Botta e risposta: "Con internet vanno in
crisi i mestieri. Pensate come, grazie a Dio, andrà in crisi il mestiere di
giornalista... la professione sarà regolata dalla competenza e non dalla
tutela". Detto in faccia ai giornalisti da Pierluigi Celli, direttore
generale della Rai, in aprile.
"Sorgono di continuo una miriade di siti, spesso anonimi, che diffondono
notizie senza il minimo controllo. Avanti di questo passo non si può
andare". E Bruno Tucci, presidente dell'Ordine dei giornalisti di Lazio e
Molise, chiede al Ministro della giustizia "regole che risolvano al più
presto il problema" (vedi
Punto Informatico). Cioè, sembra di capire, regole che in qualche modo
vietino di fare informazione a chi non è iscritto all'Ordine.
Il problema è serio, e deve essere affrontato
tenendo conto di molti aspetti che non è facile conciliare. Per la serie
"Processo ai mass media", questo è un altro contributo di InterLex
alla sessione conclusiva del convegno La
democrazia nell'era della CNN che si terrà a Padova dal 25 al 27 di questo
mese. |
La polemica, che va avanti da anni, riguarda
soprattutto l'Ordine dei giornalisti, per la cui abolizione fu addirittura
proposto un referendum, e che dovrebbe essere riformato da una legge che da
tempo immemorabile naviga senza rotta nelle aule parlamentari. Tuttavia il
nocciolo della questione non è nella scelta tra un "sì", un
"no" o un "ma" all'esistenza di quella che di fatto è una
vera corporazione, come dimostra l'intervento di Tucci.
Il problema è espresso da un bisticcio di parole: l'informazione nella società
dell'informazione. Dove il primo termine, "informazione" in senso
stretto, è una parte rilevante del traffico di "informazioni", in
senso lato, che costituisce la linfa vitale del nostro tempo e del prevedibile
futuro.
Prima dell'avvento della Rete, l'informazione (ci
riferiamo, naturalmente, all'informazione in senso stretto) era quasi
esclusivamente di matrice professionale e "a senso unico". Con la
diffusione dell'internet, ancora prima del World Wide Web, ha incominciato ad
affermarsi su scala sempre più vasta un'informazione spontanea e "a doppio
senso", perché i ruoli di fornitori e di destinatari delle notizie si
scambiano continuamente, fino a giustificare in molti casi la definizione di
"comunicazione interattiva".
E un fatto che oggi sulla Rete si trovano sia l'informazione professionale,
ancora quasi esclusivamente a senso unico, sia l'informazione spontanea, almeno
potenzialmente interattiva.
Ora si tratta di capire le implicazioni di questa
realtà. Ma prima è necessario mettere a fuoco il quadro generale, nel quale
non è possibile né utile fare distinzioni tra media tradizionali e "new
media". L'informazione è sempre più un crogiuolo in cui si fondono mezzi,
notizie e commenti, un universo di notizie che capovolge la vecchia definizione
di McLuhan "il mezzo è il messaggio", perché rende il mezzo spesso
indifferente o intercambiabile rispetto al messaggio.
E' vero che l'informazione tradizionale - giornali, radio, TV - è
sostanzialmente di tipo professionale, ma questo dipende semplicemente dal fatto
che in essa non ci sono gli né spazi né le opportunità di accesso per
l'informazione spontanea.
Ma qual è, o quale dovrebbe essere, la
differenza tra l'informazione spontanea e quella professionale, anche tenendo
conto del fatto che in molti casi è difficile da identificare il confine?
L'informazione spontanea non ha altro punto di riferimento che la libertà di
espressione, quella sancita dall'articolo 19 della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, in Italia dall'articolo 21 della
Costituzione e negli USA dal Primo Emendamento della Costituzione (per citare
solo i fondamenti più significativi).
Da questa premessa discende l'impossibilità - oltre che l'inopportunità - di
porre alcun vincolo, alcuna regola, alcun requisito all'informazione spontanea.
Tranne che nei casi - è ovvio - in cui con l'informazione si commettano atti
illeciti. Qui si chiude il discorso, anche perché qualsiasi tentativo di
introdurre limiti, distinzioni, o regole di qualsiasi genere si scontrerebbe con
la natura stessa della Rete.
L'informazione professionale è tutt'altra cosa.
E' regolata da leggi, codici, regole scritte e non scritte. Fare informazione
avendo una tessera, o un "distintivo", o un contratto, un elemento
qualsiasi che qualifichi l'attività come "professionale", significa
saper trovare le notizie, cercare di capirle, cercare le conferme, seguire e
approfondire i fatti, interpretarli, raccontarli e commentarli in forma chiara e
corretta, avendo la consapevolezza degli effetti che l'informazione può avere
sul pubblico. Dunque fare informazione come attività professionale significa
assumersi la responsabilità di fornire in modo chiaro informazioni corrette,
verificate, interessanti e comprensibili.
L'informazione professionale, oggi in Italia, soddisfa questi requisiti? La
risposta è un secco "no".
Più volte in queste pagine abbiamo rilevato
l'incompletezza, l'inesattezza, la tendenziosità dell'informazione tradizionale
nei confronti della Rete, ma si potrebbero fare moltissimi esempi in settori
diversi.
