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Sistema informazione

L'Antitrust ha chiuso l'istruttoria. Ma i problemi restano.

Giornali-Google: l'informazione dopo gli "impegni"

Gli editori hanno ottenuto quello che volevano: la possibilità di selezionare i contenuti da indicizzare e maggiore trasparenza nella gestione della pubblicità. Resta il problema dell'evoluzione dall'editoria verso l'informazione "liquida".

21.01.11

La Federazione nazionale della stampa, non da sola, contro Google e il suo sistema di aggregazione delle news. L'istruttoria dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, come è noto, si è chiusa con una serie di impegni da parte della società americana e della sua filiale irlandese (delibera A420 del 22 dicembre 2010). Questo può far pensare a una vittoria degli editori, ma la realtà è diversa, almeno in parte.

La controversia è l'inevitabile conseguenza del modo in cui si sta sviluppando la società dell'informazione e delle difficoltà che il mondo dell'editoria incontra nella messa a punto di un modello evolutivo adeguato al nuovo contesto delle Rete. Che non è solo il Web, ma sempre più il mondo dei dispositivi mobili, che sta cambiando gli schemi di accesso ai contenuti e in particolare all'informazione. Con riflessi importanti sul regime dei diritti relativi ai contenuti stessi.

Riassumiamo i termini della questione. Nella segnalazione all'Antitrust gli editori lamentavano la sottrazione di pubblicità dai loro siti internet, che deriverebbe dal servizio Google News, l'aggregatore automatico di notizie (in sostanza un settore specializzato del motore di ricerca). Secondo gli editori, Google trarrebbe un guadagno dai contenuti prodotti da loro. Inoltre non permetterebbe di "nascondere" le pagine all'aggregatore di notizie senza escluderle anche dal motore di ricerca.

In prima battuta l'accusa appare debole. Tanto per incominciare, fino a questo momento non c'è pubblicità in Google News Italia. Presentando solo il titolo e qualche riga degli articoli indicizzati, l'aggregatore non fa altro che guidare i lettori verso le pagine on line dei giornali, che contengono la pubblicità. In sostanza il servizio aumenta il numero delle impression degli annunci, non le diminuisce.

Diverso è il problema della facoltà di escludere determinate pagine dall'indicizzazione, senza cancellarle dal motore di ricerca. E' una questione di diritti sui contenuti (e non a caso l'Autorità ha inviato una segnalazione alle Camere sull'urgenza di una normativa adeguata ai nuovi tempi).

Nel corso dell'istruttoria l'AGCM ha aggiunto di sua iniziativa un ampliamento dell'istruttoria sulla mancata trasparenza dei meccanismi di retribuzione della pubblicità attraverso AdSense: in sostanza, l'editore che ospita gli annunci intermediati da Google riceve compensi dei quali non può verificare la correttezza, perché la società mantiene segreti i criteri del calcolo e della ripartizione.

In pochi mesi l'Autorità ha concluso il procedimento, grazie una serie di impegni assunti da Google e accettati dalle controparti. Impegni che vanno incontro alle richieste degli editori e obbligano la società a una maggiore trasparenza nella gestione della pubblicità. Ma non finisce qui, perché altri procedimenti sono aperti a carico del gigante californiano, in diversi Paesi. Fondati, nella forma o nella sostanza, su ipotesi di abusi di posizione dominante, di mancato rispetto dei diritti sui contenuti o di violazioni del diritto alla riservatezza.

Sono aspetti di una realtà molto complessa e tanto più difficile da interpretare quanto più veloce è il cambiamento. Google ha saputo capire e anticipare, quindi in parte indirizzare, lo sviluppo della società dell'informazione. Ha un predominio assoluto e incontrastato tra i sistemi di ricerca, solo grazie alla "potenza del motore". Meno importanti sono - fino a oggi - altri settori, come il social networking o l'editoria digitale. Ma non un altro servizio, Google Maps, che fotografa e "indicizza" l'intero globo terrestre con un dettaglio incredibile.  Comunque il ruolo di Google Search è tale che si può dire "se Google non ti trova, allora non esisti", senza il rischio di essere smentiti.

Si tratta di una questione vitale nel momento il cui tutte le informazioni su tutti i settori della conoscenza sono, o stanno per essere messe sulla Rete. Il fine di Google, "indicizzare" tutto lo scibile, forse non potrà mai essere raggiunto. Ma basta una parte molto rilevante, come quella di oggi, per assegnare alla società californiana il ruolo di intermediario dominante tra le persone e le informazioni. Ruolo ancora più pesante se si considera anche l'importanza del ranking, cioè della graduatoria dei risultati delle ricerche, realizzata con algoritmi che vengono mantenuti assolutamente segreti.

E' evidente che questo complesso di attività non si può svolgere senza il pericolo che siano in qualche modo compromessi i diritti di altri, dalla gestione dei contenuti alla protezione della riservatezza, con l'aggravante del predominio sul mercato. Si deve ricordare che una posizione dominante è legittima quando è stata raggiunta con mezzi leciti, grazie a una forte capacità imprenditoriale. L'abuso di posizione dominante si verifica - ed è sanzionato - quando il soggetto in posizione di forza ostacola attivamente la concorrenza.

