Tra i molti messaggi giunti
in questi giorni con osservazioni sulla nuova legge sull'editoria, abbiamo
scelto questi due interventi, che sollevano problemi di notevole rilievo nel
contesto del tema "Internet e stampa".
Sul prossimo numero cercheremo di rispondere con una serie di FAQ a tutti coloro
che hanno inviato richieste di chiarimenti sull'applicazione della legge,
avvertendo che lo stato della discussione non consente di esprimere
interpretazioni sicuramente attendibili.
La titolarità delle imprese editoriali
di Marco Consonni
Sono avvocato e mi occupo di problemi di Internet e dintorni. Ho seguito con
interesse il dibattito sulla L. 62/01 di riforma dell'editoria.
Ritengo che vi sia un altro tema di enorme rilevanza finora passato inosservato
ed è quello relativo alla titolarità delle imprese editoriali.
Il tema è semplice:
a) la L. 62 parifica il prodotto editoriale informatico a quello cartaceo;
b) la stessa L. 62 modifica in alcuni punti la L. 416/81;
c) la L. 416 disciplina molto analiticamente il problema della titolarità delle
imprese editrici, prevedendo chiari requisiti sull'assetto proprietario per le
imprese editrici di "giornali quotidiani" (art. 1) e di riviste con
periodicità superiore ai 12 numeri all'anno che hanno determinate dimensioni
(art. 18).
Ora, se la L. 62 parifica il prodotto editoriale cartaceo a quello
informatico, il prodotto d'informazione informatico aggiornato quotidianamente
dovrebbe venire parificato al "giornale quotidiano" di cui all'art. 1
L. 416 (modificato dall'art. 2 L. 62) con tutte le conseguenze del caso circa
gli assetti proprietari dell'impresa "editrice".
Se pensiamo alle società Internet d'informazione e al fatto che spesso sono
partecipate da fondi d'investimento o sono partecipate da soggetti
internazionali (spesso non comunitari) dobbiamo ammettere che quasi mai queste
società hanno una struttura societaria "trasparente", così come
richiesto dalla legge. Infatti, non avviene quasi mai che al secondo livello di
partecipazioni si rinvenga il controllo di una persona fisica.
Che ne è allora di queste imprese? Si applica loro la sanzione della
cancellazione dal registro degli operatori di comunicazione (quindi non possono
più operare)?
Significa allora che le società di capitali che partecipano in società
"ontologicamente" editrici (con prodotti editoriali informatici)
devono sempre presentare una struttura sociale caratterizzata dal fatto che la
partecipazione di controllo in dette società debba essere intestata a persone
fisiche o a società direttamente controllate da persone fisiche?
La questione, ovviamente, ha effetti clamorosi circa lo sviluppo delle
attività Internet nel settore dell'informazione.
Non esiste più la distinzione fra produttore e
fruitore dell'informazione
di Marco Fioretti
La legge 62/2001 sull’editoria elettronica sta suscitando un vero vespaio,
dovuto almeno in parte alla vaghezza del testo e al fatto che i suoi redattori
sembrano essersi basati, più o meno inconsapevolmente, su svariate ipotesi di
rado verificate nella realtà.
Si guardi per esempio come la legge, e chi ha cercato di interpretarla, tentano
di spiegare chi sono i produttori di contenuto, e perché vanno soggetti alle
leggi italiane anche se pubblicano su server situati all’estero. Per esempio,
si è detto che è più rispondente alla realtà definire il "luogo"
della pubblicazione di un sito Internet come quello dove il webmaster svolge
fisicamente l'attività di produzione dei contenuti, piuttosto che il luogo nel
quale si trova il server.
Per niente. Solo su carta i contenuti sono sempre statici, ovvero la vostra
copia del Corriere è identica alla mia, perché devono essere prodotti una sola
volta in un luogo ben definito. Quanto sopra vale solo per pagine Web statiche,
cioè composte interamente da un umano e poi caricate su un server, e quindi è
estremamente riduttivo.
