(nota a sentenza di prossima pubblicazione sul n. 3/97 de "Il diritto dell’informazione
e dell’informatica")
1. Il caso e le
problematiche affrontate
L’ordinanza del Tribunale di Milano 8 aprile
1997 è di grande rilievo per il mondo dell’editoria, non soltanto per l’espressione
dei principi che supportano la decisione ma anche per le altre enunciazioni di
regole che possono essere utilizzate per l’impostazione della soluzione di
problemi che vanno al di là di quello specifico della liceità dell’attività
di "rassegna stampa" esercitata dalla società soccombente.
Il caso è semplice. Una società "pubblica in tempo reale, ossia
contemporaneamente all’uscita di quotidiani e riviste, gli articoli e le
informazioni che specificamente interessano i suoi clienti (vuoi perché li
riguardano direttamente vuoi perché attengono al settore nel quale essi
operano)", riproducendo anche articoli tratti da pubblicazioni della
società ricorrente. Il Tribunale giudica illecita l’attività sotto il
duplice profilo della concorrenza sleale e del diritto d’autore: l’art. 101
l.d.a. "sanziona come atto di slealtà commerciale la riproduzione
sistematica di informazioni raccolte e proposte da un imprenditore
concorrente;" inoltre "la protezione riservata dalla l.d.a. -all’art.
65, come ha correttamente rilevato il giudice di prime cure - agli articoli
considerati, a differenza delle informazioni, oggetto della tutela riservata all’opera
dell’ingegno per il loro carattere originale, conduce inevitabilmente alla
illegittimità del comportamento della convenuta considerato che gli articoli in
esame erano stati espressamente riservati quanto alla riproduzione dalle
ricorrenti". Evidentemente l’attività svolta dalla Selpress era di
riproduzione in altre riviste e giornali aventi una loro originale
caratterizzazione, altrimenti il riferimento fatto all’art. 65 l.d.a. non
sarebbe corretto secondo il significato ordinariamente attribuito al termine
"concorrenza".
Nel contempo, il Tribunale, seppur di sfuggita ed indirettamente, si sofferma
anche su altre problematiche: sulla natura dei mezzi di riproduzione, sul
significato di rassegna stampa, sui limiti della formazione di rassegne stampa e
di banche dati, in sostanza sulla portata del termine "uso personale"
che legittima la libera riproduzione di opere (art. 68 l.d.a.).
2. Diritto d’autore ed informatica
La società dell’informatica, delle tecnologie
di comunicazione più avanzate, di INTERNET, mette in crisi, talvolta, settori
come quello dell’editoria e più in generale della tutela del diritto d’autore
che stenta a trovare una adeguata protezione nella legge. Le particolari
caratteristiche e modalità di utilizzazione dell’"autostrada
telematica" fanno sostenere a taluni giuristi che il tradizionale diritto d’autore
non sia più attuale. Altri, al contrario, ritengono che Internet sia un mezzo
di comunicazione integrato con quelli ordinari nei cui confronti, quindi, è
pienamente applicabile la vigente disciplina del diritto d’autore (anche se
appare evidente la necessità di una maggiore armonizzazione tra i diversi
sistemi nazionali e di una più precisa disciplina convenzionale). L’ampiezza
delle presenti note non consente di approfondire compiutamente questa tematica,
ma si può fin d’ora rilevare che, come meglio si dirà in seguito, le nuove
tecniche informatiche, ed in particolare l’utilizzazione di Internet, a fini
di riproduzione e diffusione di articoli giornalistici creano problematiche di
difficile o comunque non soddisfacente soluzione per una corretta e appagante
tutela degli interessi (non soltanto di natura economica) dell’editore, del
direttore responsabile e del giornalista, alla luce della vigente normativa. E
ciò che maggiormente preoccupa è che non sembra che, allo stato attuale, il
problema possa trovare completa soluzione neanche con un provvedimento
legislativo, perché esso non sarebbe in grado di prevedere interventi che, in
concreto, possano contrastare o limitare gli effetti di atti e di comportamenti
lesivi dei diritti di cui sono titolari l’editore, il direttore responsabile e
il giornalista, quando essi siano realizzati con tecniche telematiche che, in
quanto tali, rendono oltremodo difficile anche la sola individuazione e la
localizzazione fisica del soggetto imputabile. Allo stato attuale è infatti
questo il problema più scottante. Sebbene le informazioni che corrono sull’"autostrada
informatica" sono certamente dotate di una certa "fisicità",
buona parte dell’apparato sanzionatorio apprestato dalla disciplina del
diritto d’autore è inutilizzabile per la difficoltà, come è stato detto, di
"governare" la cosa Internet.
