Il 1994 passerà alla storia come l'anno di
inizio dell'era delle reti digitali. Infatti due anni fa cominciò il boom di
Internet, la rete mondiale di reti che non sta solo cambiando il nostro modo di
comunicare, ma sta modificando lo stesso modo di essere della società, dal
cittadino alla grande impresa. Ma come sta avvenendo il cambiamento? Dove stiamo
andando?
È inutile cercare qualche risposta in Italia, settimo paese piu
industrializzato del mondo, perché una classe politica miope e ottusa, pur nei
cambiamenti delle etichette, continua a tenerci tagliati fuori dal "grande
gioco", dalle grandi decisioni. Ed ora, anche se alle ultime sessioni del
G7 si sono trattati questi temi, presenti nostri ministri, top manager della
nostra grande industria, siamo in una situazione strutturale e infrastrutturale
disastrosa, con l'eterno convitato di pietra, la Telecom Italia, che tira
imprevedibili colpi di - nell'attesa della cessazione del suo monopolio nel 1998
- e sta bloccando lo sviluppo dell'intero settore delle telecomunicazioni in
Italia.
In ogni caso, le grandi decisioni sulle telecomunicazioni del pianeta fanno capo
alle grandi multinazionali e alla Casa Bianca. Infatti sono stati proprio il
presidente Clinton e il suo vice Al Gore coloro che hanno dato l'avvio al
programma delle "autostrade informatiche" e alla deregulation nel
settore delle telecomunicazioni.
È opportuno quindi andare a vedere cosa sta
bollendo in pentola in queste settimane, in questi mesi, anche perché ciò che
sta accadendo adesso ci puo aiutare a capire meglio e a dare un senso compiuto e
una direttrice concreta al discorso specifico che ci interessa.
L'anno scorso è uscito il libro "Being digital", (essere digitali) di
Nicolas Negroponte, direttore del Media Lab del Massachussetts Institute of
Technology, da 15 anni all'avanguardia nella ricerca sulle medialità. Nel suo
volume Negroponte preconizza la migrazione nel formato digitale di tutto quanto,
dal testo alla fotografia, dalla musica al video, dal telefono ai dati, circola
oggi in forma analogica. Non solo. Egli parla di una migrazione di quanto
circola via etere al cavo e viceversa. La visione di Negroponte ipotizza
l'avvento di una societa virtuale planetaria caratterizzata da due fattori:
l'interazione e l'ipermedialità.
Lou Gerstner, l'anno scorso, allorché è stato eletto presidente dell'IBM, ha
disegnato la rotta del colosso americano: la sua parola d'ordine e stata "networkcentric
computing", una filosofia di rete basata su grossi elaboratori
centralizzati che fanno da fulcro a reti di piccoli computer.
Bill Gates, il trentanovenne plurimiliardario proprietario della Microsoft,
l'altro colosso americano del software ha dichiarato di puntare al multimediale
in rete, con fusione di televisione e accattivanti fantasmagorie digitali.
La Oracle, il numero uno al mondo del software per banche dati, ha impresso una
svolta ai suoi programmi mettendosi a produrre l'elettrodomestico del futuro, il
"network computer", un piccolo computer di rete da 500 dollari (idea
subito ripresa da Olivetti ed Apple che hanno proprio in questi giorni
annunciato una loro versione). Si tratta, in pratica, di una minuscola consolle
(del tipo Nintendo, Sega o Sony usate per i videogiochi) che gestisce video,
audio, telefono, con modalità informatico-multimediali e telematiche
semplicissime da usare, secondo la filosofia del "plug `n play",
attacca la spina e vai. In questo modo, spendendo una cifra modestissima e
superando la tecnofobia dei cosiddetti "analfabeti tecnologici", con
lo stesso marchingegno si potra vedere la tv, usare la segreteria telefonica,
ricevere e spedire i fax, collegarsi a Internet e alle Intranet, le reti locali,
fare videogiochi, multimedialità, ecc. Entro l'anno saremo sommersi da
macchinette di questo tipo.
Il quarto grande protagonista di questa corsa, la Sun Microsystems, ha messo a
punto un nuovo linguaggio piattaforma-indipendente, detto Java, che consente di
sfruttare appieno tanto le risorse fornite da Internet e Intranet che la potenza
di calcolo dell'elaboratore dell'utente, aprendo scenari affascinanti e
illimitati nel campo dell'informazione distribuita e della multimedialita
interattiva.
