Dal resoconto
stenografico delle dichiarazioni del sottosegretario all'Editoria Paolo
Bonaiuti alla Commissione VII della Camera il 20 novembre 2001
[...] Particolarmente significativa è la crescita dell'attività editoriale
su Internet, sia da un punto di vista quantitativo (con i maggiori editori che
hanno creato, in molti, società ad hoc per lo sviluppo di attività sul web)
sia da un punto di vista qualitativo (con l'affermazione di modelli di offerta
innovativi come i portal sites verticali o i portali tematici). Gli
investimenti editoriali sul web sono cresciuti del 17,5 per cento nel
1999 sul 1998 e del 14 per cento nel 2000 sul 1999.
Signor presidente, onorevoli commissari, nel triennio 1998-2000, il modello
produttivo dell'azienda editoriale in Italia è mutato in meglio. I risparmi dei
costi ed una più efficiente distribuzione delle risorse hanno determinato un
certo riequilibrio dei conti economici delle singole imprese e del sistema nel
suo complesso. Il processo è stato facilitato da un utilizzo efficace delle
nuove tecnologie digitali e, soprattutto, da una crescita straordinaria, in quel
periodo, degli introiti derivanti dalla pubblicità. Purtroppo, nemmeno in
questa congiuntura favorevole si è riusciti ad ampliare le dimensioni del
mercato, che restano molto anguste, soprattutto per i prodotti editoriali
tradizionali: quotidiani, periodici e libri. Questo è un grave elemento di
debolezza strutturale che rischia di aggravarsi ulteriormente nel momento in cui
i ricavi pubblicitari sono in frenata e diventa probabile, dopo quanto avvenuto
l'11 settembre scorso, una contrazione dei consumi.
Arriviamo all'intervento pubblico. La scorsa legislatura è stato un momento
felice per il settore dell'editoria. Sono state varate norme importanti, per
cercare di contrastare i problemi strutturali, che ho già messo in rilievo.
Queste norme sono state varate con uno spirito al di sopra delle parti, con il
consenso convinto anche della Casa delle libertà. È uno spirito, un metodo che
- voglio dirlo con chiarezza - ritengo debba continuare ad essere perseguito,
perché questo settore, al di là dei suoi risvolti economici e commerciali,
fissa le regole che salvaguardano l'informazione e la libera circolazione delle
idee e della cultura: in altre parole, tutti sappiamo che questo settore è uno
dei pilastri della nostra democrazia.
Veniamo agli interventi. Due sono stati i principali interventi, ai quali mi
riferivo in precedenza: in primo luogo, la legge n. 108 del 1999, che ha
fissato, prima, la sperimentazione e, poi, le regole per superare il più che
cinquantennale monopolio di vendita dei prodotti editoriali nelle edicole; in
secondo luogo, la legge n. 62 del 2001, che ha modificato in maniera sostanziale
la legge n. 416 del 1981, ovvero la norma di base del settore.
Il percorso della legge n. 108 del 1999 ha dimostrato che, storicamente, nel
nostro paese non si è riusciti a soddisfare, anche per una serie di vincoli
formali imposti alla distribuzione, la domanda potenziale di prodotti
editoriali, nella fattispecie quotidiani e periodici. Infatti, come sapete bene
voi, membri di questa Commissione, i risultati della sperimentazione della
vendita dei prodotti editoriali al di fuori delle edicole hanno messo in
evidenza una crescita aggiuntiva, dovuta non solo ai nuovi punti di vendita, ma
anche al contemporaneo incremento delle vendite nelle edicole: un effetto che
gli economisti chiamerebbero spill-over ovvero di tracimazione.
Ecco perché la via indicata dalla legge n. 108 del 1999 deve essere continuata
con una convinzione anche maggiore rispetto a quella manifestata finora da
alcuni soggetti direttamente interessati. Si dovrà inoltre vigilare perché la
pluralizzazione dei punti di vendita - che non è e non dovrà essere una
liberalizzazione selvaggia - non sia ostacolata in via amministrativa dal
coacervo di regolamenti a livello locale tra comuni e regioni.
La legge n. 62 del 2001 rappresenta il tentativo - che, come ho detto, la
Casa delle libertà ha condiviso in pieno con la maggioranza di centrosinistra
di allora - di superare la legge n. 416 del 1981 nei suoi istituti divenuti
francamente obsoleti. È basata, la legge n. 62, su una nuova ed innovativa
definizione di prodotto editoriale che assimila le componenti tradizionali
cartacee (quotidiani, periodici, libri) a quelle multimediali off line ed
on line.
