica. Questa impostazione ci ha sorretto:
- quando, all’inizio del 2000, abbiamo bollato su "Tabloid" la
contropiattaforma della Fieg come fatto umiliante della professione
giornalistica;
- quando abbiamo discusso di vicende disciplinari o di praticantato d’ufficio;
- quando abbiamo chiesto (primi in Italia) e poi ottenuto il ripristino dell’appello
nei processi penali per diffamazione a mezzo stampa;
- quando abbiamo difeso contro una potente lobby la presenza dei giornalisti
negli uffici stampa della pubblica amministrazione;
- quando ci siamo battuti per la riforma della legge sulla stampa e per la
registrazione delle testate on-line (misura approvata dalla legge n.
338/2000-Finanziaria per il 2001 e dalla legge n. 62/2001 sull’editoria);
- quando abbiamo difeso il ricorso alla cessione dei diritti d’autore da
parte dei giornalisti liberi professionisti o la libertà del cumulo tra
pensione e redditi da lavoro autonomo o dipendente (nel rispetto dell’articolo
72 della legge n. 338/2000);
- quando, con il Cup, abbiamo chiesto una legge moderna di riforma delle
professioni regolamentate;
- quando abbiamo chiesto al Governo Amato parità di trattamento tra la nostra
professione e le altre professioni intellettuali, tutte ancorate all’Università,
attraverso una riforma dell’esame di Stato che tenga conto della laurea
specialistica in giornalismo e che così sancisca il principio ineludibile dell’accesso
collegato in futuro soltanto alla via universitaria.
Bisogna cogliere i suggerimenti offerti dalle sentenze della Corte
costituzionale per inquadrare la professione giornalistica con una nuova legge
al fine: 1) di dare regole innovative sul piano etico-disciplinare e della
formazione all’attività giornalistica professionale; 2) di offrire garanzie
ai cittadini lesi, nei loro diritti fondamentali, dagli articoli pubblicati su
quotidiani e periodici nonché dalle notizie radioteletrasmesse oppure trasmesse
da reti telematiche. Deputati e senatori devono sciogliere in via prioritaria un
nodo e in sintesi dire se quella dei giornalisti sia una professione
intellettuale collegata a funzioni costituzionali come quella dei medici e degli
avvocati. La Corte di Cassazione sottolinea da decenni che quella dei
giornalisti è una professione intellettuale. La Corte costituzionale, con le
sentenze n. 11/1968 e n. 71/1991, "ha affermato che non osta al
principio della libera manifestazione del pensiero il fatto che i giornalisti
siano così organizzati, anche perché tale Ordine ha il "compito di
salvaguardare, erga omnes e nell'interesse della collettività, la dignità
professionale e la libertà di informazione e di critica dei propri
iscritti"". E con le sentenze n. 11 e 98/1968 e n. 2/1977 ha
sottolineato, inoltre, "la rilevanza pubblica o di pubblico interesse
della funzione svolta da chi professionalmente sia chiamato a esercitare
un'attività d'informazione giornalistica".
L’organizzazione delle professioni va, quindi, ripensata. E va
ripensata soprattutto quella dei giornalisti, che trattano una materia - il
diritto di manifestazione del pensiero - che è un diritto di tutti i cittadini
e non un privilegio dei giornalisti stessi. Basti dire che l’attuale legge
quadro delle professioni è un decreto luogotenenziale (n. 382) del 1944. Sono
passati 57 anni e l’Italia solo oggi si accorge che c’è un problema
"professioni" da regolamentare. Quando si parla dei ritardi nazionali,
questa vicenda appare esemplare e istruttiva! Oggi il problema si pone in
termini diversi. Nessuno può negare che, in considerazione del ruolo e della
rilevante responsabilità sociale dell'informazione, l'esercizio dell'attività
giornalistica vada regolato e tutelato dalla legge. L'informazione ha
senz'altro carattere di preminente interesse generale (concetto
mutuato dall'articolo 43 della Costituzione e ripreso dall'articolo 1 della
legge 223 del 6 agosto 1990 sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato).
Altri studiosi configurano l'informazione anche come servizio pubblico essenziale
(concetto mutuato sempre dall’articolo 43 della Costituzione). La
liberalizzazione nel campo delle professioni non può comportare il trionfo del
Far West nel mondo dell’informazione, perché tutto ciò si scontrerebbe con
passaggi essenziali della Costituzione. Una riforma non può prescindere dalla
tutela di valori primari. C’è bisogno, quindi, di una nuova legge per
garantire la libertà e l’autonomia dei giornalisti nonché il diritto dei
cittadini a una informazione "qualificata e caratterizzata
(secondo la sentenza n. 112/1993 della Corte costituzionale, ndr) da
obiettività, imparzialità, completezza e correttezza; dal rispetto della
dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume e del libero sviluppo
psichico e morale dei minori nonché dal pluralismo delle fonti cui (i
giornalisti, ndr) attingono conoscenze e notizie in modo tale
che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni
avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali
contrastanti".
La libertà di informazione in Italia, affermata dalla Costituzione e
sostenuta dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, dalla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dal Patto internazionale di New
York sui diritti civili e politici, appare un albero robusto, che sostiene tutta
l’impalcatura dei diritti inviolabili dell’uomo. Il discorso diventa
problematico quando si affronta il diritto di cronaca e il tema della libertà
dei giornalisti di informare.
Signor Ministro, tenga conto che l’Ordine dei Giornalisti non è
corporativo e chiuso alle istanze dei giovani sul tema dell’accesso alla
professione.