Sembra, in un certo qual modo, ripetersi quanto
già è emerso in dottrina ed ha confermato la recente legge 675/1996 a riguardo
del tema della privacy e banche dati: assunta consapevolezza della
impossibilità di poter continuare a garantire lo stesso grado di
"riservatezza" ai dati personali che era possibile assicurare fino a
qualche anno fa in assenza di una così massiccia utilizzazione dell’informatica,
ci si è rassegnati a non più riconoscere un diritto alla riservatezza contro
le aggressioni perpetrate ad ogni livello con le tecniche informatiche, ma a
riservare la possibilità al titolare dei diritti di accedere liberamente ai
suddetti dati per verificarne la correttezza e la completezza, nonché per
controllare che la loro comunicazione e diffusione avvenga secondo le modalità
e nei termini concordati.
Il Tribunale nella annotata ordinanza, comunque, rileva che, pur non essendo gli
articoli giornalistici riprodotti - così come espone l’art. 101, 2° comma,
lett. b), l.d.a. - a mezzo di "giornali o altri periodici" ovvero di
"radiodiffusione", si devono ritenere compresi nella lettera della
norma, tutti i mezzi di riproduzione, anche quelli tecnologicamente più
avanzati, come quelli informatici che consentono di raggiungere meglio e più
rapidamente lo stesso risultato.
Per completezza si rammenta che recentemente la stampa periodica ha riportato la
notizia di un provvedimento del Tribunale di Napoli (I sez. civ. giudice dott.
L. Capasso) che ha negato la registrazione di una testata giornalistica per un
periodico che sarebbe stato diffuso esclusivamente via INTERNET, per la
"difficoltà di estendere per analogia al giornale diffuso per via
telematica le norme della legge sulla stampa", mancando il supporto
cartaceo, mentre la "estensione della registrazione alle testate
giornalistiche televisive e radiofoniche è frutto di un’espressa previsione
normativa, che ha aggiornato la legge esistente". E’ evidente -e comunque
non condivisibile - la contraddittorietà di questo orientamento rispetto a
quello seguito dal Tribunale di Milano, che giustamente non
"discrimina" tra modalità tecniche più o meno avanzate.
3. Entro quali limiti ed a quali
condizioni è consentita la riproduzione e la diffusione di articoli di giornali
o di interi giornali?
I giornali e le riviste sono qualificati dalla
legge sul diritto d’autore (legge 22 aprile 1941, n° 633 "Protezione del
diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio")
"opere collettive" (art. 3) e sono specificamente presi in
considerazione nella sezione II del capo IV l.d.a. intitolata "Opere
collettive, riviste e giornali" (artt. 38-43).
Per quanto riguarda i limiti di riproducibilità di articoli giornalistici,
occorre innanzitutto chiarire cosa debba intendersi per riproduzione. L’art.
13 l.d.a. specifica testualmente che "il diritto esclusivo di riprodurre ha
per oggetto la moltiplicazione in copie dell’opera con qualsiasi mezzo,
come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, la incisione, la fotografia,
la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione".
Invero, in dottrina a chi oggi identifica la riproduzione con la
realizzazione di uno o più oggetti corporei ripetitivi o rappresentativi della
forma esterna dell’opera stessa e, per talune opere, ripetitivi della loro
esecuzione (Santoro) si contrapponeva in passato chi autorevolmente (Carnelutti)
riteneva che per riproduzione dovesse intendersi l’idoneità a rappresentare
esternamente seppure in diversa forma la stessa "idea". Tale ultima
qualificazione deve essere opportunamente rielaborata, in modo da non risultare
oltremodo generica e come tale inutile ai nostri fini. Per riproduzione non deve
intendersi solo quella che ripete sia la forma e sia la sostanza dell’opera,
ma anche quella che riprende il contenuto originale dell’opera, senza
rielaborarlo ma al più modificandone esclusivamente l’aspetto esteriore
grafico.
Delicati problemi di identificazione del fenomeno "riproduzione" pone
l’utilizzazione di mezzi informatici, ai fini di una corretta fissazione del
momento dal quale possa ritenersi applicabile la relativa normativa di tutela.
