C'è qualcosa di buono e qualche punto critico nello
schema del Governo per la riforma del sistema dell'editoria. Un testo molto generico, inviato alle
istituzioni e alle categorie interessate insieme a un
questionario. Sulla base delle risposte sarà
preparato il disegno di legge.
Finalmente. Il sistema disegnato dalle norme del '48
sulla stampa e del '63 sulla professione giornalistica
è da anni inutilizzabile a causa dei cambiamenti
innescati dal progresso delle tecnologie.Il nuovo progetto si affianca al disegno di legge
C.
1825 per il
passaggio alla televisione digitale terrestre, a
quello per la riforma delle
professioni e alle
discussioni sulla riforma del sistema televisivo, in
particolare della Rai. Insomma, è in funzione un
"cantiere legislativo" dal quale dovrebbe
nascere un sistema complessivo adeguato alla realtà della
società dell'informazione.
Vediamo alcuni passaggi essenziali dello schema.
Al primo punto ci sono "L'impresa editoriale e
il ruolo del giornalista". Due aspetti che
potrebbero essere separati ma che, insieme, mettono in
luce un problema di grande attualità: l'importanza di
distinguere tra l'informazione professionale e quella
"spontanea", tipica dell'era dell'internet.
Per la prima occorrono regole non facili da
riscrivere; per la seconda non si possono porre limiti che
non siano quelli imposti dal codice penale, in forza
dell'articolo 21 della Costituzione.
Il secondo punto, "Il prodotto
editoriale" è strettamente legato al primo. Il
questionario chiede se si ritenga adeguata la
"dizione" introdotta dalla famigerata legge
62/01: la risposta è negativa; l'intero
regime della legge del 2001 è da rivedere, perché non è
pensabile che la periodicità della pubblicazione sia
l'unico requisito per distinguere il prodotto
"stampa" dal resto dell'editoria. Il sistema
del '48 non sta più in piedi.
Il problema è molto serio. Quelli che non
conoscono l'internet affermano che la proliferazione
incontrollata delle fonti di informazione comporta il
rischio di diffusione di notizie non verificabili.
"Internet uguale Far West" è il luogo
comune che accompagna questa visione. In realtà è
vero il contrario: mentre prima eravamo costretti a
fidarci di fonti sempre più o meno
"istituzionali", oggi disponiamo di una
quantità di "siti" che ci consentono di
verificare e confrontare le notizie. La pluralità
delle fonti allarga gli orizzonti informativi e
stimola il senso critico.
Ma tutto questo comporta l'assunzione di nuove e
più stringenti responsabilità per i professionisti
dell'informazione. E anche la necessità di allargare
la preparazione professionale. Oggi il giornalista
della carta stampata non può più esistere come
figura diversa da quello della radio o da quello della
televisione. La convergenza del media, con l'internet
come "crogiolo" delle notizie, ci costringe
tutti a misurarci con la multimedialità da una parte,
e con le fonti di informazioni non professionali
dall'altra.
Questa impostazione è stata accolta dal nuovo
contratto di servizio della Rai, firmato il 6 dicembre
2006. Esso presenta molte innovazioni interessanti, ma
una è la più importante dal punto di vista del
"sistema": il sito internet della Rai, nelle
sue varie articolazioni, è visto come punto di snodo
di tutta la programmazione e del dialogo con il
pubblico, fino a prevedere non solo gli spazi per gli
interventi "dal basso", ma persino la
possibilità che altri siti attingano alle risorse
dell'emittenza pubblica.
Torneremo sull'argomento quando sarà pubblicato il
testo definitivo (a un mese dalla firma circolano
ancora solo le bozze!). Ma è chiaro che siamo di
fronte a una visione finalmente concreta della
convergenza e della multimedialità, i due
concetti-chiave dell'informazione nel nostro tempo.
In questo quadro la figura del giornalista, la sua
libertà intellettuale e il suo profilo professionale devono essere al centro di qualsiasi
riforma del sistema. Sotto questo punto di vista la
bozza governativa appare carente, o forse reticente. Rivela
comunque una certa confusione di idee.
