Nota. Le
questioni sollevate dalla legge 62/01 hanno destato un notevole interesse anche
all’estero. Forti critiche vengono sollevate non solo sulle disposizioni che
assimilano i siti internet all’editoria tradizionale, ma soprattutto sulla
normativa italiana in materia di stampa, che non ha paragoni nei paesi
democratici per le limitazioni che impone all’attività editoriale e alla
professione giornalistica.
Il testo che segue è un messaggio di Giuseppe Attardi alla lista della Società
Internet e riporta messaggi apparsi su altre liste.
Tra i messaggi che allego, qualche americano tira in ballo il First Amendment,
e le labili giustificazioni dei politici o dei giornalisti nostrani non
scalfiscono le sue ragioni.
Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise
thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to
assemble, and
to petition the government for a redress of grievances.
(Il Parlamento NON PUÒ fare leggi che
"diminuiscano" (abridge) la libertà di parola e di stampa. Non
c'è dubbio che la nuova legge sull'editoria diminuisca la nostra libertà di
espressione, assoggettandoci ad adempimenti, iscrizioni, sottoponendoci ad esami
(ammissione all'albo dei giornalisti).
Ripeto, la libertà di TUTTI coloro che pubblicano sul
Web: i sottili distinguo che qualcuno mette in campo non reggono a una disamina
approfondita.
Voglio anch'io il First Amendment, che è più di
ciò che assicura l'Art. 21 della nostra Costituzione:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere
soggetta ad autorizzazioni o censure.
Gli americani sorvegliano attivamente la libertà di
espressione su Internet. Ecco un esempio:
The Internet Free Expression Alliance
(http://www.ifea.net) works to
* Ensure the continuation of the Internet as a forum for
open, diverse, and unimpeded expression.
* Promote openness and encourage informed public debate and discussion of
proposals to rate and/pr filter online content.
* Identify new threats to free expression and First Amendment values on the
Internet.
* Oppose any governmental effort to promote, coerce, or mandate the rating or
filtering of online content.
* Protect the free speech and expression rights of both the speaker and the
audience in the interactive online environment.
* Ensure that Internet speakers are able to reach the broadest possible
interested audience and that Internet listeners are able to access all material
of interest to them.
E’ veramente sconcertante che la sinistra non abbia
capito che Internet, con la cultura dello scambio e della condivisione che ha
finora espresso, è uno dei fenomeni che più si avvicina agli ideali di
libertà e di socialismo che abbia mai raggiunto una scala così vasta nella
storia dell'umanità.
Invece di difenderne la libertà e promuoverne lo sviluppo
e la diffusione, la sinistra negli ultimi anni si è distinta invece nel
difendere lobby e corporazioni (operatori telefonici, editori, albi
professionali).
Internet consente a tutti di essere contemporaneamente
produttori e consumatori di cultura, informazione, idee, opinioni,
intrattenimento, ecc.
Chiaramente questo può dare fastidio solo alle grandi
aziende che si fondano su sistemi di diffusione centralizzata (TV, stampa, case
discografiche) ad alto costo di gestione e che pertanto devono lucrare sulle
vendite e sui diritti d'autore (altrui) per mantenersi.
La discriminante è decisamente politica:
- o si sta dalla parte dei media centralizzati
tradizionali (con il loro bagaglio di discriminazioni, censure, legami
politici), che si fondano sul lucro e sulla vendita di prodotti - o si sta dalla
parte del popolo della rete, che si fonda sulla condivisione e lo scambio, e se
ne difende a tutti i costi la libertà (se volete, vi spiego come garantire agli
autori adeguata ricompensa).
Circa 7 anni fa ho deciso di impegnarmi nella seconda
direzione, temendo che la cultura di Internet venisse subissata da interessi
economici e politici, quando le grandi lobby dei media avevano cominciato ad
investire massiciamente sul video-on-demand, creando reti proprietarie complesse
e costose, e rischiando di soffocare la Internet nascente.
Quel tentativo è stato sconfitto dal travolgente sviluppo
democratico di una "Internet per tutti" (motto di ISOC). Non dobbiamo
stare in silenzio adesso di fronte a questi rigurgiti dirigistici e
centralistici.
Per quanto i politici cerchino di ammannircela come una
iniziativa "ragionevole" e "nel nostro interesse", c'è una
semplice domanda a cui i difensori della nuova legge dovrebbero rispondere:
"Qual è il problema che dovrebbe risolvere?"
Non mi pare che le disposizioni sulla stampa abbiano
eliminato le querele contro i giornalisti.
Tutto il resto è fumo: i siti Internet sono già
automaticamente registrati nel DNS (basta fare un whois e si ottiene nome,
cognome e indirizzo del responsabile), la data la fornisce HTTP ad ogni get.
Quanto agli utenti di Internet, non hanno proprio bisogno
di tutela: sanno scegliere e decidere autonomamente le proprie fonti, che
fortunatamente sono le più ampie e disparate. Internet è uno straordinario
equalizzatore (lo ripete sempre J. Chambers, CEO di Cisco), poiché mette tutti
sullo stesso piano e dà a tutti pari opportunità: i programmatori indiani, i
designer sudafricani, i matematici polacchi, ecc. hanno modo di far conoscere ed
apprezzare la loro opera in tutto il mondo.
Io trovo spesso materiale più interessante e utile in
siti semisconociuti che in quelli di aziende blasonate. Pertanto l'autorevolezza
si conquista sul campo, democraticamente, sulla base del merito effettivo, e non
con campagne pubblicitarie o massici investimenti economici (Yahoo vs Jumpy).
Gli utenti di Internet stanno solo adesso cominciando a
sviluppare gli strumenti per la prossima rivoluzione: il Peer-to-peer, le
Customer Empowered Networks. Strumenti come i WebLog consentono a comunità di
persone di scambiarsi opinioni e notizie in diretta e con la facilità del Web.
Freenet, Gnutella e simili creeranno un universo di materiale comune e
accessibile a tutti, un enorme spazio disco planetario.
Con le nuove tecnologie WDWM, ciascuno potrà crearsi le proprie reti autonome
dagli operatori.
Stimolare la partecipazione dei peer o dei customer (cioè
di tutti noi) dovrebbe essere l'obiettivo e il compito di una politica
lungimirante.
P.S.
Gli sciocchi o ingenui politici sinistresi che sostengono che la nuova legge non
cambia nulla, come si spiegano le trionfali dichiarazioni di Serventi Longhi,
Abruzzo e altri giornalisti?
In ogni caso, non vorrei ritrovarmi, in un futuro non
lontano in cui un potente editore controlla il governo, la TV di stato, gran
parte della TV privata, un quota della stampa ai limiti di quanto concesso
dall'attuale legislazione, ha partecipazioni nelle grandi aziende di
telecomunicazione, di pubblicità, di finanza, a dover discutere in tribunale,
sotto l'accusa di stampa clandestina, sull'interpretazione di questa legge e
sulle "intenzioni", buone o cattive, del legislatore (cambiato nel
frattempo).
Conosco bene gli effetti della legge sulla stampa, da
quando nel '68 ero direttore di un giornale scolastico e avemmo difficoltà a
trovare un sostituto al giornalista che figurava come direttore responsabile,
nel momento in cui il giornale cominciò a trattare argomenti scomodi
(figuriamoci, la riforma Gui della scuola). E non dimentico la telefonata
minatoria da parte di funzionario della politica, il giorno prima che il
giornale uscisse con un numero speciale dedicato alle manifestazioni
studentesche in tutto il mondo.
Non sono queste subdole (o palesi) restrizioni alla
libertà di stampa?
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