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Professione giornalista

Solo nel nostro Paese c'è un ente di stato per i giornalisti

Giornalisti d'Italia e giornalisti d'Europa

L'Ordine dei giornalisti italiano è un ente di diritto pubblico ad accesso regolamentato che non ha eguali in Europa. Un'anomalia dura a morire. Vediamo come è regolata la professione nei più importanti Paesi dell'Unione.

di Paolo Bracalini - 11.01.12

Questo testo è tratto dall'articolo di Paolo Bracalini Bersani dai un taglio pure qua pubblicato il 16 agosto 2006 sulla rivista dell'Istituto Bruno Leoni IBL Focus.
 

Come funziona altrove

Nel resto d’Europa la professione è governata da logiche prevalentemente associativo-sindacali, anche se non mancano iniziative di regolazione professionale con il concorso di autorità pubbliche. In Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Regno Unito il giornalismo non è considerata una professione. In Belgio, Francia, Norvegia, Portogallo è attività professionalizzata ma l’abilitazione è affidata alle organizzazioni sindacali, in alcuni casi attraverso commissioni miste in cui sono presenti gli editori (Belgio e Francia) o solo i giornalisti (Norvegia, Portogallo). In Austria, il titolo abilitante è rilasciato da una Commissione mista editori-giornalisti con il visto del Ministero degli Interni. Nella stragrande maggioranza di questi Paesi esistono scuole e facoltà di giornalismo, la cui frequenza non è però obbligatoria per svolgere l’attività giornalistica e non equivale al periodo svolto in una redazione per fare la pratica necessaria all’abilitazione (quando è richiesta). Rispetto all’Italia, nel resto d’Europa dunque il giornalismo non è considerato una libera professione alla stregua dell’avvocatura, della medicina, dell’ingegneria.

In Francia l’attività giornalistica è regolamentata da norme di legge, con il rilascio di un documento di identificazione da parte di una commissione statale. Non esiste un Ordine professionale; per esercitare il lavoro di giornalista non viene richiesto un titolo di studio specifico, mentre è necessario aver svolto un periodo di praticantato di almeno due anni. L’art. 762-1 del codice del lavoro francese dà la definizione legale del giornalista. “Giornalista è colui che ha per professione principale, abituale e retribuita, l’esercizio della sua professione in una o più pubblicazioni, quotidiane e periodiche o in una o più agenzie di stampa e da cui ricava la sua entrata principale”. In conclusione l’esercizio della professione giornalistica in Francia è libero.

In Germania non è presente alcuna forma di regolazione della professione da parte dello Stato, né forme di protezione del titolo professionale di giornalista. Chiunque può titolarsi giornalista e può svolgere attività giornalistica professionalmente. Non è richiesto dalla legge alcun titolo di studio né generale né specifico. Le assunzioni dei giornalisti sono lasciate agli editori. Tutti i cittadini stranieri, appartenenti alla Unione europea o meno, purché esplichino attività redazionale per due anni, possono essere riconosciuti giornalisti professionisti ed iscritti al sindacato. I criteri di idoneità per lo svolgimento di un lavoro a carattere giornalistico vengono quindi definiti sostanzialmente dagli editori delle varie testate.

Anche nel Regno Unito e in Irlanda la professione giornalistica non è sottoposta ad un controllo normativo di natura pubblica, mentre esistono associazioni private di categoria. Queste associazioni hanno una identità organizzativa complessiva a metà strada tra il sindacato e il club. Di fatto non è previsto un vincolo di adesione ad un’organizzazione specifica per l’esercizio della professione giornalistica, anche se le varie strutture associative mettono in atto specifiche iniziative di promozione e di tirocinio per i propri i scritti.
In Olanda c’è un sindacato unico che raccoglie al proprio interno sia giornalisti dipendenti che free lance, figure tra le quali non sussistono distinzioni particolari in termini di tutela dell’attività. Non esiste un Ordine professionale né una normativa di regolazione dell’attività o del titolo. Esistono accademie di giornalismo, la cui formazione non ha comunque un valore certificatorio in termini professionali.

