Soltanto pochi mesi dopo l'entrata in vigore della legge 7 marzo 2001, n. 62 - Nuove norme
sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n.
416 - accadde quello che molti avevano temuto: un giudice penale equiparò Internet alla stampa sequestrando un
sito che, a suo avviso, offendeva la religione cattolica (art. 403 c.p.).
Al di là della questioni giuridiche riguardanti il sequestro (vale la pena di
sottolineare che il sito poteva comunque essere sequestrato, anche senza passare
per l’equiparazione con la stampa cartacea), il provvedimento catturò l’attenzione,
non soltanto degli addetti ai lavori, per un passaggio assolutamente perentorio:
"il sito internet in esame deve essere ritenuto prodotto editoriale ai
sensi dell'art. 1 l. 62/01". Ma facciamo un passo indietro.
L'art. 1, comma 1, della l. 62/2001, come
è ormai noto, stabilisce: "Per «prodotto editoriale», ai fini della
presente legge, si intende il prodotto realizzato … su supporto informatico,
destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso
il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, … con esclusione dei prodotti
discografici o cinematografici". A ciò, secondo la volontà della stessa
legge, consegue quanto imposto dal comma 3 dell'art. 1 che rinvia alla legge
sulla stampa (l. 47/48).
In sintesi: obbligo generico di indicare alcuni dati relativi allo
"stampato" e, per i prodotti editoriali (cioè anche per i siti)
contraddistinti da una testata e diffusi con periodicità regolare, obbligo di
registrazione come testata giornalistica. Con una conseguenza non da poco: la
violazione di tali obblighi (sarebbe inconcepibile un precetto senza sanzione)
costituisce "stampa clandestina", ipotesi penalmente punita ex art. 16 l. 47/48.
Coloro che si accorsero di ciò, gridarono subito allo scandalo, sostenendo,
addirittura, presunte violazioni dell'art. 21 della Costituzione, dunque della
libera espressione del pensiero, preoccupazione esagerata che non ho mai
condiviso. Ma non è questo il punto.
I governi (sia quello in carica al momento della promulgazione della legge che
quello attuale) si affannarono in diverse occasioni per sostenere una legge non
certo chiara, proponendo letture anche un po' azzardate. Fu affermato, infatti,
che gli obblighi in esame riguardavano soltanto coloro che, responsabili di siti
Internet, avessero inteso beneficiare delle provvidenze di cui, in effetti,
tratta la legge 62/2001. Ciò sulla scorta dell'inciso "ai fini della
presente legge" contenuto proprio nel comma 1.
Malgrado questa apodittica e spocchiosa posizione travestita da
interpretazione "autentica", come visto un giudice ritenne di dover
concludere in senso esattamente contrario. Si legge infatti nell'ordinanza di
Latina: " …considerato che il sito internet in esame deve essere ritenuto
prodotto editoriale ai sensi dell'art. 1 l. n. 62/01, di un prodotto realizzato
su supporto informatico destinato alla diffusione di informazioni con mezzo
elettronico attraverso la diffusione nella rete mondiale, accessibile in pratica
a chiunque… ". E su tale linea interpretativa si mise anche Franco
Abruzzo, presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia e, almeno in
parte, ispiratore della stessa legge.
Sul versante opposto – e al di là delle menzionate dichiarazioni politiche
-, soltanto Vincenzo Zeno-Zencovich – pur in una tesi che non ritengo
condivisibile – ha saputo dare dignità scientifica alla tesi del limitato
campo d’azione della l. 62/01. Secondo l’autore, in primo luogo la
definizione di "prodotto editoriale" possiede un carattere vago,
impreciso e strumentale (ai fini delle provvidenze), dunque non è decisiva;
poi, occorrerebbe tener presente la singolarissima natura dei siti Internet
(tale da avvicinarli ben poco alla carta stampata); inoltre, il richiamo alle
indicazioni di cui all’art. 2 l. 47/1948 sarebbe superfluo o, addirittura,
superato da norme comunitarie che impongono altre indicazioni. Infine,
occorrerebbe concludere per la decisività dell'inciso "ai fini della
presente legge".