Nella seduta di insediamento (18 giugno 2001), il Consiglio dell’Ordine
dei Giornalisti della Lombardia ha approvato un documento programmatico sull’accesso
diretto a garantire a tutti i cittadini il godimento degli articoli 2 (tutela
della dignità della persona: essere di diritto quello che si è di fatto) e 4
della Costituzione (diritto al lavoro). In sostanza i praticanti giornalisti
si dividono secondo queste linee:
a) quelli normalmente assunti (quotidiani, periodici, tg, radiogiornali,
testate web);
b) i pubblicisti assunti ex articolo 36 del vigente Cnlg (trattati
economicamente come redattori professionisti e con il diritto contrattuale di
sostenere l’esame di Stato);
c) quelli che hanno superato il concorso presso l’Ifg e la Scuola della
Università Cattolica;
d) i redattori "di fatto" (cioè coloro che lavorano
normalmente, senza essere assunti, presso quotidiani, periodici, tg,
radiogiornali, testate web);
e) i "redattori staccati" o "corrispondenti" con
incarichi di lavoro su pagine di cronaca elaborate con le tecniche delle
cronache cittadine (pubblicisti anche assunti ex articolo 12 del vigente Cnlg);
f) "pubblicisti free lance", che abbiano compensi complessivi
pari al costo di un redattore praticante normale (cioè dai 35 milioni lordi
annui in su).
Il praticantato può essere svolto anche nelle testate estere (quotidiani e
periodici, agenzie di stampa, tg, radiogiornali, web) che abbiano le
caratteristiche di quelle italiane. L’esame di Stato può essere sostenuto in
una lingua della Ue.
I dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo
parziale possono chiedere l’iscrizione negli albi dei giornalisti e nel
Registro (articolo 1, commi 56 e 56-bis, della legge n. 662/1996; sentenza 11
giugno 2001 n. 189 della Corte costituzionale).
Il ruolo moderno dell’Ordine posto a tutela degli interessi della
collettività. Gli Ordini, enti pubblici, hanno la specifica competenza
della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della proposta della tariffa
professionale nonché della liquidazione dell’onorario. Tali funzioni sono
assegnate a tutela non degli interessi della categoria
professionale ma della collettività nei confronti dei professionisti: tale
principio è fissato nella sentenza n. 254/1999 del Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana (magistratura equiparata al Consiglio di
Stato). Molti sostengono, invece, che "gli Ordini hanno la finalità di
tutelare (solo) gli interessi della categoria". Ma non è così.
Secondo il Consiglio della Giustizia amministrativa della regione siciliana,
invece, gli Ordini, devono tutelare gli interessi dei clienti dei
professionisti. "Le specifiche competenze della tenuta dell’albo, dei
giudizi disciplinari, della redazione e della proposta della tariffa
professionale nonché della liquidazione dei compensi — scrive il Cgars
– sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della
collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo
giustifica l’obbligo dell’appartenenza all’Ordine, e non già per una
tutela degli interessi della categoria professionale che farebbe degli Ordini un’abnorme
figura d’associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa
di interessi privati settoriali". Un concetto, questo, che prefigura un
ruolo moderno degli Ordini non più intesi come corporazione ma come enti
pubblici che concorrono ad attuare valori e finalità propri della Costituzione
repubblicana.
In conclusione, senza l’Ordine ai giornalisti rimarrebbero soltanto gli
ordini degli editori-padroni.
Con stima,
dott. Franco Abruzzo
Presidente dell’Ordine
dei Giornalisti della Lombardia
e vicepresidente del Cup di Milano
ORDINE DEI GIORNALISTI - Consiglio regionale della Lombardia
comunicato stampa
Il Ministro Maroni risponde via e-mail: "La mia dichiarazione sull’Ordine
era soltanto una battuta scherzosa"
Milano, 9 luglio 2001. Il ministro del Lavoro, Roberto Maroni, ha
risposto via e-mail a Franco Abruzzo (che il 7 luglio era intervenuto a
proposito di una dichiarazione sull’Ordine dei giornalisti fatta il 6 dall’uomo
politico a Bruxelles): "Caro Abruzzo, La ringrazio per il lungo e
interessante documento che mi ha inviato sulle ragioni alla base della
necessità di mantenere l'Ordine dei giornalisti. Lo leggerò con attenzione,
per farmi un'opinione fondata. Se La può rassicurare, la mia dichiarazione
sulla necessità di eliminare l'Ordine dei giornalisti era una battuta scherzosa
che ha fatto - appunto - ridere i giornalisti presenti, come Le potranno
confermare i Suoi colleghi presenti alla chiacchierata a Bruxelles.
Cordialmente, Roberto Maroni"
Questa la replica di Franco Abruzzo: "Gentilissimo Ministro, La
ringrazio per la risposta. E' accaduto che mi sono fidato di quanto Le hanno
attribuito le agenzie di stampa. Il documento, comunque, può essere una base di
discussione in vista della riforma complessiva degli Ordini professionali.
Colgo l'occasione per richiamare la Sua attenzione sui problemi che Le ho
segnalato a proposito del Contratto nazionale del lavoro giornalistico
(rinnovato il 24 febbraio 2001): l'esame di Stato dei giornalisti è a rischio,
perché il Cnlg non prevede più che i permessi per i giornalisti commissari
siano retribuiti. E’ urgente richiamare le parti al tavolo delle trattative.
L'articolo 23 del Cnlg, così come è stato scritto, viola due articoli della
Costituzionale e la nostra legge professionale.
La ringrazio per la tempestiva risposta. E' la prima volta che un Ministro
risponde a stretto giro di...e-mail. Cordiali saluti, Franco Abruzzo".
|