Il Ministero dell'istruzione ha
fatto sapere che la
laurea non sarà obbligatoria per accedere all'esame di
abilitazione alla professione di giornalista. Alla base della
decisione un parere emanato il 13 marzo scorso dal Consiglio di
Stato.
Riflettendo sulla notizia mi accorgo che sono passati quasi quarant'anni dal mio primo
articolo. Anno 1966, la rivista era Turismo Giovanile, il titolo
"Scopriamo l'inverno con la macchina fotografica"
(scritto, com'era normale, in piena estate).
Già, la macchina fotografica: compagna inseparabile della
macchina per scrivere, da allora, per molti anni.
Oggi: il computer e la telecamera digitale. Che cosa è cambiato?
E' cambiato tutto nei meccanismi dell'informazione. Una volta, scritto il pezzo dovevo mandarlo in redazione,
poi alla tipografia, poi alla stampa. Passavano settimane. E le
reazioni arrivavano lentamente o non arrivavano affatto.
In questo momento scrivo, tra pochi minuti questa pagina sarà
visibile in tutto il mondo. Moltissime persone la vedranno,
qualcuno sarà tentato di rispondermi direttamente e lo farà,
subito o tra qualche tempo. E qualcun altro forse prenderà spunto
da queste note per scrivere altre cose sull'argomento, su un altro
sito. Chiunque può farlo.
E chiunque, come me, può scrivere di qualsiasi cosa e pubblicarla
immediatamente sul www: la comunicazione e l'informazione non
hanno più limiti materiali.
Allora siamo tutti giornalisti? La
tesi "tutti giornalisti" è sostenuta anche da un
autorevole studioso, Derrick De Kerchove (considerato l'erede
di Marshall McLuhan, quello del "villaggio globale"). De
Kerchove
dice che con il web non c'è più differenza tra il giornalista e
chi fa informazione spontanea.
Bella conclusione! Come se fossero medici tutti quelli che dicono "prendi
un'aspirina" quando qualcuno lamenta l'arrivo del
raffreddore. Ma il medico è una persona che
ha una speciale preparazione e deve seguire precise regole di
comportamento, lo sanno tutti.
Lo stesso vale per il giornalista. Intuire o cercare la notizia,
inseguirla, verificarla, commentarla. Raccontarla, seguendo regole che si imparano con
il tempo e l'esperienza. O anche, ma non
basta, a scuola di giornalismo. Esporre la notizia con onestà, facendo in
modo che il lettore capisca qual è il fatto e qual è l'opinione
(il giornalismo "oggettivo" non può esistere).
Conquistare la credibilità e, possibilmente, l'autorevolezza.
Questo è il lavoro del giornalista.
Il punto è che oggi credibilità e autorevolezza sono molte volte
messe in discussione dall'informazione "spontanea", non
professionale, che non soffre dei limiti della stampa e della
televisione come imprese editoriali. E' che dà fastidio a molti
giornalisti.
Qualcuno vuole decidere "chi è giornalista".
Da una
parte ci sono gli editori, che assumendo una persona come
"praticante" o lasciandola nel limbo dei
"collaboratori", decidono se potrà essere un
giornalista "professionista" o sarà condannato alla
qualifica di dilettante per legge. Sì, perché la legge n. 69 del
1963 che attribuisce la qualifica
di professionista solo a chi dipende da un editore e quella di
pubblicista a chi scrive a tempo perso, avendo un'altra
occupazione principale. Ma non considera che ci sono anche giornalisti
che svolgono la professione a tempo pieno senza dipendere da un
editore. Cioè "professionisti" nel senso che viene di
solito attribuito a questa parola nella lingua italiana. C'erano nel
1963, oggi forse sono molti di
più, proprio in conseguenza della diffusione delle tecnologie
dell'informazione.
Dall'altra parte c'è chi cerca di chiudere le porte.
L'Ordine dei giornalisti ha "sponsorizzato" con forza
una nuova
normativa, che imporrebbe
una laurea specialistica come condizione per l'accesso all'esame
professionale, senza intaccare l'anacronistica legge del '63.
L'Ordine sostiene che il requisito della laurea specialistica per l'accesso
all'esame professionale - e quindi alla professione - deriva
dall'ordinamento europeo e nazionale sulle professioni
intellettuali.
Si potrebbe discutere sulla logica giuridica di questo
ragionamento, ma non è questo il luogo adatto, anche perché la
materia delle professioni ("intellettuali" e non) è
ancora in attesa di una sistemazione organica. Intanto però il Consiglio di
Stato ha stabilito che la laurea per i giornalisti non può essere imposta
con un regolamento. E ha osservato: "Ed è appena il caso di
aggiungere che per talune professioni, come quella di giornalista,
il principio della libertà di accesso alla professione impatta
anche su altri diritti costituzionalmente garantiti, come la
libertà di informazione e la libertà di manifestazione del
pensiero con ogni mezzo di diffusione".
Ma in ballo non c'è soltanto l'articolo 21. Con lo sbarramento della laurea
specialistica si negherebbe l'accesso alla
professione ai tanti ottimi giornalisti che sono laureati nelle
materie più diverse, o non sono neppure laureati. Si dovrebbe
rinunciare al prezioso contributo di informazione che oggi viene
dato dai giornalisti scientifici, da quelli esperti di
economia, di diritto, di tecnologie e via elencando. In nessun
altro stato democratico, tanto meno nell'Unione europea, esiste un
ordine professionale come quello dei giornalisti in Italia (costituito nel
1928 per iniziativa di Mussolini, con il
preciso scopo di mettere il bavaglio alla stampa).
Altrove ci sono associazioni che regolano e tutelano, nei
limiti degli ordinamenti nazionali, il lavoro dei professionisti
dell'informazione.
Se c'è un Paese in cui l'informazione è indipendente, questo è
la Gran Bretagna. Provate a parlare a un giornalista inglese di un
ordine professionale "di Stato": gli sembrerà
inconcepibile.
L'accesso alla professione giornalistica deve essere aperto a
tutti, la qualifica di professionista si deve conquistare
"sul campo" (anche in seguito a un esame di abilitazione, o "per
titoli"). Deve valere sia per chi dipende da un editore sia
per chi sceglie la vita del free lance. Il professionista
dell'informazione deve avere precisi obblighi, che non possono
essere imposti a chi fa informazione spontanea, e a questi
obblighi devono fare da contrappeso altrettanto precise tutele.
E' un bilanciamento di diritti e doveri naturale in una
società democratica. Oggi, grazie alle tecnologie, tutti possono
fare informazione. Il mondo dell'informazione professionale può crescere e
può aumentare la propria
credibilità e i propri guadagni se riesce a confrontarsi con
l'informazione spontanea, a competere sullo stesso terreno della
tempestività, della completezza, e dell'indipendenza. Che sono le sfide della società dell'informazione. Questo
è il problema, questo è il "mio" problema dopo
quarant'anni di giornalismo.
Altro che laurea ed esame "di stato"!
MCr
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