In verità, il riferimento fatto dall’art. 13 l.d.a. alla
"moltiplicazione in copie" sembrerebbe poggiare sul presupposto di un
supporto materiale di dette copie e, in quanto tale, immediatamente
intelleggibile (e quindi qualificabile come copia). Nel campo informatico,
invece, la forma elettronica non consente una immediata intelleggibilità del
supporto se non in una fase successiva di visualizzazione sullo schermo e/o di
stampa su un supporto cartaceo, momenti comunque distinti e temporalmente
posteriori rispetto a quelli della vera e propria riproduzione. In definitiva,
si realizzano elettronicamente delle copie (riproduzione) che non sono però
percepibili, riconoscibili ed identificabili come tali.
Al riconoscimento in capo all’autore del
diritto di riprodurre e di autorizzare la riproduzione (art. 13 l.d.a.) -così
come dispone anche l’art. 9 della Convenzione di Berna "per la protezione
delle opere letterarie e artistiche", ratificata e resa esecutiva in Italia
con legge 20 giugno 1978, n° 399) (e della quale è stato recentemente proposto
un Protocollo aggiuntivo)- si affiancano poi quelli di diffondere l’opera a
distanza (art. 16 l.d.a.) e di distribuirla (art. 17 l.d.a.). L’art. 38 LDA
riserva all’editore il diritto di utilizzazione economica ma precisa che
"ai singoli collaboratori dell’opera collettiva è riservato il diritto
di utilizzare la propria opera separatamente, con la osservanza dei patti
convenuti [...]". Completa il quadro delle tutele apprestate ai
titolari di diritti sulle opere letterarie dalla normativa vigente la legge 22
maggio 1993, n. 159, che punisce la reprografia esercitata abusivamente e a fini
di lucro. E’ importante evidenziare che ai sensi dell’art. 19 l.d.a. "i
diritti esclusivi previsti dagli articoli precedenti sono fra loro indipendenti.
L’esercizio di uno di essi non esclude l’esercizio esclusivo di ciascuno
degli altri diritti"; pertanto il diritto di riproduzione è tutelato
autonomamente rispetto agli altri.
Le riserve di tutela riconosciute a favore dell’autore e dell’editore delle
opere letterarie vengono in qualche modo attenuate dal legislatore quando si
incide in misura non rilevante sulla vita economica dell’opera e difatti a
questa "logica" obbediscono gli artt. 65-71 l.d.a. in tema di
utilizzazioni libere. Il quadro delle tutele apprestate si chiude, infine, con l’art.
101 l.d.a. in tema di "riproduzione di informazioni e notizie" e con
il richiamo alla normativa generale in tema di concorrenza sleale.
Dal combinato disposto di tutta la suddetta
normativa possono ricavarsi i seguenti principi:
* Ai sensi dell’art. 13 l.d.a. esiste un
divieto generale di riproduzione dell’opera giornalistica con qualsiasi mezzo;
cui si affianca, quando l’abusiva riproduzione è fatta a fini di lucro, la
legge n°159/1993.
* Ai sensi dell’art. 65 l.d.a, - come rileva
anche la annotata ordinanza - se non è stata espressamente (riservata)
vietata, è libera la riproduzione su altre riviste o giornali
di articoli di attualità, di carattere economico, politico, religioso
purché se ne citi la fonte.
* Ai sensi dell’art. 68 l.d.a. è consentita
la riproduzione per uso personale di opere o brani di opere,
quando la riproduzione sia fatta con mezzi che non consentono uno spaccio o
diffusione dell’opera nel pubblico.
* Ai sensi dell’art. 70 ,l.d.a è consentita
la riproduzione di brani o di parti di opere per scopi di critica, di
discussione e anche di insegnamento nei limiti giustificati da tale
finalità e purché non costituiscano concorrenza alla utilizzazione economica
dell’opera.
* Ai sensi dell’art. 101 l.d.a - come rileva
anche l’annotata ordinanza - è lecita la riproduzione di informazioni e
notizie, salvo che non si risolva nella loro sistematica
pubblicazione o radiodiffusione, su giornali o altri periodici o imprese di
radiodiffusione, a scopo di lucro.
Conviene fin d’ora precisare che lo scopo di
lucro (richiamato sia nell’art. 101 l.d.a che nella legge n° 159/1993) non
deve essere identificato esclusivamente nel guadagno che possa ricavare chi
pubblica ma anche solo nella sottrazione di guadagni che ne può soffrire il
legittimo titolare.
* La normativa generale in tema di concorrenza
sleale (artt. 2595 ss, c.c.) trova comunque applicazione, pur nella specificità
della previsione dell’art. 101 l.d.a.