Sullo sfondo di questo scenario, vediamo il
frenetico susseguirsi di accordi sugli standard per nuove tecnologie di
telecomunicazione, dalla fibra ottica con protocolli a larghissima banda ai
satelliti, alle reti a larga banda via etere e cosi via. Parrebbe fantascienza,
parrebbe che stessimo parlando di cose di là da venire e invece è quello che
sta succedendo proprio in questo momento storico. Tant'e che proprio a Padova,
domenica prossima, nell'ambito della manifestazione Voltapagina organizzata dal
Comune verrà presentato dal consorzio europeo Eutelsat un sistema di
collegamento Internet via satellite, capace di trasmettere 12 megabyte di dati
al secondo, pari cioè a 400 pagine di testo. Il tutto è previsto funzionante
entro febbraio dell'anno prossimo.
Una cosa è certa, con l'avvento di Internet
tutti hanno potuto vedere cosa è possibile fare sul fronte della comunicazione.
E quella di Internet è comunicazione globale interattiva in tempo reale.
Problemi? Quanti se ne vuole.
Internet è costosa, è lenta, non è sicura.
Reca in se i germi della propria morte: per quante tecnologie si usino, la banda
di comunicazione a disposizione sarà sempre troppo stretta. La sua anarchia fa
troppa paura ed è difficile farci circolare denaro. Sul fronte
dell'economico-sociale sta avvenendo quello che è successo per la televisione e
la pubblicità: Internet e diventata un mercato in cui ad essere messi in
vendita sono gli stessi utilizzatori della rete, non i dati o i servizi.
Dice John Battelle, direttore editoriale di Wired, la principale rivista
americana di tendenza sulle nuove tecnologie e nuove medialità,
"All'inizio molti dei grandi utopisti della Rete pensavano che sarebbe
stata una specie di enorme mezzo di comunicazione anarchico, utopistico,
portatore di felicità, dove non sarebbero esistite regole e tutto sarebbe stato
accessibile a tutti. È una gran bella cosa pensarci, ma alla lunga non può
funzionare."
Tant'è che stanno nascendo le Intranet, piccole ed efficienti reti locali
chiuse, supersicure e controllate, nelle quali puo circolare denaro,
informazioni proprietarie, video on demand a pagamento.
Ma dove mirano queste tecnologie e filosofie che animano la Rete, o meglio,
quello che William Gibson ha battezzato il Cyberspazio?
Sono in atto due tendenze contrastanti, una
visionaria ma stracciona che mira ad un'utopia culturale e sociale nel senso
della democrazia totale, un'altra, ricca e agguerrita, definita in America
"del post- capitalismo darwiniano" che mira ad impossessarsi
attraverso il ricatto tecnologico dell'intera società. Non era Carlo Marx che
diceva che ogni innovazione tecnologica scatena una guerra di forze contrastanti
per il predominio economico e il raggiungimento del potere?
Io sono convinto che sara una lotta dura ma poiche il teatro dello scontro e la
civiltà liberal-fascista occidentale che è basata sulle leggi di mercato e di
profitto, e che è priva di scrupoli sociali, non ho dubbi su chi sarà il
vincitore.
In questa visione che a qualcuno parrà pessimistica ma che viceversa in Rete è
ampiamente condivisa, alla fine arriveremo non ad una cultura cablata di tipo
partecipativo bensi a una forma virtuale di societa verticale, con i detentori
della tecnologia, dei cavi e dei dati nel ruolo di dominatori, e in cui il
semplice cittadino diventa fattore virtuale che manifesta opinioni virtuali ed
intesse rapporti sociali virtuali. A grande scala il Cyberspazio puo dunque
diventare una massa di corpi ipertestualizzati che produce dati spazzatura
economicamente improduttivi, culturalmente irrilevanti e socialmente
indifferenti. Nascita di sub-culture e di effimero in tempo reale, quindi.
È dunque in un altalenare tra l'armonia di una
atene iperuranica, la panarchia egocentrica e asociale di Miguel de Unamuno,
dove ognuno è re del proprio regno-ego, e un inferno virtuale omologato, lo
spirito profondo dell'era delle reti? Difficile dire.
