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Internet e stampa

Il giornalismo nell'era delle reti digitali

di Sergio Dall'Omo* - 27.05.96

Il 1994 passerà alla storia come l'anno di inizio dell'era delle reti digitali. Infatti due anni fa cominciò il boom di Internet, la rete mondiale di reti che non sta solo cambiando il nostro modo di comunicare, ma sta modificando lo stesso modo di essere della società, dal cittadino alla grande impresa. Ma come sta avvenendo il cambiamento? Dove stiamo andando?
È inutile cercare qualche risposta in Italia, settimo paese piu industrializzato del mondo, perché una classe politica miope e ottusa, pur nei cambiamenti delle etichette, continua a tenerci tagliati fuori dal "grande gioco", dalle grandi decisioni. Ed ora, anche se alle ultime sessioni del G7 si sono trattati questi temi, presenti nostri ministri, top manager della nostra grande industria, siamo in una situazione strutturale e infrastrutturale disastrosa, con l'eterno convitato di pietra, la Telecom Italia, che tira imprevedibili colpi di - nell'attesa della cessazione del suo monopolio nel 1998 - e sta bloccando lo sviluppo dell'intero settore delle telecomunicazioni in Italia.
In ogni caso, le grandi decisioni sulle telecomunicazioni del pianeta fanno capo alle grandi multinazionali e alla Casa Bianca. Infatti sono stati proprio il presidente Clinton e il suo vice Al Gore coloro che hanno dato l'avvio al programma delle "autostrade informatiche" e alla deregulation nel settore delle telecomunicazioni.

È opportuno quindi andare a vedere cosa sta bollendo in pentola in queste settimane, in questi mesi, anche perché ciò che sta accadendo adesso ci puo aiutare a capire meglio e a dare un senso compiuto e una direttrice concreta al discorso specifico che ci interessa.
L'anno scorso è uscito il libro "Being digital", (essere digitali) di Nicolas Negroponte, direttore del Media Lab del Massachussetts Institute of Technology, da 15 anni all'avanguardia nella ricerca sulle medialità. Nel suo volume Negroponte preconizza la migrazione nel formato digitale di tutto quanto, dal testo alla fotografia, dalla musica al video, dal telefono ai dati, circola oggi in forma analogica. Non solo. Egli parla di una migrazione di quanto circola via etere al cavo e viceversa. La visione di Negroponte ipotizza l'avvento di una societa virtuale planetaria caratterizzata da due fattori: l'interazione e l'ipermedialità.
Lou Gerstner, l'anno scorso, allorché è stato eletto presidente dell'IBM, ha disegnato la rotta del colosso americano: la sua parola d'ordine e stata "networkcentric computing", una filosofia di rete basata su grossi elaboratori centralizzati che fanno da fulcro a reti di piccoli computer.
Bill Gates, il trentanovenne plurimiliardario proprietario della Microsoft, l'altro colosso americano del software ha dichiarato di puntare al multimediale in rete, con fusione di televisione e accattivanti fantasmagorie digitali.
La Oracle, il numero uno al mondo del software per banche dati, ha impresso una svolta ai suoi programmi mettendosi a produrre l'elettrodomestico del futuro, il "network computer", un piccolo computer di rete da 500 dollari (idea subito ripresa da Olivetti ed Apple che hanno proprio in questi giorni annunciato una loro versione). Si tratta, in pratica, di una minuscola consolle (del tipo Nintendo, Sega o Sony usate per i videogiochi) che gestisce video, audio, telefono, con modalità informatico-multimediali e telematiche semplicissime da usare, secondo la filosofia del "plug `n play", attacca la spina e vai. In questo modo, spendendo una cifra modestissima e superando la tecnofobia dei cosiddetti "analfabeti tecnologici", con lo stesso marchingegno si potra vedere la tv, usare la segreteria telefonica, ricevere e spedire i fax, collegarsi a Internet e alle Intranet, le reti locali, fare videogiochi, multimedialità, ecc. Entro l'anno saremo sommersi da macchinette di questo tipo.
Il quarto grande protagonista di questa corsa, la Sun Microsystems, ha messo a punto un nuovo linguaggio piattaforma-indipendente, detto Java, che consente di sfruttare appieno tanto le risorse fornite da Internet e Intranet che la potenza di calcolo dell'elaboratore dell'utente, aprendo scenari affascinanti e illimitati nel campo dell'informazione distribuita e della multimedialita interattiva.

