Sono le tre del pomeriggio. Sto scrivendo, ancora una
volta un pezzo sulla televisione pubblica in
Italia. Ma squilla il telefono. Sobbalzo. Anche dieci anni
fa, alle tre del pomeriggio dell'11 settembre, stavo
scrivendo un articolo. Ma allora rispondevo rilassato: il numero che appariva sul display
del telefono annunciava una chiacchierata su questioni di
diritto. O una barzelletta. Già. A quel tempo con i miei amici c'era un grande
traffico di barzellette. Via e-mail. Ma quelle più forti
arrivavano per telefono.
«Un aereo ha colpito le torri gemelle di New York».
«Mbe?».
«Ti dico che un aereo ha colpito le Twin Towers».
«Ho capito. Come continua?»
«E' vero, c...o, accendi la televisione!».
La voce dell'amico è alterata. Le barzellette le
racconta bene. Mi giro verso il televisore, l'enorme CRT
che ha finito da tempo la sua carriera in una discarica
per rifiuti speciali. Lo accendo. Dopo un po' appare
un'immagine piena di sabbia (qui i canali Rai si vedevano
male ai tempi dell'analogico; ora, grazie al digitale, non
si vede più nulla). Ecco le Twin Towers con un gran
pennacchio di fumo.
«E' una fiction? Potrebbe essere uno scherzo come
quello di Orson Wells con l'invasione dei marziani»
«No, è vero. E sembra che l'aereo ci sia andato contro
apposta.
«Ma va! Che aereo?»
Penso a un piccolo apparecchio, di quelli che
svolazzano in continuazione sulla Grande Mela. Forse
pilotato da un pazzo. Se è stato un aereo militare, la
faccenda è più grave. Potrebbe essere un attentato.
Intanto osservo con attenzione ogni scena, cercando di
capire se c'è qualche trucco.
«Pare che sia stato un aereo di linea».
«Allora potrebbe essere un incidente».
«Pare di no».
«Ci deve essere un mucchio di gente intrappolata agli
ultimi piani. Forse potrebbero evacuarli con gli
elicotteri. Ma non ce n'è neanche uno intorno ai
grattacieli. Non è strano?»
Passano i minuti e non riesco a capire il senso di
quello che vedo. Intanto cerchiamo notizie sull'internet.
«Sembra tutto bloccato. Ah, ecco, il sito del NYT...»
In quel momento il secondo aereo colpisce l'altra torre.
Tutti i miei dubbi svaniscono: allora è una guerra. La
guerra. In diretta TV.
Oggi, dieci anni dopo, la telefonata è tranquilla.
Niente nuove tragedie. Solo «Ti ricordi, giusto dieci
anni fa...». Parliamo della guerra che è incominciata
allora. E non è finita. Non solo perché si combatte
ancora in Afghanistan. Ma perché lo scopo dei terroristi
è seminare il terrore. E noi siamo terrorizzati: da dieci
anni vincono loro.
Partire con un aereo è diventato un supplizio di
controlli. Non posso più nemmeno portare il mio
coltellino svizzero. All'aeroporto di Bruxelles mi sono
dovuto quasi spogliare per passare nel metal detector. Poi
hanno frugato nella valigia e mi hanno sequestrato tre
confezioni di formaggi pregiati. Formaggi, capisci? Potrebbero
essere esplosivi. Uno, uno con la mia faccia, che parte da
Bruxelles per tornare a Roma, può essere un terrorista.
Bisogna partire nudi, quasi letteralmente. Telecamere
dappertutto. Scoppiano rivoluzioni e l'incubo è che ci
siano dietro - o ne approfittino - gli islamisti.
Forse ci sono terroristi mescolati tra i migranti che
sbarcano a Lampedusa. E sotto casa, guarda quel tipo: ha i
tratti mediorentali e quello zainetto... Non è che sta
per farsi esplodere? Dieci anni di guerra in Afghanistan,
centinaia di morti da una parte, forse migliaia
dall'altra.
Tutto è sotto controllo. La nostra posta elettronica, le
nostre telefonate. Le cose che scriviamo sui nostri siti e
sui social network.
Forse tutto questo è servito a evitare altre azioni in
grande stile come quella di dieci anni fa. Forse. Ma ci ha
tolto tante certezze. Non siamo mai sicuri di essere soli.
Abbiamo sempre la sensazione di essere spiati.
Nei giorni dopo la tragedia discutemmo se fosse stata
migliore l'informazione sull'internet o quella della
televisione. Concludemmo che aveva vinto la televisione.
Oggi web e televisione sono quasi una cosa sola. Sul web
ci sono le TV e le TV attingono al web, ai social network,
ai canali satellitari di tutto il mondo. Si chiama
"informazione cross-mediale".
Dieci anni fa i blog e Wikipedia erano agli esordi.
YouTube non esisteva neanche come progetto. Nemmeno
Twitter. Se i fatti del 2001 accadessero oggi, avremmo una enorme quantità
di testimonianze in diretta. O forse si bloccherebbe tutto
per eccesso di traffico e ci resterebbe solo la
televisione? Non possiamo saperlo e speriamo di non
doverlo sapere.
In queste ore tutti i media ci fanno rivivere quei
momenti drammatici. Ma non è la celebrazione di una
ricorrenza, perché le notizie delle guerra al terrorismo
non si sono fermate un solo giorno, da dieci anni. Gli
attentati di Madrid. Poi altri, in tanti luoghi.
Terroristi suicidi. I "nostri ragazzi" che muoiono tra le montagne dell'Afghanistan. E prima erano
morti in Iraq. Manca solo che tra le sezioni dei giornali
ce ne sia una intitolata "Guerra". Come
"Interni", "Esteri",
"Cronaca".
A quest'ora le torri erano andate giù. Si sapeva
abbastanza degli altri due aerei, quello
che aveva colpito il Pentagono e quello caduto in
Pennsylvania. Le dimensioni della
tragedia erano chiare. Si aveva già la sensazione che
quelle colonne di fumo, quella polvere, quelle migliaia di
morti, avrebbero cambiato le nostre vite.
Che sarebbe incominciata una guerra mediatica. Una guerra
che il terrorismo ha vinto, fino a oggi. Attraverso le
cronache dei giornali, del web e delle televisioni.
Perché continua a essere vivo il terrore.
Rileggo alcune delle cose scritte dieci anni fa. Questa
volta non sono "effetti speciali". Con
la scusa di combattere il terrorismo. Sciacalli,
sciocchi e sciagurati. E altre pagine, su tanti siti. Che da
dieci anni sono ancora lì a tenere vivi i ricordi. Se mai
ce ne fosse bisogno. Non è come sfogliare una collezione
di giornali. Non ci sono "numeri arretrati",
carte ingiallite, articoli recuperati dall'archivio. Tutte
le pagine sono rimaste al loro posto. Identiche a quelle
di oggi.
L'internet confonde presente e memoria. Forse anche per
questo lo smarrimento è lo stesso. Dieci anni dopo.
Da quella volta non ci telefoniamo più per raccontarci
barzellette. Ci hai fatto caso, amico mio?
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