Riceviamo dal
presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia un'ampia risposta ai
quesiti formulati nell’articolo Due domande a Franco
Abruzzo, pubblicato il 23 maggio scorso. In corsivo i passaggi di InterLex
ai quali fanno riterimento le risposte (n.d.r.)
(InterLex) ...Di fatto le nuove norme sono il frutto di
una campagna che dura da più di un anno, che tende a mettere sotto il controllo
della corporazione dei giornalisti tutta l'informazione on line (vedi I pugili
suonati della carta stampata e gli altri articoli richiamati nella stessa
pagina).
E’ sbagliato scrivere che è in corso una campagna,
"che tende a mettere sotto il controllo della corporazione dei giornalisti
tutta l'informazione on line". Nessuno comprende perché il mondo on-line
voglia sottrarsi al rispetto delle regole approvate dal Parlamento repubblicano
(legge sulla sulla stampa e legge sulla professione giornalistica). Regole, che
vincolano anche i giornali politici e i giornali telematici dei partiti tenuti
alla registrazione presso i tribunali (articolo 153 della legge n. 388/2000 o
"legge finanziaria per il 2001).
(InterLex) ...ci sono diversi personaggi importanti, in
prima linea il sottosegretario all'editoria, Vannino Chiti, e il direttore del
servizio stampa della Presidenza del Consiglio (nonché commissario della SIAE),
Mauro Masi. Le posizioni non sono concordanti: alcuni sostengono che le nuove
norme si applicano solo ai periodici che intendono accedere alle agevolazioni
fiscali, altri che le disposizioni riguardano solo l'informazione professionale.
Quest'ultima interpretazione è dettata dal buon senso, ma non dal tenore
letterale delle disposizioni, né dal contesto dell'ordinamento; la prima è
contraddetta esplicitamente dal secondo periodo dell'art. 16 e dall'art. 5 della
legge 47/48 (legge sulla stampa), richiamato dal terzo comma dell'art. 1. Le due
disposizioni sono queste: "L'iscrizione è condizione per l'inizio delle
pubblicazioni" (art. 16 della 62/01) e "Nessun giornale o altro
periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la
cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve
effettuarsi". (art. 5 della legge sulla stampa).
Facciamola finita. Il discorso di Chiti e del suo ideologo
Masi nasconde una simpatica burla. Sono direttore del mensile dell’Ordine di
Milano ("Tabloid", stampato in 21.500 esemplari; 10 numeri all’anno).
Quando ho riattivato l’iscrizione della testata presso il Garante dell’editoria
mi è stato chiesto un documento in bollo: il certificato di registrazione del
mensile presso il tribunale di Milano. Così posso spedire il giornale per
posta, pagando (l’Ordine, si intende) meno di £ 200 lire a copia (contro le
mille lire "normali"). Voglio dire che tutti i giornali hanno bisogno
di aiuti pubblici: spedizione postale, telefoni, crediti, mutui agevolati, etc.
(interLex) Il presidente dell'Ordine lombardo ritiene
opportuno, e in sintonia con lo spirito dell'articolo 21 della Costituzione,
sottoporre agli obblighi della legge del '48 "tutta" l'informazione
sull'internet, anche quella più "amatoriale" e spontanea (con il
risultato, fra l'altro, di intasare le cancellerie dei tribunali con decine di
migliaia di richieste e il problema di reperire un numero altrettanto elevato di
direttori responsabili iscritti all'Albo)?
Questa domanda nasconde un problema vecchio, che
addirittura risale ai primissimi anni 70 e che è stato risolto dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 2/1971. Allora il pretore di Catania sollevò
una questione molto delicata, che riguardava i giornali politici, che comunque
devono avere (accanto a un direttore responsabile non giornalista ma iscritto
provvisoriamente all’Albo) un vicedirettore responsabile pubblicista o
professionista (articolo 47 della legge n. 69/63). La sentenza supera il
problema dell’articolo 21 in maniera razionale anche a proposito dell’editore/proprietario
della testata di cui lo stesso sia unico redattore e apre uno spiraglio sulla
"stampa", senza registrazione, di numeri unici o di stampati singoli.
Si legge nella motivazione della interessante sentenza:
"1. -
Ai sensi del terzo comma dell'art. 47 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 - nel
testo quale risulta a seguito della dichiarazione di parziale illegittimità
costituzionale pronunciata da questa Corte con sentenza n. 98 del 1968 (che
riconosce i pubblicisti anche come direttori responsabili di quotidiani, ndr) -,
la legittimità dell'affidamento della direzione di un giornale che sia organo
di partiti o movimenti politici o di movimenti sindacali a persona non iscritta
nell'albo dei giornalisti e l'iscrizione provvisoria del direttore nell'albo
stesso vengono subordinate alla contemporanea nomina a vice direttore
responsabile di un giornalista iscritto nell'elenco dei professionisti o dei
pubblicisti.