Sullo sfondo di questo scenario, vediamo il frenetico susseguirsi di accordi sugli standard per nuove tecnologie di telecomunicazione, dalla fibra ottica con protocolli a larghissima banda ai satelliti, alle reti a larga banda via etere e cosi via. Parrebbe fantascienza, parrebbe che stessimo parlando di cose di là da venire e invece è quello che sta succedendo proprio in questo momento storico. Tant'e che proprio a Padova, domenica prossima, nell'ambito della manifestazione Voltapagina organizzata dal Comune verrà presentato dal consorzio europeo Eutelsat un sistema di collegamento Internet via satellite, capace di trasmettere 12 megabyte di dati al secondo, pari cioè a 400 pagine di testo. Il tutto è previsto funzionante entro febbraio dell'anno prossimo.

Una cosa è certa, con l'avvento di Internet tutti hanno potuto vedere cosa è possibile fare sul fronte della comunicazione. E quella di Internet è comunicazione globale interattiva in tempo reale.

Problemi? Quanti se ne vuole.

Internet è costosa, è lenta, non è sicura. Reca in se i germi della propria morte: per quante tecnologie si usino, la banda di comunicazione a disposizione sarà sempre troppo stretta. La sua anarchia fa troppa paura ed è difficile farci circolare denaro. Sul fronte dell'economico-sociale sta avvenendo quello che è successo per la televisione e la pubblicità: Internet e diventata un mercato in cui ad essere messi in vendita sono gli stessi utilizzatori della rete, non i dati o i servizi.
Dice John Battelle, direttore editoriale di Wired, la principale rivista americana di tendenza sulle nuove tecnologie e nuove medialità, "All'inizio molti dei grandi utopisti della Rete pensavano che sarebbe stata una specie di enorme mezzo di comunicazione anarchico, utopistico, portatore di felicità, dove non sarebbero esistite regole e tutto sarebbe stato accessibile a tutti. È una gran bella cosa pensarci, ma alla lunga non può funzionare."
Tant'è che stanno nascendo le Intranet, piccole ed efficienti reti locali chiuse, supersicure e controllate, nelle quali puo circolare denaro, informazioni proprietarie, video on demand a pagamento.
Ma dove mirano queste tecnologie e filosofie che animano la Rete, o meglio, quello che William Gibson ha battezzato il Cyberspazio?

Sono in atto due tendenze contrastanti, una visionaria ma stracciona che mira ad un'utopia culturale e sociale nel senso della democrazia totale, un'altra, ricca e agguerrita, definita in America "del post- capitalismo darwiniano" che mira ad impossessarsi attraverso il ricatto tecnologico dell'intera società. Non era Carlo Marx che diceva che ogni innovazione tecnologica scatena una guerra di forze contrastanti per il predominio economico e il raggiungimento del potere?
Io sono convinto che sara una lotta dura ma poiche il teatro dello scontro e la civiltà liberal-fascista occidentale che è basata sulle leggi di mercato e di profitto, e che è priva di scrupoli sociali, non ho dubbi su chi sarà il vincitore.
In questa visione che a qualcuno parrà pessimistica ma che viceversa in Rete è ampiamente condivisa, alla fine arriveremo non ad una cultura cablata di tipo partecipativo bensi a una forma virtuale di societa verticale, con i detentori della tecnologia, dei cavi e dei dati nel ruolo di dominatori, e in cui il semplice cittadino diventa fattore virtuale che manifesta opinioni virtuali ed intesse rapporti sociali virtuali. A grande scala il Cyberspazio puo dunque diventare una massa di corpi ipertestualizzati che produce dati spazzatura economicamente improduttivi, culturalmente irrilevanti e socialmente indifferenti. Nascita di sub-culture e di effimero in tempo reale, quindi.

