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Internet e stampa

La Corte costituzionale ha risolto il problema nel ’71

14.06.01
Riceviamo dal presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia un'ampia risposta ai quesiti formulati nell’articolo Due domande a Franco Abruzzo, pubblicato il 23 maggio scorso. In corsivo i passaggi di InterLex ai quali fanno riterimento le risposte (n.d.r.)

(InterLex) ...Di fatto le nuove norme sono il frutto di una campagna che dura da più di un anno, che tende a mettere sotto il controllo della corporazione dei giornalisti tutta l'informazione on line (vedi I pugili suonati della carta stampata e gli altri articoli richiamati nella stessa pagina).

E’ sbagliato scrivere che è in corso una campagna, "che tende a mettere sotto il controllo della corporazione dei giornalisti tutta l'informazione on line". Nessuno comprende perché il mondo on-line voglia sottrarsi al rispetto delle regole approvate dal Parlamento repubblicano (legge sulla sulla stampa e legge sulla professione giornalistica). Regole, che vincolano anche i giornali politici e i giornali telematici dei partiti tenuti alla registrazione presso i tribunali (articolo 153 della legge n. 388/2000 o "legge finanziaria per il 2001).

(InterLex) ...ci sono diversi personaggi importanti, in prima linea il sottosegretario all'editoria, Vannino Chiti, e il direttore del servizio stampa della Presidenza del Consiglio (nonché commissario della SIAE), Mauro Masi. Le posizioni non sono concordanti: alcuni sostengono che le nuove norme si applicano solo ai periodici che intendono accedere alle agevolazioni fiscali, altri che le disposizioni riguardano solo l'informazione professionale. Quest'ultima interpretazione è dettata dal buon senso, ma non dal tenore letterale delle disposizioni, né dal contesto dell'ordinamento; la prima è contraddetta esplicitamente dal secondo periodo dell'art. 16 e dall'art. 5 della legge 47/48 (legge sulla stampa), richiamato dal terzo comma dell'art. 1. Le due disposizioni sono queste: "L'iscrizione è condizione per l'inizio delle pubblicazioni" (art. 16 della 62/01) e "Nessun giornale o altro periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi". (art. 5 della legge sulla stampa).

Facciamola finita. Il discorso di Chiti e del suo ideologo Masi nasconde una simpatica burla. Sono direttore del mensile dell’Ordine di Milano ("Tabloid", stampato in 21.500 esemplari; 10 numeri all’anno). Quando ho riattivato l’iscrizione della testata presso il Garante dell’editoria mi è stato chiesto un documento in bollo: il certificato di registrazione del mensile presso il tribunale di Milano. Così posso spedire il giornale per posta, pagando (l’Ordine, si intende) meno di £ 200 lire a copia (contro le mille lire "normali"). Voglio dire che tutti i giornali hanno bisogno di aiuti pubblici: spedizione postale, telefoni, crediti, mutui agevolati, etc.

(interLex) Il presidente dell'Ordine lombardo ritiene opportuno, e in sintonia con lo spirito dell'articolo 21 della Costituzione, sottoporre agli obblighi della legge del '48 "tutta" l'informazione sull'internet, anche quella più "amatoriale" e spontanea (con il risultato, fra l'altro, di intasare le cancellerie dei tribunali con decine di migliaia di richieste e il problema di reperire un numero altrettanto elevato di direttori responsabili iscritti all'Albo)?

Questa domanda nasconde un problema vecchio, che addirittura risale ai primissimi anni 70 e che è stato risolto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2/1971. Allora il pretore di Catania sollevò una questione molto delicata, che riguardava i giornali politici, che comunque devono avere (accanto a un direttore responsabile non giornalista ma iscritto provvisoriamente all’Albo) un vicedirettore responsabile pubblicista o professionista (articolo 47 della legge n. 69/63). La sentenza supera il problema dell’articolo 21 in maniera razionale anche a proposito dell’editore/proprietario della testata di cui lo stesso sia unico redattore e apre uno spiraglio sulla "stampa", senza registrazione, di numeri unici o di stampati singoli.

