In questi giorni è la
Libia che occupa i titoli in prima pagina. Prima ci sono
stati la Tunisia e l'Egitto, mentre in altre nazioni arabe
ci sono fermenti rivoluzionari. Perché questi popoli si
risvegliano proprio ora?
Nei primi giorni si era detto che l'internet, con i social
network, era il tam-tam, il collegamento tra i giovani di
diverse nazioni.
Poi si è incominciato a capire che la Rete ha avuto un
ruolo marginale. Per un motivo molto semplice: anche se i
giovani arabi hanno i telefonini e si collegano
all'internet, la penetrazione dei nuovi media è limitata
e le possibilità di accesso sono ostacolate dalle censure
tecnologiche dei governi, che hanno il totale controllo
delle compagnie telefoniche.
Si è incominciato a capire, dicevo, e forse per la prima
volta a L'infedele di Gad Lerner, lunedì 21
scorso, qualcuno lo ha detto con chiarezza.
Il vero collante delle rivolte arabe di questi mesi è
la televisione. Che è sempre un potere, dalla parte delle
emittenti statali, ma una specie di contropotere nelle
antenne delle televisioni panarabe. Al Jazeera
prima delle altre.
Per capire come stanno le cose è necessario fare un passo
indietro, lungo esattamente vent'anni.
Gennaio 1991, guerra del Golfo. Il World Wide Web non
c'era. C'era l'internet, ma era una cosa
"difficile", per pochi specialisti o
appassionati. C'era però la televisione via satellite, il
primo mezzo di comunicazione "di massa" a
livello globale. Che in quelle regioni sarebbe diventato
in pochi anni il mezzo "delle masse".
E' diventato subito un mito, il cronista della CNN Peter
Arnett che trasmetteva da una terrazza di un albergo di
Baghdad con un collegamento satellitare, mentre gli
americani attaccavano la città. Ed è diventata un
modello la CNN, fino ad allora quasi sconosciuta al di
fuori del Nord America.
Una scoperta soprattutto per i Paesi arabi, che fino a
quel momento conoscevano solo le televisioni dei diversi
regimi: pura propaganda, formali, noiose, tese solo a
indottrinare i popoli e celebrare i tiranni locali. Già
allora, però, quelle genti cercavano di conoscere il
mondo al di fuori dei loro confini, con traffici
clandestini di videocassette e antenne paraboliche di
fortuna. Fatte in casa, addirittura con le padelle di
cucina. La CNN e altre emittenti satellitari facevano -
involontariamente - quella che in tempi più lontani da
noi si chiamava "controinformazione".
Fu l'Arabia Saudita, proprio nel 1991, a proporre un
primo modello televisivo con aspirazioni panarabe: la MBC,
pensata come collegamento con il vasto mondo della
diaspora araba, una specie di ponte soprattutto con
l'Europa. Ma si trattava pur sempre di un'emittente
"ortodossa", sotto il controllo degli emiri.
Nel 1995 il giovane emiro del Qatar, di formazione
occidentale, sostenne la nascita di una nuova emittente
panaraba che per la prima volta assumeva il modello
occidentale delle TV commerciali, con un'informazione
libera e, come si dice dalle nostre parti,
"pluralista".
News sui fatti del mondo, informazione locale anche
poco ortodossa e qualche volta irriverente nei confronti
dei potenti e dei potentati mediorentali. Dibattiti non
addomesticati, dirette senza censure. Nel giro di tre anni
l'emittente era diventata la CNN dei Paesi Arabi. Al
Jazeera ("La Penisola") era lo strumento di
una modernizzazione che partiva dal Quatar per
diffondersi, lentamente, in tutto il mondo arabo.
I governi si trovarono spiazzati, cercarono di frenare
in qualche modo l'espansione di Al Jazeera, si
affettarono a mettere in piedi emittenti che ne
bilanciassero il potere, anche sul piano commerciale. La
più importante, Al Arabiya, si poneva e si pone
ancora oggi come la principale concorrente di Al
Jazeera. Ma non riesce a replicarne il successo,
perché resta più "ufficiale", meno libera sul
piano dell'informazione.
Lo vediamo in questi giorni, quando Al Jazeera
dà le cronache più immediate e crude della rivolta in
Libia, mentre Al Arabya mantiene una linea più
prudente. All'altro estremo, la televisione di stato
libica rimane saldamente nelle mani del Colonnello, che
attraverso le sue antenne si manifesta a intervalli
astutamente calcolati ad arringare una piazza sempre meno
affollata. Spiazzando ogni volta quanti lo danno per
finito, in fuga all'estero o nascosto come un topo nei
sotterranei dei suoi bunker.
Dunque il seme della libertà si è diffuso attraverso
la televisione e attraverso la televisione il potere cerca
ancora, disperatamente, di mantenersi tale. Il ruolo della
Rete non deve essere sottovalutato, soprattutto per la
presa sulle generazioni più giovani. Ma non sono solo i
giovani, sono le masse arabe che oggi chiedono quella
libertà che hanno conosciuto grazie alle parabole
satellitari.
Vale la pena di ricordare come in Egitto, pochissimo
tempo fa, si sia avuta la sensazione della imminente fine
del regime nel momento in cui un alto ufficiale è apparso
sugli schermi di stato, per calmare il popolo in rivolta.
Quando questo accadrà a Tripoli, l'era di Gheddafi sarà
finita.
Prima di quel momento non c'è internet che tenga: saranno
le televisioni a diffondere la nozione della libertà da
una parte e i proclami del potere dall'altra. Poi, forse,
sarà un'altra storia.
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