Divieto di pubblicazione anche di notizie
che possono interessare la collettività. Limitazioni alla
libertà dell'internet. Il carcere per i giornalisti che
pubblichino notizie coperte dalla censura. Come ieri nell'Unione Sovietica, oggi
in Cina e in qualche altro posto dove non c'è libertà di
stampa. Domani anche l'Italia entrerà nel novero degli
Stati non democratici? Non è il caso di esagerare, ma per
il futuro è naturale preoccuparsi. |
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Già oggi non c'è da stare allegri. In Italia la
professione di giornalista non è libera. Chi pubblica un
periodico senza il benestare di un tribunale rischia una
condanna per "stampa clandestina". Ma se mette
bene in evidenza il proprio nome e indirizzo? E' sempre stampa
clandestina, va punito lo stesso.
C'è di più. Qualche Procura della Repubblica
ordina l'oscuramento di articoli pubblicati su un organo
di stampa online. E' l'equivalente del sequestro di un
giornale nelle edicole. E' successo pochi giorni fa, come ci raccontano Massimo
Razzi di Repubblica e Massimo
Russo di Kataweb.
Solo il più recente di una lunga serie di casi simili. Ma
resta inaccettabile, perché "si può procedere a
sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge
sulla stampa espressamente lo autorizzi", come recita
il terzo comma dell'articolo 21 della Costituzione. Ma la
legge sulla stampa non autorizza espressamente (e neanche
implicitamente) questo tipo di sequestro.
Ora siamo di nuovo alle prese con l'infame disegno di legge
sulle intercettazioni. Sembrava defunto. Invece ha
ripreso la sua corsa
travolgendo ogni obiezione, ogni opposizione, ogni
richiamo ai principi costituzionali. Sostenuto anche con
notizie fuorvianti ed equivoci creati ad arte. Uno di
questi si basa sull'affermazione che i giornali non devono pubblicare
intercettazioni che non siano "penalmente
rilevanti". E' una sciocchezza: i giornali devono
avere la libertà di pubblicare notizie "socialmente
rilevanti", senza altri limiti che la possibile
compromissione di indagini in corso o la violazione della
sfera privata di persone estranee ai fatti.
Secondo l'attuale testo del DDL, entro 45 giorni dal
momento in cui gli atti sono pubblici si dovrebbe svolgere
un'udienza a porte chiuse nella quale magistrati e
avvocati deciderebbero quali intercettazioni siano
penalmente rilevanti e quali debbano essere distrutte. Le
porte della galera si aprirebbero per i giornalisti che
pubblicassero intercettazioni classificate come
"irrilevanti" agli effetti del processo.
Dunque l'udienza-filtro servirebbe a decidere che cosa
i giornali non possono pubblicare. Cioè che cosa agli
italiani sarebbe vietato sapere. Si chiama
"censura". Anche se l'articolo
21 della Costituzione stabilisce che "la stampa
non può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure". Perché la libertà di stampa è un
pilastro della democrazia. Messo in discussione proprio
sfruttando l'equivoco ormai generalizzato: che i giornali
debbano pubblicare solo le notizie "penalmente
rilevanti". Pare che anche gli organismi
professionali dei giornalisti siano caduti nel tranello.
Quelle che interessano i lettori sono le notizie socialmente
rilevanti, quelle che sono importanti per la
formazione della pubblica opinione. La rilevanza penale è
un aspetto che riguarda prima il processo e poi
l'informazione.
Facciamo un esempio: da alcune intercettazioni emerge -
senza ombra di dubbio - che un importante uomo politico
pratica sistematicamente rapporti sessuali a pagamento. Un
fatto penalmente irrilevante, che potrebbe essere oggetto
di mero pettegolezzo. Ma i cittadini hanno il diritto di
saperlo? Questo è un interrogativo cruciale. Le vendite
dei giornali di gossip dimostrano che una parte non
piccola dell'opinione pubblica è interessata anche ai
pettegolezzi. Ma si deve anche ricordare che la loro
pubblicazione può violare il diritto alla riservatezza.
Allora si ritorna alla vecchia discussione se per una
persona che riveste una carica pubblica il diritto alla
riservatezza sia in qualche modo attenuato. L'opinione che
sembra prevalente nella nostra società è che l'uomo
pubblico debba essere più "trasparente" del
privato cittadino. Pettegolezzi a parte, le notizie sulla
vita privata di un personaggio in vista possono interessare
il pubblico, anche in funzione della formazione del
consenso politico.
Si tratta comunque di una materia complessa che non
può essere regolata con pochi colpi d'ascia: la
valutazione caso per caso dovrebbe essere il criterio
comune, affidata alla coscienza e all'autodisciplina dei
giornalisti.
Ma ci possono essere situazioni più critiche. Per il
nostro esempio, nel caso in cui le prestazioni sessuali
siano compensate con una carica pubblica. E' molto
probabile che questa sia un'informazione di interesse
sociale.
Pubblicarla o no è una di quelle decisioni che
attribuiscono un significato preciso alla qualifica di
"direttore responsabile" di una pubblicazione.
Invece, se la valutazione è affidata a un'autorità
comunque costituita, è censura. E in caso di violazione
scatta il castigo.
Non usa più, alle nostre latitudini, mozzare le
orecchie o la lingua al gazzettiere che pubblica notizie
sgradite al potere costituito. O tutta la testa, come
raccontano, fra le altre, la storia dello Stato pontificio
sotto Pio V e successori e quella dell'Inghilterra del
XVII secolo.
Oggi, secondo le proposte al vaglio del Parlamento, si
possono comminare al massimo tre anni di galera. E' un
progresso notevole, che cambia la misura ma non la causa
della sanzione.
Resta il fatto che la pubblicazione dei testi integrali
delle intercettazioni può violare la riservatezza di
persone non coinvolte negli aspetti penali delle diverse
vicende. La soluzione è semplice, ed è già prevista
dalla normativa vigente: vanno omessi i nomi e ogni altro
dato che possa portare all'identificazione delle persone
interessate. Su questo punto la legge e l'autodisciplina
dei giornalisti, applicate con rigore, farebbe cadere ogni
accusa e ogni pretesto per norme repressive.
Per concludere è opportuno richiamare un'altro aspetto
preoccupante del disegno di legge: il comma 29. Come tutti
sanno, prevede regole che possono rendere impossibile
l'attività di molti siti internet. E bene ha fatto
Wikipedia a sottolineare questo rischio con il clamoroso
"auto-oscuramento" tra il 4 e il 6 ottobre
scorsi.
Ora pare che la norma sia stata modificata e si
applichi solo alle testate registrate. Ma per queste le
regole sull'obbligo di rettifica ci sono già. Non si vede
perché dovrebbero essere diverse per la stampa su carta e
quella online.
Per le altre pubblicazioni, il nostro ordinamento contiene
già disposizioni più che sufficienti a far valere i
diritti di chi si ritenga danneggiato da una notizia o da
un commento.
E allora perché tanto furore legislativo? La risposta
la conosciamo tutti: per evitare che vengano a galla le
malefatte della Casta. E nient'altro.
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