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Sistema informazione

Il tranello della formula "notizie penalmente rilevanti"

DDL intercettazioni: arriva il divieto di sapere?

Wikipedia irraggiungibile. Giornalisti in galera.  Una provocazione e una proposta che disegnano un quadro preoccupante. Se passerà il disegno di legge, saremo tutti meno liberi. Soprattutto di sapere le malefatte della Casta. 

07.10.11

Divieto di pubblicazione anche di notizie che possono interessare la collettività. Limitazioni alla libertà dell'internet. Il carcere per i giornalisti che pubblichino notizie coperte dalla censura. Come ieri nell'Unione Sovietica, oggi in Cina e in qualche altro posto dove non c'è libertà di stampa. Domani anche l'Italia entrerà nel novero degli Stati non democratici? Non è il caso di esagerare, ma per il futuro è naturale preoccuparsi.  No alla legge-bavaglio

Già oggi non c'è da stare allegri. In Italia la professione di giornalista non è libera. Chi pubblica un periodico senza il benestare di un tribunale rischia una condanna per "stampa clandestina". Ma se mette bene in evidenza il proprio nome e indirizzo? E' sempre stampa clandestina, va punito lo stesso.
C'è di più. Qualche Procura della Repubblica ordina l'oscuramento di articoli pubblicati su un organo di stampa online. E' l'equivalente del sequestro di un giornale nelle edicole. E' successo pochi giorni fa, come ci raccontano Massimo Razzi di Repubblica e Massimo Russo di Kataweb.

Solo il più recente di una lunga serie di casi simili. Ma resta inaccettabile, perché "si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi", come recita il terzo comma dell'articolo 21 della Costituzione. Ma la legge sulla stampa non autorizza espressamente (e neanche implicitamente) questo tipo di sequestro.

Ora siamo di nuovo alle prese con l'infame disegno di legge sulle intercettazioni. Sembrava defunto. Invece ha ripreso la sua corsa travolgendo ogni obiezione, ogni opposizione, ogni richiamo ai principi costituzionali. Sostenuto anche con notizie fuorvianti ed equivoci creati ad arte. Uno di questi si basa sull'affermazione che i giornali non devono pubblicare intercettazioni che non siano "penalmente rilevanti". E' una sciocchezza: i giornali devono avere la libertà di pubblicare notizie "socialmente rilevanti", senza altri limiti che la possibile compromissione di indagini in corso o la violazione della sfera privata di persone estranee ai fatti. 

Secondo l'attuale testo del DDL, entro 45 giorni dal momento in cui gli atti sono pubblici si dovrebbe svolgere un'udienza a porte chiuse nella quale magistrati e avvocati deciderebbero quali intercettazioni siano penalmente rilevanti e quali debbano essere distrutte. Le porte della galera si aprirebbero per i giornalisti che pubblicassero intercettazioni classificate come "irrilevanti" agli effetti del processo.

Dunque l'udienza-filtro servirebbe a decidere che cosa i giornali non possono pubblicare. Cioè che cosa agli italiani sarebbe vietato sapere. Si chiama "censura". Anche se l'articolo 21 della Costituzione stabilisce che "la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure". Perché la libertà di stampa è un pilastro della democrazia. Messo in discussione proprio sfruttando l'equivoco ormai generalizzato: che i giornali debbano pubblicare solo le notizie "penalmente rilevanti". Pare che anche gli organismi professionali dei giornalisti siano caduti nel tranello.

Quelle che interessano i lettori sono le notizie socialmente rilevanti, quelle che sono importanti per la formazione della pubblica opinione. La rilevanza penale è un aspetto che riguarda prima il processo e poi l'informazione.

Facciamo un esempio: da alcune intercettazioni emerge - senza ombra di dubbio - che un importante uomo politico pratica sistematicamente rapporti sessuali a pagamento. Un fatto penalmente irrilevante, che potrebbe essere oggetto di mero pettegolezzo. Ma i cittadini hanno il diritto di saperlo? Questo è un interrogativo cruciale. Le vendite dei giornali di gossip dimostrano che una parte non piccola dell'opinione pubblica è interessata anche ai pettegolezzi. Ma si deve anche ricordare che la loro pubblicazione può violare il diritto alla riservatezza.

Allora si ritorna alla vecchia discussione se per una persona che riveste una carica pubblica il diritto alla riservatezza sia in qualche modo attenuato. L'opinione che sembra prevalente nella nostra società è che l'uomo pubblico debba essere più "trasparente" del privato cittadino. Pettegolezzi a parte, le notizie sulla vita privata di un personaggio in vista possono interessare il pubblico, anche in funzione della formazione del consenso politico.

Si tratta comunque di una materia complessa che non può essere regolata con pochi colpi d'ascia: la valutazione caso per caso dovrebbe essere il criterio comune, affidata alla coscienza e all'autodisciplina dei giornalisti.
Ma ci possono essere situazioni più critiche. Per il nostro esempio, nel caso in cui le prestazioni sessuali siano compensate con una carica pubblica. E' molto probabile che questa sia un'informazione di interesse sociale.

Pubblicarla o no è una di quelle decisioni che attribuiscono un significato preciso alla qualifica di "direttore responsabile" di una pubblicazione. Invece, se la valutazione è affidata a un'autorità comunque costituita, è censura. E in caso di violazione scatta il castigo.

Non usa più, alle nostre latitudini, mozzare le orecchie o la lingua al gazzettiere che pubblica notizie sgradite al potere costituito. O tutta la testa, come raccontano, fra le altre, la storia dello Stato pontificio sotto Pio V e successori e quella dell'Inghilterra del XVII secolo.
Oggi, secondo le proposte al vaglio del Parlamento, si possono comminare al massimo tre anni di galera. E' un progresso notevole, che cambia la misura ma non la causa della sanzione.

Resta il fatto che la pubblicazione dei testi integrali delle intercettazioni può violare la riservatezza di persone non coinvolte negli aspetti penali delle diverse vicende. La soluzione è semplice, ed è già prevista dalla normativa vigente: vanno omessi i nomi e ogni altro dato che possa portare all'identificazione delle persone interessate. Su questo punto la legge e l'autodisciplina dei giornalisti, applicate con rigore, farebbe cadere ogni accusa e ogni pretesto per norme repressive.

Per concludere è opportuno richiamare un'altro aspetto preoccupante del disegno di legge: il comma 29. Come tutti sanno, prevede regole che possono rendere impossibile l'attività di molti siti internet. E bene ha fatto Wikipedia a sottolineare questo rischio con il clamoroso "auto-oscuramento" tra il 4 e il 6 ottobre scorsi.

Ora pare che la norma sia stata modificata e si applichi solo alle testate registrate. Ma per queste le regole sull'obbligo di rettifica ci sono già. Non si vede perché dovrebbero essere diverse per la stampa su carta e quella online.
Per le altre pubblicazioni, il nostro ordinamento contiene già disposizioni più che sufficienti a far valere i diritti di chi si ritenga danneggiato da una notizia o da un commento.

E allora perché tanto furore legislativo? La risposta la conosciamo tutti: per evitare che vengano a galla le malefatte della Casta. E nient'altro.

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