La legge n. 62 del 2001 segna, inoltre, una diversa filosofia dell'intervento
pubblico nel settore. Ricorre sempre più agli strumenti indiretti - credito
agevolato, credito di imposta, sostegno all'outplacing della forza lavoro
(sostegno alla forza lavoro quando «esce fuori», magari da un giornale) - che
non distorcono le condizioni di base del mercato, e sempre meno agli strumenti
diretti come i contributi a fondo perduto, ormai limitati ai «veri» organi di
movimenti politici ed alle «vere» cooperative di giornalisti. Ho messo
«veri» tra virgolette per sottolineare che la nuova normativa, molto più
rigorosa, ha imposto una barriera, un ostacolo, un barrage all'accesso ai
contributi. Della legge n. 62 del 2001 voglio sottolineare le norme specifiche a
favore della lettura del libro, nella versione migliorativa attuata dal decreto
legge 5 aprile 2001 n. 99 convertito nella legge n. 198 del 2000.
Signor presidente, onorevoli commissari, il Governo ritiene che il percorso in
parte tracciato con i provvedimenti illustrati debba essere continuato e reso
ancora più concreto ed efficace. In questa prospettiva sono già stati
realizzati alcuni interventi importanti. Il primo provvedimento del Governo
sull'editoria è stato quello - richiesto da quasi tutte le categorie e dalle
forze sociali interessate - di mantenere le competenze istituzionali
sull'editoria stessa concentrate nella Presidenza Consiglio, in particolare nel
dipartimento per l'informazione e per l'editoria.
L'esecutivo in ciò è stato agevolato da un consenso molto ampio, direi quasi
trasversale, delle forze parlamentari e colgo questa occasione per porgere a voi
un ringraziamento.
Come sapete, la cosiddetta riforma Bassanini prevedeva che le competenze della
Presidenza del Consiglio nel settore fossero, dall'inizio di questa legislatura,
divise tra Ministero delle comunicazioni, Ministero delle attività produttive
e, in parte residuale, Ministero dei beni e delle attività culturali. Ci è
sembrato che questa divisione potesse diminuire la capacità di coordinamento,
di indirizzo e di gestione necessaria per far fronte ai delicati problemi del
settore e, lasciatemelo dire, ci è anche sembrato assurdo «frazionare» una
delle strutture, il dipartimento per l'informazione e l'editoria della
Presidenza del Consiglio, riconosciuta all'avanguardia della pubblica
amministrazione.
Gli interventi successivi del Governo stanno dando forte impulso all'attuazione
della legge n. 62 del 2001. Anche in questo caso, voglio sottolinearlo senza
alcuno spirito polemico, molte difficoltà sono nate proprio dall'applicazione
della cosiddetta riforma Bassanini, che ha toccato le sedi istituzionali (per
una parte l'ex Ministero dell'industria e l'ex Ministero delle
finanze) coinvolte con la Presidenza del Consiglio nella stesura dei
provvedimenti di normazione secondaria. Dei tre atti regolamentari necessari per
rendere operativa la nuova legge sull'editoria, quello riguardante il fondo per
la mobilità e la riqualificazione professionale dei giornalisti (ex
articolo 15 della legge n. 62 del 2001) e quello riguardante il credito
agevolato (ex articoli 5, 6 e 7 della stessa legge) sono all'esame del Consiglio
di Stato per il previsto parere, propedeutico al passaggio successivo in
Consiglio dei ministri.
Il regolamento ex articolo 8 della legge n. 62, relativo al credito di
imposta è in fase di stesura molto avanzata al Ministero competente, quello
dell'economia e delle finanze, con la stretta collaborazione della Presidenza
del Consiglio. Per quanto il percorso non sia ancora del tutto perfezionato,
voglio sottolineare l'importanza dello strumento: si tratta di un fondo di 8,5
miliardi l'anno per cinque esercizi a sostegno delle iniziative di
riqualificazione professionale dei giornalisti. Con questo fondo si cerca al
tempo stesso di favorire nuove iniziative - soprattutto, ma non soltanto, nella
multimedialità - e di sostenere, senza interventi assistenzialistici «a
pioggia», i comparti più deboli dell'editoria. In ultima analisi, stiamo
cercando di favorire forme di flessibilità che non vanno, però, a scapito
della forza lavoro: in questo abbiamo ottenuto il consenso degli editori e della
Federazione nazionale della stampa.
Il Governo si accinge ad emanare un decreto-legge che proroga il regime di
tariffe agevolate per le spedizioni di pubblicazioni in abbonamento postale.
