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Professione giornalista

Professione giornalistica e università

di Franco Abruzzo (Presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia) - 
20.12.01

Milano, 8 dicembre 2001

Caro collega,

anche oggi ho "sfogliato" con interesse il tuo sito. La mia posizione è nota: l'accesso alla professione giornalistica deve avvenire solo per via universitaria. Tu, invece, presenti i miei contributi come la soluzione "più restrittiva". Oggi chi vuol diventare giornalista professionista deve farsi assumere da un editore. Questa soluzione ti va bene? Non è democratica, invece, la via universitaria?

L'Ordine di Milano da 24 anni ha sperimentato con grande successo la strada della Scuola di giornalismo: abbiano "costruito" 540 giornalisti, che al 98% sono dipendenti di testate, tg e radiogiornali. Abbiamo rotto un monopolio. Il Consiglio ha riconosciuto centinaia e centinaia di praticanti di ufficio. Io stesso sono il primo praticante d'ufficio della piccola storia dell'Ordine.

Va bene criticare, ma si deve prendere atto che in Italia si accede per Costituzione alle professioni con un esame di Stato e che quella giornalistica è riconosciuta come professione dal Parlamento. O ritenete che quello dei giornalisti sia un mestiere? Le considerazioni e i fatti raccontati consentono di risalire alle ragioni che hanno spinto il Parlamento nel 1963 a tutelare la professione giornalistica. L’eventuale abrogazione della legge n. 69/1963 sull’ordinamento della professione giornalistica comporterà questi rischi:

1) quella dei giornalisti non sarà più una professione intellettuale riconosciuta e tutelata dalla legge.

2) risulterà abolita l’etica professionale fissata oggi nell’articolo 2 della legge professionale ("E' diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale di fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori. Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori"). Senza etica, regnerà, nel mondo dell’informazione, la legge della giungla!!!

3) senza la legge n. 69/1963, cadrà per giornalisti (ed editori) la norma che impone il rispetto del "segreto professionale sulla fonte delle notizie". Nessuno in futuro darà una notizia ai giornalisti privati dello scudo del segreto professionale.

4) senza legge professionale, direttori e redattori saranno degli impiegati di redazione vincolati soltanto da un articolo (2105) del Codice civile che riguarda gli obblighi di fedeltà. Gli accordi tra editore e direttore responsabile (su linea politica, organizzazione e sviluppo della testata) non devono, dice oggi l’articolo 6 del Cnlg, «risultare in contrasto con le norme sull’ordinamento della professione giornalistica». In sostanza l’editore oggi sa che ha di fronte giornalisti professionisti vincolati per legge al rispetto di determinate regole etiche e, quindi, non può impartire disposizioni al direttore in rotta di collisione con quelle regole. In futuro, quando le norme sull’ordinamento della professione giornalistica non ci saranno, l’imprenditore (o chi per lui) potrà scavalcare l’impiegato-direttore e impartire direttamente disposizioni agli impiegati-redattori sui contenuti del giornale. L’articolo 2105 Cc, senza la barriera della legge professionale, conferisce all’editore un potere totale che prima non aveva. Il direttore responsabile, non più giornalista professionista, diventerà, comunque, un dirigente dell’azienda editoriale alle dipendenze operative dell’amministratore delegato e del suo braccio destro (il direttore editoriale).

Senza la deontologia calata nella legge professionale, e quindi vincolante per tutti (editori compresi), il direttore non potrebbe più garantire l’autonomia della sua redazione e i redattori dovrebbero solo piegare la testa di fronte agli interessi dell’editore. La professione non ci sarebbe più. Sarebbe un ritorno al passato e quindi al mestiere.

Governo e Parlamento devono preoccuparsi di riformare le leggi sugli ordini e i collegi e di tutelare i saperi dei professionisti stessi, saperi che sono una ricchezza senza confini e una inesauribile fonte di progresso per la Nazione. Gli esami per l’accesso devono essere delegati a un altro soggetto (l’Università) anche per garantire il rispetto del principio costituzionale dell’imparzialità. Non possono essere i giornalisti a giudicare chi debba entrare nella cittadella della professione. Lo stesso discorso vale per gli avvocati e per le altre professioni regolamentate.

Cordiali saluti,
Franco Abruzzo

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