Caro Cammarata,
la sua impostazione dei problemi mi trova personalmente molto d'accordo (vedi Stampa
e Rete, il problema non è l'articolo 5, ndr). Osservo che la causa prima dei
dilemmi sta nella mancanza di una definizione giuridica di "testata
d'informazione giornalistica". Questa mancava e manca da prima del 1948...
e non so se esista nel contesto giuridico di qualche altro Paese.
Mi pare di ricordare che in Francia, sino a qualche anno fa, il requisito per
definire un prodotto d'informazione come un "giornale" era la presenza
di almeno cinque giornalisti (come sa, in Francia non v'è distinzione tra
professionisti e pubblicisti, ma vige una Commissione che assegna la tessera
professionale sulla base di alcuni criteri fra cui il reddito prevalente).
Mi rendo conto che anche il pervenire a tale definizione di "testata
d'informazione giornalistica" non è cosa semplice. Però è forse giunta
l'ora di porre criteri discriminanti sui "prodotti", cosa che
metterebbe in pace anche tutti coloro che, a torto!, vedono minacciata
l'esistenza dei siti di ogni ordine, natura e qualità.
Riguardo al "bollino", esso è figlio di una idea nata in Germania
(campagna Pressmark) in relazione anche alla tutela del diritto d'autore.
Si può infatti negare che tanti siti para-informativi saccheggiano le fonti
italiche e straniere (agenzie, giornali, foto, etc.) senza mai citarle? Un
"uso secondo" assolutamente scorretto e generalizzato…
Il timore infine, ma so che anche su questo Lei è d'accordo, è che le regole
del mercato valide nel mondo fisico, dal contesto "edicola" al
"palinsesto radio e tv " (qualità, serietà, competenza ...) non
valgano nel mare magnum e decontestualizzato di Internet e che, tra gossip
e approssimazione, la buona informazione ne esca massacrata.
Il problema non è porre censure ma semplicemente dare, a chi lo desidera, la
possibilità di caratterizzare il lavoro professionale laddove esso viene
esercitato.
Sempre ragionando a titolo personale e senza impegnare gli Organismi della
professione, sono portato ad introdurre un ulteriore elemento di riflessione,
consapevole che il quadro potrebbe anche non semplificarsi.
Mi riferisco all'esistenza ed al ruolo della Registration Authority
italiana. Esistenza e funzioni che, se andiamo bene ad analizzare le procedure
attualmente vigenti, non possono essere tenute al di fuori dei
nostri pacati e, credo, sensati ragionamenti.
Il primo problema - come lei ha già scritto su InterLex - è la
legittimazione giuridica di tale organismo. Una volta accertata tale
legittimazione (sperando che la discussione parlamentare sul "DDL
Passigli" faccia chiarezza su questo punto), le "lettere di
responsabilità" previste dalla procedura contengono elementi di
certezza giuridica su cui basare ulteriori chiarificazioni e regole? A prima
vista mi sembrerebbe di sì, dal momento che coloro i quali intendono registrare
i siti, sottoscrivono impegni inequivocabili fra i quali cito solo alcuni punti
"chiave" (per le ditte, per i liberi professionisti e per le persone
fisiche):
i) di essere a conoscenza della normativa italiana vigente in materia
di diritto al nome e di tutela del diritto al nome di persone fisiche;
j) di accettare la giurisdizione italiana e le leggi dell'Ordinamento Statale
Italiano;
Saranno anche testi "generici e generali" ma è indiscutibile
che il richiedente si vincola al rispetto dell'intera normativa esistente,
compresa – ovviamente- la legge sull'Ordine e tutto quanto vige per l'editoria
e l'informazione.
Mi domando allora se sarebbe davvero improponibile e/o insensato pensare ad
una estensione "inf" o "inf.it" per quanto concerne i siti
"giornalistici e d'informazione" che desiderano essere riconosciuti
immediatamente come tali, dando alcuni elementi probatori ai fini
dell'ottenimento di tale estensione. Questo in piena libertà ed "autoassunzione"
di responsabilità, che sono poi i criteri attualmente vigenti per la
registrazione dei nomi a dominio (e, d'altra parte, già oggi un sito "edu"
si distingue da un sito "com" e nessun operatore serio desidererebbe
la confusione fra le estensioni).
Pensare cioè non ad una "patente rilasciata da...", ma ad una libera
"autodichiarazione" di rispondenza a requisiti professionali (almeno
un iscritto all'Albo?) che si aggiunga all'accettazione delle regole della
"netiquette" e delle leggi della Repubblica. E di tale
"autocertificazione" dovrebbe risultare traccia nella "home
page" del sito, così come i giornali di carta portano la
"gerenza": basterebbe una formula di poche parole e già non pochi
siti lo fanno.
A me sembra una via che darebbe credibilità alla Rete, che ne rispetterebbe
la specificità, che eviterebbe i rischi di accuse di
"corporativismo", peraltro a mio giudizio immeritate, nei confronti
della categoria.
Molti saluti cordiali
Rodolfo Falvo
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