Ancora una volta un tribunale, e ancora una volta quello di
Ortona, pronuncia una sentenza fortemente discutibile, che afferma la prevalenza
del fantomatico "diritto all'oblio" sul reale e costituzionalmente
garantito diritto di cronaca.
La sentenza del tribunale di Chieti - sezione staccata di Ortona del 16
gennaio 2013 segue infatti pedissequamente l'impostazione della
precedente (la n.
08/2011) emanata dallo stesso tribunale e ribadisce che le notizie, pur vere e pubblicate secondo i principi di
pertinenza, continenza e interesse pubblico, hanno una "data di scadenza".
Di fronte a sentenze del genere non è più il caso di commentare con
ragionamenti (forse troppo) "alti" come quelli contenuti nella lettera
di Catilina pubblicata da questo giornale. E' il caso, invece, di usare
una sintassi elementare, perché non sussistano dubbi sul concetto: il
diritto all'oblio è lo strumento di censura più potente.
E lo rende più odioso il fatto che non è stato imposto per legge - e dunque lo Stato
può "lavarsi le mani" o "salvare la faccia" - ma creato da zero sulla
base di intellettualismi giuridici che, nella loro unilaterale e
pervicace difesa della "privacy" come bene assoluto, hanno consentito di
realizzare il sogno proibito dello Stato "democratico": zittire
l'informazione.
Non è da oggi che questo pericolo è denunciato (vedi il documento di ALCEI del 6 giugno
1996!) ma in oltre dieci anni sono stati pochi quelli hanno avuto la sensibilità di occuparsi del tema,
schiacciati dal peso della ossessiva determinazione di creare il
"diritto alla privacy".
E' tardi per rimediare?
Forse, e forse no. Una reazione civile di persone e professionisti
dell'informazione dovrebbe/potrebbe confinare queste due sentenze in un
angolo remoto delle raccolte giuridiche o - applicandone lo stesso
criterio - dovrebbe chiederne la cancellazione definitiva.
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