Si legge nella motivazione della interessante sentenza:

"1. - Ai sensi del terzo comma dell'art. 47 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 - nel testo quale risulta a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale pronunciata da questa Corte con sentenza n. 98 del 1968 (che riconosce i pubblicisti anche come direttori responsabili di quotidiani, ndr) -, la legittimità dell'affidamento della direzione di un giornale che sia organo di partiti o movimenti politici o di movimenti sindacali a persona non iscritta nell'albo dei giornalisti e l'iscrizione provvisoria del direttore nell'albo stesso vengono subordinate alla contemporanea nomina a vice direttore responsabile di un giornalista iscritto nell'elenco dei professionisti o dei pubblicisti.
Questa disposizione, come risulta dalla complessa motivazione dell'ordinanza di rimessione, viene denunziata dal pretore di Catania, in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione, non nella sua interezza, ma solo nella parte in cui essa si riferisce ad "una determinata categoria di periodici": più precisamente a quei periodici che il pretore definisce "a carattere ideologico" e che siano editi e diretti dalla stessa persona. Proprio in relazione a siffatta categoria verrebbero meno, ad avviso dei giudice a quo, quelle ragioni di giustificazione della legge che la Corte mise in luce nelle sentenze nn. 11 e 98 del 1968, sicché l'onere che la disposizione impugnata impone a chi voglia dar vita ad un periodico del tipo descritto si risolverebbe in una illegittima menomazione dei diritto di manifestare il proprio pensiero a mezzo della stampa (art. 21 Cost.) ed in una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): di quest'ultimo, si precisa, sotto il profilo della discriminazione, che a causa del peso economico di quell'onere si determinerebbe fra i soggetti, secondo che questi siano abbienti o non abbienti.

2. - Partendo dai principi enunciati dalla Corte nelle due precedenti decisioni - e che non vengono rimessi in discussione dall'attuale ordinanza, tutta motivata sulla peculiarità del particolare tipo di periodico in relazione al quale la questione viene proposta e delimitata - si deve escludere che la disposizione in esame comprometta la libertà riconosciuta e garantita dall'art. 21 della Costituzione.
Giova ricordare che nella sentenza n. 98 del 1968, in sede di valutazione della legittimità dell'obbligo di nominare il direttore ed il vice direttore responsabile dei comuni quotidiani e periodici fra gli iscritti nell'albo, la Corte affermò che la funzione dell'Ordine, già nella precedente decisione n. 11 riconosciuta positivamente apprezzabile proprio sul piano dell'art. 21 della Costituzione, sarebbe frustrata ove i poteri direttivi di un giornale potessero essere affidati ad un soggetto non iscritto in uno degli elenchi dei pubblicisti o dei professionisti. Ed è di particolare importanza che la questione, allora concernente l'art. 46 della legge, venne esaminata non solo con riferimento alla libertà del giornalista, ma anche sotto il diverso profilo della "libertà di chi voglia dar vita ad un giornale".
Le stesse ragioni non possono non valere per l'art. 47 della legge - che stabilisce un regime di favore per una particolare categoria di giornali - e, più specificamente, per il caso ora prospettato dal pretore di Catania.

Deve esser tenuto presente, anzitutto, che l'obbligo della registrazione e la preventiva nomina di un vice direttore responsabile riguardano esclusivamente i giornali quotidiani o periodici (L. 8 febbraio 1948, n. 47), sicché la legge non pone ostacolo alcuno a che il soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri unici. Ché se, invece, l'interessato voglia dar vita ad un vero e proprio periodico, non è dato di vedere perché questo, a causa di particolari caratteristiche, possa sottrarsi ad una disciplina che è stata riconosciuta costituzionalmente valida per ogni tipo di giornale. Essendo del tutto evidente che, ai fini che qui interessano, nessun rilievo possono avere il cosiddetto contenuto ideologico del periodico e la finalità "di denuncia e di critica" che il soggetto si propone di perseguire, tutto si riduce a vedere se quando editore e direttore di uno dei giornali considerati dall'art. 47 si identificano nella stessa persona vengano a mancare quelle giustificazioni costituzionali che la Corte individuò nella precedente occasione. Ma a siffatto quesito deve darsi risposta negativa sulla base della considerazione che l'esigenza della vigilanza dell'Ordine sussiste anche quando l'editore assuma la direzione del giornale e, trattandosi di periodico di partito o movimento politico o sindacale, acquisti perciò titolo all'iscrizione provvisoria nell'albo: essendo in questo caso la responsabilità sua limitata agli obblighi imposti dalle leggi civili e penali (art. 47, ultimo comma), occorre che egli sia affiancato da un giornalista che, iscritto nell'elenco dei professionisti o dei pubblicisti, risponda disciplinarmente "per eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e dei giornalisti che da lui dipendono" (sent. n. 98 del 1968). Peraltro la concentrazione nelle stesse mani del potere editoriale e del potere di direzione non vale ad escludere, certo, la necessità della vigilanza dell'Ordine, che non è predisposta, come mostra di ritenere il giudice a quo, a tutela della sola libertà dei singoli giornalisti, ma è strumento, sia pur mediato, di garanzia dell'interesse generale sottostante al diritto riconosciuto dall'art. 21 della Costituzione.

