Devo confessare che quando InterLex mi ha chiesto di ritornare sul tema
delle bufale, cioè della
perenne moltiplicazione di "notizie" bislacche e infondate a proposito
dell’internet, sono stato preso da un senso di nausea. Che noia, diranno i
lettori, è sempre la stessa storia. Hanno ragione. Ma il fenomeno continua a
ripetersi con una frequenza ossessionante. Con un ritorno in pompa magna del diavolo
in persona.
Per il solo fatto di parlarne si corrono parecchi rischi. Uno è essere
considerati ipercritici – o "nemici" dei giornalisti. Lasciatemi
ripetere che non sono né l’uno, né l’altro. Non ho alcuna antipatia per i
giornalisti come categoria. Sono anch’io, a modo mio, un
"giornalista". Anche se da molti anni non sono più iscritto all’albo
(e ne vorrei l’abolizione) non ho mai smesso di scrivere. Mi limito a
constatare, quando è necessario, che alcuni fanno male il loro mestiere.
Specialmente quando si tratta dell’internet.
Un altro rischio è essere "classificati" in ogni sorta di
turpitudini. Così come essere contrari alla pena di morte diventa la difesa di
Caino, parlare di libertà di informazione e comunicazione può voler dire
essere classificati come amici di una varietà di criminali. Nazisti,
pornografi, violentatori di bambini... o "pirati" (parola usata in una
tale varietà di significati che non si sa più che cosa voglia dire).
Un terzo è fare la fine del grillo parlante. In un mondo di pinocchi volano
facilmente i martelli.
C’è anche in giro, diciamolo chiaro, una buona dose di vigliaccheria e di
opportunismo. Chi se la sente di essere sospettato di non "aderire" a
un’onda strabordante di chiacchiere, di non far parte della santa schiera che
finge di "combattere il male"? Certo, è molto più comodo aggiungere
benzina ai fuochi di paglia che fare la fatica di capire come stanno davvero le
cose; e coprire di elogi qualsiasi scempiaggine piuttosto che dire qualche
scomoda verità.
Gli esempi sono così tanti che è impossibile farne non dico un elenco, ma
neppure una ragionevole antologia. Prendiamone solo qualcuno... con la
"doverosa premessa" che nel torrente in piena delle bufale puntare il
dito sull’uno o sull’altro è come scegliere, quasi a caso, un individuo in
una folla impazzita.
Ci sono i virus. Naturalmente esistono davvero. Ma le notizie e i commenti
sono quasi sempre sbagliati. O si esagera, attribuendo effetti dirompenti a
infezioni non particolarmente gravi (e dimenticando di segnalare il fatto che le
epidemie sono dovute agli imperdonabili difetti di software troppo diffusi e a
un’incredibile debolezza delle difese e delle prevenzioni). O, come è
accaduto di nuovo la settimana scorsa, si dà un’eco spropositata all’ennesimo
hoax (messo in giro per scherzo
ma poi diffuso come "vero") o a interpretazioni affrettate di notizie
di tutt’altra natura.
Ci sono i hacker. Altra parola con tanti significati diversi... ma
generalmente intesa in senso negativo, come intrusione nociva. Tutti dipinti
come criminali, anche quando non lo sono; fino a quando con la scusa delle
"buone intenzioni" di colpo si santificano gli "intrusori" e
si applaudono i fanatici che mettono in piedi organizzazioni a delinquere.
Compresa un’incredibile proposta in Parlamento di "bombardare di
virus" i siti incriminati per illeciti commerci... che è caduta davanti
all’ovvia insensatezza tecnica (oltre che morale e giuridica) di un’idea del
genere. Ma è un sintomo dello stato confusionale in cui si trovano i nostri
legislatori. E forse non è finita. Sembra che quella bislacca idea abbia
scatenato le iniziative "spontanee" di "bombardieri" di
varia specie, ringalluzziti da un’improvvida benedizione in alto loco.
Ci sono gli alti e bassi della borsa. Un giorno la "nuova economia"
è sugli altari, il giorno dopo è nella polvere. C’è assai poco di nuovo
nelle speculazioni che scuotono il mercato – e ricordano sconquassi anche
peggiori di cinquanta o cento anni fa. Ma ogni oscillazione dà luogo ai più
incredibili schiamazzi; come se lo sviluppo di fenomeni nuovi e in graduale
maturazione potesse saltare di colpo da una falsa facilità di successo a un’altrettanto
falsa catastrofe universale.
C’è un’infinita proliferazione di notizie "tecniche" che
oscillano fra l’irrilevante e il falso. Un esempio fra tanti... un articolo
(con richiamo in prima pagina) su Repubblica del 4 ottobre parlava di
"saturazione" della rete; cioè di un numero non più gestibile di
"indirizzi". Quel testo conteneva una montagna di sciatterie e di
errori. Compresa la confusione fra internet e web (che non sono la stessa cosa),
fra indirizzi IP e nomi a dominio, fra Vinton Cerf (nell’articolo chiamato
Vincent) che ha dato un contributo fondamentale alla nascita dell’internet e
Tim Berners-Lee che vent’anni dopo ha costruito il modello per la world wide
web. Ma soprattutto una "notizia" tecnica priva di fondamento. Forse
è possibile che si arrivi davvero a una "saturazione", cioè al punto
in cui non basteranno più i numeri disponibili. Ma non occorre essere
professori di informatica per sapere che le soluzioni tecniche ci sono; e che
sono già in fase di sperimentazione con la sesta versione del protocollo IP. La
cosa, naturalmente, non è così banale – ma per "metterla in soldoni"
basta aggiungere una cifra a una chiave numerica per decuplicare il numero di
"indirizzi" disponibili. In sostanza, il problema non esiste. Come non
sono mai esistiti tanti altri fenomeni immaginari che hanno portato a ripetuti
annunci sulla "fine dell’internet" – regolarmente smentiti dai
fatti.
