Umberto Agnelli, assistendo alle prove del Gran Premio di Formula uno in
Spagna, ha dichiarato di essere molto interessato dalla decisione, assunta dalla
FISA, di liberalizzare l’elettronica nel governo delle auto di F1 e ha
sottolineato questo interesse sostenendo che siamo ormai in un mondo altamente
tecnologico dove bisogna essere i più liberi possibile. Dello stesso parere non
sembrano i nostri legislatori quando si rivolgono a quel fascinoso medium
tecnologico che è Internet e la recente legge 62/01 lo testimonia. Questa
normativa appare come un ulteriore tentativo, alquanto scombiccherato, di
controllare localmente, all’italiana, un fenomeno in continua e rapida
trasformazione che, per le sue caratteristiche di globalità, abbraccia ed
interseca società, culture e religioni dove principi e valori possono
presentarsi con forti differenze prospettiche.
Ma Internet, che la si utilizzi per diffondere informazioni e notizie uno a
molti, o per dialogare uno a uno, è essenzialmente un medium di comunicazione
ed i mezzi di comunicazione hanno sempre preoccupato il Palazzo del Principe,
fosse esso il potere dinastico, politico, militare o religioso; non
dimentichiamo che in Italia è esistita, e forse vige ancora, una legge che
faceva obbligo di denunziare il possesso di piccioni viaggiatori; dopo lo
sconvolgimento apportato dalle scoperte di Marconi il possesso di una
ricetrasmittente doveva essere legalizzato attraverso complicate procedure
burocratiche.
Meraviglia oggi che, in Galleria di Milano, gli anziani "brambilla"
possano ancora liberamente riunirsi e discutere di politica e società senza
esibire alcuna autorizzazione e, certamente, negli anni più difficili del
cosiddetto ventennio, questa usanza era impedita o perlomeno sorvegliata.
Ma Internet è troppo potente, è troppo liberatorio, è pericoloso! Quindi
va sorvegliato: è una sorta di foresta di Sherwood ove tanti Robin Hood possono
crescere e moltiplicarsi e quindi gli uomini dello sceriffo di Nottingham si
affannano a penetrarvi, a erigere palizzate e recinti, ad installare torri di
sorveglianza, a tracciare percorsi obbligati. E alle preoccupazioni dei tanti
sceriffi si sommano quelle del quarto potere, dell’editoria e del giornalismo
tradizionale, preoccupato di perdere la prerogativa di detentore ufficiale del
diritto di informare.
Quindi ancora una legge pasticciata e pastrocchiona, dopo quella sui nomi di
dominio, tenta di ingabbiare la Rete e i politici, deputati o sottosegretari che
la hanno più o meno distrattamente appoggiata, cercano giustificazioni e
tentano di sdrammatizzare il coro delle proteste.
Il problema è il solito: quando si tratta di materie scientifiche e
tecnologiche dovrebbero essere i detentori della conoscenza, scienziati o
tecnologi, a dettare i principi su cui basare la normativa; la mia esperienza in
materia di tutela della riservatezza mi fa tornare al primo periodo del
quadriennio passato nel Collegio del Garante: la legge 675/96 presentava
concetti talmente remoti dal modus operandi dei grandi gruppi imprenditoriali e
finanziari che si sono dovute fare vere e proprie acrobazie per adattarla alle
situazioni reali e ancor oggi, interi settori dell’economia nazionale vivono
ai margini della regolarità in materia di rispetto di tutte le prescrizioni di
quella legge. Sarebbe bastato che la commissione di giuristi incaricata di
redigerne il testo avesse dato più spazio alle consultazioni e opinioni delle
rappresentanze delle diverse categorie economiche.
La stessa cosa è successa per il DPR 318/99 sulle misure "minime" di
sicurezza previsto dalla 675. Oggi può essere definito obsoleto sia rispetto
alle possibilità e soluzioni offerte dalla tecnologia digitale in materia di
protezione delle informazioni, sia considerando le capacità di penetrazione dei
sistemi informatici connessi a reti di comunicazione, maturate da parte dei
cybercriminali.
Il fatto poi che anche il ragazzo di spiccate capacità informatiche che
voglia divertirsi a creare un proprio sito, dove offrire consulenza in
videogiochi o proporre uno scambio di vecchie raccolte di fumetti,
indipendentemente da qualunque forma di periodicità e ben lungi dal desiderio
di assumere un ruolo professionale o lucrativo, debba sentirsi obbligato a
fornire le proprie generalità e l’indirizzo ai frequentatori del suo spazio
virtuale, questo è il risultato sia di una consueta formula di non chiarezza su
quanto e per chi si sta legiferando, sia della inveterata e pessima abitudine di
abusare di rinvii e agganci a precedenti fonti legislative, tipica dei legulei
pigri e incapaci di circoscrivere la materia e il settore che si intende
regolamentare e conseguentemente sforzarsi a scrivere testi e norme compiute e
finalizzate.
Sarà interessante, qualora il caso si presenti, conoscere in qual modo l’Ufficio
del Garante per la tutela dei dati personali potrà rendere conciliabili i due
diritti: quello del ragazzino di rimanere anonimo, o al massimo noto col suo
nickname, ai frequentatori del suo sito, con l’altro preteso da una legge che
è rivolta, e tale sarebbe dovuta rimanere con buona pace dei Serventi Longhi, a
governare il settore dell’editoria elettronica.
Ad ogni buon conto un’altra torre di guardia è stata eretta sulla agorà
telematica; chissà quante ne verranno ancora e forse, prima o poi, gli spiriti
liberi ricorreranno a tecniche di crittografia proprietaria, ahimé considerate
alla stregua di materiale bellico, altrimenti la nostra piazza e il nostro
Internet café diverranno un lager. Forse allora torneremo ai piccioni
viaggiatori sperando che, per un po’ di tempo, il Principe sarà inesperto
nell’uso della balestra o nell’arte della falconeria e quindi incapace di
intercettare il nostro Canto Libero, per dirla con l’indimenticabile Lucio
Battisti.
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