4. La rassegna stampa
Un problema particolare - e diverso rispetto a
quello esaminato dalla annotata ordinanza di comunicazione a terzi di rassegne
stampa - si pone quando l’articolo giornalistico è riprodotto e diffuso (ad
es. mediante fotocopie, oppure in rete mediante elaboratori) all’interno di
una struttura aziendale. Ad esempio, è quanto avviene all’interno di istituti
pubblici e privati con la raccolta in fotocopie di articoli giornalistici,
raccolte che - come vedremo impropriamente - sono chiamate rassegne stampa e
vengono distribuite tra gli uffici. Il problema è se possa ritenersi
applicabile l’art. 68 l.d.a., se cioè siffatta riproduzione possa
qualificarsi "per uso personale", restando limitata nell’ambito
aziendale. A me sembra, in verità, che il problema debba essere risolto, da un
lato con un approccio che tenga conto della rilevanza economica del fenomeno,
dall’altro con una corretta esplicitazione di cosa debba intendersi per uso
personale. Già si è detto prima che la "logica" su cui poggia la
normativa delle "utilizzazioni libere" è la mancanza di un danno
patrimoniale rilevante a carico dei titolari dei diritti sull’opera
giornalistica riprodotta. Rilievo questo che si ricava anche dalla annotata
ordinanza, laddove giustamente il giudice rammenta che "è ben vero che i
lettori stessi possono procedere autonomamente alla formazione di rassegne
stampa e di banche dati, ma la loro attività non può prescindere dall’acquisto
delle pubblicazioni, acquisto che è illegittimamente escluso a danno delle
ricorrenti dalla raccolta offerta da Selpress". Se il numero di fotocopie,
anche rispetto al numero di copie del giornale o della rivista acquistate, è
scarso, non si ritiene sussista interesse ad agire. Quanto al significato di
"uso personale" ricavabile dall’intera normativa in materia, ci
sembra che esso sia circoscrivibile in una relazione diretta tra la persona
(fisica) che ne gode e l’opera giornalistica: la circostanza che qui siamo in
presenza di una persona giuridica non può condurre a ritenervi comprese tutte
le persone fisiche che ne fanno parte! A maggior comprensione di quanto dianzi
esposto, può soccorrere la distinzione tra "uso personale" ed
"uso privato". Il primo, infatti, manifesta la possibilità che la
fruizione della singola opera si esaurisca con l’utilizzazione da parte di una
sola persona (fisica), mentre l’uso privato riguarda la contemporanea
fruizione di una singola riproduzione da parte di più soggetti individuati
secondo determinati criteri (ad es. la proiezione cinematografica per i soci di
un circolo, il concerto per i dipendenti di un’azienda, ecc.). Nel caso della
rassegna stampa distribuita nell’ambito aziendale -e tanto più nel caso di
quella comunicata o distribuita a terzi- gli articoli giornalistici contenuti
nelle singole copie del giornale acquistate sono moltiplicati e distribuiti (con
fotocopie o con immissione nella rete telematica) e di essi, pertanto, le
singole persone avranno una fruizione temporalmente diversificata, che non può
dunque qualificarsi ad uso personale. Sul punto il protocollo aggiuntivo della
Convenzione di Berna propone criteri molto rigorosi rispetto alla determinazione
della cerchia dei soggetti a cui limitare l’uso personale. In
conclusione, la fattispecie concreta che stiamo esaminando non può ritenersi
compresa nell’art. 68 l.d.a.; ma neanche nell’ipotesi di cui all’art. 65
l.d.a., perché la riproduzione non avviene in altre riviste e giornali.
Pertanto, a nostro parere, cade sotto il divieto generale di cui all’art. 13
l.d.a. e potrebbe anche configurarsi l’ipotesi di cui alla legge n° 159/1993
dell’abusiva riproduzione, in quanto la mancanza prima facie dello
scopo di lucro può essere recuperata nella considerazione del danno economico
subito dai titolari dei diritti sull’opera giornalistica.
Ovviamente, a maggior ragione l’attività di riproduzione potrà ritenersi
giuridicamente illecita se gli articoli sono pubblicati, nonostante la espressa
riserva, in altri giornali e riviste (art. 65 l.d.a.) e se è evidente il
perseguimento dello scopo di lucro "diretto" (legge n° 159/1993).