È dunque in un altalenare tra l'armonia di una atene iperuranica, la panarchia egocentrica e asociale di Miguel de Unamuno, dove ognuno è re del proprio regno-ego, e un inferno virtuale omologato, lo spirito profondo dell'era delle reti? Difficile dire.
Il potere della Rete è saldamente in mano dei "padroni del cavo e del satellite", cioè l'industria delle telecomunicazioni. Il mito che ha immediatamente accompagnato Internet, l'aura utopistica che la connota sin dalla sua nascita sono segnali chiari: se portata al limite, la medialità della Rete può anche tradursi in una forma-merce ricombinante in cui l'immaginazione utopistica della cultura contemporanea produce informazione morta, gusci indifferenti, senza alcun significato. Anzi, il significato potrebbe divenire contraddizione antagonistica del dato presente nella Rete. E non si avrebbe più informazione, in quanto l'informazione è proprio funzione significante del dato.
Peraltro, la Rete globale e un techno-topos ammaliatore, luogo dove tutte le informazioni sono rese disponibili a chiunque e in qualunque momento, luogo dove è possibile trovare convergenze tematiche di interesse culturale, sociale o politico. Ma e anche luogo di agguato culturale, massificante e omologante, e per reazione, patria della sub-cultura.

La morale che possiamo trarre sin d'ora è che è apparso un nuovo formidabile strumento di potere. Che forse c'è davvero un "Grande Fratello" che lo pilota. E che è in atto una guerra senza esclusione di colpi per dominarlo e controllarlo. Bisogna tener ben presente che è questo lo sfondo alla nostra discussione di oggi.

Venendo al nostro specifico relativo, è da dire che Internet e tutte le nuove medialita telematiche e multimediali pongono un ventaglio di scenari che vedono direttamente e significativamente coinvolti i giornalisti per le possibili conseguenze - in positivo e in negativo - su livelli di professionalità, metodi di lavoro e occupazione. Ma non solo. Si aprono prospettive per l'introduzione di nuove figure professionali. Pure si configurano anche molte incognite.
Nulla di ciò di cui sto per dire compare nel contratto di lavoro giornalistico; poco o nulla è contemplato dalle normative sul diritto d'autore. Eppure quasi tutti gli editori fanno già edizioni di giornali on line. Alcuni colleghi sono già chiamati a operarvi. Ma non c'è nessuna regola, nessuna competenza, nessuna tutela.
Nulla di quanto possono fornire queste tecnologie in termini di miglioramento della qualità del nostro lavoro è stato ancora messo a disposizione dei giornalisti. Sino ad oggi la nostra categoria pare non sufficientemente sensibilizzata alle prospettive e alle problematiche aperte dalla telematica e dall'informatica. Viceversa gli editori sono sempre più attenti, interessati ed attivi. Costoro, dopo aver smantellato la categoria dei poligrafici, potrebbero usare queste nuove tecnologie, col cavallo di Troia delle sinergie, per ridurre gli organici delle redazioni, ovvero incidendo surrettiziamente sul rapporto o sulle modalità di lavoro dei giornalisti.

Gli editori sino ad oggi hanno investito moltissimo nelle tecnologie editoriali mirate alla produzione ma poco o nulla in quelle che possono elevare la qualita del lavoro giornalistico. Se le vendite calano, non pensano a fare meglio il giornale, ricorrono all'effetto droga dei gadget che dura solo un giorno.
Gli editori mettono on line le fotocopie digitali dei loro giornali, ma quanti giornalisti hanno il proprio computer di redazione collegato via modem col mondo esterno per il suo lavoro tradizionale? Per converso i giornalisti non sono immuni da colpe: essi si sono sempre sentiti forti delle proprie specificità da ritenere incrollabile la propria posizione, il loro ruolo nella società. Oggi, che la telematica consente l'accesso diretto alle fonti da parte di chiunque, la stessa funzione professionale del giornalista puo essere rimessa in discussione.
Sostanzialmente editori e giornalisti stanno continuando a pensare il proprio mestiere secondo schemi etici e operativi che essi ritengono immutabilmente validi. Il giornalista trova le notizie e le scrive, l'editore il giorno dopo le vende.
L'uno sempre più condizionato da quello che in gergo si chiama il "tamtam della giungla" che arriva con le agenzie di stampa e con i telegiornali, col rischio dell'omologazione, e il secondo sempre più affaticato a vendere un prodotto in gran parte già superato e tentato, per ridurre i costi, di associarsi con altri editori per dar vita a catene di giornali panino o giornali fotocopia, in cui intere pagine vengono prodotte all'esterno. Il giornalismo di carta, in tutto il mondo e in Italia in particolare, è alla disperata ricerca di formule magiche che possano fermare l'inarrestabile stillicidio di lettori in fuga. Il problema della carta stampata, infatti, è oggi essenzialmente quello di contenere il calo delle vendite che a sua volta determina una flessione della pubblicita ed innesca, in un circolo vizioso, una crisi difficile da rimontare.