Moltissimi siti usano programmi sul server che compongono la pagina in tempo
reale al momento della richiesta, mettendo insieme brani e link scritti da altri
chissà dove: spesso ogni navigatore vede una pagina diversa. In questi casi la
produzione di contenuti mai uguali in italiano avviene in tempo reale sul server
congolese. E quale legge vale?
Per gettare acqua sul fuoco, è stato anche detto che l'obbligo sussiste solo
per i siti che fanno informazione periodica, o solo per quelli che chiedono i
contributi.
A parte il fatto che conta soltanto ciò che la legge dice esplicitamente,
almeno la prima distinzione l'avevamo capita benissimo, e continua a darci
fastidio. Con la Rete non esiste più la distinzione fra produttore e fruitore
dell'informazione, e l'informazione prodotta in casa può essere altrettanto di
qualità quanto quella "professionale".
Io posso pubblicare ogni sera dopo cena, con periodicità perfetta e gratis,
solo perché mi piace farlo, cento pagine di commenti/ link/saggi/ su qualsiasi
argomento, dalla P2 alla storia dell'uncinetto a ciò che si è detto a
Montecitorio.
Me lo garantisce la Costituzione, mica il primo Chiti che passa. Se poi dieci
milioni di persone trovano i miei articoli più interessanti dei quotidiani,
vuol dire che quei quotidiani devono cambiare redattori, mica che io devo essere
schedato o iscrivermi a qualche casta.
Precisare che "sono interessati solo i siti che si aggiornano a scadenza
fissa, cioè quelli professionali", non fa che aumentare la confusione: che
vuol dire professionale? Per soldi, oppure "in maniera competente e
responsabile"? Sono due cose ben diverse.
Altra rassicurazione udita in giro: "I siti che fanno preponderantemente
altre cose, e aggiungono una parte minore di news come servizio aggiunto, sono
esentati". Abbiamo già detto che i contenuti sono estremamente dinamici,
quindi ciò che è preponderante ora potrebbe non esserlo tra cinque minuti..
Passando ad altro, non c’è dubbio che un effetto collaterale benefico di
questa legge potrebbe essere la messa in regola e la tutela (ferie, malattie
pagate, diritto di sciopero..) di quanti attualmente sono quasi costretti a fare
informazione online in nero per qualche portale.
Concordo sul fatto che quando le cose si fanno non più per passione, ma per
campare, occorre essere tutelati, anche se continuo a non vedere perché la
soluzione dovrebbe essere quella legge vuole imporre. Se le cose sono fatte per
volontariato o passione, nessuno stato deve impicciarsi, se si fanno per soldi,
si potrebbe imporre la costituzione di cooperative in cui tutti i membri hanno
diritto di voto e possono proteggersi da soli, senza lamentarsi o chiedere
contributi a mamma.
D'altra parte, ciò che ha fatto gridare al liberticidio dal primo momento
sono state proprio le dichiarazioni del segretario della Federazione Nazionale
della Stampa, Paolo Serventi (il destino è nel nome?) Longhi.
Proprio quello che dovrebbe proteggere i futuri giornalisti dal lavoro in nero
ha esultato perché (cito da Punto Informatico):
"Finisce così, almeno in Italia, l'assurda anarchia che consente a
chiunque di fare informazione on line senza regole e senza controlli e
garantisce al cittadino-utente di avere minimi standard di qualità di tutti i
prodotti informativi, per la prima volta anche quelli comunque diffusi su
supporto informatico"
Ancora? Il cittadino non è più solo utente, è proprio questo il punto.
Ora, è ovvio che devo avere il coraggio delle mie opinioni, e che se calunnio
qualcuno devo pagarla, in qualunque modo l'abbia fatto. Di fronte a certe uscite
però, come faccio a non credere che quello vuole solo mettere il bavaglio (per
conto terzi, ovviamente) a chiunque non gli giuri sottomissione? È proprio
perchè, al di là della lettera della legge, abbiamo pochi dubbi su come si
vorrebbe usarla che ci stiamo agitando tanto.
In conclusione, anche senza voler vedere complotti ad ogni angolo, questa legge
sembra proprio non capire cosa Internet è veramente, cosa ci si può (e ci si
dovrebbe) fare, e come si può farlo, lasciando via libera ad abusi da una parte
e dall’altra.
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