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Internet e stampa

Legge 62/01: due interventi significativi

12.04.01
Tra i molti messaggi giunti in questi giorni con osservazioni sulla nuova legge sull'editoria, abbiamo scelto questi due interventi, che sollevano problemi di notevole rilievo nel contesto del tema "Internet e stampa".
Sul prossimo numero cercheremo di rispondere con una serie di FAQ a tutti coloro che hanno inviato richieste di chiarimenti sull'applicazione della legge, avvertendo che lo stato della discussione non consente di esprimere interpretazioni sicuramente attendibili.

La titolarità delle imprese editoriali
di Marco Consonni

Sono avvocato e mi occupo di problemi di Internet e dintorni. Ho seguito con interesse il dibattito sulla L. 62/01 di riforma dell'editoria.
Ritengo che vi sia un altro tema di enorme rilevanza finora passato inosservato ed è quello relativo alla titolarità delle imprese editoriali.

Il tema è semplice:
a) la L. 62 parifica il prodotto editoriale informatico a quello cartaceo;
b) la stessa L. 62 modifica in alcuni punti la L. 416/81;
c) la L. 416 disciplina molto analiticamente il problema della titolarità delle imprese editrici, prevedendo chiari requisiti sull'assetto proprietario per le imprese editrici di "giornali quotidiani" (art. 1) e di riviste con periodicità superiore ai 12 numeri all'anno che hanno determinate dimensioni (art. 18).

Ora, se la L. 62 parifica il prodotto editoriale cartaceo a quello informatico, il prodotto d'informazione informatico aggiornato quotidianamente dovrebbe venire parificato al "giornale quotidiano" di cui all'art. 1 L. 416 (modificato dall'art. 2 L. 62) con tutte le conseguenze del caso circa gli assetti proprietari dell'impresa "editrice".

Se pensiamo alle società Internet d'informazione e al fatto che spesso sono partecipate da fondi d'investimento o sono partecipate da soggetti internazionali (spesso non comunitari) dobbiamo ammettere che quasi mai queste società hanno una struttura societaria "trasparente", così come richiesto dalla legge. Infatti, non avviene quasi mai che al secondo livello di partecipazioni si rinvenga il controllo di una persona fisica.
Che ne è allora di queste imprese? Si applica loro la sanzione della cancellazione dal registro degli operatori di comunicazione (quindi non possono più operare)?

Significa allora che le società di capitali che partecipano in società "ontologicamente" editrici (con prodotti editoriali informatici) devono sempre presentare una struttura sociale caratterizzata dal fatto che la partecipazione di controllo in dette società debba essere intestata a persone fisiche o a società direttamente controllate da persone fisiche?

La questione, ovviamente, ha effetti clamorosi circa lo sviluppo delle attività Internet nel settore dell'informazione.

Non esiste più la distinzione fra produttore e fruitore dell'informazione
di Marco Fioretti

La legge 62/2001 sull’editoria elettronica sta suscitando un vero vespaio, dovuto almeno in parte alla vaghezza del testo e al fatto che i suoi redattori sembrano essersi basati, più o meno inconsapevolmente, su svariate ipotesi di rado verificate nella realtà.
Si guardi per esempio come la legge, e chi ha cercato di interpretarla, tentano di spiegare chi sono i produttori di contenuto, e perché vanno soggetti alle leggi italiane anche se pubblicano su server situati all’estero. Per esempio, si è detto che è più rispondente alla realtà definire il "luogo" della pubblicazione di un sito Internet come quello dove il webmaster svolge fisicamente l'attività di produzione dei contenuti, piuttosto che il luogo nel quale si trova il server.

Per niente. Solo su carta i contenuti sono sempre statici, ovvero la vostra copia del Corriere è identica alla mia, perché devono essere prodotti una sola volta in un luogo ben definito. Quanto sopra vale solo per pagine Web statiche, cioè composte interamente da un umano e poi caricate su un server, e quindi è estremamente riduttivo.
Moltissimi siti usano programmi sul server che compongono la pagina in tempo reale al momento della richiesta, mettendo insieme brani e link scritti da altri chissà dove: spesso ogni navigatore vede una pagina diversa. In questi casi la produzione di contenuti mai uguali in italiano avviene in tempo reale sul server congolese. E quale legge vale?