Oggi il quadro è mutato drasticamente con l'avvento delle autostrade elettroniche e degli strumenti multimediali e ci si chiede come si collochino i giornalisti e gli editori all'interno di tutto questo cambiamento. Sono strumenti utilmente integrabili o minacciosamente alternativi? E le specificità professionali?
Per tentare di trovare risposte bisogna fare un passo indietro e andare a riconsiderare le motivazioni profonde che spingono la gente verso l'informazione mediata. E andare a vedere qual è oggi il valore aggiunto portato all'informazione dalla professionalità del giornalista. Ora, tutti sappiamo che una gran parte di queste motivazioni può essere rimessa in discussione, anche a prescindere dai nuovi media. In primo luogo l'etica della professione.
Resta poi solo da vedere se il giornale da sfogliare in tram, riporre in tasca, riaprire a casa, conservare, rileggere avra ancora un futuro o se le ragioni che spingono la gente a comprarlo possano essere soddisfatte meglio, oppure in altro modo.

Per certo, il giornale tradizionale e quello digitale hanno caratteristiche, potenzialità e target del tutto diversi, al punto che si può benissimo parlare di due prodotti totalmente differenti. Il primo è un prodotto perfetto, finito, il secondo e un prodotto aperto, perennemente "in progress". Il primo mantiene prevalente il concetto di mediazione, il secondo ha per fulcro l'organizzazione. Il primo vede in primo piano il ruolo delle scelte del giornalista, il secondo si incentra sulle scelte del lettore. Il primo lascia ampio spazio al linguaggio estetico e simbolico della grafica, con delega al "giornalista-mediatore" di proporre la "sua" classifica delle notizie, il secondo dispone dell'intero patrimonio multimediale: immagini a colori statiche o in movimento, suoni, ipermedialità, interazione, possibilità di organizzazione e filtraggio dei testi, e la classifica delle notizie la fa il lettore .
Tornando alla specificita delle edizioni on line, si constata, sfogliando le edizioni telematiche dei giornali che l'errore madornale di proporre fotocopie digitali delle edizioni cartacee lo hanno gia fatto quasi tutti i giornali che hanno prodotto l'edizione on line. Che senso ha produrre questa fotocopia digitale? In effetti il giornale digitale si giustifica solo se offre altre cose, se usa tutta la forza della medialità digitale. E se funziona da integrazione e da incentivo all'edizione cartacea.

Ma cosa se ne fa la gente comune di opportunita del genere? Nessuno lo sa, perche tutto ciò fino ad oggi non era possibile. Su Internet tutti fanno i conti con gli scatti del telefono, c'è sempre fretta e quando si trova qualcosa di interessante la si preleva brutalmente ignorando tutto il resto. La curiosita è solo dei neofiti, e gli addetti ai lavori hanno i loro metodi spicci e poca voglia di perdere tempo.
Poi c'è l'area diffusionale: Internet e il mondo, Hong Kong e Citta del Capo, Montreal e Berlino, Manila e San Francisco. E allora si deve fare i conti con l'utenza, col proprio ambito di interazione che vale solo per il valore aggiunto peculiare che si e in grado di offrire. È la cronaca, è un articolo di fondo, è un resoconto critico? Su tutto, un dato. In Italia, l'utenza potenziale arriva al massimo a trecentomila utenti, compresi i 250 mila studenti collegati tramite le università.