Com'è noto, la normativa vigente prevede che dal 1ogennaio 2002
entri in vigore un nuovo sistema: la spedizione di stampe periodiche è
liberalizzata, gli utenti possono scegliere il vettore postale che vogliono
(sulla carta) e lo Stato interviene con un contributo a favore dei soggetti
meritevoli, sulla base del regolamento già da tempo pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale. Questo sistema è stato fortemente contestato da molte categorie
interessate, soprattutto dalla piccola e media editoria. Si ritiene, infatti,
che l'assenza nel settore delle spedizioni postali di una concorrenza reale tra
vettori finisca per distorcere l'obiettivo della nuova normativa e penalizzare
fortemente le imprese con fatturati modesti. Il Governo condivide questa
impostazione e, lo ribadisco, interverrà di conseguenza, cercando di elaborare
un provvedimento che tenga conto, al tempo stesso, delle esigenze appena dette e
dei vincoli di bilancio della legge finanziaria per il 2002.
Signor presidente, onorevoli commissari, nella prima parte di questo intervento
ho affermato che il triennio 1998-2000 è stato in complesso positivo per il
mercato dell'editoria, anche se non sono state superate alcune debolezze
strutturali. Proprio tali debolezze rischiano ora di essere aggravate da una
congiuntura poco favorevole. I recenti interventi, attuati dal legislatore con
spirito al di sopra delle parti, vanno nella giusta direzione ed il Governo si
è impegnato a realizzarli attraverso atti di normazione secondaria - i
regolamenti - di cui, però, sottolineo l'oggettiva complessità.
Il Governo manterrà puntualmente questi impegni nel più breve tempo possibile
e, allo stesso modo, realizzerà tutte quelle misure aggiuntive che riterrà
necessarie, per favorire la creazione di un sistema sempre più orientato verso
il mercato e verso le nuove tecnologie multimediali, ma che mantenga pur sempre
l'attenzione ed il sostegno anche verso la piccola e media editoria. Nessuno
dubita, infatti, che questo settore sia una ricchezza da preservare.
Il compito del Governo è anche quello di favorire - naturalmente sempre
attraverso il confronto e mai mediante alcuna forma di dirigismo - un
ripensamento della professione giornalistica dopo la rivoluzione generata dalle
nuove tecnologie. Mi riferisco, ad esempio, alla necessità di una riflessione
sui criteri di accesso alla professione giornalistica, una considerazione che
prescinde dall'eventuale riforma dell'ordine. Mi riferisco anche a possibili
interventi in tema di tutela giudiziaria della professione, ovvero alla riforma
dell'istituto della querela - eventuale - e della procedura civilistica per
danni. Tuttavia, è difficile pensare che questi programmi possano avere
successo se non sapremo realizzare tutti insieme - Parlamento, Governo, pubblica
amministrazione e privati - un'azione efficace a sostegno della lettura in
Italia.
Dal punto di vista dell'offerta, dobbiamo fare di più per modificare un
meccanismo di distribuzione che allontana, in realtà, il prodotto editoriale
dai suoi potenziali consumatori. È il caso dello storico monopolio di vendita
dei quotidiani e dei periodici, modificato, solo in parte, attraverso la legge
n. 108 del 1999. È anche il caso di ricordare che l'85 per cento dei comuni
italiani non ha, tuttora, una libreria e di questi comuni senza librerie
soltanto il 22 per cento possiede punti di grande distribuzione che vendono
anche libri (per cui oltre il 60 per cento di comuni è completamente scoperto e
non è poco). Delle milleottocento librerie esistenti in Italia soltanto
quattrocento - meno di un quarto - hanno una superficie superiore a 200 metri
quadri, la dimensione minima per attrarre la platea dei cosiddetti lettori
morbidi (come detto prima, quelli che leggono romanzi rosa, romanzi gialli
oppure solo occasionalmente).
Dal punto di vista della domanda, invece, si può affermare che i meccanismi di
scolarizzazione continuano, nonostante vari tentativi di riforma, a perpetuare,
oggettivamente, un solco tra gli studenti ed i prodotti editoriali, soprattutto
tra gli studenti ed i quotidiani o i periodici. Proprio dalla scuola dovrebbe,
quindi, ripartire l'impulso, affinché nel nostro paese si legga di più e si
legga meglio.
Questo è l'impegno complessivo, che assumo per conto del Governo e sul quale
invito i colleghi della Commissione ad esprimere le proprie valutazioni. Vi
ringrazio.
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