Per gettare acqua sul fuoco, è stato anche detto che l'obbligo sussiste solo per i siti che fanno informazione periodica, o solo per quelli che chiedono i contributi.
A parte il fatto che conta soltanto ciò che la legge dice esplicitamente, almeno la prima distinzione l'avevamo capita benissimo, e continua a darci fastidio. Con la Rete non esiste più la distinzione fra produttore e fruitore dell'informazione, e l'informazione prodotta in casa può essere altrettanto di qualità quanto quella "professionale".

Io posso pubblicare ogni sera dopo cena, con periodicità perfetta e gratis, solo perché mi piace farlo, cento pagine di commenti/ link/saggi/ su qualsiasi argomento, dalla P2 alla storia dell'uncinetto a ciò che si è detto a Montecitorio.
Me lo garantisce la Costituzione, mica il primo Chiti che passa. Se poi dieci milioni di persone trovano i miei articoli più interessanti dei quotidiani, vuol dire che quei quotidiani devono cambiare redattori, mica che io devo essere schedato o iscrivermi a qualche casta.

Precisare che "sono interessati solo i siti che si aggiornano a scadenza fissa, cioè quelli professionali", non fa che aumentare la confusione: che vuol dire professionale? Per soldi, oppure "in maniera competente e responsabile"? Sono due cose ben diverse.
Altra rassicurazione udita in giro: "I siti che fanno preponderantemente altre cose, e aggiungono una parte minore di news come servizio aggiunto, sono esentati". Abbiamo già detto che i contenuti sono estremamente dinamici, quindi ciò che è preponderante ora potrebbe non esserlo tra cinque minuti..

Passando ad altro, non c’è dubbio che un effetto collaterale benefico di questa legge potrebbe essere la messa in regola e la tutela (ferie, malattie pagate, diritto di sciopero..) di quanti attualmente sono quasi costretti a fare informazione online in nero per qualche portale.
Concordo sul fatto che quando le cose si fanno non più per passione, ma per campare, occorre essere tutelati, anche se continuo a non vedere perché la soluzione dovrebbe essere quella legge vuole imporre. Se le cose sono fatte per volontariato o passione, nessuno stato deve impicciarsi, se si fanno per soldi, si potrebbe imporre la costituzione di cooperative in cui tutti i membri hanno diritto di voto e possono proteggersi da soli, senza lamentarsi o chiedere contributi a mamma.

D'altra parte, ciò che ha fatto gridare al liberticidio dal primo momento sono state proprio le dichiarazioni del segretario della Federazione Nazionale della Stampa, Paolo Serventi (il destino è nel nome?) Longhi.
Proprio quello che dovrebbe proteggere i futuri giornalisti dal lavoro in nero ha esultato perché (cito da Punto Informatico):
"Finisce così, almeno in Italia, l'assurda anarchia che consente a chiunque di fare informazione on line senza regole e senza controlli e garantisce al cittadino-utente di avere minimi standard di qualità di tutti i prodotti informativi, per la prima volta anche quelli comunque diffusi su supporto informatico"

Ancora? Il cittadino non è più solo utente, è proprio questo il punto. Ora, è ovvio che devo avere il coraggio delle mie opinioni, e che se calunnio qualcuno devo pagarla, in qualunque modo l'abbia fatto. Di fronte a certe uscite però, come faccio a non credere che quello vuole solo mettere il bavaglio (per conto terzi, ovviamente) a chiunque non gli giuri sottomissione? È proprio perchè, al di là della lettera della legge, abbiamo pochi dubbi su come si vorrebbe usarla che ci stiamo agitando tanto.
In conclusione, anche senza voler vedere complotti ad ogni angolo, questa legge sembra proprio non capire cosa Internet è veramente, cosa ci si può (e ci si dovrebbe) fare, e come si può farlo, lasciando via libera ad abusi da una parte e dall’altra.

 

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