Fa sorridere la megalomania di un Comune che, invece che attivare un numero verde gratuito per il collegamento telematico della sua cittadinanza, che è l'unica interessata a conoscere le delibere del sindaco e della giunta o a prelevare il modulo digitale per la preiscrizione dei bambini all'asilo nido, si mette in linea con l'intero pianeta.
Perché non dovrebbe far ridere un giornale locale, quando lo fa? In Rete cade la forza del megafono-giornale costituito dal prodotto confezionato che troviamo in edicola; su Internet un'opinione vale per una e l'aura del giornale si perde, insieme all'autorevolezza dell'autore. E si diventa uno dei cento, dei mille "televideo" gratuiti a disposizione.
Nel mondo sono ormai un migliaio le edizioni ipertestuali di giornali quotidiani su Internet. Molti altri hanno scelto modalita telematiche diverse: posta elettronica, teletrasmissione di pagine in formato Acrobat, servizi di dialogo con i lettori, ecc. Ma è provato che vendono solo quelli che offrono servizi specifici, il Wall Street Journal, tra i pochi esempi di successo.

Internet è un nuovo medium che possiede strumenti e linguaggi del tutto particolari. Dalle discussioni degli addetti ai lavori che hanno affrontato queste problematiche a livello internazionale emerge che non esistono dirette motivazioni economiche e funzionali alla messa in linea di una copia digitale di un quotidiano cartaceo. Ed è banale la giustificazione della promozione quando si è tutti in linea. Funziona solo un nuovo tipo di giornale basato sul dialogo diretto, sull'interazione con gli archivi, sui servizi informativi a richiesta.
Emblematico è il nuovo modo di fare editoria, giornalismo e pubblicità di alcuni quotidiani e periodici americani: il californiano San Jose Mercury News e il magazine Wired presentano una serie di caratteristiche ipermediali che vanno dalla messa in linea di archivi indicizzati a nuove forme di interazione con i lettori e le fonti informative, dall'uso dei filmati video e del suono alla fornitura di informazioni di servizio di vario tipo, anche aldilà dell'ambito tradizionalmente giornalistico.

Ecco la sfida a giornalisti ed editori italiani. Il mestiere di giornalista che ieri aveva essenzialmente il ruolo di ricerca, di scelta e di mediazione di notizie potrebbe mutarsi - online - nel senso dell'organizzazione dell'informazione, della ricerca e dell'assemblaggio di informazioni difficili da raggiungere in tempi rapidi, della gestione del dialogo col lettore.
Il suo ruolo si rovescia: non offerta di un servizio giornalistico alla Rete, bensi offerta dell'informazione della Rete al suo lettore, al cittadino della sua area diffusionale.
Le Intranet, le reti telematiche locali, su su fino ad Internet, la rete globale, si sono riempite, e sempre più si riempiranno di una quantità strabiliante di dati digitali disaggregati situati nel Cyberspazio, che, ricordiamolo non è luogo geografico ma rete globale a dislocazione indifferente. Il vero problema è di gestire, di organizzare questa massa di informazioni, tenendo conto che esse sono oggi invariabilmente in inglese, lingua che la gran parte degli italiani non conosce.

Quindi, questo mondo virtuale basato sulla comunicazione in tempo reale a distanza e sull'informazione organizzata ma non mediata deve poter contare su professionalità nuove. Ci dovrà essere qualcuno che, se vuoi, ti aiuta, ti dice dove e come trovare quello che interessa, che opera sintesi, che crea percorsi, che tiene i collegamenti, che ti aggiorna, che ti evita di perdere tempo, oppure che ti mette a disposizione una ampia gamma di strumenti di ricerca. Questo qualcuno, secondo me, non potra che essere un nuovo tipo di professionista dell'informazione.
Il nostro inviato nel Cyberspazio o il redattore multimediale.

(Relazione presentata al convegno-dibattito "Informazione e nuovi media. Come Internet sta cambiando il giornalismo" a Palazzo Labia, Venezia, il 27 maggio 1996)

"Through IT, the publishers abolished the typographers, "through the Internet, the journalists may abolish the publishers, "But, through the Internet, people may abolish the journalists" (Myself)
 

(*) New media & new techs senior editor, IL GAZZETTINO

 

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