Possiamo, dunque, distinguere secondo l’oggetto varie possibilità di
riproduzione su altre testate giornalistiche di articoli di giornali e/o
riviste:
- articoli a carattere artistico, culturale,
storico, geografico, tecnico, scientifico, non possono essere riprodotti in
alcun caso, a prescindere dall’apposizione della riserva;
- articoli di attualità a carattere
politico, economico, religioso, possono essere riprodotti, in assenza di
apposita riserva e nei limiti dell’art. 65 l.d.a.;
- la riproduzione di informazioni e notizie
è libera se effettuata in conformità agli usi onesti in materia giornalistica
(art. 101 l.d.a.) ed in particolare, quando per scopo di lucro, che non abbia i
caratteri della sistematicità.
E’ evidente che ad un tale stadio di esame
della problematica, il fatto che la riproduzione avvenga con mezzi meccanici o
in via informatica non ha rilievo determinante, perché si manifesta
esclusivamente l’utilizzo di una diverso supporto della riproduzione: cartaceo
se realizzata a mezzo di fotocopia, elettronico se realizzata informaticamente.
Si discute, è vero, se in campo informatico la riproduzione coincida con il
c.d. "caricamento", cioè con l’inserimento del contenuto dell’opera
nell’elaboratore (e quindi nella sua "materializzazione" su impulsi
elettronici), oppure si realizzi quando sia intelleggibile, ma ai nostri fini la
soluzione di questo problema poco interessa, una volta accertata l’illegittimità
della riproduzione in quanto tale.
Invece, la diversità del supporto (cartaceo o elettronico) rileva ai fini del
buon esito delle azioni cautelari ed inibitorie, nonché per ottenere il
risarcimento dei danni che competono ai titolari dei diritti sulle opere
letterarie, a seguito della violazione del diritto di riproduzione. Infatti, il
Capo III della l.d.a., che prevede le "difese e sanzioni giudiziarie",
presuppone la materialità delle copie illecitamente riprodotte o diffuse e
quindi la possibilità di impedirne la ripetizione (art. 156 l.d.a.), di
distruggerle insieme agli apparecchi che le hanno riprodotte e diffuse (art. 159
l.d.a), materialità che evidentemente è percepibile nel caso delle fotocopie e
non invece a livello informatico. Non solo, ma mentre nel caso dell’illecita
riproduzione su supporto cartaceo può essere complesso, ma non certo
impossibile, giungere all’individuazione di chi ha violato il diritto di
riproduzione, lo stesso non può dirsi nel caso della riproduzione informatica e
della diffusione tra il pubblico in rete (ad es. attraverso Internet).
Ritornando ora al tema specifico di questo
paragrafo e all’oggetto principale della annotata ordinanza, si rileva che la
l.d.a. non spiega cosa debba intendersi per "rassegna stampa". Una
definizione la ricaviamo dall’art. 10 della Convenzione di Berna (legge 20
giugno 1978, n° 399) che recita testualmente: "Sono lecite le citazioni
tratte da un’opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le
citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegna
di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni
usi e nella misura giustificata dallo scopo". La rassegna stampa, dunque,
consiste nella raccolta di citazioni tratte da articoli giornalistici e non,
invece, nella riproduzione di interi articoli giornalistici. Perciò, la
riproduzione (su supporto cartaceo o altro) di interi articoli di giornali e/o
riviste non è qualificabile come rassegna stampa in senso proprio, e quindi non
è ascrivibile alle "utilizzazioni libere" di cui alla l.d.a..
Invece, le rassegne stampa vere e proprie sono lecite e, a seconda dell’ampiezza,
costituiscono un primo ed immediato veicolo informativo nonché un utile
strumento promozionale per le testate richiamate. Così come sono lecite quelle
pubblicazioni costituite da sunti, abstracts, e talvolta critici richiami
di articoli giornalistici.
Ovviamente, le suddette considerazioni hanno valore a prescindere dai supporti
utilizzati: carta, etere o impulsi elettronici, così come del resto rileva lo
stesso giudice nell’annotata ordinanza.
Le precedenti osservazioni non possono però
prescindere dalla rilevazione di un dato di fatto e che cioè in realtà le
rassegne stampa si presentano, invece, normalmente come una mera raccolta di
articoli, pubblicati su vari quotidiani e riviste, selezionati per materia,
senza alcun personale apporto originale ed innovativo da parte di colui che la
confeziona. Se si considerano gli enormi danni economici che soffrono in tal
modo gli editori non soltanto per la minor vendita delle pubblicazioni ma anche
(e direi soprattutto) in termini di minori introiti pubblicitari, sarebbe forse
il caso di sollecitare un intervento legislativo mirato alla soluzione di questo
problema, in via definitiva e non meramente giurisprudenziale.
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