Questa disposizione, come risulta dalla complessa motivazione dell'ordinanza di
rimessione, viene denunziata dal pretore di Catania, in riferimento agli artt. 3
e 21 della Costituzione, non nella sua interezza, ma solo nella parte in cui
essa si riferisce ad "una determinata categoria di periodici": più
precisamente a quei periodici che il pretore definisce "a carattere
ideologico" e che siano editi e diretti dalla stessa persona. Proprio in
relazione a siffatta categoria verrebbero meno, ad avviso dei giudice a quo,
quelle ragioni di giustificazione della legge che la Corte mise in luce nelle
sentenze nn. 11 e 98 del 1968, sicché l'onere che la disposizione impugnata
impone a chi voglia dar vita ad un periodico del tipo descritto si risolverebbe
in una illegittima menomazione dei diritto di manifestare il proprio pensiero a
mezzo della stampa (art. 21 Cost.) ed in una violazione del principio di
eguaglianza (art. 3 Cost.): di quest'ultimo, si precisa, sotto il profilo della
discriminazione, che a causa del peso economico di quell'onere si determinerebbe
fra i soggetti, secondo che questi siano abbienti o non abbienti.
2. - Partendo dai principi enunciati dalla Corte nelle due precedenti decisioni
- e che non vengono rimessi in discussione dall'attuale ordinanza, tutta
motivata sulla peculiarità del particolare tipo di periodico in relazione al
quale la questione viene proposta e delimitata - si deve escludere che la
disposizione in esame comprometta la libertà riconosciuta e garantita dall'art.
21 della Costituzione.
Giova ricordare che nella sentenza n. 98 del 1968, in sede di valutazione della
legittimità dell'obbligo di nominare il direttore ed il vice direttore
responsabile dei comuni quotidiani e periodici fra gli iscritti nell'albo, la
Corte affermò che la funzione dell'Ordine, già nella precedente decisione n.
11 riconosciuta positivamente apprezzabile proprio sul piano dell'art. 21 della
Costituzione, sarebbe frustrata ove i poteri direttivi di un giornale potessero
essere affidati ad un soggetto non iscritto in uno degli elenchi dei pubblicisti
o dei professionisti. Ed è di particolare importanza che la questione,
allora concernente l'art. 46 della legge, venne esaminata non solo con
riferimento alla libertà del giornalista, ma anche sotto il diverso profilo
della "libertà di chi voglia dar vita ad un giornale".
Le stesse ragioni non possono non valere per l'art. 47 della legge - che
stabilisce un regime di favore per una particolare categoria di giornali - e,
più specificamente, per il caso ora prospettato dal pretore di Catania.
Deve esser tenuto presente, anzitutto, che l'obbligo della registrazione e la
preventiva nomina di un vice direttore responsabile riguardano esclusivamente i
giornali quotidiani o periodici (L. 8 febbraio 1948, n. 47), sicché la legge
non pone ostacolo alcuno a che il soggetto manifesti il proprio pensiero con
singoli stampati o con numeri unici. Ché se, invece, l'interessato
voglia dar vita ad un vero e proprio periodico, non è dato di vedere perché
questo, a causa di particolari caratteristiche, possa sottrarsi ad una
disciplina che è stata riconosciuta costituzionalmente valida per ogni tipo di
giornale. Essendo del tutto evidente che, ai fini che qui interessano,
nessun rilievo possono avere il cosiddetto contenuto ideologico del periodico e
la finalità "di denuncia e di critica" che il soggetto si propone di
perseguire, tutto si riduce a vedere se quando editore e direttore di uno dei
giornali considerati dall'art. 47 si identificano nella stessa persona vengano a
mancare quelle giustificazioni costituzionali che la Corte individuò nella
precedente occasione. Ma a siffatto quesito deve darsi risposta negativa
sulla base della considerazione che l'esigenza della vigilanza dell'Ordine
sussiste anche quando l'editore assuma la direzione del giornale e,
trattandosi di periodico di partito o movimento politico o sindacale, acquisti
perciò titolo all'iscrizione provvisoria nell'albo: essendo in questo caso la
responsabilità sua limitata agli obblighi imposti dalle leggi civili e penali
(art. 47, ultimo comma), occorre che egli sia affiancato da un giornalista che,
iscritto nell'elenco dei professionisti o dei pubblicisti, risponda
disciplinarmente "per eventuali comportamenti lesivi della dignità sua e
dei giornalisti che da lui dipendono" (sent. n. 98 del 1968). Peraltro
la concentrazione nelle stesse mani del potere editoriale e del potere di
direzione non vale ad escludere, certo, la necessità della vigilanza
dell'Ordine, che non è predisposta, come mostra di ritenere il giudice a quo, a
tutela della sola libertà dei singoli giornalisti, ma è strumento, sia pur
mediato, di garanzia dell'interesse generale sottostante al diritto riconosciuto
dall'art. 21 della Costituzione.