In Belgio e in Lussemburgo per diventare giornalisti non serve un titolo di studio specifico, solo un praticantato di due anni in una redazione. L’attribuzione del titolo di giornalista dopo questo periodo viene svolta da una Commissione statale. Non esiste un Ordine dei giornalisti.

In Danimarca i giornalisti sono rappresentati da un’organizzazione privata, la Federazione della stampa, che provvede alla tenuta dell’albo. Per diventare giornalisti in Danimarca serve una laurea specifica (4 anni) e poi il superamento di un esame universitario.

In Spagna esiste un organismo privato cui sono iscritti la maggior parte dei giornalisti ed è la Federazione de la “Prensa”. Per essere iscritti alla Federazione occorre la laurea in giornalismo. La durata del corso di laurea è di cinque anni; ottenuto il titolo l’iscrizione è consequenziale. Qualora si abbia altra laurea che non sia quella di giornalismo, per essere iscritti occorrono due anni di pratica. Non vi sono esami per l’iscrizione né dopo la laurea, né dopo due anni di pratica. L’Ordine dei giornalisti è stato però recentemente istituito con legge in Catalogna ed è in corso di istituzione nella regione Basca, Navarra, Andalusia, Galizia e Canarie (tutte regioni a statuto autonomo). Ma il quadro complessivo in cui si inseriscono queste forme nascenti di regolamentazione pubblica è quello di una professione esercitata ampiamente secondo modalità svincolate da meccanismi di controllo normativo esplicito.

Il Portogallo è il Paese che si avvicina più all’Italia rispetto all’ordinamento dell’attività giornalistica. Anche in Portogallo la nascita dell’Ordine risale al sistema corporativo instaurato da un regime antiliberale. La corporazione Stampa-Arti Grafiche e Tipografi, cioè dei giornalisti, nasce con il dittatore Antonio Salazar e l’inquadramento statale-corporativo di tutte le categorie. Fino al 1974, epilogo della dittatura portoghese, la corporazione faceva parte del Ministero delle Corporazioni. Era obbligatorio essere iscritti alla Corporazione per esercitare la professione. Nel 1974 fu abolito il sistema corporativo. Nel 1979 fu regolato con legge lo statuto professionale dei giornalisti. È possibile esprimere liberamente il proprio pensiero attraverso la stampa, ma non esercitare l’attività giornalistica in forma professionale.

Conclusione

In sostanza si vede chiaramente che nel resto d’Europa (degli Stati Uniti non ne parliamo neppure) l’attività giornalistica è concepita secondo logiche di mercato, associativo-sindacali e organizzative proprie delle aziende editoriali in cui viene svolto il lavoro vero e proprio. Da una parte gli editori dall’altra i giornalisti (tutelati da uno o più sindacati). Lo Stato interviene in rari casi, partecipando alle commissioni che abilitano i giornalisti alla professione. In altri casi, come in Gran Bretagna o in Germania, lo Stato non c’entra affatto.
Potrebbero avere ragione gli “abolizionisti” se l’Ordine, come pare, non riuscirà ad adeguarsi alle moderne forme di associazionismo presenti nei paesi più evoluti d’Europa. D’altra parte non si vede come possa sussistere un Ordine che è in aperto contrasto con gli indirizzi prevalenti in Europa circa la modalità della professione giornalistica. Né va dimenticato che l’opinione pubblica ha scarsa fiducia nella categoria dei giornalisti, che l’Ordine, recepito come un organismo che tutela i loro interessi corporativi, è un elemento che aumenta la diffidenza.
La proposta dell’Istituto Bruno Leoni è che l’Italia segua il modello più avanzato europeo e apra l’esercizio della professione a tutti coloro che la esercitano di fatto. Il lungo dibattito sulla riforma dell’Ordine, dibattito che non è arrivato a nulla, dimostra l’impossibilità di riformarlo. O forse nasconde proprio la volontà di non volerne fare un’altra cosa, per mantenere posizioni di rendita e di potere di pochi. E questa, di per sé, sarebbe già una buona ragione per lasciarselo alle spalle.

Paolo Bracalini, giornalista, lavora nella redazione de Il Giornale. Ha collaborato con L’Indipendente, Ideazione, Tempi, Mediaset e Sky

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