Ecco un caso, banalissimo, che dimostra la scarsa qualità
dell'informazione "professionale": quando vengono diffuse le cifre
dell'inflazione mensile, se l'indice è più basso di quello del mese
precedente, la televisione ci informa regolarmente del fatto che
"diminuisce il costo della vita". E non è vero, come chiunque può
constatare, perché in realtà "diminuisce l'aumento". Dopo di che il
solerte cronista ci informa che, in seguito alla variazione dell'indice "la
città più cara" è Trieste, oppure Milano o un'altra. Notizia falsa,
perché a Trieste, a Milano o altrove si è solo verificato l'aumento più
significativo rispetto al mese precedente e in queste città il costo della vita
potrebbe essere più basso che in altre.
Dunque non è vero che, come afferma Tucci, solo la libera informazione on line è inattendibile, "senza il
minimo controllo". C'è buona e c'è cattiva informazione, on line e
off line, e non è la tessera che aiuta a distinguere l'una dall'altra.
Nella piattaforma per il rinnovo del contratto di lavoro dei giornalisti,
proposta dalla Federazione nazionale della stampa
(FNSI, il sindacato dei giornalisti), si legge:
Le Federazioni contraenti (la
FNSI e la Federazione degli editori, ndr), prendendo atto della oggettiva
complessità rappresentata dall’insieme delle innovazioni tecnologiche
collegate alla rivoluzione digitale ed alla espansione incontrollata delle reti,
consapevoli dell’impatto e dei rischi che da queste possono derivare sui
profili della qualità e della certa identificazione dei prodotti giornalistici
e di informazione, si impegnano a concordare entro un anno dall’entrata in
vigore del presente contratto, pur nel rispetto delle rispettive competenze e
responsabilità, metodi e strumenti finalizzati a garantire i lettori-utenti
circa la titolarità e l’origine-fonte dei prodotti informativi.
In particolare è istituita, entro un anno dall’entrata in vigore del presente
contratto, una commissione paritetica Fieg-Fnsi per l’attribuzione di un
"pressmark" ai nuovi media di carattere giornalistico, al fine di
distinguerli con chiarezza – a garanzia dell’utente – dalla generalità
delle iniziative presenti sul mercato e nel sistema delle telecomunicazioni.
Detta Commissione si occuperà anche di verificare periodicamente il rispetto
delle norme esistenti nelle realtà produttive. Prenderà inoltre in esame
problemi di interpretazione delle norme contrattuali che dovessero presentarsi a
causa di ulteriori e non prevedibili sviluppi dei mezzi tecnologici.
Dunque si propone di istituire un
"marchio di qualità" per l'informazione in rete. Ammesso e non
concesso che sia realizzabile senza intaccare la libertà della comunicazione,
potrebbe forse avere qualche utilità se:
a) fosse applicato anche all'informazione off-line, cioè ai giornali, alle
televisioni eccetera;
b) la valutazione fosse affidata a un organismo indipendente.
Invece le due corporazioni, quella dei giornalisti e quella degli editori,
pretendono di essere loro a decidere qual è l'informazione "buona" e
qual è quella "cattiva". E va da sé che per "buona"
intendono quella tesserata... E' immaginabile il "bollino" applicato a
un sito informativo che non sia fatto da giornalisti iscritti all'Ordine, con
una testata non iscritta nei registri della stampa?
L'Ordine e il sindacato dovrebbero
preoccuparsi prima di tutto della qualità dell'informazione prodotta dai loro
iscritti. Se il problema è quello dei "profili della qualità e della
certa identificazione dei prodotti giornalistici e di informazione", la
ragione non è nella "oggettiva complessità rappresentata dall’insieme
delle innovazioni tecnologiche collegate alla rivoluzione digitale ed alla
espansione incontrollata delle reti".
E' vero che l'informazione in rete che si presenta con tutte le carte in regola
per essere qualificata "testata giornalistica" ai sensi delle (vecchie
e inadeguate) leggi vigenti offre qualche garanzia in più, se non altro a
livello di responsabilità e di rispetto delle regole. Ma questo non significa
che l'informazione spontanea non possa essere ancora più seria e credibile:
alla lunga è il pubblico che decide e attribuisce il vero marchio di qualità
all'informazione che lo merita.
Si deve tener presente un fatto
importante: contestare o solo precisare una notizia inesatta, superficiale o
inutilmente sensazionalistica, pubblicata dai media tradizionali, è molto
difficile, spesso impossibile. Invece sull'internet chi dà informazioni false o
inesatte viene contestato e magari sbeffeggiato, proprio per la facilità di
accesso e di diffusione delle idee che è nella natura della Rete.
Basta questa constatazione per concludere che l'informazione spontanea può
essere migliore di quella cosiddetta professionale. Di conseguenza, le
corporazioni dei professionisti o cambiano la loro visione del mondo o possono
chiudere.
Per chi, come l'autore di queste
note, ha da ventisette anni in tasca la "tessera" (ma come giornalista
di serie B, il pubblicista, che per legge è un giornalista "a tempo
perso") può essere difficile ammettere che in fondo Pierluigi Celli ha
ragione. Ma è così: non si può "richiamare all'Ordine" la libera
informazione.
MCr
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