3. - La questione è infondata anche in riferimento all'art. 3 della
Costituzione.
Conformemente ai principi desumibili dai precedenti giurisprudenziali di questa
Corte, le norme che per lo svolgimento di determinate attività impongano oneri
(direttamente o, come nel caso in esame, indirettamente) patrimoniali e che,
nella loro applicazione, inevitabilmente comportano un peso maggiore o minore
secondo le capacità economiche dei singoli soggetti, sono costituzionalmente
illegittime, ove incidano sull'esercizio di diritti costituzionalmente protetti,
solo allorché esse non siano rivolte alla tutela di interessi rilevanti sui
piano costituzionale (tale, ad es., era il caso della c.d. cautio pro expensis,
dichiarata illegittima con sent. n. 67 del 1960). Ora, nella specie, le
ragioni che giustificano la disposizione in riferimento all'art. 21 della
Costituzione dimostrano che l'obbligo di nominare un vice direttore responsabile
fra gli iscritti nell'albo - e la cui osservanza può, certo, comportare un
aggravio di spese - è strumento di salvaguardia di un interesse generale a
rilievo costituzionale: di tal che la legge, imponendolo a chiunque voglia dar
vita ad un giornale, non può essere considerata fonte di discriminazioni non
consentite dall'art. 3 della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47,
terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull'"ordinamento della
professione di giornalista", sollevata
dall'ordinanza indicata in epigrafe in riferimento agli artt. 3 e 21 della
Costituzione". |
I principi affermati dalla sentenza valgono, credo, anche
per la stampa on-line. La Corte spiega in maniera ineccepibile il ruolo del
direttore e dei Consigli dell’Ordine. La Corte risponde anche sul tema attuale
dell’"aggravio di spese". Un direttore responsabile è utile,
perché lo stesso è tenuto a rispettare e a far rispettare le regole etiche
della professione. Quando cadono queste regole, si scivola, come i fatti
insegnano, nel campo delle violazioni penali.
L’Ordine, ente pubblico, ha la specifica competenza della tenuta dell’albo e
dei giudizi disciplinari. Tali funzioni sono assegnate a tutela non degli
interessi della categoria professionale ma della collettività nei confronti dei
professionisti: questo principio è fissato nella sentenza n. 254/1999 del
Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (magistratura
equiparata al Consiglio di Stato).
Molti sostengono, invece, che "gli Ordini hanno la
finalità di tutelare (solo) gli interessi della categoria". Ma non è
così. Secondo il Consiglio della Giustizia amministrativa della regione
siciliana, gli Ordini devono tutelare gli interessi dei clienti dei
professionisti. "Le specifiche competenze della tenuta dell’albo, dei
giudizi disciplinari, della redazione e della proposta della tariffa
professionale nonché della liquidazione dei compensi — scrive il Cgars –
sono assegnate dalla legge agli Ordini essenzialmente per la tutela della
collettività nei confronti degli esercenti la professione, la quale solo
giustifica l’obbligo dell’appartenenza all’Ordine, e non già per una
tutela degli interessi della categoria professionale che farebbe degli Ordini un’abnorme
figura d’associazione obbligatoria, munita di potestà pubblica, per la difesa
di interessi privati settoriali". Un concetto, questo, che prefigura un
ruolo moderno degli Ordini non più intesi come corporazione ma come enti che
concorrono ad attuare valori e finalità propri della Costituzione repubblicana
(InterLex) Il sistema attuale è diretto a regolare
l'informazione tradizionale, unidirezionale, "da uno a molti", ma ora
siamo nell''era della comunicazione, interattiva, "molti a molti"; si
sono aperti spazi prima inimmaginabili per la libertà di espressione. Non crede
che il nuovo assetto dell'informazione, con l'avvento del web, richieda una
profonda modifica delle norme che fino a oggi hanno regolato la stampa, la radio
e la televisione?
Le riforme sono sempre auspicabili, ma resta un nodo di
fondo: la responsabilità di chi "diffonde informazioni presso il
pubblico". La democrazia non è anarchia.
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