Il potere della Rete è saldamente in mano dei "padroni del cavo e del
satellite", cioè l'industria delle telecomunicazioni. Il mito che ha
immediatamente accompagnato Internet, l'aura utopistica che la connota sin dalla
sua nascita sono segnali chiari: se portata al limite, la medialità della Rete
può anche tradursi in una forma-merce ricombinante in cui l'immaginazione
utopistica della cultura contemporanea produce informazione morta, gusci
indifferenti, senza alcun significato. Anzi, il significato potrebbe divenire
contraddizione antagonistica del dato presente nella Rete. E non si avrebbe più
informazione, in quanto l'informazione è proprio funzione significante del
dato.
Peraltro, la Rete globale e un techno-topos ammaliatore, luogo dove tutte le
informazioni sono rese disponibili a chiunque e in qualunque momento, luogo dove
è possibile trovare convergenze tematiche di interesse culturale, sociale o
politico. Ma e anche luogo di agguato culturale, massificante e omologante, e
per reazione, patria della sub-cultura.
La morale che possiamo trarre sin d'ora è che è
apparso un nuovo formidabile strumento di potere. Che forse c'è davvero un
"Grande Fratello" che lo pilota. E che è in atto una guerra senza
esclusione di colpi per dominarlo e controllarlo. Bisogna tener ben presente che
è questo lo sfondo alla nostra discussione di oggi.
Venendo al nostro specifico relativo, è da dire
che Internet e tutte le nuove medialita telematiche e multimediali pongono un
ventaglio di scenari che vedono direttamente e significativamente coinvolti i
giornalisti per le possibili conseguenze - in positivo e in negativo - su
livelli di professionalità, metodi di lavoro e occupazione. Ma non solo. Si
aprono prospettive per l'introduzione di nuove figure professionali. Pure si
configurano anche molte incognite.
Nulla di ciò di cui sto per dire compare nel contratto di lavoro giornalistico;
poco o nulla è contemplato dalle normative sul diritto d'autore. Eppure quasi
tutti gli editori fanno già edizioni di giornali on line. Alcuni colleghi sono
già chiamati a operarvi. Ma non c'è nessuna regola, nessuna competenza,
nessuna tutela.
Nulla di quanto possono fornire queste tecnologie in termini di miglioramento
della qualità del nostro lavoro è stato ancora messo a disposizione dei
giornalisti. Sino ad oggi la nostra categoria pare non sufficientemente
sensibilizzata alle prospettive e alle problematiche aperte dalla telematica e
dall'informatica. Viceversa gli editori sono sempre più attenti, interessati ed
attivi. Costoro, dopo aver smantellato la categoria dei poligrafici, potrebbero
usare queste nuove tecnologie, col cavallo di Troia delle sinergie, per ridurre
gli organici delle redazioni, ovvero incidendo surrettiziamente sul rapporto o
sulle modalità di lavoro dei giornalisti.
Gli editori sino ad oggi hanno investito
moltissimo nelle tecnologie editoriali mirate alla produzione ma poco o nulla in
quelle che possono elevare la qualita del lavoro giornalistico. Se le vendite
calano, non pensano a fare meglio il giornale, ricorrono all'effetto droga dei
gadget che dura solo un giorno.
Gli editori mettono on line le fotocopie digitali dei loro giornali, ma quanti
giornalisti hanno il proprio computer di redazione collegato via modem col mondo
esterno per il suo lavoro tradizionale? Per converso i giornalisti non sono
immuni da colpe: essi si sono sempre sentiti forti delle proprie specificità da
ritenere incrollabile la propria posizione, il loro ruolo nella società. Oggi,
che la telematica consente l'accesso diretto alle fonti da parte di chiunque, la
stessa funzione professionale del giornalista puo essere rimessa in discussione.
Sostanzialmente editori e giornalisti stanno continuando a pensare il proprio
mestiere secondo schemi etici e operativi che essi ritengono immutabilmente
validi. Il giornalista trova le notizie e le scrive, l'editore il giorno dopo le
vende.