3. - La questione è infondata anche in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
Conformemente ai principi desumibili dai precedenti giurisprudenziali di questa Corte, le norme che per lo svolgimento di determinate attività impongano oneri (direttamente o, come nel caso in esame, indirettamente) patrimoniali e che, nella loro applicazione, inevitabilmente comportano un peso maggiore o minore secondo le capacità economiche dei singoli soggetti, sono costituzionalmente illegittime, ove incidano sull'esercizio di diritti costituzionalmente protetti, solo allorché esse non siano rivolte alla tutela di interessi rilevanti sui piano costituzionale (tale, ad es., era il caso della c.d. cautio pro expensis, dichiarata illegittima con sent. n. 67 del 1960). Ora, nella specie, le ragioni che giustificano la disposizione in riferimento all'art. 21 della Costituzione dimostrano che l'obbligo di nominare un vice direttore responsabile fra gli iscritti nell'albo - e la cui osservanza può, certo, comportare un aggravio di spese - è strumento di salvaguardia di un interesse generale a rilievo costituzionale: di tal che la legge, imponendolo a chiunque voglia dar vita ad un giornale, non può essere considerata fonte di discriminazioni non consentite dall'art. 3 della Costituzione.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull'"ordinamento della professione di giornalista", sollevata
dall'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione".

I principi affermati dalla sentenza valgono, credo, anche per la stampa on-line. La Corte spiega in maniera ineccepibile il ruolo del direttore e dei Consigli dell’Ordine. La Corte risponde anche sul tema attuale dell’"aggravio di spese". Un direttore responsabile è utile, perché lo stesso è tenuto a rispettare e a far rispettare le regole etiche della professione. Quando cadono queste regole, si scivola, come i fatti insegnano, nel campo delle violazioni penali.
L’Ordine, ente pubblico, ha la specifica competenza della tenuta dell’albo e dei giudizi disciplinari. Tali funzioni sono assegnate a tutela non degli interessi della categoria professionale ma della collettività nei confronti dei professionisti: questo principio è fissato nella sentenza n. 254/1999 del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (magistratura equiparata al Consiglio di Stato).

Molti sostengono, invece, che "gli Ordini hanno la finalità di tutelare (solo) gli interessi della categoria". Ma non è così. Secondo il Consiglio della Giustizia amministrativa della regione siciliana, gli Ordini devono tutelare gli interessi dei clienti dei professionisti. "Le specifiche competenze della tenuta dell’albo, dei giudizi disciplinari, della redazione e della proposta della tariffa professionale nonché della liquidazione dei compensi — scrive il Cgars – sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo giustifica l’obbligo dell’appartenenza all’Ordine, e non già per una tutela degli interessi della categoria professionale che farebbe degli Ordini un’abnorme figura d’associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa di interessi privati settoriali". Un concetto, questo, che prefigura un ruolo moderno degli Ordini non più intesi come corporazione ma come enti che concorrono ad attuare valori e finalità propri della Costituzione repubblicana

(InterLex) Il sistema attuale è diretto a regolare l'informazione tradizionale, unidirezionale, "da uno a molti", ma ora siamo nell''era della comunicazione, interattiva, "molti a molti"; si sono aperti spazi prima inimmaginabili per la libertà di espressione. Non crede che il nuovo assetto dell'informazione, con l'avvento del web, richieda una profonda modifica delle norme che fino a oggi hanno regolato la stampa, la radio e la televisione?

Le riforme sono sempre auspicabili, ma resta un nodo di fondo: la responsabilità di chi "diffonde informazioni presso il pubblico". La democrazia non è anarchia.

 

 

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