Da sessantadue anni non c’è
“censura” in Italia. Non solo la libertà
di stampa e di opinione è “sancita” dalla
Costituzione, ma è radicata nel costume e
nella coscienza civile. Ci sono, tuttavia,
fenomeni preoccupanti. La concentrazione di
gran parte del sistema informativo in poche
mani. Una generale, “centralizzata” miopia
della “cultura dominante” che in parte è
volontaria manipolazione e in parte
inconsapevole ignoranza. Una sorniona,
apparentemente benevola, cultura della
superficialità e del pressapochismo che tende
a inebetire, assopire e assoggettare.
Un elemento di disturbo, in questo
contesto, è l’internet. Prima temuta, poi
ambiguamente lodata, comunque mal capita, la
rete rimane fastidiosa agli occhi di chi è
abituato ad avere il controllo ed è irritato,
se non preoccupato, da uno strumento che non
riesce a “ingabbiare”.
Sarebbe lungo ripetere qui cose già dette
tante volte, da quando nel 1996 avevo
pubblicato Cassandra
alle molteplici vicende descritte in ottanta
testi nella sezione “libertà
e censura” di questo sito. Ma un recente
episodio merita qualche commento.
In questo ambiguo contesto ci sono varie
norme mal concepite e peggio applicate. Una,
in particolare, è la legge sulla “stampa
clandestina” (1948) cui si è aggiunta,
cinquantatre anni dopo, una bislacca
interpretazione sulla “autorizzazione” di
“pubblicazioni giornalistiche” in rete
(2001).
Prima di proseguire, rileggiamo due
articoli della Costituzione.
Nell’articolo 3 si dice che «Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge». Invece no. Ci
sono leggi che rendono alcuni cittadini “più
uguali degli altri” e varie
“corporazioni” che godono di
ingiustificati privilegi. Oltre a ogni sorta
di limitazioni alla libera attività,
economica, sociale e culturale, che si è
tante volte detto di voler abolire, ma di
fatto rimangono – e, un po’ troppo spesso,
peggiorano.
Nell’articolo 21 si dice che «Tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il
proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non
può essere soggetta ad autorizzazioni o
censure». Invece no. Ci sono norme di
“autorizzazione” (come altre di varia
origine e conseguenza) che si traducono in
violazioni della libertà di informazione e
comunicazione (generalmente definita “libertà
di stampa“, fin dai tempi dello ”statuto
albertino”, ma ovviamente estesa a ogni
altro strumento o sistema).
“Ciò premesso”, veniamo all’episodio
che ha giustamente suscitato scandalo e che è
descritto in vari documenti online, come la
notizia pubblicata da Punto
Informatico il 19 giugno 2008 e la più
dettagliata analisi di MCreporter
il 9 settembre – e alle due balorde leggi
che l’hanno reso possibile.
Si tratta di una sentenza
del Tribunale di Modica, l’8 maggio 2008,
che ha definito “stampa clandestina” il
sito web dello storico siciliano Carlo Ruta (che era chiuso
da quattro anni, perché lo stesso tribunale
ne aveva disposto il “sequestro” nel 2004).
Una
delle grottesche
“anomalie” in
quella sentenza è che
il sito era definito
come “testata
giornalistica” perché
aveva una
“intestazione”. A
questa stregua,
potrebbe essere
considerata “stampa
clandestina”.
qualsiasi lettera
pubblicamnente
disponibile e scritta
su “carta
intestata”.
Lascio agli storici della legge, della
politica e della cultura il compito di cercare
di capire perché, quando era finito il
fascismo ed era stata abolita la censura, nel
1948 si fosse emanata una legge di fatto
restrittiva della libertà di stampa e in
contrasto con l’articolo 21 della
Costituzione.
Mi “azzardo”, invece, a cercare di
indovinare perché nell’aprile 2001 sia
uscita una mal concepita (e mai efficacemente
emendata) legge che “estende” le norme
sulla stampa alla comunicazione in rete.
(Alcune osservazioni su quella legge si
trovano in Timeo
Danaos e Una
legge molto confusa).
Tutti i governi, e tutti i gruppi
parlamentari, di ogni “parte” o tendenza
politica, hanno sempre affermato che non hanno
alcuna intenzione di limitare la libertà di
stampa – e in generale di opinione. Sulla
profondità e coerenza di quelle promesse
possiamo avere qualche dubbio, ma “prendiamo
per buona” l’ipotesi che l’intenzione,
dietro la malpensata legge del 2001, fosse
un’altra: estendere alle “testate”
online quell’ambiguo sistema di sussidi,
sovvenzioni e controlli che già esisteva per
la “carta stampata” (e che già in quella
sede ha prodotto parecchie distorsioni e
manipolazioni).