L'uno sempre più condizionato da quello che in gergo si chiama il "tamtam
della giungla" che arriva con le agenzie di stampa e con i telegiornali,
col rischio dell'omologazione, e il secondo sempre più affaticato a vendere un
prodotto in gran parte già superato e tentato, per ridurre i costi, di
associarsi con altri editori per dar vita a catene di giornali panino o giornali
fotocopia, in cui intere pagine vengono prodotte all'esterno. Il giornalismo di
carta, in tutto il mondo e in Italia in particolare, è alla disperata ricerca
di formule magiche che possano fermare l'inarrestabile stillicidio di lettori in
fuga. Il problema della carta stampata, infatti, è oggi essenzialmente quello
di contenere il calo delle vendite che a sua volta determina una flessione della
pubblicita ed innesca, in un circolo vizioso, una crisi difficile da rimontare.
Oggi il quadro è mutato drasticamente con
l'avvento delle autostrade elettroniche e degli strumenti multimediali e ci si
chiede come si collochino i giornalisti e gli editori all'interno di tutto
questo cambiamento. Sono strumenti utilmente integrabili o minacciosamente
alternativi? E le specificità professionali?
Per tentare di trovare risposte bisogna fare un passo indietro e andare a
riconsiderare le motivazioni profonde che spingono la gente verso l'informazione
mediata. E andare a vedere qual è oggi il valore aggiunto portato
all'informazione dalla professionalità del giornalista. Ora, tutti sappiamo che
una gran parte di queste motivazioni può essere rimessa in discussione, anche a
prescindere dai nuovi media. In primo luogo l'etica della professione.
Resta poi solo da vedere se il giornale da sfogliare in tram, riporre in tasca,
riaprire a casa, conservare, rileggere avra ancora un futuro o se le ragioni che
spingono la gente a comprarlo possano essere soddisfatte meglio, oppure in altro
modo.
Per certo, il giornale tradizionale e quello
digitale hanno caratteristiche, potenzialità e target del tutto diversi, al
punto che si può benissimo parlare di due prodotti totalmente differenti. Il
primo è un prodotto perfetto, finito, il secondo e un prodotto aperto,
perennemente "in progress". Il primo mantiene prevalente il concetto
di mediazione, il secondo ha per fulcro l'organizzazione. Il primo vede in primo
piano il ruolo delle scelte del giornalista, il secondo si incentra sulle scelte
del lettore. Il primo lascia ampio spazio al linguaggio estetico e simbolico
della grafica, con delega al "giornalista-mediatore" di proporre la
"sua" classifica delle notizie, il secondo dispone dell'intero
patrimonio multimediale: immagini a colori statiche o in movimento, suoni,
ipermedialità, interazione, possibilità di organizzazione e filtraggio dei
testi, e la classifica delle notizie la fa il lettore .
Tornando alla specificita delle edizioni on line, si constata, sfogliando le
edizioni telematiche dei giornali che l'errore madornale di proporre fotocopie
digitali delle edizioni cartacee lo hanno gia fatto quasi tutti i giornali che
hanno prodotto l'edizione on line. Che senso ha produrre questa fotocopia
digitale? In effetti il giornale digitale si giustifica solo se offre altre
cose, se usa tutta la forza della medialità digitale. E se funziona da
integrazione e da incentivo all'edizione cartacea.
Ma cosa se ne fa la gente comune di opportunita
del genere? Nessuno lo sa, perche tutto ciò fino ad oggi non era possibile. Su
Internet tutti fanno i conti con gli scatti del telefono, c'è sempre fretta e
quando si trova qualcosa di interessante la si preleva brutalmente ignorando
tutto il resto. La curiosita è solo dei neofiti, e gli addetti ai lavori hanno
i loro metodi spicci e poca voglia di perdere tempo.
Poi c'è l'area diffusionale: Internet e il mondo, Hong Kong e Citta del Capo,
Montreal e Berlino, Manila e San Francisco. E allora si deve fare i conti con
l'utenza, col proprio ambito di interazione che vale solo per il valore aggiunto
peculiare che si e in grado di offrire. È la cronaca, è un articolo di fondo,
è un resoconto critico? Su tutto, un dato. In Italia, l'utenza potenziale
arriva al massimo a trecentomila utenti, compresi i 250 mila studenti collegati
tramite le università.
