Scadeva il 28 novembre scorso il termine entro il
quale gli iscritti agli ordini professionali avrebbero
dovuto comunicare agli ordini stessi i propri indirizzi
di posta elettronica certificata (PEC). Sembra che pochi
lo abbiano fatto, in particolare tra i giornalisti. Un
rinvio sembra inevitabile. Ma non provocherà
conseguenze significative, visto che al momento la PEC
serve poco o nulla, come vedremo tra poco.
L'obbligo di avere (ma non di usare) una casella PEC
per i professionisti è stato introdotto dal decreto-legge 185/08, il
cosiddetto
"anticrisi", entrato in vigore il 29 novembre
2008 e convertito con la legge 28 gennaio 2009, n, 2.
Dice l'art. 16, comma 7:
I professionisti iscritti in albi ed elenchi
istituiti con legge dello Stato comunicano ai rispettivi
ordini o collegi il proprio indirizzo di posta
elettronica certificata o analogo indirizzo di posta
elettronica di cui al comma 6 entro un anno dalla
data di entrata in vigore del presente decreto. Gli
ordini e i collegi pubblicano in un elenco riservato,
consultabile in via telematica esclusivamente
dalle pubbliche amministrazioni,i dati identificativi
degli iscritti con il relativo indirizzo di posta
elettronica certificata.
Alcuni ordini professionali, secondo le frammentarie
informazioni disponibili, hanno provveduto a stipulare
convenzioni con fornitori di PEC e a fornire le caselle
agli iscritti. L'Ordine dei giornalisti non sembra si
sia attivato. Sul sito nazionale si rimanda ai siti
degli ordini regionali, che sono venti. Ma solo due
affrontano la questione: la Lombardia, che offre una
casella gratuita ai freelance (valore 5 euro) e la
Sardegna, che assicura l'assistenza tecnica. Una
citazione anche nel sito della Valle D'Aosta, che
rimanda semplicemente ai siti istituzionali. Come dire:
non ci capiamo nulla.
E questa è la realtà: della posta elettronica
certificata nessuno capisce nulla, neanche il governo
che ne vorrebbe diffondere l'uso. La PEC è
un'innovazione tutta italiana, che potrebbe essere
utilissima. Si tratta semplicemente dell'applicazione
alla normale posta elettronica della firma digitale
(un'altra applicazione della tecnologia al diritto che
ha visto l'Italia all'avanguardia). Sostituisce la
raccomandata tradizionale: se il destinatario ha una
casella di posta certificata, si ha l'esatto equivalente
della raccomandata con ricevuta di ritorno; se non c'è
l'ha, l'effetto è quella di una raccomandata semplice,
con la sola ricevuta di spedizione. Peccato che neanche
sui siti istituzionali sia menzionata questa
possibilità; lo strumento viene presentato come
alternativo solo alla raccomandata A.R.. Questo ne
limita non poco la prima diffusione.
Purtroppo, come è accaduto per la firma digitale,
all'invenzione della PEC non sono seguite norme chiare e
coerenti, né è stata fatta alcuna opera di
informazione e formazione. Il risultato è un caos
normativo che rende difficile usare questi strumenti
(vedi Posta certificata: troppe questioni
ancora aperte di Andrea Monti su InterLex). Si
è preferito favorire gli interessi dei fornitori invece
di curare la coerenza degli aspetti giuridici e tecnici.
Al punto che non è neanche chiaro in quali rapporti
possano essere usate le caselle di PEC offerte da enti
diversi, mentre si è introdotta la possibilità usare
sistemi di posta certificata che potrebbero essere non
compatibili tra loro. E' stata addirittura lanciata la
demagogica e inutile quanto costosa offerta di una
casella gratis per tutti i cittadini, che sembra fatta
apposta per far guadagnare soldi alle Poste italiane,
con una gara "su misura".
In tutto questo, che se ne fanno, oggi, i
professionisti della casella di PEC obbligatoria? Nulla.
E' solo una seccatura.
Infine si deve sottolineare che l'obbligo riguarda
indistintamente sia i giornalisti iscritti nell'elenco
dei professionisti sia quelli iscritti negli altri albi
(pubblicisti, elenco speciale, praticanti): la norma
recita "I professionisti iscritti in albi ed elenchi
istituiti con legge dello Stato". Non vale giocare
con la parola "professionisti", contenuta
nella legge del 1963, per concludere che solo i
non-liberi-professionisti, cioè i giornalisti
dipendenti da un editore, sono tenuti a disporre della
PEC (vedi il sito di Franco Abruzzo). Senza considerare
che i pubblicisti sono proprio i (liberi) professionisti
contemplati dalla normativa europea e dal nostro codice
civile.
Per chi vuole saperne di più,
nell'indice Firma digitale di InterLex ci sono più di 300
articoli su questa materia.
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