In pratica, la legge del 2001 dice che un
“giornale” online (quotidiano o periodico)
deve essere registrato come testata – e che
il “responsabile” deve essere iscritto a
un’istituzione di cui molti, da molti anni,
chiedono l’abolizione, ma che continua a
sopravvivere come “casta privilegiata”:
L’albo dei giornalisti. La conseguenza è
che, interpretandola alla lettera, circa
cinque milioni di siti web italiani (non solo
“blog”)
sarebbero fuori legge.
Sono passati sette anni e non c’è stato
un “massacro” della rete. Ma la sciagurata
sentenza del maggio 2008, di cui si parla in
questi giorni, dimostra che “errori” sono
possibili. Non è il primo “caso” di quel
genere – e purtroppo è probabile che non
sia l’ultimo.
Il “caso
Modica” è “unico nel suo genere” – e
perciò particolarmente preoccupante – per
l’applicazione della legge 2001, cioè del
concetto di “stampa clandestina”
nell’internet. Ma ci sono parecchi esempi di
abusi pretestuosamente “motivati” da altre
storture delle norme e delle loro
applicazioni.
Mi sembra un po’ miope che si “gridi
allo scandalo” su questo episodio dopo aver
poco badato, per sette anni, al fatto che c’è
una legge sballata e non c’è mai stato
alcun correttivo che la elimini o ne renda
meno perversa l’interpretazione. Per non
parlare di altre situazioni in cui, per
svariati motivi, si sono “cancellati” o
“sequestrati” o resi inaccessibili siti
italiani e stranieri, con la troppo facilmente
“volontaria” partecipazione degli internet
provider, più preoccupati di difendere i
loro interessi che di badare alla libertà (e
riservatezza) delle persone, organizzazioni o
imprese che usano i loro servizi.
Perché, fra tanti, ci si è accaniti
proprio su quel sito? Non mi piace fare
“dietrologia” o “processi alle
intenzioni”, ma il fatto è che i contenuti
“cancellati” e “condannati” trattano
di collusioni fra politica e mafia – ed è
probabile che l’argomento sia fastidioso per
qualche centro di potere. Tuttavia
“accontentiamoci” di pensare che sia un
“errore” nell’interpretazione della
legge. Il fatto rimane che “sbagli” di
quel genere sono possibili – e inaccettabili
in un paese civile.
Sono molti i “trucchi” con cui è
possibile limitare, anche se non abolire del
tutto, la libertà di opinione e di
informazione.
C’è, fra l’altro, un “dettaglio
tecnico” non irrilevante. Ci sono vari modi
con cui un “sito sequestrato” può essere
rimesso online – o i contenuti resi
disponibili in modo diverso. I provvedimenti
di “sequestro” o “cancellazione” hanno
scarsissima efficacia nei confronti di
criminali o malfattori di varia specie.
L’accanimento repressivo è molto
penalizzante per le persone perbene che
esprimono opinioni scomode, sostanzialmente
inefficace contro i malintenzionati,
dall’estremo del terrorismo assassino o del
crimine organizzato fino ai molteplici
truffatori o diffusori di spam.
Nell’ipotesi (non
“dimostrata”) che dietro un’assurda
sentenza ci sia la longa manus di
qualcuno che vuole sopprimere informazioni e
opinioni sgradite, il supposto “censore”
si è tirato la zappa sui piedi, perché con
l’indignazione e le proteste ottiene
l’effetto contrario. Ma questo, ovviamente,
non può “giustificare”, né attenuare, la
perversità del provvedimento o le storture
della legge.
Non è facile distinguere quanto pesi
l’ignoranza di chi si ostina a non capire
che cos’è la rete – e quanto
l’insidiosa voglia di reprimere e
controllare la libertà di opinione. Ma rimane
il fatto che le intenzioni repressive ci sono
– e che la sorveglianza deve essere
continua, con un’attenta osservazione di
come le cose si evolvono nel tempo, non solo
con estemporanee “indignazioni” su un
singolo episodio, che purtroppo cadono
rapidamente nel dimenticatoio e nella generale
distrazione, lasciando il campo libero al
ripetersi di ogni sorta di abusi. Senza mai
dimenticare che ogni tentativo di censura non
è solo perverso, è anche stupido.
* gian @ gandalf.it
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