Fa sorridere la megalomania di un Comune che,
invece che attivare un numero verde gratuito per il collegamento telematico
della sua cittadinanza, che è l'unica interessata a conoscere le delibere del
sindaco e della giunta o a prelevare il modulo digitale per la preiscrizione dei
bambini all'asilo nido, si mette in linea con l'intero pianeta.
Perché non dovrebbe far ridere un giornale locale, quando lo fa? In Rete cade
la forza del megafono-giornale costituito dal prodotto confezionato che troviamo
in edicola; su Internet un'opinione vale per una e l'aura del giornale si perde,
insieme all'autorevolezza dell'autore. E si diventa uno dei cento, dei mille
"televideo" gratuiti a disposizione.
Nel mondo sono ormai un migliaio le edizioni ipertestuali di giornali quotidiani
su Internet. Molti altri hanno scelto modalita telematiche diverse: posta
elettronica, teletrasmissione di pagine in formato Acrobat, servizi di dialogo
con i lettori, ecc. Ma è provato che vendono solo quelli che offrono servizi
specifici, il Wall Street Journal, tra i pochi esempi di successo.
Internet è un nuovo medium che possiede
strumenti e linguaggi del tutto particolari. Dalle discussioni degli addetti ai
lavori che hanno affrontato queste problematiche a livello internazionale emerge
che non esistono dirette motivazioni economiche e funzionali alla messa in linea
di una copia digitale di un quotidiano cartaceo. Ed è banale la giustificazione
della promozione quando si è tutti in linea. Funziona solo un nuovo tipo di
giornale basato sul dialogo diretto, sull'interazione con gli archivi, sui
servizi informativi a richiesta.
Emblematico è il nuovo modo di fare editoria, giornalismo e pubblicità di
alcuni quotidiani e periodici americani: il californiano San Jose Mercury News e
il magazine Wired presentano una serie di caratteristiche ipermediali che vanno
dalla messa in linea di archivi indicizzati a nuove forme di interazione con i
lettori e le fonti informative, dall'uso dei filmati video e del suono alla
fornitura di informazioni di servizio di vario tipo, anche aldilà dell'ambito
tradizionalmente giornalistico.
Ecco la sfida a giornalisti ed editori italiani.
Il mestiere di giornalista che ieri aveva essenzialmente il ruolo di ricerca, di
scelta e di mediazione di notizie potrebbe mutarsi - online - nel senso
dell'organizzazione dell'informazione, della ricerca e dell'assemblaggio di
informazioni difficili da raggiungere in tempi rapidi, della gestione del
dialogo col lettore.
Il suo ruolo si rovescia: non offerta di un servizio giornalistico alla Rete,
bensi offerta dell'informazione della Rete al suo lettore, al cittadino della
sua area diffusionale.
Le Intranet, le reti telematiche locali, su su fino ad Internet, la rete
globale, si sono riempite, e sempre più si riempiranno di una quantità
strabiliante di dati digitali disaggregati situati nel Cyberspazio, che,
ricordiamolo non è luogo geografico ma rete globale a dislocazione
indifferente. Il vero problema è di gestire, di organizzare questa massa di
informazioni, tenendo conto che esse sono oggi invariabilmente in inglese,
lingua che la gran parte degli italiani non conosce.
Quindi, questo mondo virtuale basato sulla
comunicazione in tempo reale a distanza e sull'informazione organizzata ma non
mediata deve poter contare su professionalità nuove. Ci dovrà essere qualcuno
che, se vuoi, ti aiuta, ti dice dove e come trovare quello che interessa, che
opera sintesi, che crea percorsi, che tiene i collegamenti, che ti aggiorna, che
ti evita di perdere tempo, oppure che ti mette a disposizione una ampia gamma di
strumenti di ricerca. Questo qualcuno, secondo me, non potra che essere un nuovo
tipo di professionista dell'informazione.
Il nostro inviato nel Cyberspazio o il redattore multimediale.
(Relazione presentata al convegno-dibattito
"Informazione e nuovi media. Come Internet sta cambiando il
giornalismo" a Palazzo Labia, Venezia, il 27 maggio 1996)
"Through IT, the publishers abolished
the typographers, "through the Internet, the journalists may abolish the
publishers, "But, through the Internet, people may abolish the journalists"
(Myself)
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