Non dico che tutti i giornalisti che parlano della rete debbano essere
esperti sull’argomento. Ma se dedicassero un po’ di tempo a informarsi prima
di scrivere... la quantità e la frequenza delle bufale potrebbero diminuire
molto. Ormai l’internet è diventata come il gioco del pallone. Con una
fondamentale differenza. Milioni di appassionati seguono da tanti anni il
calcio; e per quanto sottili possano essere le analisi si tratta di un pallone,
due porte, ventidue persone, un arbitro e alcuni guardalinee. Non è
sorprendente che tutti i bar d’Italia siano popolati di "esperti"
sull’argomento. I nuovi sistemi di comunicazione sono una cosa molto più
complessa. Nessuno che abbia un’ombra di buon senso può considerarsi o
proclamarsi "esperto" (compreso l’autore di queste righe, che
rifiuta quell’aggettivo come ridicolo). Perché le cose cambiano spesso in
modo imprevedibile e tutti abbiamo sempre molto da imparare.
Infine... con un’accentuazione della nausea eccomi costretto a ritornare
sulla "demonizzazione" dell’internet. Non è una metafora. I due
più importanti newsmagazine italiani sono usciti contemporaneamente con
una rappresentazione demoniaca della rete. L’Espresso e Panorama,
nei numeri datati 12 ottobre e in edicola venerdì 6, dedicano la copertina a
questo argomento.
Non mancavano temi rilevanti e di attualità. Come il cambiamento politico in
Serbia e la crisi in Palestina. In questi casi i settimanali sono un po’ in
difficoltà, perché non possono dare l’ultima notizia. Ma avrebbero il
compito e il dovere di offrire approfondimenti, analisi, commenti. E si tratta
ovviamente di temi "da copertina". Invece no. Tutti e due cercano una
scappatoia buttandosi su argomenti che non hanno alcuna "attualità"
(i problemi sono gli stessi da molti anni) ma fanno parte di un’onda fasulla e
manipolata su cui non vorrei ritornare, perché ne ho parlato molte volte
(recentemente in Il coro dei bugiardi alla
seconda crociata su InterLex del 5 ottobre). E tutti e due evocano il
demonio.
Panorama mette il diavolo in copertina. Nel più vistoso stile della
demonologia medioevale – o del satanismo contemporaneo. Rosso, cornuto e
minaccioso nel monitor di un computer. L’immagine ricompare ancora più
aggressiva nel breve servizio intitolato "il diavolo su internet" in
cui si impastano le cose più svariate... "pedofilia, pornografia, truffe e
crolli in borsa". E ripete le solite abborracciate scempiaggini di cui già
ci hanno sommerso altri mezzi di cosiddetta "informazione". Spero di
poter evitare la snervante fatica di un commento.
L’Espresso, invece, salta sul carro della disinformazione in fatto di
violenze contro i bambini. L’immagine in copertina è di insolita sobrietà e
buon gusto. Una metafora tragicamente poetica, un orsetto di peluche sventrato,
pone con efficacia il problema. Ma poi... all’interno si parla seriamente di
questo grave fenomeno, delle sue radici, della sua oscura e perversa diffusione
negli angoli bui della nostra società? Macché. Il titolo di copertina è
"pornografia e violenza: il coraggio di dire basta". Se la prende coi
mezzi di informazione, così elencati: "televisione, cinema, internet,
pubblicità". Già che c’erano, potevano prendersela anche con la moda,
le cui sfilate hanno sempre meno a che fare con l’abbigliamento e sempre più
con esibizioni sul tema del sesso (ma si sa... la moda è sacra e inviolabile,
se ne può solo parlare bene). Il problema, naturalmente, esiste. Se ne discute
da anni, quasi sempre in modo superficiale, senza venirne a capo. Di coraggio,
nelle sei paginette di "inchiesta", neppure l’ombra. In apertura chi
si rivede? il solito fiammeggiante e minaccioso demonio, con il titolo "i
diavoli di internet". Sui contenuti... che cosa dire se non che si tratta
delle solite volgari e deformanti banalità?
Se ci fosse in giro un po’ di coraggio, vedremmo qualche riga di
autocritica, da parte di testate (queste come tante altre) che non hanno mai
esitato a strumentalizzare sesso e violenza, a "pescare nel torbido",
a lodare sperticatamente le più svergognate manipolazioni (nello spettacolo,
nella cronaca, nei commenti, nella pubblicità... eccetera eccetera). Vedremmo
anche qualche tentativo di approfondimento, di analisi sulle vere radici dei
problemi. Ma questo costerebbe fatica... e andrebbe controcorrente. Poco di
moda, in un mondo in cui si cerca l’omologazione a tutti i costi.
Prima di andare a occuparmi di qualcos’altro, per farmi passare il
voltastomaco, non riesco a evitare di concludere con un piccolo sfogo. Prendendo
a prestito un termine che gira nel mondo della moda, potrei parlare di zoccole.
Ma si prestano all’occasione anche alcuni aggettivi. Superficiali, imitativi,
servili, ignoranti e ipocriti. Soprattutto vigliacchi.
|