Manlio Cammarata repoprter Manlio Cammarata reporter - Archivio 2006-2013
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Professione giornalista

Siamo tutti giornalisti?

27.03.06

Il Ministero dell'istruzione ha fatto sapere che la laurea non sarà obbligatoria per accedere all'esame di abilitazione alla professione di giornalista. Alla base della decisione un parere emanato il 13 marzo scorso dal Consiglio di Stato.
Riflettendo sulla notizia mi accorgo che sono passati quasi quarant'anni dal mio primo articolo. Anno 1966, la rivista era Turismo Giovanile, il titolo "Scopriamo l'inverno con la macchina fotografica" (scritto, com'era normale, in piena estate).
Già, la macchina fotografica: compagna inseparabile della macchina per scrivere, da allora, per molti anni.
Oggi: il computer e la telecamera digitale. Che cosa è cambiato?
E' cambiato tutto nei meccanismi dell'informazione.

Una volta, scritto il pezzo dovevo mandarlo in redazione, poi alla tipografia, poi alla stampa. Passavano settimane. E le reazioni arrivavano lentamente o non arrivavano affatto.
In questo momento scrivo, tra pochi minuti questa pagina sarà visibile in tutto il mondo. Moltissime persone la vedranno, qualcuno sarà tentato di rispondermi direttamente e lo farà, subito o tra qualche tempo. E qualcun altro forse prenderà spunto da queste note per scrivere altre cose sull'argomento, su un altro sito. Chiunque può farlo.
E chiunque, come me, può scrivere di qualsiasi cosa e pubblicarla immediatamente sul www: la comunicazione e l'informazione non hanno più limiti materiali.
Allora siamo tutti giornalisti?

La tesi "tutti giornalisti" è sostenuta anche da un autorevole studioso, Derrick De Kerchove (considerato l'erede di Marshall McLuhan, quello del "villaggio globale"). De Kerchove dice che con il web non c'è più differenza tra il giornalista e chi fa informazione spontanea.
Bella conclusione! Come se fossero medici tutti quelli che dicono "prendi un'aspirina" quando qualcuno lamenta l'arrivo del raffreddore. Ma il medico è una persona che ha una speciale preparazione e deve seguire precise regole di comportamento, lo sanno tutti.
Lo stesso vale per il giornalista. Intuire o cercare la notizia, inseguirla, verificarla, commentarla. Raccontarla, seguendo regole che si imparano con il tempo e l'esperienza. O anche, ma non basta, a scuola di giornalismo. Esporre la notizia con onestà, facendo in modo che il lettore capisca qual è il fatto e qual è l'opinione (il giornalismo "oggettivo" non può esistere). Conquistare la credibilità e, possibilmente, l'autorevolezza. Questo è il lavoro del giornalista.
Il punto è che oggi credibilità e autorevolezza sono molte volte messe in discussione dall'informazione "spontanea", non professionale, che non soffre dei limiti della stampa e della televisione come imprese editoriali. E' che dà fastidio a molti giornalisti.

Qualcuno vuole decidere "chi è giornalista".
Da una parte ci sono gli editori, che assumendo una persona come "praticante" o lasciandola nel limbo dei "collaboratori", decidono se potrà essere un giornalista "professionista" o sarà condannato alla qualifica di dilettante per legge. Sì, perché la legge n. 69 del 1963 che attribuisce la qualifica di professionista solo a chi dipende da un editore e quella di pubblicista a chi scrive a tempo perso, avendo un'altra occupazione principale. Ma non considera che ci sono anche giornalisti che svolgono la professione a tempo pieno senza dipendere da un editore. Cioè "professionisti" nel senso che viene di solito attribuito a questa parola nella lingua italiana. C'erano nel 1963, oggi forse sono molti di più, proprio in conseguenza della diffusione delle tecnologie dell'informazione.

Dall'altra parte c'è chi cerca di chiudere le porte.
L'Ordine dei giornalisti ha "sponsorizzato" con forza una nuova normativa, che imporrebbe una laurea specialistica come condizione per l'accesso all'esame professionale, senza intaccare l'anacronistica legge del '63. L'Ordine sostiene che il requisito della laurea specialistica per l'accesso all'esame professionale - e quindi alla professione - deriva dall'ordinamento europeo e nazionale sulle professioni intellettuali. 
Si potrebbe discutere sulla logica giuridica di questo ragionamento, ma non è questo il luogo adatto, anche perché la materia delle professioni ("intellettuali" e non) è ancora in attesa di una sistemazione organica. Intanto però il Consiglio di Stato ha stabilito che la laurea per i giornalisti non può essere imposta con un regolamento. E ha osservato: "Ed è appena il caso di aggiungere che per talune professioni, come quella di giornalista, il principio della libertà di accesso alla professione impatta anche su altri diritti costituzionalmente garantiti, come la libertà di informazione e la libertà di manifestazione del pensiero con ogni mezzo di diffusione".
Ma in ballo non c'è soltanto l'articolo 21. Con lo sbarramento della laurea specialistica si negherebbe l'accesso alla professione ai tanti ottimi giornalisti che sono laureati nelle materie più diverse, o non sono neppure laureati. Si dovrebbe rinunciare al prezioso contributo di informazione che oggi viene dato dai giornalisti scientifici, da quelli esperti di economia, di diritto, di tecnologie e via elencando.

In nessun altro stato democratico, tanto meno nell'Unione europea, esiste un ordine professionale come quello dei giornalisti in Italia (costituito nel 1928 per iniziativa di Mussolini, con il preciso scopo di mettere il bavaglio alla stampa). Altrove ci sono associazioni che regolano e tutelano, nei limiti degli ordinamenti nazionali, il lavoro dei professionisti dell'informazione.
Se c'è un Paese in cui l'informazione è indipendente, questo è la Gran Bretagna. Provate a parlare a un giornalista inglese di un ordine professionale "di Stato": gli sembrerà inconcepibile. 
L'accesso alla professione giornalistica deve essere aperto a tutti, la qualifica di professionista si deve conquistare "sul campo" (anche in seguito a un esame di abilitazione, o "per titoli"). Deve valere sia per chi dipende da un editore sia per chi sceglie la vita del free lance.

Il professionista dell'informazione deve avere precisi obblighi, che non possono essere imposti a chi fa informazione spontanea, e a questi obblighi devono fare da contrappeso altrettanto precise tutele.
E' un bilanciamento di diritti e doveri naturale in una società democratica. Oggi, grazie alle tecnologie, tutti possono fare informazione. Il mondo dell'informazione professionale  può crescere e può aumentare la propria credibilità e i propri guadagni se riesce a confrontarsi con l'informazione spontanea, a competere sullo stesso terreno della tempestività, della completezza, e dell'indipendenza. Che sono le sfide della società dell'informazione.

Questo è il problema, questo è il "mio" problema dopo quarant'anni di giornalismo.
Altro che laurea ed esame "di stato"!

MCr

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