Malgrado l'autorevolezza della tesi, rimango ancora perplesso e, con me,
molti altri. Non si deve dimenticare che il titolo reca "Nuove norme
sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981,
n. 416", il che fa pensare che l'intenzione del legislatore non fosse
solo di dettare regole sulle provvidenze, ma di riordinare l'intero settore.
L'inciso "ai fini della presente legge" avrebbe quindi valore generale
e non limitato all'erogazione dei contributi.
D'altra parte, un pubblico ministero della Procura presso il Tribunale di
Aosta, ha ritenuto di domandare al corrispondente GIP l'emissione di un decreto
penale di condanna, contestando proprio la violazione dell'art. 16 l. 47/48
(corredato dal precetto di cui all'art. 2), dunque andando a colpire nel vivo
della questione. Io faccio l'avvocato e, di solito, difendo gli
indagati-imputati. E' curioso che le mie idee convergano con quelle di un
rappresentante dell'accusa. Forse ci sarà un motivo...
Sta di fatto che il GIP cui era stata richiesta l'emissione del decreto ha
rigettato la stessa con una motivazione
concisa ma certamente inequivoca: "non può ritenersi che il testo reso
pubblico mediante sito internet sia assimilabile ad uno stampato, se non
compiendo una operazione analogica" (che, lo ricordiamo, non è ammissibile
in campo penale). Si è così negata, in buona sostanza, l’obbligatorietà per
i siti internet delle indicazioni previste dalla legge sulla stampa.
Sebbene la decisione possa dare sollievo a molti curatori di siti Internet, la
stessa è criticabile.
Paradossalmente, nella sentenza il giudice di Aosta ha tirato in ballo ancora
Zeno-Zencovich e una sua tesi risalente a qualche anno fa riguardante proprio il
concetto di "stampato". Purtroppo la tesi non sembra più attuale,
tant’è vero che lo stesso Zeno-Zencovich, nei suoi più recenti scritti sulla
l. 62/2001, sembra averla parzialmente accantonata.
E' pur vero che l'art. 1 della l. 47/1948
dà una definizione di "stampato" assolutamente incompatibile col
mondo telematico, ma è parimenti vero che, successivamente, è intervenuta la
legge 62/01 che a quegli "stampati-non stampati-ma-soltanto
stampabili" ha intenso distribuire danari passando per un’equiparazione
alla stampa tradizionale. Allora non aiutiamo l'editoria telematica perché,
anche se lo prevede la legge, non è "stampato"? Mi rendo conto che il
divieto di analogia vige per il solo diritto penale, ma la domanda è
volutamente provocatoria.
La mia idea è che il pur garantista riferimento al divieto di analogia in
malam partem non sia pertinente, appunto perché, considerata la legge del
2001, il vuoto legislativo da riempire in realtà non sussiste.
Al solito, leggendo certe leggi "enigmatiche" rimane un dubbio: o il
legislatore non comprende significato e conseguenze di quello che scrive oppure
lo sa perfettamente, ma, pubblicamente, smentisce tutto per ragioni elettorali.
Vi sono argomenti validi per entrambe le ipotesi. Che il nostro legislatore
non sia un "tecnico", è cosa nota, come è noto che il momento di
tecnica legislativa è inevitabilmente frustrato dai compromessi parlamentari.
Che, d'altro canto, si faccia di tutto per far ricadere Internet sotto la
disciplina della stampa è dimostrato, ad esempio, dall'esistenza di alcuni
disegni di legge che mirano a rendere "diffamazione a mezzo stampa" la
diffamazione commessa mediante comunicazioni informatiche o telematiche"
(il più risalente è il C. 385, ma ve ne sono almeno altri quattro concorrenti
partoriti dalle opposte fazioni politiche).
Tranne il legislatore, tutti, però, sembrano d’accordo nel sostenere che la
l. 62/2001 è una legge poco chiara. L'attuazione della delega contenuta nella
legge comunitaria farà chiarezza?
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