Lo si vede sia nello schema, che si limita alla mera citazione
di "Ordine, Albo e
codici deontologici". Ma soprattutto nel
questionario, che finge di ignorare le discussioni su
una questione essenziale come la sopravvivenza dell'Ordine dei giornalisti,
anacronistica struttura
che non esiste in alcun paese democratico.
Il Governo chiede agli interessati "Quali
sono i vantaggi, ovvero, svantaggi che potrebbero
prevedersi adottando un Codice deontologico generale,
applicabile anche all'editoria on-line e fatto proprio
dall'Autorità garante per le comunicazioni, che in
mancanza di proposta dell'Ordine lo adotterebbe motu
proprio, e che sarebbe competente a sanzionarne le
violazioni, secondo la disciplina già prevista per il
trattamento dei dati personali?".
Il meno che si possa dire di questa domanda è che
è confusionaria. Ammessa (e non concessa) la
sopravvivenza dell'Ordine come è oggi, non avrebbe
alcun senso un codice
proposto dall'organismo dei giornalisti e da applicare
a tutto il settore dell'informazione.
L'associazione professionale dei giornalisti, nella
quale dovrebbe trasformarsi l'attuale ordine, dovrebbe
ereditarne anche il ruolo di garante della
deontologia. Che potrebbe applicarsi solo ai
professionisti dell'informazione, non al resto del
mondo.
Fa venire i brividi l'ipotesi che, in mancanza di deontologia
adottata dell'organismo professionale, il codice di
comportamento dei giornalisti debba essere imposto da
un'autorità amministrativa. E' inaccettabile, ne va
dell'indipendenza dell'informazione.
I giornalisti italiani hanno già i loro
codici deontologici. La trasformazione dell'Ordine in
associazione non li farebbe venir meno. Ma se, per
assurda ipotesi, l'autoregolamentazione dovesse
"dissolversi", resterebbe sempre il codice
penale a sanzionare gli illeciti. Anche questo, di
nuovo, è il senso
dell'articolo 21 della Costituzione.
Altri sono i problemi da affrontare, sempre
nell'ottica della libertà costituzionale di espressione.
Fra i primi quello dei
sequestri dei siti internet, fino a oggi troppo frequenti anche
per reati sostanzialmente modesti, come le violazioni
del diritto d'autore. Ma anche per questioni più
serie, come la protezione dei minori, ci sono problemi
che devono essere risolti a livello di sistema.
Per fare un solo esempio, c'è il "decreto Gentiloni"
del 2 gennaio scorso, per il contrasto alla
pedofilia on line. Esso costituisce uno sviluppo molto
pericoloso delle prime azioni di
"oscuramento" dei siti internet del gioco
d'azzardo illegale (vedi Illegale
l'operatore o illegittimo il decreto? di Andrea
Pascerini, su InterLex). Si tratta
di una vera e propria censura digitale, per la quale
il decreto Gentiloni impone di mettere in piedi un'apposita
infrastruttura tecnologica. Con lo
strumento a disposizione, altre "autorità"
potrebbero cedere alla tentazione di usarlo. Nei
prossimi giorni affronteremo l'argomento su Interlex.
Un altro problema ignorato dallo schema governativo
è quello dell'accesso alla professione giornalistica.
Si dirà che esso rientra nel disegno di riforma degli
ordini professionali, ma è una questione essenziale
in una riforma dell'editoria che si propone di
ridisegnare l'intero settore anche nell'ottica
dell'informazione elettronica.
Ancora, non si pone la questione della registrazione
dei periodici presso il tribunale, quando c'è il
Registro degli operatori di comunicazione tenuto
dall'Autorità per le garanzie. A che servono due
registri? Qualcuno pensa ancora che i giornalisti
siano pericolosi sovversivi, da affidare alla
sorveglianza costante di un giudice?
|