Il 30 maggio 2013 i 28 fotoreporter del Chicago Sun Times hanno smesso di lavorare per la
testata, essendo state le loro "funzionalità" accorpate in quelle dei
giornalisti ai quali è stato impartito un corso base di iPhone-photography. La notizia ha subito polarizzato le reazioni: c'è chi ha gridato allo
scandalo e alla lesa maestà (dei fotoreporter) e chi, invece, ha
ritenuto positivo l'espandersi del ricorso al citizen-journalism (le
rozze foto scattate dal passante il cui unico merito era quello di
essere, per puro caso, al posto giusto nel momento giusto).
Benché in Italia non si sia (ancora) arrivati a una decisione così
drastica, l'invasione di foto e video "amatoriali" voluta dalle testate
cartacee, radiotelevisive e online dimostra quanto si sia trasformato il
concetto di "notizia", da "lettura" della realtà a congelamento anonimo
e passivo di una scena.
Detto in altri termini, gli articoli e ancora di più le fotografie non sono mai stati neutri
né oggettivi. Anzi, tanto
più avevano valore quanto più erano in grado di raccontare una storia o
di evidenziare un punto di vista.
Rimaniamo in ambito fotografico e immaginiamo di essere di fronte alla più classica delle scene
drammatiche: una madre che piange la morte del figlio ammazzato da una
pallottola.
Un fotoreporter potrebbe concentrarsi sul dolore della donna, lasciando sullo sfondo il cadavere, un altro che volesse
documentare l'effetto delle armi vendute al Paese del terzo mondo da
spregiudicati affaristi occidentali potrebbe invece accentuare il corpo
martoriato dai proiettili e le mani insanguinate della donna che cerca
di tamponare inutilmente le ferite. Un altro fotoreporter, ancora,
potrebbe decidere di raccontare il contesto di quella morte, e dunque
cercare di documentare la rabbia o la desolazione degli astanti.
Un giornalista della parola, per quanto bravo, non potrà "vedere" la
scena come un fotoreporter e quindi l'effetto complessivo
dell'accoppiata testo-immagine sarà molto meno efficace. Ma pur sempre meglio di quanto
potrebbe fare un citizen journalist, cioè uno che
passando per caso,
invece, avrebbe puntato il telefonino e premuto un bottone.
Tutto qui. E se questo, per un giornale, è sufficiente, allora vuol dire che non sta
pubblicando notizie ma pezzi casuali di esistenza, né più né meno come
quelli che popolano le pagine dell'esercito di disperati di
Facebook.
Che, almeno, è gratis.
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