La complessità della situazione implica diverse chiavi di lettura. La prima, abbastanza ovvia, è quella della competizione tra il mondo free (che vuol dire "libero", "gratuito", "aperto", ma spesso queste tre qualità non sono presenti nello stesso tempo), contro il mondo "proprietario", (di volta in volta "segreto", "a pagamento", "recintato"). A una prima approssimazione Google si presenta come campione del free, mentre i giornali rappresentano il contrario, con le previsioni dell'accesso a pagamento e della protezione dei contenuti.

Nei fatti la questione è molto più complicata. Google affianca alla gratuità dei suoi servizi un'impenetrabile riservatezza su quasi tutti gli aspetti tecnici e commerciali che sono alla base degli stessi servizi. C'è un evidente contrasto tra il dare tanto gratis e i pazzeschi utili generati dalla gratuità. Ma questo apparente paradosso è uno degli schemi possibili dell'evoluzione della società dell'informazione.

E qui si rende evidente una seconda lettura della controversia tra Google e gli editori italiani (e non solo quelli italiani). Gli editori - e in generale molti fornitori di contenuti - stanno constatando che l'informazione gratuita non rende in termini di introiti pubblicitari o offerta di altri servizi a pagamento.

Calano drammaticamente le vendite dei giornali di carta. E calano di conseguenza gli introiti generati dalla pubblicità, mentre non c'è una corrispondente crescita del fatturato della pubblicità sul digitale. Gli editori tentano di sostenere le vendite della carta e la relativa pubblicità, mentre non riescono a individuare un modello che assicuri sufficienti ricavi dal digitale: tutti i tentativi di offrire giornali via internet a pagamento non hanno avuto l'esito sperato.

Il motivo è semplice: non ha senso spendere soldi per avere informazioni che si possono avere gratis seguendo altri percorsi. Sarebbe necessario un modello che ponga il giornale digitale in una posizione più forte rispetto al contesto della Rete, fatto in buona parte di informazione "spontanea" costruita a forza di copia-e-incolla dalle fonti più o meno qualificate.

Sembra che non ci si renda conto dell'urgenza di cambiare la prospettiva da cui viene vista la produzione industriale dell'informazione. Da anni si continua a dibattere se il giornale di carta sia destinato a soccombere di fronte all'avanzata del digitale. Lo stesso angoscioso interrogativo si pone per i libri. Ma alla fine siamo rassicurati da eminenti personaggi, che ci convincono che la carta non può sparire, perché nulla potrà sostituire la sensazione offerta dal supporto fisico, dal fruscio delle pagine, dall'odore dell'inchiostro.

Allora possiamo continuare a farci del male. A non capire che molti comperano ancora i supporti di carta perché lo hanno sempre fatto e perché non hanno confidenza con gli apparecchi elettronici. Sono destinati a estinguersi per cause biologiche. Chi è nato con l'internet e col telefonino non è abituato a comperare la carta. E, soprattutto, trova che non ha senso comperare un giornale con le notizie di ieri, quelle che ha già appreso dalla televisione e dalla Rete.

Lo stesso discorso, in parte, vale per i libri. Fino a ieri leggere un saggio o un romanzo sul personal computer era meno comodo che sul libro tradizionale. Ma oggi, con gli e-book sui lettori dedicati, alla replica della dimensione fisica del libro da leggere si aggiungono l'ipertesto, le funzioni di ricerca, il sostanziale annullamento dell'ingombro fisico delle centinaia o migliaia di volumi che invadono ogni angolo della casa dei lettori più accaniti. E a tutto questo si aggiungono il minor prezzo e la comodità dell'acquisto on line.

"Ma vuoi mettere il piacere di andare in libreria, fare quattro chiacchiere col libraio, farsi consigliare da lui...".
Il fatto è che librerie e librai stanno scomparendo. Ci sono i bookstore dei grandi centri commerciali e nessuna discussione, nessun consiglio si può avere da ragazzi e ragazze che si aggirano tra i banchi, con il compito principale di controllare che non vi mettiate - distrattamente - un libro in tasca. Per loro vendere un libro o un tostapane è la stessa cosa.

E allora si deve prendere atto della realtà che cambia e cercare di adeguarci. Possibilmente di prevedere e attrezzarci in tempo per le novità imminenti. Tanto per incominciare, gli editori dovrebbero incominciare a considerare le loro imprese non come "fabbriche di giornali, anche digitali", ma come "fabbriche di informazioni". Informazioni che devono essere vendute attraverso molti canali, uno dei quali è il giornale di carta. L'unico per cui è ragionevole attendersi un tasso di crescita negativo.

Giornali, libri, musica. La conoscenza in generale. Tutto ciò che è immateriale fino a oggi ha avuto una forma solida, definita. Quella del supporto d'elezione (giornale, libro, disco in vinile e poi CD..). Ora, con il digitale, tutto questo sta diventando "liquido", cioè assume la forma del contenitore che di volta in volta è scelto dall'utilizzatore.
La sfida non è conservare la pubblicità sulla carta o trovare il modo di farla rendere sul digitale. La sfida è inventare la pubblicità liquida.

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